Storia di un’anima
di
Santa Teresa
di Gesù Bambino e del Volto Santo
(di Lisieux)
Scritto autobiografico A – I parte
diretto a madre Agnese di Gesù (la sorella Paolina)
J. M. J. T. Gesù – Gennaio 1895
Storia primaverile di un fiorellino bianco scritta da lui stesso e dedicata alla reverenda Madre Agnese di Gesù.
1. Infanzia radiosa ad Alencon (1873-1877)
Preambolo – Dolce clima domestico – Temperamento felice – L’inseparabile Celina – Gesto rivelatore – Diavoletti in sogno – In sintonia con la natura.
1 – A lei, Madre mia cara, a lei che mi è due volte madre confido la storia dell’anima mia… Quando lei mi chiese di farlo, pensai: il cuore si dissiperà, occupandosi di se stesso; ma poi Gesù mi ha fatto sentire che, obbedendo con semplicità, avrei fatto piacere a lui; del resto, faccio una cosa sola: comincio a cantare quello che debbo ripetere eternamente: “Le misericordie del Signore!”.
2 – Prima di prendere la penna, mi sono inginocchiata davanti alla statua di Maria (quella che ci ha offerto tante prove delle materne premure da parte della Regina del Cielo verso la nostra famiglia), l’ho supplicata che mi guidi la mano: nemmeno un rigo voglio scrivere che non piaccia a lei! Poi ho aperto il Vangelo, e lo sguardo è caduto su alcune parole: «Gesù salì sopra una montagna, e chiamò a sé quelli che volle: e andarono a lui» (Mc 3, 13).
3 – Questo, proprio questo il mistero della mia vocazione, della mia vita tutta, e in particolare il mistero dei privilegi di Gesù sull’anima mia. Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi vuole lui, o, come dice san Paolo: «Dio ha pietà di chi vuole lui, ed usa misericordia a chi vuole lui. Non è dunque opera di chi voglia né di chi corra, bensì di Dio che usa misericordia» (Rm 9, 15-16).
4 – Per tanto tempo mi sono chiesta perché Dio abbia delle preferenze, perché tutte le anime non ricevano grazie in grado uguale, mi meravigliavo perché prodiga favori straordinari a Santi che l’hanno offeso, come san Paolo, sant’Agostino, e perché, direi quasi, li costringe a ricevere il suo dono; poi, quando leggevo la vita dei Santi che Nostro Signore ha carezzati dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino un solo ostacolo che impedisse di elevarsi a lui, e prevenendo le loro anime con tali favori da rendere quasi impossibile che esse macchiassero lo splendore immacolato della loro veste battesimale, mi domandavo: perché i poveri selvaggi, per esempio, muoiono tanti e tanti ancor prima di avere inteso pronunciare il nome di Dio?
5 – Ma Gesù mi ha istruita riguardo a questo mistero. Mi ha messo dinanzi agli occhi il libro della natura, ed ho capito che tutti i fiori della creazione sono belli, le rose magnifiche e i gigli bianchissimi non rubano il profumo alla viola, o la semplicità incantevole alla pratolina… Se tutti i fiori piccini volessero essere rose, la natura perderebbe la sua veste di primavera, i campi non sarebbero più smaltati di infiorescenze. Così è nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù. Dio ha voluto creare i grandi Santi, che possono essere paragonati ai gigli ed alle rose; ma ne ha creati anche di più piccoli, e questi si debbono contentare d’essere margherite o violette, destinate a rallegrar lo sguardo del Signore quand’egli si degna d’abbassarlo. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere come vuole lui.
6 – Ho capito anche un’altra cosa: l’amore di Nostro Signore si rivela altrettanto bene nell’anima più semplice la quale non resista affatto alla grazia, quanto nell’anima più sublime; in realtà, è proprio dell’amore umiliarsi, e se tutte le anime somigliassero ai santi Dottori, i quali hanno rischiarato la Chiesa con i lumi della loro dottrina, parrebbe che Dio misericordioso non discendesse abbastanza per raggiungerli; ma egli ha creato il bimbo il quale non sa nulla e si esprime soltanto con strilletti deboli deboli; ha creato il selvaggio il quale, nella sua totale miseria, possiede soltanto la legge naturale per regolarsi; e Dio si abbassa fino a loro! Anzi, sono questi i fiori selvatici che lo rapiscono perché sono tanto semplici.
7 – Abbassandosi fino a questo punto, Dio si mostra infinitamente grande. Allo stesso modo in cui il sole illumina i grandi cedri ed i fiorucci da niente come se ciascuno fosse unico al mondo, così Nostro Signore si occupa di ciascuna anima con tanto amore, quasi fosse la sola ad esistere; e come nella natura le stagioni tutte sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, così tutto risponde al bene di ciascun’anima.
8 – Certamente, Madre cara, lei si domanda dove io voglia arrivare, perché finora non ho detto parola che somigli alla storia della mia vita, ma lei mi ha chiesto di scrivere liberamente quello che mi viene al pensiero, perciò io non racconterò la mia vita vera e propria, bensì i miei pensieri riguardo alle grazie che Dio mi ha concesse. Mi trovo a un punto della mia esistenza dal quale posso guardare il passato; l’anima mia si è maturata tra prove esterne e interne, ora, come un boccio rafforzato dalla tempesta, mi risollevo, e vedo che in me si verificano le parole del Salmo 22 «il Signore è il mio Pastore, nulla mi può mancare. Mi fa riposare nelle pasture fresche e ricche. Mi guida dolcemente lungo il fiume. Conduce l’anima mia senza stancarla… E quand’anche scenderò nella valle ombrosa della morte, non temerò danno, perché tu sarai con me, Signore!».
9 – Sempre il Signore è stato pieno di compassione per me, e di dolcezza… Lento a punire e abbondante in misericordie! (Salmo 102, 8). Così, Madre mia, sono felice di cantare vicino a lei la misericordia del Signore. Per lei sola scriverò la storia del fiore umile colto da Gesù, e parlerò abbandonandomi, senza preoccuparmi dello stile, o delle tante digressioni che farò. Un cuore di mamma capisce sempre il suo bimbo, anche se questo balbetta soltanto, e perciò sono sicura di essere capita, indovinata da lei: è lei che mi ha formato il cuore, e l’ha offerto a Gesù!
10 – Mi pare che, se un fiorellino potesse parlare, direbbe, con gran semplicità, ciò che il Signore ha fatto per lui e non cercherebbe di nascondere i benefici divini. Per falsa modestia, non direbbe: «Sono sgraziato, non ho profumo, il sole ha portato via il mio splendore, la bufera ha infranto il mio stelo» quando riconoscesse in sé tutto il contrario.
11 – Il fiore che racconta qui la sua storia si rallegra perché farà conoscere le premure tutte gratuite di Gesù; non ha niente lui – e lo sa bene – che possa attrarre lo sguardo di Dio, ed anche sa che la sola misericordia divina ha fatto tutto il buono esistente in lui. L’ha fatto nascere in una terra santa, e quasi permeata da un profumo verginale. L’ha fatto precedere da otto gigli sfolgoranti di candore. Nel suo amore, ha voluto preservare il fiore umile dal soffio velenoso del mondo; stavano appena per aprirsi i petali, e il Salvatore l’ha trapiantato sulla montagna del Carmelo, ove già olezzavano due gigli: proprio quei due che l’avevano avvolto e cullato dolcemente al suo primo germogliare … Sette anni sono trascorsi da quando il fiore si è radicato nel giardino dello Sposo dei vergini, ed ora vicine a lui ondulano tre corolle fragranti; non lontano, un’altra si apre allo sguardo di Gesù, ed i due steli benedetti che le hanno prodotte sono riuniti per sempre nella Patria divina. Là hanno ritrovato i quattro gigli che la terra non ha visti fiorire. Oh, che Gesù voglia non lasciare a lungo sulla riva straniera coloro che sono rimaste nell’esilio: che ben presto tutto il cespo bianco sia completo nel Cielo!
12 – Madre mia, ho riassunto in poche parole ciò che il Signore ha fatto per me, ora mi addentrerò nella mia vita di bimba; so che là, dove chiunque altro non vedrebbe se non una tiritera noiosa, il suo cuore di mamma troverà un fascino. E poi, i ricordi che evocherò sono anche i suoi, perché l’infanzia mia è trascorsa vicina a lei, ed io ho la fortuna d’appartenere ai genitori ineguagliabili i quali ci hanno avviluppate delle stesse premure e di uguale tenerezza. Benedicano essi la minima delle loro figlie e l’aiutino a cantare le misericordie di Dio!
13 – Nella storia dell’anima mia fino a quando sono entrata nel Carmelo, distinguo nettamente tre periodi: il primo, nonostante la brevità, non è il meno fecondo di ricordi: dall’iniziale destarsi della mia mente al transito della nostra Mamma amata.
14 – Per tutta la mia vita è piaciuto a Dio circondarmi d’amore, i primi ricordi sono sorrisi e carezze tenerissime: ma, se egli mi aveva messo intorno tanto amore, me ne aveva posto anche nel cuore, creandolo amante e sensibile; così amavo grandemente Papà e Mamma e dimostravo il mio affetto in mille modi, perché ero molto espansiva. Soltanto i mezzi che usavo erano talvolta strani, come lo prova questo passo di una lettera di Mamma: «La piccina è un furicchio impagabile, mi ha carezzata augurandomi la morte: “Oh, come vorrei che tu morissi, povera Mammina mia!…”; la rimbrottano e lei mi fa: “Ma è perché tu possa andare in Cielo, giacché tu dici che bisogna morire per andarci!”. E in modo simile augura la morte al Babbo, quand’è nei suoi trasporti d’amore».
15 – Il 25 giugno 1874, avevo appena diciotto mesi, ecco ciò che Mamma diceva di me: «Papà ha installato un’altalena, Celina è felice a più non posso, ma bisogna vedere la piccina quando si dondola: è buffissima, si regge come una bimba grande, non c’è pericolo che lasci la corda, poi quando non va abbastanza forte, grida. L’attacchiamo davanti con un’altra corda e, nonostante questo, non sono tranquilla quando la vedo issata lì sopra.
16 – M’è accaduta un’avventura curiosa ultimamente con la piccina. Ho l’abitudine di andare alla Messa delle cinque e mezzo, nei primi giorni non osavo lasciarla, ma vedendo che non si svegliava mai, ho finito per decidermi. La metto nel letto mio, e accosto la culla in modo che lei non possa cadere. Un giorno dimentico di avvicinare la culla. Ritorno, la piccina non c’è più: nello stesso attimo odo uno strilletto, guardo, la vedo seduta sopra una seggiola accanto al letto, con la testina appoggiata al traversino, e dormiva agitata per la posizione scomoda. Non ho ancora capito come abbia potuto cadere seduta su una seggiola, dal momento che era distesa. Ho ringraziato Iddio che non le sia capitato nulla, è un fatto provvidenziale davvero, avrebbe dovuto ruzzolare per terra, il suo Angelo ha vegliato, e le anime del purgatorio, che invoco per lei tutti i giorni, l’hanno protetta: io lo accomodo così, questo fatto… Voi accomodatelo come vi pare!…».
17 – Alla fine della lettera, Mamma aggiungeva: «Ecco la piccina, che mi mette le manotte su’ viso e mi abbraccia. Povera bimba, non mi vuole lasciare, sta sempre con me; le piace tanto andare in giardino, ma se non ci vado anch’io, non ci rimane, e piange fino a quando me la riportano». Ecco un altro tratto di un’altra lettera: «L’altro giorno Teresa mi domanda se andrà in Cielo: le dico di si, se è proprio buona; mi risponde: “Sì, ma se non fossi proprio buona buona, andrei all’inferno… ma io lo so cosa farei: scapperei su con te, che saresti in Cielo, come farebbe il buon Dio per prendermi? Tu mi reggeresti forte tra le braccia…”. Ho letto nei suoi occhi: è convinta che il buon Dio non le può fare nulla se è tra le braccia della Mamma».
18 – «Maria ama molto la sorellina, la trova deliziosa e la piccolina ha un gran timore di farle dispiacere. Ieri le volli dare una rosa perché sapevo che lei ne è felice, ma si è messa a supplicarmi di no, diceva: “Maria ha proibito di tagliarle”, era rossa per il gran sottosopra, nonostante ciò gliene ho date due, non osava più tornare a casa. Avevo un bel dirle che le rose sono mie, “ma no – diceva lei -, sono di Maria”.
19 – È una bambina che si emoziona facilmente. Appena ha fatto un piccolo malestro, bisogna che lo sappiano tutti. Ieri aveva fatto cadere senza volere un pezzetto di tappezzeria, era in uno stato da far pietà, poi bisognava dirlo subito a Papà; lui arrivò quattr’ore dopo, nessuno ci pensava più, ma lei corse da Maria: “Svelta, dì a Papà che ho strappato la carta”. Rimane lì come un criminale in attesa della sentenza, ma ha nella sua testolina l’idea che le sarà perdonato più facilmente se lei stessa si accusa».
20 – Amavo tanto la mia Madrina. Senza parere, stavo attentissima a tutto quello che dicevano e facevano intorno a me, mi pare che giudicavo le cose come adesso. Ascoltavo con grande premura ciò che Maria insegnava a Celina, per fare come lei; dopo che uscì dalla Visitazione, ero buona buona e facevo tutto quello che voleva lei, per ottenere la grazia d’essere ammessa nella stanza durante le lezioni che dava a Celina; e lei mi faceva tanti regalini che, pur essendo di poco valore, mi davano gran contentezza.
21 – Ero fierissima delle mie sorelle grandi, ma quella che era il mio ideale di bimba, era Paolina… Quando cominciai a parlare, se Mamma mi domandava: «A che pensi?» la risposta non cambiava mai: «A Paolina». Un’altra volta lasciavo scorrere il ditino sui vetri e dicevo: «Scrivo: Paolina! …». Spesso udivo dire che Paolina certamente si sarebbe fatta religiosa: allora pensavo, senza sapere bene di che si trattasse: “Sarò religiosa anch’io”. Quello è uno dei miei primi ricordi, e da allora non ho cambiato mai risoluzione. Fu lei, Madre cara, che Gesù scelse per fidanzarmi con lui; lei a quel tempo non era presso me, ma già un legame si era formato tra le nostre anime: era il mio ideale, volevo somigliare a lei, e fu il suo esempio che dall’età di due anni mi attirò verso lo Sposo delle vergini. Oh, quante dolci riflessioni vorrei confidarle! Ma debbo continuare la storia del fiorellino, la sua storia completa e generale, perché se volessi parlare minutamente delle mie relazioni con Paolina, dovrei tralasciare tutto il resto!
22 – La mia cara Leonia occupava anche lei un gran posto nel cuore mio. Mi voleva molto bene. La sera era lei che mi custodiva quando tutta la famiglia andava a passeggiare. Mi pare di ascoltare ancora le belle canzoncine che cantava per addormentarmi… in tutte le cose cercava il modo per farmi piacere, cosicché sarei stata ben triste se l’avessi contrariata.
23 – Ricordo distintamente la sua prima Comunione, soprattutto il momento in cui mi prese in braccio per farmi entrare nel presbiterio; mi pareva meraviglioso di essere portata così da una sorella grande tutta bianca come me! La sera mi misero a letto per tempo, ero troppo piccola per restare al gran pranzo, ma vedo ancora Papà che, dopo il dolce, venne a portarne un pezzetto alla sua reginetta… Il giorno dopo, o pochi giorni dopo, andammo con Mamma dalla piccola compagna di Leonia; mi pare fosse quel giorno che la nostra Mamma tanto cara ci condusse dietro un muro per farci bere un pochino di vino dopo il pranzo (che ci aveva allestito la povera signora Dagoran) perché non voleva mortificare la buona donna, ma anche voleva che non ci mancasse niente. Com’è delicato il cuore di una mamma, e come traluce la sua tenerezza in mille premure alle quali nessuno penserebbe!
24 – Ora mi resta da parlare di Celina cara, la mia compagnetta d’infanzia, ma ecco i ricordi in tanta folla che non so quale scegliere! Caverò qualche brano dalle lettere che Mamma scriveva alla Visitazione, ma non copierò tutto, sarebbe troppo lungo… Il 10 luglio 1873, anno della mia nascita, diceva: «Giovedì la balia ha portato qui Teresina, la quale non ha fatto che ridere, soprattutto le piaceva Celina, faceva gran risate con lei; si direbbe che abbia già voglia di giocare, e presto lo farà, sta ritta sulle gambette, rigida come un palettino. Credo che camminerà presto e che sarà di buon carattere, pare molto intelligente e ha un visino da predestinata. Ma soprattutto dopo che da balia tornai a casa, rivelai il grande affetto per la mia Celina. C’intendevamo a meraviglia, soltanto io ero assai più vivace e meno ingenua di lei; benché avessi tre anni e mezzo di meno, mi pareva di essere della stessa età.
25 – Ecco un brano di una lettera di Mamma che le mostrerà Celina dolce e me cattiva: «La mia Celina è proprio disposta alla virtù, è il sentimento intimo del suo essere, ha un’anima candida ed ha orrore del male. Quanto al furicchio, non si sa come butterà. E un cosino tanto piccino e tanto stordito! E anche più intelligente di Celina, ma meno dolce assai, e soprattutto di un’ostinazione quasi invincibile; quando dice no, niente da fare; la metti in cantina tutta una giornata, lei ci dorme piuttosto che dire “sì”.
26 – Però ha un cuore d’oro, ed è tanto carezzevole e molto franca; è curioso vederla quando mi corre dietro per farmi le sue confessioni: – Mamma, ho dato una spinta a Celina, una sola, e le ho dato un colpetto, ma non lo faccio più. (Così per tutto quel che fa). Giovedì sera andammo a passeggiare verso la stazione, in tutti i modi volle entrare nella sala d’aspetto per cercare Paolina, mi correva avanti con una gioia che metteva l’allegria anche a me, ma quando vide che bisognava tornarsene a casa senza salire in treno per andare a cercare Paolina, pianse per tutta la strada…».
27 – Queste ultime righe mi ricordano la felicità di quando la vedevo tornare dalla Visitazione: lei, Madre, prendeva in braccio me, Maria prendeva Celina; allora io le facevo cento carezze, e mi sporgevo dietro per ammirare la sua grande treccia, poi mi dava una tavoletta di cioccolata che aveva conservata per tre mesi. Pensi un po’ che reliquia era per me! Ricordo anche il viaggio che feci a Le Mans, era la prima volta che andavo in treno. Che gioia viaggiar sola con Mamma! Però, mi misi a piangere, non so più perché, e la povera Mamma mia non poté presentare alla zia di Le Mans altro che un cosino brutto e tutto rosso dalle lacrime versate in viaggio. Non mi è rimasto nessun ricordo del parlatorio, ma soltanto del momento in cui la zia mi porse un topino bianco e un panierino di carta bristol pieno di dolcini e sui quali troneggiavano due anelli di zucchero, proprio grossi come il mio dito; gridai subito: «Che bellezza! C’è un anello anche per Celina». Oh, sciagura! prendo il panierino per il manico, do l’altra mano a Mamma, e partiamo; dopo qualche passo, guardo il paniere e vedo che i dolci sono tutti seminati per la via, come i Sassetti di Puccettino… Guardo meglio, e vedo che uno dei due anelli ha subito il destino tragico dei dolci: non c’è più nulla per Celina! Allora il dolore erompe, chiedo di tornare indietro, Mamma non mi dà retta, e questo è troppo, alle lacrime succedono i gridi… non capivo come mai non condividesse il mio dolore e per questo soffrivo molto di più!…
28 – Ritorno alle lettere nelle quali Mamma le parla di Celina e di me, è il miglior modo per farle conoscere il mio carattere. Ecco un brano nel quale i miei difetti brillano di vivo splendore: «Celina si diverte con la piccina al gioco dei cubi, bisticciano di quando in quando, Celina cede per avere una perla alla sua corona. Sono costretta a correggere quella povera piccolina che va in furie paurose; quando le cose non vanno secondo le sue idee, si rotola per terra come una disperata credendo tutto perduto, ci sono momenti in cui è più forte di lei, ne è come soffocata. E una bambina molto nervosa, eppure è deliziosa e intelligentissima, si ricorda di tutto».
29 – Vede dunque, Madre mia, quant’ero distante dall’essere una bambina senza difetti! E nemmeno potevano dire di me che stessi buona quando dormivo, perché la notte era ancor più movimentata che il giorno, buttavo via tutte le coperte, e poi (sempre dormendo) battevo dei colpi contro il legno del mio lettino, il dolore mi risvegliava. Allora dicevo: «Mamma, sono “picchiata”». Povera Mamma, era costretta ad alzarsi e costatava che davvero avevo dei bernoccoli alla fronte, ero “picchiata”; mi copriva bene, poi tornava nel suo letto, ma dopo un minuto io ricominciavo ad essere «picchiata», tanto che dovettero legarmi nel lettino. Sera per sera, Celina veniva ad annodare i numerosi cordoni destinati ad impedire al furicchio di farsi i bernoccoli e di svegliare Mamma, e questo mezzo riuscì bene, diventai saggia dormendo.
30 – Ma c’era un altro difetto che avevo (da sveglia) e di cui Mamma parla nelle sue lettere, era un grande amor proprio. Ne do due esempi soli per non allungare troppo il racconto. Un giorno Mamma mi disse: «Teresina, se tu baci la terra, ti do un soldo». Un soldo! Era la ricchezza per me! Per impadronirmene mi bastava abbassare la mia altezza, giacché la mia statura minima non frapponeva gran distanza tra me e la terra, e tuttavia la mia fierezza si ribellò all’idea di baciar la terra: dritta indomita dissi a Mamma: «Oh no, Mammina mia, preferisco fare a meno del soldo».
31 – Un’altra volta dovevamo andare a Grogny dalla signora Monnier. Mamma disse a Maria di mettermi un bel vestitino azzurro-cielo ornato di trine, ma di non lasciarmi le braccia nude affinché il sole non me le brunisse. Mi feci vestire con l’indifferenza che dovevano avere le bimbe dell’età mia, ma intimamente pensavo che sarei stata molto più carina con le mie braccine nude. Con una natura come la mia, se fossi stata educata da genitori privi di virtù, oppure se, come Celina, fossi stata viziata da Luisa, sarei diventata un cattivo arnese, e, forse, mi sarei perduta.
32 – Ma Gesù vegliava sulla sua piccola fidanzata, ha voluto che tutto volgesse al bene di lei; perfino i difetti che, repressi per tempo, le sono serviti per crescere nella perfezione… Poiché avevo amor proprio ed anche amor del bene, appena cominciai a pensare seriamente (e ho cominciato piccina piccina), bastava che mi dicessero: questo non è bene, che io non me lo facevo ripetere due volte. Vedo con piacere dalle lettere di Mamma che, crescendo, le davo più consolazione. Avevo soltanto buoni esempi intorno a me: naturalmente, volevo seguirli. Ecco ciò che scriveva nel 1876: “Perfino Teresa vuol prender parte a fare delle “pratiche”. È una bimba incantevole, fina come l’ombra, molto vivace, ma il cuore è sensibile.
33 – Celina e lei si vogliono un gran bene, si bastano reciprocamente per non annoiarsi: tutti i giorni, appena abbiamo finito il pranzo, Celina va a prendere il suo galletto, poi acchiappa a un tratto la gallinella di Teresa; io non ce la faccio, ma lei è così svelta che al primo balzo la piglia; poi arrivano tutt’e due al cantuccio del fuoco, e si divertono così per un gran tempo. [Era la Rosina che mi aveva regalato gallina e galletto, io avevo regalato il gallo a Celina]. L’altro giorno Celina ha dormito con me. Teresa ha dormito al piano di sopra nel letto di Celina, ha supplicato Luisa di portarla giù perché la potessimo vestire. Luisa sale per prenderla, trova il letto vuoto. Teresa ha inteso Celina ed è discesa con lei. Luisa le dice: “Non vuoi venire a farti vestire?”. “Oh, no, povera Luisa, siamo come i due polli, non ci possiamo separare!… E mentre dicevano così, si abbracciavano. Poi, la sera, Luisa, Celina e Leonia sono andate al circolo cattolico e hanno lasciato a casa questa povera Teresa la quale si rendeva conto benissimo di esser troppo piccola per andare anche lei; e diceva: “Oh, basterebbe che mi mettessero nel letto di Celina!”. Ma no, non ce l’hanno messa… non ha detto più nulla, è rimasta sola col suo lumino e dopo un quarto d’ora se ne dormiva d’un sonno profondo».
34 – Un altro giorno Mamma scriveva: «Celina e Teresa sono inseparabili, non si possono vedere due bimbe che si vogliano più bene. Quando Maria viene a prendere Celina per darle lezione, Teresa, più piccina, è tutta in lacrime. Ahimè che sarà di lei, l’amichetta se ne va! Maria si muove a compassione, prende anche lei, e la povera bimba rimane issata sopra una seggiola per due o tre ore; le danno delle perline da infilare o un pezzetto di stoffa da ricamare, lei non osa muoversi e spesso fa dei gran sospironi. Quando l’ago si sfila, fa di tutto per rinfilarlo, è curioso vederla mentre non le riesce, e che non osa disturbar Maria; poco dopo due lacrimoni grossi scendono sulle gotine. Maria la consola subito, rinfila l’ago, e il povero angiolino sorride attraverso le lacrime…».
35 – Infatti, ricordo che non potevo restare senza Celina, preferivo uscir da tavola prima d’aver finito il dolce piuttosto che non seguirla, appena lei si alzava. Mi dibattevo sul mio seggiolone chiedendo che mi mettessero giù, e poi: via, a giocare insieme; qualche volta andavamo dalla piccola «prefetta», ciò che mi piaceva molto a causa del parco e di tutti i bei giocattoli che ci faceva vedere, ma in realtà ci andavo più che altro per far piacere a Celina, perché avrei preferito restare nel nostro giardinetto a grattare i muri, dai quali staccavamo tutte le pagliuzze brillanti che vi si trovavano per poi andare a venderle a Papà nostro, e lui le comperava con grande serietà.
36 – La domenica, essendo troppo piccola per andare alle funzioni, Mamma rimaneva per badarmi; ero buona buona e camminavo in punta di piedi durante il tempo della Messa, ma appena vedevo la porta che si apriva, era una esplosione di gioia senza pari; mi precipitavo incontro alla mia bella sorellina, che ritornava «ornata a festa come una cappella» e le dicevo: «Oh Celinetta mia, svelta, dammi il pane benedetto!». A volte non ce l’aveva perché era arrivata tardi… Come si fa, allora? Impossibile rinunciarvi: era la «mia messa»! Il rimedio è trovato subito: «Non hai pane benedetto! Ebbene, fanne!». Detto, fatto: Celina prende una seggiola, apre l’armadio, acchiappa il pane, ne taglia un boccone e molto seriamente ci recita sopra un’Ave Maria poi me l’offre, e io, dopo fatto il segno della Croce, lo mangio con grande devozione e scopro proprio il sapore del pane benedetto… Spesso facevamo insieme delle conferenze spirituali. Ecco un esempio, anche questo preso dalle lettere di Mamma: «Le nostre due care bimbe Celina e Teresa sono angeli di benedizione, nature di paradiso. Teresa è la gioia, la felicità di Maria, e la sua gloria, è incredibile come Maria ne è fiera. È vero che ha delle uscite rare alla sua età, supera Celina che ha il doppio di anni. L’altro giorno Celina diceva: “Ma come può essere che il buon Dio sia in una Ostia tanto minuscola?”. La piccina: “Non è tanto strano, poiché Dio è onnipotente”. “Che vuol dire onnipotente?”. “Ma che può fare tutto quello che vuole!”».
37 – Un giorno Leonia, pensando di essere troppo grande per giocare con la bambola, venne da noi due con un paniere pieno di vestiti e di pezzetti belli di stoffa per farne altri; su queste ricchezze stava distesa la bambola. «Prendete, sorelline, scegliete, vi do tutto». Celina allungò la mano e prese un pacchetto di gale che le piacevano. Io riflettei un attimo, poi anch’io allungai la mano e dissi: «Io scelgo tutto!», e presi il paniere senza tanti complimenti; quelli che assistevano alla scenetta trovarono la cosa molto giusta, e la stessa Celina non si sognò di protestare (bisogna dire che i giocattoli non le mancavano, il suo padrino la colmava di regali, e Luisa trovava il modo di procurarle tutto quello che desiderava). Questo minimo tratto della mia infanzia è il riassunto di tutta la vita mia; più tardi, quando la perfezione mi apparve, capii che, per diventare una santa, bisognava soffrir molto, cercar sempre il più perfetto e dimenticar se stessi; capii che ci sono molti gradi nella perfezione, e che ciascun’anima è libera di rispondere agli inviti di Nostro Signore, di far poco o molto per lui, insomma di scegliere tra i sacrifici che egli chiede. Allora, come ai giorni della mia prima infanzia, esclamai: «Dio mio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà, non ho paura di soffrire per Voi, temo una cosa sola, cioè di conservare la mia volontà: prendetela, perché scelgo tutto quello che Voi volete…».
38 – Bisogna che mi fermi, non devo ancora parlarle della mia giovinezza, bensì del furicchio di quattro anni. Mi ricordo di un sogno che mi capitò verso quell’età e che si incise profondamente nella mia immaginazione. Una notte sognai che uscivo per andare a spasso, in giardino, sola. Giunta agli scalmi che bisognava salire per arrivarvi, mi fermai spaventata. Davanti a me, vicino alla pergola c’era un barile di calce, e su questo barile due orribili diavolini ballavano con agilità sorprendente nonostante i ferri da stiro che avevano ai piedi; a un tratto lanciarono verso di me i loro sguardi fiammeggianti, poi, nello stesso momento, parvero assai più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile, e andarono a nascondersi nella lavanderia ch’era di faccia. Vedendoli così poco coraggiosi volli vedere cos’andavano a fare, e mi avvicinai alla finestra. I diavolini erano li, correvano sulle tavole e non sapevano come fare per fuggire il mio sguardo; a momenti si avvicinavano alla finestra, guardavano inquieti se ero ancor li, e, vedendomi, ricominciavano a correre come disperati. Certo, questo sogno non ha nulla di straordinario, eppure io credo che il Signore mi abbia permesso di ricordarmene per provarmi che un’anima in stato di grazia non ha nulla da temere dai demoni i quali sono vigliacchi, capaci di fuggire davanti allo sguardo di una bambina.
39 – Ecco un altro passo di una lettera di Mamma. Già quella povera Madre presentiva la fine del suo esilio: «Le due piccole non mi preoccupano, sono tanto care tutte due, sono nature scelte, certamente saranno buone. Maria e tu potrete educarle perfettamente. Celina non commette mai la minima colpa volontaria. La piccina sarà buona anche lei, non direbbe una bugia per tutto l’oro del mondo, e ha spirito come non ne ho visto a nessuna di voi. L’altro giorno era dal pizzicagnolo, con Celina e Luisa, parlava delle sue “pratiche” e discuteva a voce alta con Celina; la padrona ha detto a Luisa: “Ma che vuol dire, quando gioca in giardino, non si sente parlar che di ‘pratiche’? La signora Gaucherin allunga la testa dalla finestra per cercar di capire quel che vuol dire questa discussione sulle pratiche…”. Cara piccina! Forma la nostra gioia, sarà buona, già si vede il germe; non parla che di Dio, non mancherebbe alle sue preghiere per niente al mondo. Vorrei che tu la vedessi recitare una favoletta, non ho visto mai cosa tanto gentile, trova da sé l’espressione e il tono, ma soprattutto quando dice: “Bimba piccina dalla testa bionda, dove credi che sia Dio?”, quando è a: “Lassù nel Cielo blu” volge in alto lo sguardo con una espressione di angelo. Non ci stanchiamo di farglielo dire, tanto è bello, c’è nello sguardo di lei un che di celeste che rapisce…».
40 – Oh, Madre mia! Come ero felice a quella età! Già cominciavo a godere della vita, la virtù aveva un fascino per me, ed ero, mi pare, nelle medesime disposizioni nelle quali mi trovo ora, avendo già una grande padronanza sulle mie azioni. Ah, come sono passati rapidi gli anni solatii della prima infanzia, ma che impronta dolce mi hanno lasciata nell’anima! Ricordo con gioia i giorni in cui Papà ci conduceva al «padiglione», ho ancora scolpiti nel cuore i minimi particolari… Ricordo soprattutto le passeggiate della domenica: Mamma ci accompagnava sempre. Rivivo ancora i sentimenti profondi e poetici che nascevano nell’anima mia alla vista dei campi di grano smaltati di fiordalisi e di fiori campestri. Già amavo gli orizzonti lontani; lo spazio e gli abeti giganti i cui rami toccavano terra mi lasciavano un impressione simile a quella che ancora oggi provo contemplando la natura… Spesso durante quelle lunghe passeggiate incontravamo dei poveri, ed era sempre Teresa piccina a ricevere l’incarico di portare l’elemosina, e come ne era felice! Ma spesso Papà pensava che il cammino fosse troppo lungo per la reginetta, e la riconduceva a casa prima delle altre (con grande dispiacere per lei). Allora, per consolarla, Celina riempiva di margherite un bel panierino, glielo dava al ritorno; sennonché, ecco la povera Nonnina, la quale trovava che la nipote ne avesse fin troppe, e ne prendeva lei una buona parte per la sua Madonna. Questo non piaceva a Teresa, ma lei si guardava bene dal dirlo perché aveva preso la gran buona abitudine di mai lamentarsi, nemmeno quando le togliessero le cose sue o l’accusassero ingiustamente. Non era merito da parte sua, bensì virtù naturale. Che peccato che questa buona disposizione sia svanita!
41 – In verità, tutto mi sorrideva sulla terra. Trovavo un fiore sotto ciascun passo, e il mio carattere felice contribuiva a rendermi gradevole la vita; tuttavia un nuovo periodo cominciava per l’anima mia. Sarei passata attraverso la prova; avrei sofferto fin dall’infanzia per potere essere offerta più presto a Gesù. Al modo stesso in cui i fiori di primavera cominciano a germogliare sotto la neve e sbocciano ai primi raggi, così il fiore umile del quale scrivo i ricordi ha dovuto passare attraverso l’inverno della sofferenza.
2. L’ombra cupa della sofferenza (1877-1881)
Malattia e morte della mamma – Perdita della naturale vivacità – Trasferimento della famiglia a Lisieux – Serena vita ai Buissonnéts – Saggia educazione e prima istruzione scolastica – Visione misteriosa – Il mare.
42 – Tutti i particolari della malattia della nostra Madre tanto cara sono presenti al mio cuore, ricordo soprattutto l’ultima settimana che passò sulla terra; eravamo, Celina e io, come povere piccole esiliate, tutte le mattine la signora Leriche veniva a prenderci, e passavamo la giornata da lei. Un giorno non avevamo avuto il tempo di fare la nostra preghiera prima di uscir di casa e durante il tragitto Celina mi disse piano: «Dobbiamo dire che non abbiamo fatto la nostra preghiera?». – «Oh, si!» le risposi: allora lo raccontò molto timidamente alla signora Leriche, e questa concluse: «Ebbene, figliolette mie, ora la direte». Poi ci mise tutte due in una grande stanza e se ne partì… Celina mi guardò e dicemmo: «Ah! non è come Mamma. Lei ce la faceva fare sempre la nostra preghiera!». Quando giocavamo con i bimbi, ci perseguiva il pensiero della nostra Mamma cara, una volta Celina aveva avuto una bella albicocca, si chinò verso di me, e mi disse piano: «Non la mangiamo, la do alla Mamma». Ahimè! Povera Mamma tanto cara, era già troppo malata per mangiare i frutti della terra, non doveva più saziarsi se non in Cielo della gloria divina e bere con Gesù il vino misterioso del quale parla nell’ultima sua Cena, quando dice che lo condividerà con noi nel regno del Padre suo. Il rito commovente della Estrema Unzione mi si impresse nell’anima, vedo ancora il posto mio accanto a Celina, eravamo tutte e cinque per ordine d’età e c’era il caro povero Babbo: singhiozzava.
43 – Il giorno stesso, o l’indomani, del transito di Mamma egli mi prese tra le braccia e mi disse: «Vieni a dare un ultimo bacio alla tua povera Mamma»; senza dir nulla accostai le labbra alla fronte di mia Madre tanto amata. Non ricordo d’aver pianto molto, non parlavo con nessuno dei sentimenti profondi che provavo. Guardavo e ascoltavo… nessuno aveva tempo per occuparsi di me, perciò vedevo bene le cose che avrebbero voluto nascondermi; una volta mi trovai di fronte al coperchio della bara; mi fermai lungamente ad osservarlo, non ne avevo mai visti, e tuttavia capivo… Ero tanto piccina che, nonostante la statura non alta di Mamma, ero costretta ad alzar la testa per vedere la parte superiore, e mi pareva tanto grande, tanto triste… Quindici anni dopo mi trovai dinanzi a un’altra bara, di Madre Genoveffa, era uguale a quella di Mamma e io mi credetti ancora ai giorni dell’infanzia! Tutti i ricordi sciamarono in folla, era pur la stessa Teresina di allora che guardava, ma nel frattempo era cresciuta e la bara le pareva piccola; non occorreva più sollevare la testa per vederla. Ora alzava il viso soltanto per contemplare il Cielo che le appariva pieno di gioia, perché tutte le sofferenze di lei erano finite e l’inverno dell’anima sua era passato per sempre.
44 – Il giorno in cui la Chiesa benedisse le spoglie mortali della nostra Mammina del Cielo, il buon Dio volle darmene un’altra sulla terra, e volle che la scegliessi liberamente. Eravamo tutte e cinque riunite, ci guardavamo con tristezza, c’era anche Luisa, e vedendo Celina e me, esclamò: «Povere piccine, non avete più Mamma…!». Allora Celina si gettò nelle braccia di Maria, dicendo: «Ebbene sarai tu la mia mamma!». Io ero avvezza a fare come lei, e tuttavia mi volsi a lei, Madre, e quasi già si fosse diradato il velame dell’avvenire, mi gettai nelle sue braccia: «Ebbene, sarà Paolina la mia mamma!…».
45 – Come ho già detto, da quel tempo entrai nel secondo periodo della mia esistenza, il più doloroso dei tre, soprattutto dopo l’ingresso nel Carmelo di colei che avevo scelta come mia seconda mamma. Questo periodo va dai miei quattro anni e mezzo fino ai quattordici, cioè fino a quando ritrovai il mio carattere di bimba pur entrando nel periodo serio della vita. Bisogna che le dica, Madre mia, che il mio carattere felice mutò totalmente dopo la morte di Mamma; vivace ed espansiva com’ero, divenni timida e dolce, sensibile fin troppo. Bastava uno sguardo per farmi piangere, bisognava che nessuno si occupasse di me perché fossi contenta, non sopportavo la compagnia degli estranei e ritrovavo la mia gaiezza soltanto nell’intimità della famiglia… Eppure, ero avviluppata ancora dagli affetti più delicati. Il cuore così ricco di Papà aveva unito all’amore che già mi dava, un amore veramente materno. E lei, Madre mia, e Maria, le mamme più tenere, più disinteressate! Ah, se il Signore non avesse profuso i suoi benefici raggi al suo fiore umile, questo non si sarebbe acclimatato sulla terra: troppo debole era ancora per sopportare pioggia e tempeste, aveva bisogno di calore, di guazza fresca, di respiro primaverile. Non gli mancarono mai questi doni, Gesù glieli fece trovare fin sotto il ghiaccio della prova.
46 – Non soffrii lasciando Alencon. I bimbi gradiscono i cambiamenti; e io venni a Lisieux con piacere. Ricordo il viaggio, l’arrivo, a sera, presso la zia, vedo ancora Giovanna e Maria sulla porta, ad aspettarci. Ero felice di avere delle cuginette tanto care, e volevo un gran bene a loro, alla zia, allo zio, soltanto che lui mi faceva un po’ paura e non mi sentivo proprio tranquilla e confortata quando gli ero vicina, come, invece, mi sentivo ai Buissonnets; lì, ai Buissonnets, la mia vita diventava felice davvero… Di mattina, lei veniva da me, mi domandava se avevo offerto il cuore al Signore, poi mi vestiva parlandomi di Dio; e poi ancora, accanto a lei, dicevo le preghiere. Dopo, imparavo a leggere. La prima parola che riuscii a compitare fu «Cieli». La mia Madrina prese cura d’insegnarmi a scrivere, e lei, Madre, mi dette le altre lezioni; non imparavo molto facilmente, avevo però gran memoria. Prediligevo il Catechismo, soprattutto la Storia Sacra, li studiavo con gioia; invece, la grammatica… ho pianto spesso, per la grammatica! Si ricorda, il maschile e il femminile?…
47 – Appena finito lo studio, salivo al belvedere e portavo quaderno e voti a Papà. Com’ero felice quando gli potevo dire: «Ho avuto 10 senza riserve, Paolina me l’ha detto da sé!». Perché accadeva questo: quando le domandavo io se avevo 10 senza riserve, e che lei mi diceva di sì, agli occhi miei era un tantino meno. Così lei mi dava dei buoni voti, e quando ne avevo messi insieme un certo numero, mi toccava un premio e un giorno di vacanza. Quei giorni lì mi parevano più lunghi assai degli altri, e ciò faceva piacere a lei perché dimostrava che non mi garbava il dolce far niente.
48 – Tutti i pomeriggi facevo una passeggiatina con Papà; insieme facevamo la visita al Santissimo, cambiando chiesa ogni giorno, e così mi accadde di entrare per la prima volta nella cappella del Carmelo. Papà mi fece vedere la grata del coro, e disse che là dietro stavano le religiose. Ero ben lontana dal pensare che nove anni dopo ci sarei stata anch’io! Durante le passeggiate, Papà mi comprava sempre un regalino da un soldo o due: dopo, rientravamo a casa; allora facevo i compiti, poi, per tutto il tempo rimanente, me ne stavo in giardino a saltellare intorno a Papà, perché non sapevo giocare con la bambola. Era una gran gioia per me preparare bevande con granelli e scorze d’albero che raccattavo per terra, le portavo poi a Papà in una bella tazzina, e il mio povero caro Babbo interrompeva il suo lavoro, e sorridendo faceva finta di bere. Prima di restituirmi la tazza mi domandava (come di sfuggita) se dovesse versare il contenuto; qualche volta dicevo di sì, ma per lo più riportavo via la mia preziosa tisana affinché mi servisse per varie occasioni.
49 – Mi piaceva coltivare fiori nel giardino che Papà m’aveva dato; mi divertivo a erigere minuscoli altari nella specie di nicchia che si trovava a metà del muro; quando avevo finito, correvo da Papà e, trascinandolo, gli dicevo di chiudere bene gli occhi e di non riaprirli se non nel momento che glielo avrei detto io; lui faceva tutto quello che volevo e si lasciava condurre davanti al mio giardinetto, allora gridavo: «Papà, apri gli occhi!». Li apriva e si estasiava per farmi piacere, ammirando quello che a me pareva un capolavoro! Non finirei mai se volessi raccontare mille episodietti simili a questo che si affollano alla memoria… Ah, come potrò ridire tutte le tenerezze che Papà prodigava alla sua reginetta? Ci sono cose che il cuore sente, ma che la parola e il pensiero stesso non possono rendere.
50 – Erano giorni belli per me quando il mio «caro re» mi conduceva con sé a pescare, mi piaceva tanto la campagna, mi piacevano i fiori, gli uccelli! Qualche volta anch’io m’ingegnavo di pescare con la mia piccola lenza, ma preferivo sedermi sola sull’erba in fiore, allora i pensieri si facevano profondi e l’anima mia, senza sapere che cosa fosse meditare, s’immergeva in una vera orazione… Ascoltavo brusii lontani. Il murmure del vento ed anche la musica indefinita dei soldati, la cui risonanza arrivava fino a me, mi riempivano il cuore di malinconia dolce. La terra mi pareva un luogo d’esilio, sognavo il Cielo… Il pomeriggio passava rapido, bisognava ben presto rientrare ai Buissonnets, ma prima di partire prendevo la merenda che avevo portata in un canestrino: il bel crostino di marmellata che lei mi aveva preparato aveva mutato aspetto, invece del colore vivo non vedevo più che una scialba tinta rosa, tutta stantia e svanita. Allora la terra mi pareva ancora più triste, e capivo che soltanto in Cielo la gioia sarebbe stata senza nembi…
51 – A proposito dei nembi, ricordo che un giorno il bel cielo azzurro dell’aperta campagna si coprì, e che poco dopo la tempesta si annunciò con il suo brontolio, i lampi solcavano la nuvolaglia cupa, e vidi cadere la folgore a poca distanza; lungi dall’aver paura, ero rapita. Mi pareva che il buon Dio mi fosse tanto vicino! Papà non era altrettanto contento, non già che il temporale gli facesse paura, ma l’erba e le grandi margherite (più alte di me…) scintillavano di gemme, e noi dovevamo attraversare parecchi prati prima di trovare una strada; intanto, il mio babbo caro temette che i diamanti bagnassero la sua bimba e la prese sulle spalle nonostante il bagaglio delle lenze.
52 – Durante le passeggiate con Papà, gli piaceva di farmi portare l’elemosina ai poveri che incontravamo; un giorno ne vedemmo uno che si trascinava a fatica sulle stampelle, mi avvicinai per dargli un soldo, ma lui non si considerò abbastanza povero da ricevere l’elemosina; mi guardò sorridendo con tristezza, e rifiutò di prendere ciò che gli offrivo. Non posso dire ciò che accadde in me, avrei voluto essergli di sollievo, consolarlo; invece mi pareva di avergli dato un dispiacere e senza dubbio quel poveretto indovinò il mio pensiero perché si voltò e mi sorrise. Papà mi aveva comprato un dolce; avevo gran voglia di darglielo, ma non osai, e tuttavia gli volli dar qualcosa che non potesse rifiutare, perché sentivo tanta simpatia verso lui. Allora mi ricordai d’avere inteso dire che il giorno della prima Comunione si ottiene tutto ciò che si chiede: quel pensiero mi consolò e, benché non avessi ancora sei anni, dissi a me stessa: «Pregherò per il mio povero nel giorno della prima Comunione». Mantenni la promessa cinque anni dopo, e spero che il Signore abbia esaudito la preghiera che gli avevo rivolta per uno dei suoi membri sofferenti.
53 – Amavo molto Dio e gli offrivo spesso il cuore secondo la piccola preghiera che Mamma mi aveva insegnata, e tuttavia un giorno, o piuttosto una sera del bel mese di maggio, commisi una colpa che vale la pena di raccontare e che mi dette un grande spunto per umiliarmi: credo di averne provato una contrizione perfetta. Ero troppo piccola per’ andare al mese di Maria, perciò restavo con Vittoria e facevo con lei le mie devozioni davanti al piccolo mese di Maria che accomodavo a modo mio; erano tanto piccoli i candelieri, i vasi da fiori… che due fiammiferi funzionanti da candele illuminavano tutto perfettamente; qualche volta Vittoria mi faceva la sorpresa di darmi due mozziconi di lucignolo, ma di rado. Una sera era tutto pronto per iniziare la preghiera; le dissi: «Vittoria, per favore, cominciate il “memorare”, io accendo». Fece finta di cominciare, ma non disse nulla, e mi guardò ridendo; io vedevo i miei preziosi fiammiferi che si consumavano rapidamente e la supplicai di dire le orazioni, ma lei silenzio; allora mi alzai e le dissi forte che era cattiva, e uscendo dalla mia dolcezza consueta, battei i piedi con tutte le forze… La povera Vittoria non aveva più voglia di ridere, mi guardò stupefatta e mi fece vedere il lucignolo che mi aveva portato… Dopo aver sparso lacrime di stizza, versai quelle del pentimento sincero, col fermo proposito di non ricominciare mai più.
54 – Mi accadde un’altra avventura con Vittoria, ma di questa non ebbi pentimento, perché avevo mantenuto perfettamente la calma. Volevo un calamaio che si trovava sul camino della cucina, ero troppo piccina per prenderlo e lo chiesi molto gentilmente a Vittoria, ma lei rifiutò dicendomi di salire sopra una sedia. Io non fiatai, presi una seggiola, e intanto pensavo tra me che lei era poco amabile; volendo farglielo sentire, cercai nella mia minuscola testa ciò che mi offendeva di più; lei spesso mi chiamava, quando era stanca di me, «piccola mocciosa», e questo mi umiliava molto. Allora, prima di saltar giù dalla seggiola mi voltai con dignità e le lanciai: «Vittoria, siete una mocciosa! ». Poi fuggii, lasciandola a meditare sulla profonda parola che le avevo detto… Il risultato non tardò: ben presto la intesi che chiamava: «M’a’zelle Mari… Thérese m’ha detto che sono una mocciosa!». Maria arrivò e mi fece chiedere perdono, ma io lo feci senza contrizione, pensando che Vittoria non aveva voluto allungare il suo grande braccio per farmi un piccolo favore, perciò meritava il titolo di «mocciosa».
55 – Tuttavia, mi voleva un gran bene e anch’io gliene volevo molto; un giorno mi cavò da un grande pericolo in cui ero caduta per colpa mia. Vittoria stava stirando e aveva accanto un secchio con dell’acqua, io la guardavo dondolandomi, come facevo spesso, sopra una seggiola; a un tratto, la seggiola mi manca e io casco, non per terra, ma nel fondo del secchio! I piedi mi toccavano la testa ed io riempivo il secchio come il pulcino riempie l’uovo… Quella povera Vittoria mi guardava con uno stupore sommo, mai aveva visto cosa simile. Quanto a me, avevo ben voglia di uscire dal mio secchio, ma impossibile, la prigione era così aggiustata che non potevo fare un movimento. Con un po’ di fatica mi salvò dal mio grande pericolo, ma non salvò il mio vestito e tutto il resto che bisognò cambiare perché ero bagnata come una minestra.
56 – Un’altra volta caddi nel caminetto. Per fortuna il fuoco era spento. Vittoria non ebbe altro guaio che rialzarmi e scuotermi da dosso la cenere di cui ero coperta. Accadevano il mercoledì, quando lei era a lezione di canto con Maria, tutte queste avventure. Similmente, un mercoledì venne Don Ducellier per fare una visita, Vittoria gli disse che non c’era nessuno in casa, fuorché Teresa, la più piccina; lui entrò in cucina per vedermi, e guardò i miei compiti; ero fiera di ricevere il mio confessore, perché poco prima mi ero confessata da lui per la prima volta. Che bel ricordo per me!
57 – Madre mia cara, con quanta cura lei mi aveva preparata! Mi aveva detto che non a un uomo avrei rivelato i miei peccati, bensì al buon Dio; ne ero veramente convinta, e perciò feci la mia confessione con grande spirito di fede, e domandai a lei perfino se dovevo dire a Don Ducellier: «Padre, io la amo con tutto il cuore», visto che avrei parlato col Signore nella persona di lui. Bene istruita di tutto quello che dovevo dire e fare, entrai nel confessionale e m’inginocchiai; ma Don Ducellier aprì la grata e non vide nessuno; ero tanto piccina che là mia testa si trovava sotto la tavoletta su cui si appoggiano le mani; allora mi disse di stare in piedi. Ubbidii subito, mi alzai e volgendomi proprio a lui per vederlo bene in faccia, gli feci la mia confessione come una ragazza grande e ricevetti la benedizione con molta devozione, perché lei mi aveva detto che in quel momento le lacrime di Gesù Bambino avrebbero purificato l’anima mia. Ricordo che la prima esortazione che mi fu rivolta fu l’invito soprattutto alla devozione della Vergine Santa, e io mi ripromisi di raddoppiare di tenerezza per lei. Uscendo dal confessionale ero tanto contenta e leggera, che mai avevo provato una gioia così grande nell’anima mia. Dopo tornai a confessarmi per tutte le feste grandi, ed era una vera festa per me ogni volta che ci andavo.
58 – Le feste! Quanti ricordi, in questa parola! Le feste, le amavo tanto! Lei mi sapeva spiegare così bene, Madre mia cara, tutti i misteri nascosti in ciascuna di esse, che diventavano davvero per me giorni di Cielo. Amavo soprattutto la processione del Santissimo. Che gioia spargere fiori sotto i passi del Signore! Ma prima di lasciarli cadere li lanciavo il più in alto possibile, e non ero mai tanto felice come vedendo le mie rose sfogliate che toccavano l’Ostensorio santo.
59 – Le feste! Ah, se quelle grandi erano rare, ogni settimana ne conduceva una molto cara al mio cuore: la Domenica! Che giornata era la Domenica! Era la festa di Dio, la festa del riposo. Prima restavo a nanna più degli altri giorni, poi Mamma Paolina viziava la figlioletta portandole il cioccolato ancora tra le piume ed infine la vestiva come una regina in erba. La madrina veniva a fare i riccioli alla figlioccia che non sempre era buona e dolce quando le venivano tirati i capelli, ma poi era ben contenta d’andare a prendere la mano del suo re, il quale l’abbracciava ancor più teneramente del solito; dopo, tutta la famiglia partiva per la Messa. Lungo tutto il cammino, e perfino in chiesa, la reginetta di Papà gli dava la mano, e aveva posto accanto a lui. Quando scendevamo per la predica, bisognava trovare due seggiole una presso l’altra. Ciò non era difficile, poiché tutti trovavano così gradevole vedere un vecchio tanto bello con una figlioletta così piccina, che le persone si scomodavano per offrire un posto. Lo zio, il quale si trovava sulle panche dei camerlenghi, si rallegrava vedendoci arrivare, diceva che ero il suo piccolo raggio di sole… Io non mi preoccupavo affatto se ero guardata, ascoltavo con grande attenzione le prediche di cui tuttavia non capivo gran che; la prima che capii e che mi commosse profondamente, fu di Don Ducellier, sulla Passione: da allora capii tutte le altre.
60 – Quando il predicatore parlava di santa Teresa, Papà si chinava verso me, e mi diceva piano: «Ascolta bene, reginetta mia, parla della Santa tua Patrona». Ascoltavo, realmente, ma guardavo Papà più spesso del predicatore, il suo bel volto mi diceva tante cose! Qualche volta, gli occhi gli si empivano di lacrime, che egli si sforzava inutilmente di trattenere, pareva che già fosse staccato dalla terra, tanto l’anima sua sapeva immergersi nelle verità eterne. E tuttavia il suo corso di vita era ancora ben lungi dal giungere a compimento, dei lunghi anni dovevano trascorrere prima che il Cielo bello si aprisse agli occhi rapiti di lui, e che il Signore asciugasse le lacrime del suo servo buono e fedele!
61 – Ma torno alla Domenica. Quella giornata gioiosa che passava tanto rapida aveva pur la sua velatura di malinconia. Mi ricordo che la mia felicità era senza mescolanze fino a Compieta; durante quell’ufficio, pensavo che il giorno del riposo stava per finire, che l’indomani bisognava ricominciare la vita, lavorare, imparare, e il cuore sentiva l’esilio della terra, sospiravo pensando al riposo eterno del Cielo, la Domenica senza tramonto nella Patria … Persino le passeggiate che facevamo prima di rientrare ai Buissonnets, mi lasciavano un senso di tristezza nell’anima; allora la famiglia non era più completa, giacché, volendo fare piacere allo zio, Papà gli concedeva Maria o Paolina per la serata di domenica; ero ben contenta quando rimanevo anch’io. Anzi, preferivo così piuttosto che essere invitata sola, perché facevano meno attenzione a me. Il piacere più grande per me consisteva nell’ascoltare tutto ciò che lo zio diceva, ma non mi andava a genio che egli mi facesse delle domande, ed avevo paura quando mi faceva far cavalluccio e intonava Barba Blu con una voce formidabile. Con piacere vedevo Papà che ci veniva a prendere.
62 – Sulla via del ritorno, guardavo le stelle che scintillavano dolcemente, e quella vista mi rapiva. Soprattutto un grappolo di perle d’oro che distinguevo con gioia, mi pareva che avesse la forma di una T , lo facevo vedere a Papà e gli dicevo che il nome mio era scritto in cielo, e poi, non volendo più scorgere nulla della brutta terra, gli chiedevo che mi conducesse; allora, senza guardare dove mettevo i piedi, abbandonavo il viso proprio verso l’alto, senza stancarmi di contemplare il firmamento.
63 – Che potrò dire delle veglie d’inverno, soprattutto di quelle domenicali? Com’era dolce per me, dopo la partita a dama, stare seduta con Celina sulle ginocchia di Papà. Con la sua bella voce cantava delle arie che empivano l’anima di pensieri profondi, oppure, cullandoci dolcemente, diceva delle poesie improntate di verità eterne. Dopo, salivamo per fare la preghiera in comune, e la minuscola regina era sola accanto al suo re: non aveva che da guardarlo per sapere come pregano i santi… Finalmente sfilavamo tutte, per ordine di età, a dare la buona notte a Papà e a ricevere un bacio; la regina veniva, naturalmente, per ultima, il re, per abbracciarla, la prendeva per i gomiti, e lei diceva a tutto fiato: «Buona notte, Papà, buona notte, dormi bene!»… Tutte le sere le stesse parole. Finalmente la Mammina mia mi prendeva tra le braccia e mi portava nel letto di Celina, allora dicevo: «Paolina, sono stata proprio buona, oggi? Gli angiolini mi voleranno intorno stanotte?». La risposta era sempre: «sì», altrimenti avrei passato la notte intera a piangere. Dopo avermi abbracciata – e così faceva anche la cara mia Madrina – Paolina discendeva, e la povera Teresa restava sola nel buio; aveva un bel raffigurarsi gli angiolini che le volavano intorno, ben presto lo sgomento la invadeva, le tenebre la impaurivano, perché dal letto non riusciva a vedere le stelle che scintillavano con tanta dolcezza.
64 – Considero una vera grazia di essere stata abituata lei, Madre cara, a vincere i miei timori; a volte lei mi mandava sola, di sera, a cercare un oggetto in una stanza lontana; se non fossi stata così ben diretta, sarei diventata pavidissima, mentre ora è proprio difficile che mi spaventi. Mi domando, a volte, come lei abbia potuto educarmi con tanto amore e delicatezza senza viziarmi, perché è vero che lei non mi condonava nemmeno una sola imperfezione: mai mi rimproverava senza ragione, ma altresì mai tornava su cosa decisa; lo sapevo tanto bene che non avrei potuto né voluto fare un passo se lei me l’avesse proibito. Papà stesso era costretto a conformarsi alla volontà di lei, perché senza il consenso di Paolina non andavo a spasso, e quando Papà mi diceva di andarci, rispondevo: «Paolina non vuole»; allora veniva lui a chiedere grazia per me; qualche volta, per fargli piacere, Paolina diceva di si, ma Teresa capiva bene, dall’espressione di lei, che quel sì non era detto a cuor convinto e si metteva a piangere senza accettar conforto fino a quando Paolina dicesse «sì» e l’abbracciasse a cuore convinto.
65 – Quando Teresa si ammalava, ciò che le accadeva tutti gli inverni, non si può dire con quanta tenerezza materna veniva curata. Paolina la metteva nel proprio letto (favore incomparabile), e poi le dava tutto quello di cui aveva voglia. Un giorno tirò fuori da sotto il traversino un temperino graziosissimo, e lo regalò alla figlioletta, lasciandola immersa in un rapimento indescrivibile. «Ah, Paolina, tu mi vuoi tanto bene, dunque, giacché ti privi per me del tuo bel coltellino che ha una stella di madreperla? Ma poiché mi ami così, lo faresti il sacrificio del tuo orologio per impedirmi di morire?». – «Non soltanto per impedirti di morire darei il mio orologio, bensì soltanto per vederti presto guarita, farei subito tale sacrificio». Ascoltando queste parole di Paolina il mio stupore e la mia riconoscenza erano tanto grandi che non so esprimerli. D’estate, qualche volta, avevo mal di stomaco, e Paolina mi curava, come al solito, teneramente; per divertirmi, ciò che era la cura migliore, mi faceva fare il giro del giardino in carriola e poi mi faceva scendere, e metteva al posto mio un bel cespo di margherite che sospingeva con molta precauzione fino al mio giardino dove lo deponeva con grande pompa…
66 – Paolina riceveva tutte le mie confidenze intime, e gettava luce su tutti i miei dubbi. Una volta mi meravigliavo che il Signore non dia gloria uguale in Cielo a tutti gli eletti, e temevo che non tutti fossero felici; allora Paolina mi disse di andare a prendere il bicchiere grande di Papà e di metterlo accanto al mio piccolissimo ditale, poi di riempirli di acqua tutti due; e mi domandò: «Quale è più pieno?». Le risposi che erano pieni tutti e due, e che non si poteva mettere più acqua di quanta ne potevano contenere. La mia cara Madre mi fece capire così che il buon Dio dà in Cielo ai suoi eletti tanta gloria quanta possono riceverne, e che l’ultimo non avrà niente da invidiare al primo. In tal modo, mettendo alla mia portata le verità più sublimi, lei, Madre, sapeva dare all’anima mia il nutrimento che le occorreva.
67 – Con quanta gioia vedevo ogni anno arrivare la distribuzione dei premi! In questo, come in tutto, la giustizia era rispettata ed io ottenevo soltanto le ricompense meritate; sola, in piedi in mezzo alla nobile assemblea ascoltavo la sentenza letta dal «Re di Francia e di Navarra»; il cuore mi batteva forte quando ricevevo il premio e la corona… era, per me, come una immagine del Giudizio! Subito dopo la distribuzione, la reginetta si toglieva il suo abito bianco, poi si affrettavano a travestirla affinché potesse prendere parte alla grande rappresentazione! Com’erano gioiose quelle feste di famiglia! Allora, vedendo il mio re caro così radioso, com’ero lontana dal prevedere le prove che dovevano visitarlo!
68 – Tuttavia, un giorno il Signore mi mostrò in una visione davvero straordinaria, l’immagine vivente della prova che egli si compiaceva di prepararci. Papà era in viaggio da vari giorni, ne dovevano passare ancora due prima che tornasse. Potevano essere le due o le tre del pomeriggio, il sole sfolgorava e tutta la natura pareva in festa. Mi trovavo sola alla finestra d’una soffitta che dava sul giardino grande; guardavo dinanzi a me, avevo lo spirito occupato da pensieri ridenti, quando vidi, dinanzi alla lavanderia che si trovava proprio di faccia, un uomo vestito in tutto e per tutto come Papà, medesima statura e identico passo, soltanto molto più curvo. La testa era coperta da una specie di grembiule di colore incerto, in modo che non potei vedere il viso. Portava un cappello simile a quello di Papà. Lo vidi venire avanti d’un passo regolare, lungo il giardinetto mio. Subito un sentimento di timore soprannaturale m’invase l’anima, ma in un attimo riflettei che certamente Papà era tornato, e si nascondeva per farmi una sorpresa; allora chiamai forte forte, con una voce che tremava dall’emozione: «Papà, Papà!… ». Ma il personaggio misterioso non pareva udisse, continuò il suo passo regolare senza neppure voltarsi; seguendolo con gli occhi, lo vidi dirigersi verso il boschetto che tagliava in due il viale grande, io mi aspettavo di vederlo rispuntare dall’altra parte dei grandi alberi, ma la visione profetica era svanita! Tutto ciò durò un istante solo, ma mi s’impresse così profondamente nel cuore che oggi, dopo quindici anni… il ricordo è ancora presente come se la visione stesse dinanzi agli occhi.
69 – Maria era con lei, Madre, in una stanza comunicante con quella nella quale mi trovavo io; nel sentirmi gridare «Papà», ebbe un’impressione di paura, intuendo – mi ha detto in seguito – che qualcosa accadeva di straordinario; senza farmi vedere la sua emozione, accorse a me, mi domandò che cosa mi prendeva di chiamare Papà il quale era ad Alencon; allora raccontai ciò che avevo visto. Per rassicurarmi Maria mi disse che certamente era Vittoria che, per farmi paura, si era coperta il capo col grembiule; ma Vittoria, interrogata, affermò di non aver lasciato la cucina; d’altra parte, ero ben sicura d’aver visto un uomo e che quell’uomo aveva l’aspetto di Papà, allora andammo tutte tre dietro il folto degli alberi, ma non trovando nessun segno che indicasse il passaggio di qualcuno, lei mi disse di non pensarci più.
70 – Non pensarci più non era in mio potere; di frequente l’immaginazione mi ripresentava la scena misteriosa che avevo visto, e ben spesso ho cercato di alzare il velo che mi nascondeva il significato di essa, perché rimanevo convinta in fondo al cuore che quella scena avesse un senso, e che il segreto di essa mi sarebbe stato svelato un giorno… Quel giorno si è fatto attendere lungamente, ma dopo quattordici anni il Signore ha strappato egli stesso il velo misterioso. Trovandomi in «licenza» con suor Maria del Sacro Cuore, parlavamo come sempre delle cose dell’altra vita e delle nostre memorie fanciullesche, quando le ricordai la visione che avevo avuta all’età da sei a sette anni; a un tratto, mentre riferivo i particolari di questa scena strana, capimmo insieme ciò che significava. Era proprio Papa che avevo visto, camminare curvo per l’età, proprio lui che portava sul volto venerabile, sulla testa ormai bianca, il segno della sua prova gloriosa. Come il Volto adorabile di Gesù che fu velato durante la Passione, così il volto del suo servo fedele doveva essere velato nei giorni del dolore, per potere poi splendere nella Patria celeste presso il suo Signore, il Verbo Eterno! Dal seno di quella gloria ineffabile quando regnava nel Cielo, il nostro Babbo amato ci ha ottenuto la grazia di capire la visione avuta dalla sua reginetta in una età in cui non si può temere l’illusione. Dall’intimo della sua gloria ci ha ottenuto questa dolce consolazione di capire che dieci anni prima della nostra grande prova, il Signore ce la mostrava già, come un Padre fa intravedere ai figli l’avvenire glorioso che prepara per essi, e si compiace considerando in anticipo le ricchezze inestimabili che apparterranno loro.
71 – Ah! perché il buon Dio ha dato proprio a me quella luce? Perché ha mostrato a una bambina tanto piccola una cosa incomprensibile per lei, una cosa che, se l’avesse capita, l’avrebbe fatta morire di dolore, perché?… Ecco uno dei misteri che senza dubbio capiremo nel Cielo, e che formerà la nostra eterna ammirazione.
72 – Quanto è buono il Signore! Come proporziona le prove alle forze che ci dà! Mai, come ho detto, avrei potuto sopportare nemmeno il solo pensiero delle pene amare che l’avvenire mi riservava. Non potevo nemmeno pensare senza fremere che Papà poteva morire. Una volta era salito sopra una scala e, poiché io rimanevo proprio li sotto, mi gridò: «Allontanati, povero cosino, se casco ti schiaccio». All’udir ciò provai una rivolta interiore, invece di allontanarmi mi appiccicai alla scala pensando: «Almeno se papà cade, non avrò il dolore di vederlo morire, perché morrò con lui!». Non posso dire quanto bene volevo a Papà, tutto, in lui, mi suscitava ammirazione; quando mi spiegava i suoi pensieri (come se fossi stata una bambina grande), gli dicevo ingenuamente che certamente se egli avesse detto quelle cose ai grandi uomini del governo, lo avrebbero preso per farlo re, e allora la Francia sarebbe stata felice come non lo era mai stata… Ma in fondo ero contenta (e me lo rimproveravo come pensiero egoistico) di essere la sola a conoscere bene Papà, perché sapevo che se fosse divenuto re di Francia e di Navarra sarebbe stato infelice: è la sorte di tutti i monarchi e soprattutto non sarebbe stato più il mio re, proprio di me sola!
73 – Avevo sei o sette anni quando Papà ci condusse a Trouville. Mai dimenticherò l’impressione che mi fece il mare, non potevo fare a meno di guardarlo continuamente; la sua maestà, il fragore dei flutti, tutto parlava all’anima mia della grandezza e della potenza di Dio. Ricordo che, durante la passeggiata sulla spiaggia, un signore e una signora mi guardarono mentre correvo gioiosamente intorno a Papà; poi si avvicinarono, e gli domandarono se ero sua, e dissero che ero proprio una bella bambina. Papà rispose di sì, ma mi accorsi che faceva loro segno di non farmi dei complimenti. Era la prima volta che mi sentivo chiamare carina, mi fece molto piacere, perché non l’avrei creduto; lei, Madre mia, faceva tanta attenzione a non lasciarmi vicino nessuna cosa che potesse appannare la mia innocenza, soprattutto a non lasciarmi udire nessuna parola capace di farmi scivolare nel cuore la vanità! Poiché non davo retta se non alle parole sue o di Maria (e mai lei mi aveva rivolto un solo complimento), non detti grande importanza alle parole e agli sguardi ammirativi della signora. La sera, all’ora in cui il sole par che si tuffi nell’immensità delle acque, lasciandosi davanti un solco luminoso, andai a sedermi sopra una roccia con Paolina sola. Allora ricordai la storia commovente «del solco d’oro»! Lo contemplai a lungo, quel solco luminoso immagine della grazia che rischiara il cammino su cui passerà la piccola nave dalla vela bianca… Accanto a Paolina presi la risoluzione di non allontanare mai l’anima mia dallo sguardo di Gesù, affinché voghi in pace verso la Patria del Cielo. La mia vita scorreva tranquilla, felice. L’affetto da cui ero circondata ai Buissonnets direi quasi che mi faceva crescere, ma senza dubbio ero già abbastanza grande per cominciare a lottare, a conoscere il mondo e le miserie di cui è pieno.
3. Educanda presso le Benedettine (1881-1883)
Anni tristi – Le cugine Guérin – Intimità con Celina – Dolorosa separazione da Paolina – Strana malattia – Sorriso incantevole e miracoloso della Vergine.
74 – Avevo otto anni e mezzo quando Leonia uscì dal collegio, e io presi il suo posto all’Abbazia. Spesso ho inteso dire che il tempo passato in collegio è il migliore e il più dolce della vita; per me non fu così; i cinque anni che passai lì furono i più tristi per me; se non avessi avuto accanto la mia Celina cara, non avrei potuto rimanerci un mese solo senza ammalarmi. Povero fiorellino, che era stato abituato ad addentrare le sue radici fragili in una terra scelta, fatta apposta per lui! Gli parve ben duro vedersi in mezzo a fiori di ogni sorta, alcuni dalle radici ben poco delicate! Ed essere costretto a trovare in una terra comune la linfa necessaria per l’esistenza.
75 – Lei mi aveva istruita così bene, Madre mia cara, che arrivando in collegio ero la più avanti tra le bimbe della mia età; mi misero in una classe di scolare tutte più grandi di me, una di loro, fra i tredici e i quattordici anni, era poco intelligente, ma si sapeva imporre alle compagne ed anche alle maestre. Vedendomi tanto giovane, quasi sempre la prima della classe, e benvoluta da tutte le religiose, dovette provare una gelosia ben perdonabile a una collegiale e mi fece scontare in mille modi i miei piccoli successi. Con la mia natura timida e delicata, non sapevo difendermi, e mi contentavo di piangere senza parlare, nemmeno con lei mi lamentavo per ciò che soffrivo, ma non avevo abbastanza virtù per elevarmi al disopra di queste miserie della vita, e il mio povero cuore soffriva tanto. Per fortuna che ogni sera ritrovavo il focolare paterno, allora il cuore si apriva, io saltavo sulle ginocchia del mio re, e gli dicevo i voti che mi erano stati dati, e il suo bacio mi faceva dimenticare tutte le mie pene. Con quale gioia annunciavo il risultato del mio primo componimento (un componimento di Storia Sacra), mi mancava un solo punto per avere il massimo, perché non avevo saputo il nome del padre di Mosè. Ero dunque la prima, e avevo conseguito una bella decorazione d’argento. Per premiarmi, Papà mi dette una monetina da quattro soldi che collocai in una scatola destinata a ricevere quasi ogni giovedì una moneta nuova, sempre della stessa grandezza (pescavo in quella scatola quando volevo fare, in certe feste grandi, un’elemosina di tasca mia alla questua, o per la propagazione della Fede, o per opere simili). Paolina, rapita per il successo della sua scolara, le regalò un bel cerchio per incoraggiarla ad essere ben studiosa. La povera piccina aveva un reale bisogno di quelle gioie della famiglia; senza esse, la vita di collegio le sarebbe stata troppo dura.
76 – Ogni giovedì si aveva vacanza nel pomeriggio, ma non era come le vacanze di Paolina, non ero nel belvedere con Papà. Bisognava giocare non con la mia Celina, ciò che mi piaceva quand’ero sola con lei, ma con le mie cuginette e le piccole Maudelonde. Era una vera pena per me, perché non sapevo giocare come gli altri bimbi, non ero una compagna gradevole, eppure facevo del mio meglio per imitare le altre senza riuscirci, e mi annoiavo molto, soprattutto quando bisognava passare tutto un pomeriggio a ballare la quadriglia. La sola cosa che mi piaceva era andare al giardino della stella, allora ero la prima dappertutto, cogliendo fiori a profusione, e sapendo trovare i più belli eccitavo l’invidia delle mie piccole compagne.
77 – Mi piaceva anche se per caso restavo sola con la piccola Maria, senza che ci fosse più Celina Maudelonde per indurla a giochi comuni; lei mi lasciava libera di scegliere, e io sceglievo un gioco affatto nuovo. Maria e Teresa diventavano due eremiti e non avevano che una povera capanna, un campicello di grano e un po’ di ortaggi da coltivare. La loro esistenza trascorreva in una contemplazione ininterrotta, cioè a dire che uno dei due solitari sostituiva l’altro nell’orazione quando bisognava occuparsi di vita attiva. Tutto veniva fatto con una intesa, un silenzio e dei modi religiosi che erano una perfezione. Quando la zia veniva a prenderci per la passeggiata, il nostro gioco continuava anche per la strada. I due romiti recitavano insieme il rosario, servendosi delle dita per non rivelare la loro devozione al pubblico indiscreto; ma ecco che un giorno il solitario più giovane ebbe un istante di distrazione: aveva ricevuto un dolce per merenda e prima di mangiarlo fece un gran segno di croce, al che tutti i profani del secolo si misero a ridere.
78 – Maria ed io eravamo sempre dello stesso parere, avevamo a tal segno i medesimi gusti, che una volta la nostra unione di volontà passò i limiti. Tornando una sera dall’Abbazia, dissi a Maria: «Conducimi tu, io chiudo gli occhi». – «Li chiudo anch’io», disse lei. Detto fatto, senza più discutere ognuna fece come volle. Eravamo sul marciapiede, non c’era da temere le vetture; dopo una gradevole passeggiata di qualche minuto, e dopo aver assaporato le delizie di camminare senza vederci, le due piccole stordite caddero insieme sulle casse deposte alla porta d’un magazzino, o piuttosto le fecero cadere. Il bottegaio uscì furibondo per rialzare le sue merci, le due cieche volontarie si erano ben rialzate da sé e sgattaiolavano via a grandi passi, con gli occhi spalancati, ascoltando i giusti rimproveri di Giovanna, la quale era arrabbiata non meno del bottegaio. Tanto è vero che, per punirci, decise di separarci, e da quel giorno in poi Maria e Celina andarono insieme, mentre io facevo la strada con Giovanna. Questo mise fine alla nostra troppo grande unione di volontà e non fu un male per le due maggiori che invece non erano mai del medesimo parere, e discutevano per tutta la strada. Così la pace fu completa.
79 – Non ho ancora detto nulla delle mie relazioni intime con Celina, ah! se dovessi raccontare tutto, non finirei mai… A Lisieux le parti erano cambiate, Celina era diventata un furicchio furbetto, e Teresa non era più se non una bimbetta dolce, ma piagnucolona fin troppo. Ciò non impediva che Celina e Teresa si volessero sempre più bene; a volte c’erano piccole discussioni, ma non gravi, e in fondo erano tutte due dello stesso parere. Posso dire che mai la mia sorella cara mi ha dato dispiacere e che invece è stata per me un raggio di sole, mi ha rallegrata e confortata sempre. Chi potrà dire con quale intrepidezza mi difendeva all’Abbazia quand’ero accusata? Prendeva tanta cura della mia salute che talvolta mi dava noia. Quello che non mi tediava affatto era vederla giocare: allineava tutta la squadra delle nostre bambole e le istruiva, da maestra abile; soltanto aveva sempre cura che le figlie sue fossero buone e brave, mentre le mie venivano spesso messe alla porta a causa della loro cattiva condotta… Mi diceva tutte le cose nuove che aveva imparate a scuola, e ciò mi divertiva molto; io la consideravo come un pozzo di scienza. Avevo ricevuto la qualifica di «figlioletta di Celina», e perciò quando lei si indisponeva con me, il più grave segno del suo malcontento era: «Non sei più figlia mia, è finita, me ne ricorderò sempre!». Allora non mi restava che piangere come una Maddalena, supplicandola di considerarmi ancora figliolina sua, poco dopo lei mi abbracciava e mi prometteva di non ricordare più nulla! Per consolarmi, prendeva una delle sue bambole e le diceva: «Tesoro, abbraccia la zia». Una volta la bambola mi abbracciò con tanto zelo e tenerezza che m’infilò due braccini nel naso. Celina che non l’aveva davvero fatto apposta mi guardava stupefatta. La bambola mi pendeva dal naso; ma ecco, la zia non tardò molto a svincolarsi dalle strette troppo tenere della nipote; e si mise a ridere con tutto il cuore di un’avventura tanto singolare.
80 – La parte più divertente era di vederci insieme nel bazar a comprare le strenne; ci nascondevamo con gran cura una all’altra. Avevamo dieci soldi da spendere, e ci occorrevano almeno cinque o sei oggetti diversi, perciò facevamo a chi comprava le cose più belle. Felici dei nostri acquisti, sospiravamo il primo dell’anno per poterci offrire i nostri magnifici regali. Quella che si svegliava prima dell’altra si affrettava ad augurarle il buon anno, poi ci davamo le strenne, e ciascuna si estasiava sui tesori da dieci soldi! Quei regalini quasi ci facevano piacere quanto i bei regali dello zio, e, del resto, era soltanto l’inizio delle gioie. Quel giorno ci vestivano in fretta, e ciascuna di noi stava all’agguato per potersi gettare al collo di Papà; appena usciva dalla camera sua erano gridi di gioia in tutta la casa, e quel povero Babbo caro pareva felice di vederci tanto contente… Le strenne che Maria e Paolina davano alle loro figliolette non erano di gran pregio, ma suscitavano ugualmente una gioia grande.
81 – La verità è che a quell’età non eravamo annoiate della vita, le anime nostre in tutta la loro freschezza si aprivano come i fiori alla guazza mattinale. Un medesimo soffio faceva ondeggiare le nostre corolle, e ciò che portava gioia o pena ad una la portava anche all’altra. Indivise erano le nostre gioie, e l’ho ben sentito nel giorno della prima Comunione della mia Celina. Non mi trovavo ancora all’Abbazia perché avevo appena sette anni, ma ho conservato nel cuore il ricordo dolcissimo della preparazione che lei, Madre cara, aveva fatto fare a Celina; sera per sera la prendeva sulle ginocchia e le parlava del grande atto che stava per compiere; io ascoltavo avida di prepararmi anch’io, ma spesso lei mi diceva di andarmene perché ero troppo piccina, allora il cuore mi si gonfiava e io pensavo che non erano troppi quattro anni per prepararsi a ricevere il buon Dio… Una sera la intesi che diceva: «Dopo la prima Comunione bisogna cominciare una nuova vita». Subito presi la risoluzione di non attendere quel giorno, ma di rinnovarmi insieme a Celina. Mai avevo sentito tanto di amarla quanto lo sentii durante il ritiro di tre giorni che ella fece; per la prima volta, mi trovai lontana da lei, non dormii nel suo letto. Il primo giorno avevo dimenticato che non sarebbe tornata, avevo serbato un mazzetto di ciliege che Papà mi aveva comperato, perché volevo mangiarlo con lei; quando non la vidi arrivare, ebbi un gran dispiacere. Papà mi consolò dicendomi che mi avrebbe condotto all’Abbazia il giorno dopo per vedere la mia Celina, e che avrei portato un altro mazzetto di ciliege. Il giorno della prima Comunione di Celina mi lasciò una impressione quasi fosse la mia; la mattina, svegliandomi sola sola, mi sentii inondata di gioia: «É oggi!», non mi stancavo di ripetere queste parole. Mi pareva d’essere io a far la prima Comunione. Credo d’aver ricevuto grandi grazie in quel giorno, e lo considero come uno dei più belli della vita.
82 – Ho fatto un passo indietro per rievocare quel dolce, delizioso ricordo, ora debbo parlare della prova dolorosa che venne a spezzare il cuore di Teresa piccina, quando Gesù le prese la sua cara mamma Paolina, amata così teneramente. Un giorno avevo detto a Paolina che sarei stata volentieri eremita, e mi sarebbe piaciuto andarmene con lei in qualche deserto lontano, e lei mi aveva risposto: il mio desiderio è il tuo, attenderò che tu sia abbastanza grande per partire». Senza dubbio, ciò non era stato detto seriamente, ma Teresa, invece, l’aveva preso sul serio; e quale non fu il dolore di lei quando un giorno intese Paolina che parlava con Maria della sua prossima entrata nel Carmelo! Non sapevo che cosa fosse il Carmelo, ma capivo che Paolina mi avrebbe lasciata per entrare in un convento, capivo che non mi avrebbe attesa, e che stavo per perdere la mia seconda mamma! Come dire la mia angoscia? In un attimo capii che cosa è la vita; fino allora non l’avevo vista così triste, ma ora mi apparve in tutta la sua realtà, vidi che era soltanto sofferenza e separazione continua. Piansi amaramente, perché non comprendevo ancora la gioia del sacrificio, ero debole, così debole che considero una grande grazia aver potuto sopportare una prova la quale pareva molto al disopra delle mie forze! Se avessi saputo a poco a poco la partenza della mia Paolina carissima, forse non avrei sofferto tanto, ma avendola saputa di sorpresa, fu come una spada che mi si conficcasse nel cuore.
83 – Ricorderò sempre, Madre mia cara, con quale tenerezza lei mi consolò. Poi mi spiegò la vita del Carmelo che mi parve così bella! Ripassando nello spirito tutto quello che lei mi aveva detto, sentii che il Carmelo era il deserto nel quale il Signore voleva che mi nascondessi. Lo sentii con tanta forza che non rimase il minimo dubbio in me: non era un sogno di bambina che si lasci trascinare, bensì la certezza d’una chiamata divina; volevo andare al Carmelo non per Paolina, ma per Gesù solo… Pensai molte cose che le parole non possono rendere, ma che mi lasciarono una grande pace nell’anima. Un giorno dopo confidai il mio segreto a Paolina la quale, considerando i miei desideri come la volontà del Cielo, mi disse che ben presto sarei andata a trovare la madre Priora del Carmelo, e che avrei dovuto dirle ciò che il Signore mi faceva sentire. Venne scelta una domenica per questa visita solenne, e il mio impaccio fu grande quando seppi che Maria G. doveva rimanere con me, perché, essendo ancora abbastanza piccola, poteva vedere le carmelitane; bisognava tuttavia che trovassi il modo di rimaner sola, ed ecco che cosa escogitai: dissi a Maria che, avendo il privilegio di vedere la Madre Priora, bisognava essere ben gentili e bene educate, per questo dovevamo confidarle i nostri segreti, perciò ognuna di noi doveva uscire un momento e lasciar l’altra sola. Maria mi credette sulla parola e, nonostante la sua ripugnanza a confidare dei segreti che non aveva, rimanemmo sole, una dopo l’altra, presso Nostra Madre. Dopo avere ascoltato le mie grandi confidenze madre Maria Gonzaga credette alla mia vocazione, mi disse tuttavia che non si ricevono postulanti di nove anni, e che bisognava attendere i miei sedici anni… Mi rassegnai nonostante il desiderio vivo di entrare prima possibile, e di fare la mia prima Comunione nel giorno della vestizione di Paolina. In quel giorno ricevetti dei complimenti per la seconda volta. Suor Teresa di Sant’Agostino venne a vedermi, e non si stancava di dire che ero carina… io non contavo di venire al Carmelo per ricevere lodi, e perciò, uscita dal parlatorio non finivo più di ripetere a Dio che volevo farmi carmelitana per lui solo.
84 – Cercai di profittare ben bene della mia cara Paolina durante le poche settimane ch’ella passò ancora nel mondo; ogni giorno, Celina ed io compravamo un dolce e delle caramelle pensando che ben presto non ne avrebbe mangiati più; eravamo sempre intorno a lei, senza lasciarle un minuto di respiro. Finalmente arrivò il 2 ottobre, giorno di lacrime e di benedizioni, nel quale Gesù colse il primo dei suoi fiori, che doveva divenire la madre di quelle che l’avrebbero raggiunto entro pochi anni. Vedo ancora il luogo preciso in cui ebbi l’ultimo bacio di Paolina, poi la zia ci condusse tutte a Messa mentre Papà andava sulla montagna del Carmelo per offrire il suo primo sacrificio. .. Tutta la famiglia era in lacrime, cosicché le persone che ci vedevano entrare in chiesa ci guardavano con stupore, ma a me importava ben poco e non m’impediva di piangere; credo che se tutto mi fosse crollato intorno, non me ne sarei curata affatto; guardavo il bel cielo limpido e mi meravigliavo che il sole splendesse con tanto fulgore quando l’anima mia era inondata dalla tristezza! Forse, Madre cara, lei trova che io esageri il dolore che ho provato? Mi rendo ben conto che non avrebbe dovuto essere tanto grave, poiché avevo la speranza di ritrovare lei al Carmelo; ma l’anima mia era lungi dall’essere matura, io dovevo passare attraverso molte prove prima di attendere il fine desiderato.
85 – Il 2 ottobre era il giorno fissato per rientrare all’Abbazia, bisognò dunque andarci, nonostante la mia tristezza. Nel pomeriggio la zia venne a prenderci per condurci al Carmelo, e io vidi la mia Paolina cara dietro le grate… Quanto ho sofferto in quel parlatorio del Carmelo! Poiché scrivo la storia dell’anima mia, devo dire tutto alla mia cara Madre, e confesso che il mio patire prima che lei entrasse nel Carmelo fu un nulla a paragone di quello che seguì. Tutti i giovedì andavamo, a famiglia riunita, al Carmelo, e io, avvezza a intrattenermi «cuore a cuore» con Paolina, ottenevo a mala pena due o tre minuti alla fine della conversazione, e beninteso li passavo a piangere per andarmene poi col cuore a pezzi. Non capivo come per delicatezza verso la zia lei rivolgesse di preferenza la parola a Giovanna e a Maria invece che alle sue figlioline; non capivo, e dicevo nel fondo di me stessa: «Paolina è perduta per me!». E sorprendente vedere quanto il mio spirito si sviluppò nella sofferenza; si sviluppò a tal segno che dopo breve tempo mi ammalai.
86 – La malattia che mi colpì veniva certamente dal demonio; furioso perché lei era entrata nel Carmelo, volle vendicarsi su me del torto che la nostra famiglia doveva fargli nell’avvenire, ma non sapeva che la dolce Regina del Cielo vegliava sul suo fiorellino fragile, che gli sorrideva dall’alto del suo trono, e si disponeva a far cessare la tempesta proprio nel momento in cui il povero fiore si sarebbe spezzato senza rimedio. Verso la fine dell’anno fui presa da un mal di testa continuo, ma che quasi non mi faceva soffrire; ero in grado di proseguire i miei studi, e nessuno si preoccupava di me; ciò durò fino alla festa di Pasqua del 1883. Papà essendo andato a Parigi con Maria e Leonia, la zia mi prese in casa sua con Celina. Una sera lo zio mi tenne con sé, e mi parlò di Mamma, e di tanti ricordi con una bontà che mi commosse profondamente e mi fece piangere; allora disse che ero troppo sensibile, che mi occorreva molta distrazione, e decise con la zia di procurarci cose piacevoli durante le vacanze di Pasqua. Quella sera dovevamo andare al circolo cattolico, ma, trovando che ero troppo stanca, la zia mi fece andare a letto; mentre mi spogliavo fui presa da un tremito strano; credendo che avessi freddo, la zia mi avviluppò tra le coperte e le bottiglie calde, ma niente poté attenuare la mia agitazione che durò quasi tutta la notte. Lo zio, tornato dal circolo cattolico con le mie cugine e Celina, fu ben sorpreso trovandomi in quello stato che giudicò assai grave, ma non volle dirlo per non spaventare la zia. Il giorno dopo andò a trovare il dottor Notta il quale giudicò, come mio zio, che avevo una malattia molto grave, dalla quale una bambina tanto giovane mai era stata colpita. Tutti erano costernati, la zia fu costretta a tenermi presso di sé, e mi curò con una premura veramente materna. Quando Papà tornò da Parigi con le sorelle più grandi, Amata li ricevette con una faccia così triste che Maria mi credette morta. Ma quella malattia non era perché morissi, era piuttosto come quella di Lazzaro, affinché Dio fosse glorificato. Lo fu realmente, per la rassegnazione mirabile del mio caro Babbo, il quale credette che «la sua bambina impazzisse o morisse»: e per la rassegnazione di Maria! Ah, quanto ha sofferto per causa mia, quanto le sono grata per le cure che mi usò con tanto sacrificio: il cuore le dettava ciò che mi era necessario, e veramente un cuore di madre è ben più sapiente che quello di un medico, sa indovinare ciò che conviene alla malattia della sua bimba.
87 – Povera Maria che fu costretta a venire a installarsi presso la zia, perché era impossibile allora di trasportarmi ai Buissonnets. Intanto, la vestizione di Paolina si avvicinava; evitavano di parlarne in presenza mia sapendo la pena che provavo per non poterci andare, ma io ne parlavo spesso, dicendo che sarei stata abbastanza bene per andare a vedere la mia Paolina cara. In realtà il Signore non volle negarmi questa consolazione, o piuttosto volle confortare la sua cara fidanzata che aveva sofferto tanto per la malattia della figlioletta. Ho notato che Gesù non vuol mettere alla prova le sue figlie nel giorno del fidanzamento, questa festa deve essere senza nubi, un anticipo della gioia del Paradiso, non l’ha già dimostrato cinque volte? Potei dunque abbracciare la mia cara Mamma, sedermi sulle ginocchia di lei, e colmarla di carezze. Potei contemplarla così incantevole sotto il bianco abito di fidanzata… Ah, fu un giorno bello in mezzo alla mia prova cupa, ma passò rapido. Ben presto dovetti salire sulla carrozza che mi portò ben lungi da Paolina e ben lungi dal mio Carmelo amato.
88 – Arrivando ai Buissonnets mi misero a letto, nonostante che io affermassi d’essere guarita perfettamente e di non aver più bisogno di cure. Ahimè! Ero soltanto all’inizio delle mie prove! L’indomani fui ripresa dal disturbo che avevo avuto, e la malattia divenne così grave che non avrei dovuto guarire, secondo le previsioni umane. Non so come descrivere un malessere tanto strano, sono persuasa ch’era opera del demonio, ma per lungo tempo dopo la guarigione ho creduto d’aver fatto apposta ad essere malata, ed è stato, questo, un vero martirio per l’anima mia. Lo dissi a Maria che mi rassicurò come meglio poté con la sua consueta bontà, lo dissi in confessione, e anche il confessore tentò di quietarmi dicendo che non era possibile aver finto d’essere ammalata al punto in cui lo ero. Dio misericordioso che voleva senza dubbio purificarmi, e soprattutto umiliarmi, mi lasciò questo martirio intimo fino al mio ingresso nel Carmelo, ove il Padre delle nostre anime mi tolse tutti i dubbi quasi con un gesto della mano, e da allora sono perfettamente tranquilla.
89 – Non è sorprendente che io abbia avuto il timore di essere sembrata ammalata senza esserlo veramente, perché dicevo e facevo cose che non pensavo, quasi sempre apparivo in delirio, pronunciavo parole che non avevano senso, e tuttavia sono sicura di non essere stata priva nemmeno un istante dell’uso della ragione. Parevo spesso svenuta, non facevo più il minimo movimento, e allora mi sarei lasciata fare qualsiasi cosa, anche uccidere, e tuttavia udivo tutto quello che veniva detto intorno a me, e mi ricordo ancora di tutto. Mi è accaduto una volta di restare a lungo senza poter aprire gli occhi, e di aprirli un attimo quando mi trovavo sola.
90 – Credo che il demonio avesse ricevuto un potere esteriore su me, ma che non potesse avvicinarsi alla mia anima, al mio spirito se non per ispirarmi certi spaventi forti dinanzi a determinate cose, per esempio, di fronte a medicine molto semplici che tentavano inutilmente di farmi accettare. Ma se Dio permetteva al demonio di avvicinarsi a me, mi mandava anche degli angeli visibili. Maria era sempre intorno al mio letto, mi curava e mi confortava con la tenerezza di una madre, senza mai manifestare il minimo senso di noia, eppure io le davo tanto disturbo, non permettendo che si allontanasse da me. D’altra parte, bisognava pure ch’ella andasse a tavola con Papà, ma io non cessavo di chiamarla tutto il tempo ch’era andata via; Vittoria che mi custodiva era costretta, a volte, a cercare la mia cara «mamma», come la chiamavo io. Quando Maria voleva uscire, bisognava che fosse per andare a Messa, oppure per andare da Paolina, allora non dicevo nulla.
91 – Lo zio e la zia erano tanto buoni anch’essi con noi; cara buona zia, veniva tutti i giorni a trovarmi, e mi portava mille cose buone. Altri amici della famiglia vennero a trovarmi, ma io supplicai Maria di avvertire che non volevo ricevere visite: mi dispiaceva di vedere persone sedute intorno al mio letto, file di cipolle, che mi guardavano come una bestia rara. La sola visita che mi piacesse era quella degli zii. Da quella malattia non so dire quanto sia aumentato il mio affetto per loro, capii sempre meglio che per noi non erano parenti come tutti gli altri. Povero Babbo caro, aveva ben ragione quando ci ripeteva le parole che ho scritte ora. Più tardi toccò con mano che non si era ingannato, ed ora egli certamente protegge e benedice coloro che gli prodigarono cure tanto affettuose. Io sono ancora nell’esilio, e, non sapendo come dimostrare la mia riconoscenza, ho un mezzo solo per sfogarmi: pregare per i congiunti che amo, e che furono e sono ancora tanto buoni verso me!
92 – Leonia era anche lei molto buona con me, faceva di tutto per distrarmi e divertirmi; io qualche volta le facevo dispiacere perché lei capiva bene che Maria era l’insostituibile per me.
E la mia Celina cara, che cosa non fece per la sua Teresa? La domenica invece di andare a passeggiare veniva a rinchiudersi per ore ed ore con una povera ragazzina che somigliava a un’idiota; realmente ci voleva molto amore per non fuggirmi. Ah, care sorelline, quanto vi ho fatto soffrire: nessuno vi ha procurato tanto dolore quanto io, e nessuno ha ricevuto tanto amore quanto voi me n’avete prodigato. Fortunatamente avrò il Cielo per vendicarmi, il mio Sposo è ricchissimo e io attingerò nei tesori d’amore per restituirvi al centuplo tutto quello che avete sofferto per causa mia.
93 – La mia consolazione più grande quand’ero malata era di ricevere una lettera di Paolina. La leggevo e rileggevo fino a saperla a memoria. Una volta, Madre cara, lei mi mandò una clessidra e una delle mie bambole vestita da carmelitana; dire la mia gioia è cosa impossibile. Lo zio non era contento, diceva che, invece di farmi pensare al Carmelo, bisognava allontanarlo dal mio spirito, ma io sentivo, al contrario, che era la speranza di essere carmelitana a farmi vivere. Il mio piacere era lavorare per Paolina, le facevo delle cosine in carta bristol, e l’occupazione mia più grande era intrecciar corone di margherite e di myosotis per la Vergine Santa; eravamo nel mese bello di maggio, tutta la natura si ornava di fiori e spirava letizia, soltanto il «fiorellino» languiva, e pareva appassito per sempre. Eppure avevo un sole presso di me, e quel sole era la statua miracolosa della Santa Vergine che aveva parlato per due volte a Mamma, e spesso, molto spesso, mi volgevo a lei. Un giorno vidi Papà entrare nella camera di Maria ove io ero coricata: a Maria dette parecchie monete d’oro con una espressione di grande tristezza, e le disse di scrivere a Parigi e chiedere delle Messe presso Nostra Signora delle Vittorie affinché facesse guarire la sua povera figlioletta. Ah, come mi commossi vedendo la fede e l’amore del mio re caro! Avrei voluto dirgli: «sono guarita!», ma gli avevo già dato troppe gioie false, e non erano i miei desideri a poter fare un miracolo, perché un miracolo ci voleva per guarirmi. Ce ne voleva uno, e lo fece Nostra Signora delle Vittorie. Una domenica (durante la novena delle Messe), Maria uscì in giardino lasciandomi con Leonia la quale leggeva accanto alla finestra; in capo a qualche minuto mi misi a chiamare a bassa voce: «Mamma… Mamma…». Leonia era abituata a intendermi chiamare sempre così, non ci fece caso. La cosa durò a lungo, allora chiamai più forte, e finalmente Maria tornò, vidi perfettamente quando entrò, ma non potevo dire che la riconoscevo, e continuai a chiamare sempre più forte: «Mamma». Soffrivo molto di quella lotta forzata e inspiegabile, e Maria ne soffriva forse più di me; dopo vani sforzi per dimostrarmi che era vicina a me, si mise in ginocchio accanto al mio letto con Leonia e Celina, si volse alla Vergine Santa e pregò col fervore di una madre la quale chiedesse la vita del figlio: in quel momento ottenne quello che desiderava.
94 – Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché avesse finalmente pietà di lei… A un tratto la Vergine Santa mi parve bella, tanto bella che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il suo viso spirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l’anima fu «il sorriso stupendo della Madonna». Allora tutte le mie sofferenze svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guance, ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa mi ha sorriso, come sono felice! Ma non lo dirò a nessuno, perché altrimenti la mia felicità scomparirebbe. Senza alcuno sforzo abbassai gli occhi e vidi Maria che mi guardava con amore, pareva commossa, quasi capisse il favore che la Madonna mi aveva concesso. Ah! era proprio a lei, alle commoventi preghiere di lei, che io dovevo la grazia del sorriso da parte della Regina dei Cieli. Vedendo il mio sguardo fisso sulla Vergine Santa, ella pensò: «Teresa è guarita!». Sì il fiore umile stava per rinascere alla vita, il raggio splendido che l’aveva riscaldato non doveva interrompere i propri benefizi: agì non in modo subitaneo, bensì gradatamente, dolcemente, risollevò il fiore e lo rafforzò a tal segno che cinque anni dopo si aprì sulla montagna benedetta del Carmelo.
95 – Come ho detto, Maria aveva intuito che la Santa Vergine mi aveva concesso qualche grazia nascosta, perciò, appena fui sola con lei, mi chiese che cosa avevo visto e io non potei resistere alle sue domande così tenere e premurose; stupita vedendo il mio segreto scoperto senza che io l’avessi rivelato, lo confidai tutto intero a Maria. Ahimè! Come avevo presentito, la mia felicità scomparve e si mutò in amarezza; per quattro anni il ricordo della grazia ineffabile che avevo ricevuta fu per me una vera pena d’animo, dovevo ritrovare la mia gioia soltanto ai piedi di Nostra Signora delle Vittorie, allora mi venne restituita in tutta la sua pienezza… riparlerò più tardi di questa seconda grazia della Santa Vergine Maria. Ora debbo dirle, Madre mia cara, in qual modo la gioia si cambiò in tristezza. Maria dopo aver inteso il racconto ingenuo e sincero della «mia grazia», mi chiese il permesso di dirlo al Carmelo, io non potevo dire di no. Alla mia prima visita all’amato Carmelo, fui piena di gioia vedendo la mia Paolina con l’abito della Vergine: che momento bello e dolce per noi due! C’erano tante cose da dire che non riuscivo a dir nulla, avevo il cuore troppo pieno. La buona madre Maria Gonzaga c’era anche lei, e mi dimostrò mille prove d’affetto; vidi ancora altre religiose e in presenza loro fui interrogata riguardo alla grazia che avevo avuta, e se la Vergine portava il Bambino Gesù, se c’era molta luce, e così via. Tutte quelle domande mi turbarono e mi fecero dispiacere, io potevo dire una cosa sola: «la Vergine Santa mi era sembrata bellissima, e l’avevo vista che mi sorrideva». Soltanto il volto di lei mi aveva colpita, così, vedendo che le carmelitane s’immaginavano tutt’altra cosa (e d’altra parte già cominciavano le mie sofferenze d’animo riguardo alla mia malattia), mi figurai d’aver mentito. Senza dubbio, se avessi custodito il mio segreto, avrei anche conservato la mia felicità, ma la Vergine Santa ha permesso questo tormento per il bene dell’anima mia; forse avrei avuto, altrimenti, qualche pensiero di vanità, mentre così, trovandomi nella umiliazione, non potevo guardarmi senza un sentimento di profondo orrore. Ah! quello che ho sofferto, lo potrò dire soltanto in Cielo!
4. Progresso nello studio e fervore religioso (1883~1886)
Al parlatorio delle Carmelitane – Attrazione per le letture – Ritorno ad Alencon – Primo incontro con Gesù Eucaristico – Cresima – Penosa vita di collegio – Malattia degli scrupoli – Uscita di collegio e lezioni private – Stanza di studio – Leonia – Maria entra nel Carmelo – Risposta celeste.
96 – Parlando delle visite alle carmelitane, ricordo la prima, la quale ebbe luogo poco tempo dopo che Paolina era entrata. Ho dimenticato di parlarne, ma c’è un particolare che non debbo omettere. La mattina nella quale dovevo andare al parlatorio, mentre riflettevo sola sola nel mio letto (perché era li che facevo le mie orazioni più profonde, e, contrariamente alla Sposa dei cantici, vi trovavo sempre il mio Amato), mi domandai quale nome avrei avuto nel Carmelo; sapevo che c’era una suor Teresa di Gesù, e tuttavia il mio bel nome di Teresa non poteva essermi tolto. A un tratto pensai a Gesù Bambino che amavo tanto, e dissi a me stessa: «Oh, come sarei felice di chiamarmi Teresa di Gesù Bambino!». Non dissi nulla in parlatorio del sogno che avevo fatto da sveglia, ma alla buona madre Maria di Gonzaga, mentre domandava alle suore quale nome avrebbero potuto darmi, venne in mente di chiamarmi col nome che avevo sognato. Grande fu la mia gioia, e quel felice incontro di pensieri mi parve una delicatezza del mio diletto Gesù Bambino.
97 – Ho omesso anche alcuni minimi particolari della mia infanzia prima che lei entrasse nel Carmelo; non le ho parlato del mio amore per le immagini e per la lettura. Eppure, Madre mia cara, debbo alle belle immagini che lei mi mostrava come ricompensa, una delle gioie più dolci e delle impressioni più forti che mi abbiano incitata a praticare la virtù. Dimenticavo il tempo mentre le guardavo, per esempio: l’umile fiore del Prigioniero divino mi diceva tante cose che mi diventava facile immergermi nel raccoglimento. Vedendo che il nome di Paolina era scritto sotto il piccolo stelo fiorito, avrei voluto che ci fosse anche quello di Teresa, e mi offrivo a Gesù per essere il fiore suo.
98 – Non sapevo giocare, però mi piaceva molto la lettura, e avrei passato la vita leggendo; fortunatamente avevo, per guidarmi, degli angeli sulla terra, i quali mi sceglievano libri tali da divertirmi nutrendomi spirito e cuore, e poi dovevo passare soltanto un tempo limitato a leggere, ciò che mi costava sacrifici gravi: a volte dovevo interrompere proprio in mezzo al passo più avvincente. Questa attrattiva per la lettura è durata fino a quando sono entrata nel Carmelo. Dire il numero di libri che mi è passato per le mani non sarebbe possibile, e tuttavia il Signore non ha mai permesso che ne leggessi uno solo capace di farmi del male. E vero che, leggendo certi racconti cavallereschi, non sempre intendevo, in un primo momento, il vero senso della vita; ma ben presto il Signore mi faceva sentire che la gloria vera è quella che durerà eterna, e che per arrivare ad essa non è necessario compiere opere sfolgoranti, bensì nascondersi e praticar la virtù sì che la mano sinistra ignori ciò che fa la destra…
99 – Così, leggendo le gesta patriottiche delle eroine di Francia, in particolare quelle della Venerabile Giovanna d’Arco, avevo gran desiderio d’imitarle, mi pareva di sentire in me lo stesso ardore dal quale erano animate, la medesima ispirazione celeste. Allora ricevetti una grazia che ho sempre considerata come una delle maggiori per me, perché a quell’età non ricevevo luci come ora che ne sono inondata. Pensai che ero nata per la gloria e cercando il mezzo di raggiungerla, il Signore m’ispirò i sentimenti che ho scritti qui sopra. Mi fece capire altresì che la mia gloria non apparirà agli occhi degli uomini, e consisterà nel divenire una grande santa!!! Questo desiderio potrà sembrar temerario se si considera quanto ero debole e imperfetta, e quanto lo sono ancora dopo sette anni passati in religione, tuttavia sento ancora la stessa fiducia ardita di diventare una grande santa, perché non conto sui meriti miei non avendone alcuno, ma spero in colui che è la Virtù, la Santità stessa. Lui solo, contentandosi dei miei deboli sforzi, mi eleverà fino a sé e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà santa. Non pensavo allora che bisogna soffrire molto per arrivare alla santità, ma il Signore non tardò a mostrarmelo, mandandomi le prove che ho raccontato prima. Ora debbo riprendere il mio racconto al punto in cui l’ho lasciato.
100 – Tre mesi dopo che fui guarita, Papà ci fece fare il viaggio di Alencon. Era la prima volta che ritornavo là, e la mia gioia fu grande quando rividi i luoghi nei quali era trascorsa la mia infanzia, soprattutto quando potei pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di proteggermi sempre. Il Signore mi ha fatto la grazia di non conoscere la società mondana se non quel tanto da potere disprezzarla e tenermi lontana da essa. Potrei dire che proprio durante il soggiorno in Alencon feci il mio primo ingresso nel mondo. Tutto era gioia, felicità intorno a me, ero festeggiata, carezzata, ammirata; in una parola, la vita mia per quindici giorni fu disseminata di fiori. Confesso che questa vita aveva un fascino per me. La Saggezza ha ben ragione quando dice che «la malia delle futilità mondane seduce anche lo spirito alieno dal male». A dieci anni il cuore si lascia abbagliare facilmente, e perciò considero una grande grazia di non essere rimasta ad Alencon; gli amici che avevamo là erano troppo mondani, sapevano troppo intrecciare le gioie della terra col servizio a Dio. Non pensavano abbastanza alla morte, e tuttavia la morte è venuta a visitare un gran numero di persone che ho conosciuto, giovani, ricche, felici! Mi piace tornare col pensiero ai luoghi incantatori dove esse hanno vissuto, e domandarmi dove sono, che cosa giovano loro i castelli, i parchi nei quali le ho viste godere le comodità della vita? E vedo che tutto è vanità e afflizione di spirito sotto il sole… e che l’unico bene è amare Dio con tutto il cuore, ed essere, quaggiù, poveri di spirito.
101 – Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo innanzi alla prima visita che mi avrebbe fatta, affinché io scegliessi più liberamente la via sulla quale mi sarei impegnata con lui. Al tempo della mia prima Comunione mi è rimasto impresso nel cuore come un ricordo sgombro da nuvole; mi pare che non avrei potuto avere disposizioni migliori, e le mie pene d’anima mi lasciarono per quasi un anno. Gesù voleva farmi gustare una gioia più perfetta che fosse possibile in questa valle di lacrime.
102 – Si ricorda, Madre mia cara, dell’incantevole libretto che lei mi aveva composto tre mesi avanti la mia prima Comunione? Proprio quelle pagine mi aiutarono a preparare il cuore in modo conseguente e rapido, perché, se da lungo tempo già lo preparavo, bisognava ben dargli uno slancio nuovo, empirlo di fiori nuovi affinché Gesù potesse riposarsi in lui gradevolmente. Ogni giorno facevo un gran numero di «pratiche», che formavano altrettanti fiori, facevo un numero anche più grande di aspirazioni che lei aveva scritte nel mio libriccino per ogni giorno, e quegli atti d’amore formavano i bocci. Ogni settimana lei mi scriveva una cara lettera che mi empiva l’anima di pensieri profondi e mi aiutava a praticare la virtù, era una consolazione per la sua figliolina la quale faceva un sacrificio tanto grande accettando di non essere preparata sera per sera sulle ginocchia di lei, Madre mia, com’era stata preparata Celina.
103 – Maria sostituiva Paolina per me: mi sedevo in grembo a lei e ascoltavo avidamente ciò che mi diceva, mi pare che tutto il cuore di lei, tanto grande, tanto generoso, si versasse in me. Come i guerrieri illustri insegnano ai loro figli il mestiere delle armi, così Maria mi parlava dei combattimenti della vita, e della palma riservata ai vittoriosi. E ancora mi parlava delle ricchezze immortali che è facile ammassare ogni giorno, e della sciagura che è passare senza allungare la mano per cogliere quei tesori, poi mi indicava il modo per essere santa per mezzo della fedeltà alle cose minime; mi dette il foglietto «Della rinuncia» che io meditavo con delizia. Com’era eloquente, la mia Madrina cara! Avrei voluto non essere sola per ascoltare i suoi insegnamenti profondi, mi sentivo così commossa da credere, nella mia ingenuità, che i più grandi peccatori si sarebbero commossi come me e che, abbandonando le ricchezze caduche, avrebbero cercato soltanto quelle del Cielo.
104 – A quel tempo nessuno ancora mi aveva insegnato a fare orazione, eppure io ne avevo gran desiderio; sennonché Maria mi trovava già abbastanza pia, e mi permetteva soltanto le mie preghiere solite. Un giorno una maestra dell’Abbazia mi domandò cosa facessi nei giorni di vacanza quando mi trovavo sola. Le risposi che andavo dietro il mio letto in un po’ di posto vuoto che c’era, e che potevo chiudere con la tenda: lì, «pensavo». – «Ma a che cosa pensi?» – mi domandò ancora -«Penso al buon Dio, alla vita… all’eternità, insomma, penso!». La buona religiosa rise molto di me, più tardi le piaceva di ricordarmi il tempo in cui pensavo, e mi domandava – «Pensi ancora?…». Capisco ora che facevo orazione senza saperlo, e che già Dio misericordioso m’istruiva in segreto.
105 – I tre mesi di preparazione passarono rapidi, ben presto dovetti entrare in ritiro e per questo diventare collegiale interna, dormendo all’Abbazia. Non posso dire il ricordo dolce che mi ha lasciato quel ritiro; veramente, se ho molto sofferto in collegio, sono stata largamente compensata dalla felicità ineffabile di quei pochi giorni passati nell’attesa di Gesù. Non credo che si possa gustare quella gioia fuori dalle comunità religiose; essendo poche le bambine, era facile occuparsi di ciascuna in particolare, e veramente le nostre maestre ci prodigavano in quel momento delle cure materne. Si occupavano ancor più di me che delle altre, ogni sera la prima maestra veniva, con la sua lucernetta, ad abbracciarmi nel mio letto, mostrandomi grande affetto. Una sera, commossa per la bontà di lei, le dissi che le avrei confidato un segreto, e tirando fuori misteriosamente il mio libretto prezioso che era sotto il guanciale, glielo mostrai con gli occhi che brillavano di gioia. La mattina, trovavo bello di veder tutte le scolare che si alzavano appena sveglie, e di fare anch’io come loro, ma non ero abituata a vestirmi e sistemarmi da sola. Maria non era li per farmi i riccioli, perciò ero costretta a presentare timidamente il mio pettine alla maestra della stanza ove ci si vestiva, che rideva vedendo una figliolona di undici anni che non sapeva sbrogliarsi; tuttavia mi pettinava, ma non con la dolcezza di Maria, e io non osavo gridare, ciò che mi accadeva tutti i giorni sotto la mano delicata della mia madrina. Ebbi modo di costatare, durante il ritiro, che ero una bambina carezzata e curata come ce ne sono poche sulla terra, soprattutto fra quelle rimaste prive di mamma! Ogni giorno Maria e Leonia venivano a trovarmi con Papà, il quale mi colmava di pensierini cari, cosicché non soffersi per la privazione della famiglia, e niente oscurò il cielo bello del mio ritiro.
106 – Ascoltavo con grande attenzione gli insegnamenti che ci dava il reverendo Don Domin, ed anche li riassumevo scrivendoli; riguardo ai miei pensieri non ne volli scrivere alcuno pensando che me li sarei ricordati bene, ciò che fu vero. Era per me gran felicità di andare con le suore a tutte le funzioni; mi facevo notare in mezzo alle compagne per un grande crocifisso che Leonia mi aveva regalato, e che io passavo nella mia cintola come fanno i missionari; quel crocifisso suscitava ammirazione nelle buone religiose le quali pensavano che io, portandolo, volessi imitare la mia sorella carmelitana. Era ben verso lei che sciamavano i miei pensieri, sapevo che la mia Paolina era in ritiro com’ero io, non già perché Gesù si desse a lei, bensì perché lei si dava a Gesù e perciò questa solitudine passata nell’attesa mi era doppiamente cara.
107 – Ricordo che una mattina mi avevano fatto andare all’infermeria perché tossivo molto (da quando ero stata malata, le mie maestre facevano una grande attenzione a me, per un leggero mal di testa mi mandavano a prendere aria o a riposarmi nell’infermeria, e lo stesso se mi vedevano più pallida del solito). Vidi entrare la mia Celina cara, aveva ottenuto il permesso di venire a vedermi nonostante il ritiro, per offrirmi un’immagine che gradii tanto, era «il fiore del divino Prigioniero». Come fu dolce per me ricevere questo ricordo dalla mano di Celina! Quanti pensieri d’amore ho avuto per merito di lei!
108 – La vigilia del gran giorno ricevetti l’assoluzione per la seconda volta, la mia confessione generale mi lasciò una grande pace nell’anima, e il buon Dio permise che nessuna nube venisse a turbarla. Nel pomeriggio chiesi perdono a tutta la famiglia che venne a trovarmi, ma riuscii a parlare soltanto con le lacrime, ero troppo commossa… Paolina non c’era, tuttavia sentivo che era vicina a me col cuore; mi aveva mandato una bella immagine per mezzo di Maria, non mi stancavo d’ammirarla e farla ammirare da tutti. Avevo scritto al buon padre Pichon per raccomandarmi alle sue preghiere, dicendogli anche che ben presto sarei stata carmelitana, e che allora sarebbe stato lui il mio direttore. (E ciò accadde davvero quattro anni dopo, poiché gli aprii l’anima quando fui al Carmelo). Maria mi dette una lettera di lui, realmente ero troppo felice! Tutte le gioie mi arrivavano insieme. Più di tutto mi fece piacere nella lettera di lui questa frase: «Domani salirò all’altare per lei e per la sua Paolina!». Paolina e Teresa furono l’8 maggio più che mai unite, poiché Gesù pareva le confondesse inondandole con le sue grazie…
109 – Un «giorno bello tra tutti» arrivò finalmente. Quali ricordi intraducibili mi hanno lasciato nell’anima i particolari minimi di quella giornata di Cielo! il risveglio gioioso dell’aurora, i baci rispettosi e teneri delle maestre e delle compagne grandi. La stanza piena di fiocchi di neve di cui ciascuna bimba veniva rivestita a turno. Soprattutto l’entrata nella cappella e il canto mattinale dell’inno tanto bello «O santo Altare che gli Angeli circondano!». Ma non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che perdono il loro profumo appena esposte all’aria, ci sono pensieri dell’anima che non si possono tradurre in linguaggio terreno senza perdere il loro senso intimo e celeste; sono come quella “Pietra bianca che sarà data al vincitore, e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù all’anima mia! Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, e dicevo anche: «Vi amo, mi do a Voi per sempre». Non ci furono domande, non lotte, non sacrifici; da lungo tempo Gesù e la povera piccola Teresa si erano guardati e si erano capiti… Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia d’acqua nell’oceano. Gesù restava solo, era il padrone, il re. Teresa gli aveva pur chiesto di toglierle la libertà, perché la libertà le faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva unirsi per sempre alla Forza divina! La sua gioia era troppo grande, troppo profonda perché lei potesse contenerla, lacrime deliziose la inondarono ben presto, con grande stupore delle compagne le quali più tardi dicevano una all’altra: «Perché ha pianto? Aveva qualche cosa che le dispiaceva?». – «No, era piuttosto per non avere la Mamma con sé, o la sorella che lei ama tanto e che è carmelitana». Non capivano che tutta la gioia del Cielo venendo in un cuore, questo cuore esiliato non poteva sopportarla senza spargere lacrime. Oh no, l’assenza di Mamma non mi dava dolore nel giorno della prima Comunione, non c’era forse il Cielo nell’anima mia? E Mamma non aveva lì il suo posto da gran tempo? Non piangevo l’assenza di Paolina: senza dubbio sarei stata felice di vedermela accanto, ma da lungo tempo il mio sacrificio era accettato; in quel giorno, soltanto la gioia mi empiva il cuore, io mi univo a colei che si dava irrevocabilmente a Gesù: e Gesù si dava a me con tanto amore!
110 – Nel pomeriggio fui io a pronunciare l’atto di consacrazione alla Madonna; era ben giusto che io parlassi a nome delle mie compagne alla mia Mamma del Cielo, io che ero rimasta priva così giovane della Mamma terrena. Misi tutto il cuore nel parlarle, nel consacrarmi a lei, come una bambina che si getta nelle braccia di sua madre, e le chiede di vegliare su lei. Mi pare che la Vergine Santa dovette guardare il suo fiorellino e sorridergli, non era lei che l’aveva guarito con un sorriso visibile? Non aveva proprio lei deposto nel calice dell’umile fiore il suo Gesù, il Fiore dei campi, il Giglio della valle?
111 – La sera di quel bel giorno ritrovai la mia famiglia terrena; già il mattino, dopo la Messa, avevo abbracciato Papà e tutti i miei cari parenti, ma allora fu il vero riunirsi; Papà prendendo la mano della sua piccola regina si avviò verso il Carmelo. Allora vidi la mia Paolina divenuta la sposa di Gesù, la vidi col velo bianco come il mio, con la corona di rose… Ah, la mia gioia fu senza amarezza, speravo di raggiungerla presto e attendere con lei il Cielo! Non fui insensibile alla festa di famiglia che ebbe luogo la sera della mia prima Comunione; l’orologio bello che mi regalò il mio re mi fece gran piacere, ma la gioia era tranquilla e niente turbò la mia pace intima. Maria mi prese con sé nella notte che seguì quel bel giorno, perché i giorni più radiosi sono seguiti da tenebre, soltanto il giorno della prima, unica, eterna Comunione del Cielo sarà senza tramonto!
112 – Il giorno dopo fu bello anch’esso, ma improntato di malinconia. Il vestito che Maria mi aveva comprato, tutti i regali che avevo ricevuti non mi colmavano il cuore, soltanto Gesù poteva contentarmi, sospiravo il momento nel quale avrei potuto riceverlo una seconda volta. Un mese circa dopo la prima Comunione andai a confessarmi per l’Ascensione, e osai chiedere il permesso di fare la santa Comunione. Al disopra di tutte le speranze, il sacerdote me la permise ed ebbi la felicità d’inginocchiarmi alla balaustra fra Papà e Maria; che ricordo dolce ho conservato di quella seconda visita di Gesù! Le lacrime mi caddero ancora con indicibile soavità, ripetevo tutto il tempo a me stessa le parole di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me». Dopo quella Comunione, il mio desiderio di ricevere il buon Dio divenne più e più grande, ottenni il permesso per tutte le feste principali. La vigilia di quei giorni felici Maria mi prendeva la sera sulle ginocchia e mi preparava come l’aveva fatto per la prima Comunione; ricordo una volta in cui mi parlò del dolore, dicendomi che forse non avrei camminato su quella via, ma che Dio mi porterebbe sempre come un bambino.
113 – Un giorno dopo, le parole di Maria mi tornarono alla mente, sentii nascere in me un gran desiderio di soffrire, e al tempo stesso l’intima sicurezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci; mi sentii inondata di consolazioni così grandi che la considero come una delle grazie maggiori nella mia vita. Soffrire divenne il mio ideale, aveva un fascino che mi rapiva senza che io lo conoscessi bene. Fino allora avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno ne provai un vero amore. Sentivo anche il desiderio di amare soltanto il buon Dio, di non trovar gioia che in lui. Spesso durante le mie comunioni ripetevo le parole della Imitazione: «O Gesù! Dolcezza ineffabile cambiate per me in amarezze tutte le consolazioni della terra!» Questa preghiera usciva dalle mie labbra senza sforzo, senza costrizione; mi pareva di ripeterla non per mio volere, ma come una bambina la quale ripeta parole suggeritele da una persona amica. Più tardi le dirò, Madre mia cara, in qual modo Gesù si è compiaciuto di attuare il mio desiderio, e come lui solo fu sempre la mia dolcezza ineffabile; se ne parlassi subito sarei costretta ad anticipare il tempo della mia vita di giovane, mentre ho ancora da darle molti particolari riguardo all’infanzia.
114 – Poco tempo dopo la prima Comunione entrai nuovamente in ritiro per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita dello Spirito Santo, non capivo che non si desse grande importanza a ricevere questo sacramento d’Amore. Comunemente si praticava un solo giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non poté venire nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di due giorni in solitudine. Per distrarci la nostra maestra ci condusse a Monte Cassino, e là colsi a piene mani le grandi margherite per la festa del Corpus Domini. Come era gioiosa l’anima mia! A somiglianza degli apostoli attendevo con felicità la visita dello Spirito Santo. Mi rallegravo al pensiero di essere ben presto perfetta cristiana, e soprattutto di avere sulla fronte eternamente la croce misteriosa che il Vescovo traccia dando il sacramento. Finalmente arrivò il momento felice, non sentii un vento impetuoso nella discesa dello Spirito Santo, ma piuttosto quella brezza lieve, della quale il profeta Elia intese il murmure sul monte Horeb. In quel giorno ricevetti la forza per offrire, perché ben presto il martirio dell’anima mia doveva cominciare. Mi fu madrina la mia cara Leonia, era così commossa che non poté trattenersi dal piangere tutto il tempo della cerimonia. Con me ricevette la santa Comunione, perché io ebbi ancora la felicità di unirmi a Gesù in quel bel giorno.
115 – Dopo le deliziose indimenticabili feste, la mia esistenza rientrò nel quotidiano, cioè dovetti riprendere la vita di collegiale che mi era così penosa. Nel momento della mia prima Comunione amavo quella convivenza con bambine della mia età, tutte piene di buona volontà, le quali avevano preso come me la risoluzione di praticare seriamente la virtù; ma bisognava riprendere i contatti con delle scolare ben diverse, distratte, riottose alla regola, e ciò mi rendeva infelice. Ero un carattere gaio, ma non sapevo lanciarmi nei giochi dell’età mia; spesso durante la ricreazione mi appoggiavo ad un albero, e da là contemplavo il colpo d’occhio, abbandonandomi a riflessioni serie! Avevo inventato un gioco che mi piaceva, cioè di seppellire i poveri uccellini morti che trovavo sotto gli alberi; varie scolare vollero aiutarmi, cosicché il nostro cimitero divenne graziosissimo, piantato d’alberi e di fiori, il tutto proporzionato alle dimensioni dei nostri piccoli implumi. Mi piaceva anche di raccontare novelle di mia invenzione, via via che mi venivano in mente, allora le mie compagne mi circondavano premurosamente, e talvolta delle scolare grandi si univano al gruppo delle ascoltatrici. La medesima storia durava per parecchi giorni perché mi piaceva di renderla sempre più interessante, a mano a mano che vedevo le impressioni che suscitava e che si manifestavano sul viso delle mie compagne, ma presto la maestra mi proibì di continuare la mia professione di oratore, volendoci veder correre e non discorrere.
116 – Ricordavo con facilità il senso delle cose che imparavo, ma duravo fatica a imparare parola per parola; così per il catechismo durante l’anno che precedette la mia prima Comunione, chiesi quasi tutti i giorni il permesso d’impararlo durante la ricreazione; i miei sforzi ottennero buon successo, e fui quasi sempre la prima. Se per caso, per una sola parola dimenticata, perdevo il mio posto, il mio dispiacere si manifestava con lacrime amare che il reverendo Don Domin non sapeva come calmare. Era ben contento di me (non quando piangevo), e mi chiamava il suo dottorino, a causa del mio nome di Teresa. Una volta la scolara che mi seguiva non seppe fare alla sua compagna la domanda di catechismo. Il reverendo Padre, avendo fatto il giro di tutte le scolare, ritornò a me, e disse che voleva vedere se meritavo davvero il mio posto di prima. Nella mia profonda umiltà, non aspettavo altro; mi alzai e dissi con sicurezza quello che mi era stato richiesto senza fare uno sbaglio, con grande stupore di tutte. Dopo la mia prima Comunione, il mio zelo per il Catechismo continuò fino a quando uscii dal collegio. Riuscivo benissimo nei miei studi, ero quasi sempre la prima, i più grandi successi miei erano la storia e lo stile. Tutte le mie maestre mi consideravano come una scolara molto intelligente, ma lo stesso non accadeva presso lo zio, ove passavo per una piccola ignorante, buona e dolce, dotata di un giudizio dritto, ma incapace e maldestra…
117 – Non mi sorprende questa opinione che gli zii avevano e che senza dubbio hanno ancora nei miei confronti, non parlavo quasi mai, essendo timidissima; quando scrivevo, la calligrafia da gatto e l’ortografia molto… naturale non erano fatte per sedurre. Nei lavoretti di cucito, ricamo e altri, riuscivo bene, è vero, secondo le mie maestre, ma il modo goffo e maldestro con cui tenevo il mio lavoro giustificava l’opinione poco vantaggiosa che avevano di me. Io considero ciò come una grazia; il buon Dio volendo per sé solo tutto il mio povero cuore, esaudiva già la mia preghiera «cambiando in amarezza le consolazioni della terra». Ne avevo tanto più bisogno in quanto non sarei stata insensibile alle lodi. Spesso vantavano dinanzi a me l’intelligenza degli altri, mai la mia, allora io conclusi che non ne avevo, e mi rassegnai a vedermene privata.
118 – Il cuore mio sensibile e affettuoso si sarebbe dato facilmente se avesse trovato un altro cuore atto a capirlo. Cercai di fare amicizia con le bambine dell’età mia, soprattutto con due, volevo loro bene, e da parte loro esse mi amavano quanto sapevano e potevano; ma ahimè! com’è angusto e volubile il cuore delle creature! Ben presto vidi che il mio affetto non era compreso. Una delle amiche dovette rientrare in famiglia, e tornò qualche mese dopo; durante la sua assenza io avevo pensato a lei conservando preziosamente un anellino che mi aveva regalato. Quando la rividi, la gioia mia fu grande, ma ahimè! ottenni soltanto uno sguardo indifferente… Il mio amore non era stato capito, lo sentii, e non mendicai un’affezione che mi veniva rifiutata, ma il buon Dio mi ha dato un cuore così amante e sensibile che, quando ha voluto bene puramente, vuol bene sempre, e così continuai a pregare per la mia compagna, e l’amo ancora.
119 – Vedendo che Celina voleva bene ad una delle nostre maestre, volli imitarla, ma, non sapendo ingraziarmi le creature, non ci riuscii. Oh, felice ignoranza! Quanti mali mi ha evitati! Come ringrazio Gesù di avermi fatto trovare «soltanto amarezze nelle amicizie della terra»! Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tagliare le ali, allora in qual modo avrei potuto «volare e riposarmi»? Un cuore abbandonato agli affetti delle creature come può unirsi intimamente con Dio? Sento che questo non è possibile. Senz’aver bevuto alla coppa avvelenata dell’amore troppo ardente delle creature, sento che non posso ingannarmi; ho visto tante anime sedotte da quella falsa luce volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi tornare verso la vera dolce luce dell’amore che dava ad esse ali nuove più brillanti e più leggere, affinché potessero volare a Gesù, Fuoco divino «che brucia senza consumare» Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi alla tentazione. Forse mi sarei lasciata bruciare tutta dalla luce ingannatrice se l’avessi vista brillare ai miei occhi… Non è stato così, ho incontrato solamente amarezza là dove anime più forti incontrano la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho dunque alcun merito per non essermi abbandonata all’amore delle creature, poiché da esso fui preservata per grande misericordia del Signore! Riconosco che senza lui avrei potuto cadere in basso quanto santa Maddalena, e la profonda parola di Nostro Signore a Simone mi echeggia nell’anima con grande dolcezza.
120 – Lo so, «colui al quale si rimette meno, ama meno» ma so anche che Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché mi ha rimesso in anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che sento! Ecco un esempio che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il figlio d’un medico abile incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre a lui, lo rialza con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse della sua arte, e ben presto il figlio completamente guarito gli dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben ragione d’amare suo padre! Ma farò ancora un’altra ipotesi. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trova una pietra, si affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda. Certamente questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non sapendo la sventura dalla quale è liberato per mezzo di suo padre, non testimonierà a lui la propria riconoscenza e l’amerà meno che se fosse stato guarito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è stato sottratto, non amerà di più suo padre? Ebbene, io sono quel figlio, oggetto dell’amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il Verbo a riscattare i giusti bensì i peccatori. Vuole che io lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso che io lo amassi molto, come santa Maddalena, ma ha voluto che io sappia com’egli mi ha amata d’un amore d’ineffabile previdenza, affinché ora io ami lui alla follia! Ho inteso dire che non si è mai incontrata un’anima pura la quale ami più di un’anima penitente; ah! come vorrei smentire questa parola!
121 – Mi accorgo di essere ben lontana dal mio soggetto, e perciò mi affretto di tornare ad esso. L’anno che seguì la mia prima Comunione trascorse quasi tutto senza prove intime per l’anima mia, fu durante il mio ritiro per la seconda Comunione che mi vidi assalita dalla terribile malattia degli scrupoli. Bisogna essere passati attraverso questo martirio per capirlo bene: dire quanto ho sofferto per un anno e mezzo, mi sarebbe impossibile. Tutti i miei pensieri e le mie azioni più semplici divenivano per me oggetto di turbamento; non avevo riposo se non dicendoli a Maria, e ciò mi costava molto, perché mi credevo obbligata a dire i pensieri stravaganti che avevo riguardo a lei stessa. Appena deposto il fardello, gustavo un attimo di pace, ma questa pace passava come un lampo, e ben presto il martirio ricominciava. Che pazienza è stata necessaria a Maria cara, per ascoltarmi e non darmi segni di noia! Appena tornavo dall’Abbazia, lei si metteva ad arricciarmi i capelli per il giorno dopo (perché tutti i giorni, per far piacere a Papà, la piccola regina aveva i capelli arricciati, con grande stupore delle compagne e soprattutto delle maestre le quali non vedevano bambine così curate dai loro genitori), durante la seduta non smettevo di piangere e di raccontare tutti i miei scrupoli. Alla fine dell’anno Celina, avendo finito i suoi studi, rientrò a casa, e la povera Teresa, obbligata a tornare sola a scuola, non tardò ad ammalarsi: l’unica attrattiva che la tratteneva al collegio era vivere con la sua Celina inseparabile, senza lei la «figlioletta» non poté restarci.
122 – Uscii dunque dall’Abbazia all’età di tredici anni, e continuai la mia istruzione prendendo varie lezioni per settimana da «Madame Papinau». Era un’ottima persona erudita, ma aveva un po’ il tono della zitella; viveva con sua madre, ed era incantevole vedere il ménage che facevano in tre (perché la gatta era di famiglia ed io avevo da tollerare che mi facesse le fusa sopra i quaderni, e mi toccava anche ammirare la sua eleganza). Avevo il vantaggio di vivere nell’intimità della famiglia; i Buissonnets essendo troppo lontani per le gambe un po’ invecchiate della mia docente, lei aveva chiesto che andassi a casa sua. Quando arrivavo, generalmente trovavo soltanto la vecchia signora Cochain la quale mi guardava «con i suoi grandi occhi chiari», e poi chiamava con voce calma e sentenziosa: «M.me Papinau… Ma.. .d’mòizelle Thè.. .rèse è qui». La figlia rispondeva prontamente con voce infantile: «Eccomi, Maman». E la lezione cominciava.
123 – Queste lezioni avevano in più il vantaggio (oltre all’istruzione che ricevevo) di farmi conoscere il mondo… Chi l’avrebbe creduto! In quella stanza arredata all’antica, ingombra di libri e quaderni, assistevo spesso a visite di ogni genere: preti, signore, giovanette, ecc. La signora Cochain faceva il più possibile le spese della conversazione per lasciare alla figlia il modo di darmi lezione, ma in quei giorni non imparavo molto; col naso nel libro udivo tutto ciò che dicevano, ed anche quello che sarebbe stato meglio per me non udire; la vanità s’insinua tanto facilmente nel cuore! Una signora diceva che avevo bei capelli… un’altra, uscendo, e credendo di non essere intesa, domandava chi fosse quella giovanetta così carina; e così tali parole, tanto più lusinghiere quanto meno erano dette in presenza mia, mi lasciavano nell’anima una compiacenza dalla quale capivo facilmente di essere piena di amor proprio.
124 – Oh, come ho compassione delle anime che si perdono! E così facile smarrirsi nei sentieri fioriti di questo mondo… senza dubbio per un’anima un poco elevata, la dolcezza che il mondo offre è mescolata con amarezza, e il vuoto immenso dei desideri non potrebbe essere colmato dalle lodi d’un istante… Ma se il mio cuore non fosse stato innalzato verso Dio fin dal primo risveglio, se il mondo mi avesse sorriso fin dal mio entrare nella vita, che sarei divenuta? Oh, Madre mia cara, con quanta riconoscenza canto le misericordie del Signore! Egli mi ha, come dice la Sapienza, «ritirata dal mondo prima che il mio spirito fosse corrotto dalla sua malizia e che le sue apparenze ingannevoli avessero sedotta l’anima mia». La Vergine Santa vegliava anche lei sul suo fiore umile, e non voleva vederlo appassire al contatto delle cose terrene, perciò lo portò sopra il suo monte prima che esso sbocciasse. Aspettando quel momento felice la piccola Teresa cresceva in amore verso la sua Mamma del Cielo; per provarle questo amore ella fece un atto che le costò molto, e che io cercherò di raccontare brevemente, nonostante la lunghezza di esso.
125 – Quasi subito dopo il mio ingresso nell’Abbazia, ero stata ricevuta nell’Associazione dei santi Angeli; mi piacevano molto le pratiche di devozione che essa imponeva, poiché provavo un’attrattiva particolare a pregare gli spiriti beati del Cielo e soprattutto quello che il buon Dio mi ha dato come compagno nel mio esilio. Qualche tempo dopo la mia prima Comunione, il nastro d’aspirante alle Figlie di Maria sostituì quello dei santi Angeli, ma io lasciai l’Abbazia quando ancora non ero stata accolta nell’associazione della Santa Vergine. Essendo uscita prima di aver compiuto i miei studi, non avevo il permesso di entrare come ex-allieva; confesso che questo privilegio non eccitava il mio desiderio, ma pensando che tutte le mie sorelle erano state «Figlie di Maria», temetti di essere meno di loro figlia della mia Madre dei Cieli, e andai molto umilmente (benché mi costasse), a chiedere di essere ricevuta nell’associazione della Santa Vergine all’Abbazia. La prima maestra non volle rifiutarmi, ma mise come condizione che io rientrassi due giorni per settimana nel pomeriggio per dimostrare se ero degna di essere ammessa. Ben lungi dal farmi piacere, questo permesso mi costò moltissimo; non avevo come le altre ex-allieve, una maestra amica con la quale passare varie ore; così mi contentavo di andare a salutare la maestra, poi lavoravo in silenzio per tutta la lezione di cucito o ricamo. Nessuno faceva attenzione a me, e così salivo alla tribuna della cappella, e rimanevo davanti al Santissimo fino al momento in cui Papà veniva a prendermi; era la sola consolazione: Gesù non era forse il mio unico amico? Non sapevo parlare che a lui, le conversazioni con le creature, perfino le conversazioni pie, mi stancavano l’anima. Sentivo che è meglio parlare a Dio che di Dio, perché si mescola tanto amor proprio nelle conversazioni spirituali! Ah, proprio per la Santa Vergine soltanto venivo all’Abbazia… talvolta mi sentivo sola, molto sola, come nei giorni della mia vita di collegio quando passeggiavo triste e malata nel cortile grande, ripetevo le parole che mi facevano sempre rinascere nel cuore la pace e la forza: «La vita è la tua nave e non la tua dimora». Già da piccolissima ritrovavo coraggio in questo verso; ancora oggi, nonostante gli anni che cancellano tante impressioni di pietà infantile, l’immagine della nave affascina l’anima mia e l’aiuta a sopportare l’esilio. Anche la Sapienza dice che: «La vita è come la nave che rompe le acque agitate e non lascia dietro sé traccia del proprio passaggio». Quando penso a queste cose, l’anima già s’immerge nell’infinito, mi sembra già di toccare la riva eterna. Mi pare di ricevere l’abbraccio di Gesù, di vedere la mia Madre del Cielo venirmi incontro con Papà… Mamma… i quattro angeli… Credo di godere finalmente e per sempre della vera, dell’eterna vita in famiglia…
126 – Prima di veder la famiglia riunita al focolare paterno dei Cieli, dovevo passare attraverso tante separazioni! L’anno nel quale fui accolta tra le Figlie della Vergine Santa, mi rapì la mia cara Maria, l’unico sostegno della mia anima… Era Maria che mi guidava, mi consolava, mi aiutava a praticare la virtù; era il mio solo oracolo. Senza dubbio, Paolina m’era rimasta bene addentro nel cuore, ma Paolina era lontana, così lontana da me! Avevo sofferto il martirio per assuefarmi a vivere senza lei, per accettare tra lei e me dei muri impenetrabili; ma finalmente avevo riconosciuto la triste realtà. Paolina era perduta per me, quasi allo stesso modo come se fosse morta. Mi amava ancora, pregava per me, ma, agli occhi miei, la mia Paolina cara era divenuta una Santa, la quale non doveva più capire le cose della terra; e le miserie della povera Teresa, se lei le avesse conosciute, avrebbero dovuto farla stupire e impedirle di amar tanto la sorellina. D’altra parte, quand’anche avessi voluto confidarle i miei pensieri come ai Buissonnets, non avrei potuto farlo, i «parlatori» erano riservati a Maria. Celina ed io avevamo il permesso di venire alla fine, appena in tempo per sentirci stringere il cuore… Così avevo realmente Maria sola, ella mi era indispensabile, dicevo i miei scrupoli unicamente a lei, ed ero tanto obbediente che il mio confessore non ha conosciuto mai la mia brutta malattia; gli dicevo soltanto il numero di peccati che Maria mi aveva permesso di confessare, non uno di più, e in tal modo avrei potuto passare per l’anima meno scrupolosa della terra, nonostante che lo fossi all’ultimo grado. Maria sapeva dunque tutto ciò che accadeva nell’anima mia, conosceva anche il desiderio di entrare nel Carmelo, e io l’amavo tanto che non potevo vivere senza lei.
127 – Tutti gli anni la zia c’invitava a turno da lei a Trouville, a me sarebbe piaciuto tanto andarci, ma con Maria! Quando non ce l’avevo, mi annoiavo molto. Tuttavia una volta ebbi veramente piacere a Trouville, fu l’anno del viaggio di Papà a Costantinopoli; per distrarci un poco (perché eravamo tanto dispiaciute sapendo Papà così lontano), Maria ci mandò, Celina e me, a passare quindici giorni in riva al mare. Mi ci divertii molto perché avevo la mia Celina. La zia ci procurò tutti i piaceri possibili: passeggiate sul somaro, pesca delle triglie, e così via. Ero ancora molto bambina, nonostante i miei dodici anni e mezzo; ricordo la mia gioia quando mi misi dei bei nastri azzurro-cielo che la zia mi aveva regalato per i capelli; ricordo anche di essermi confessata proprio a Trouville di quel piacere fanciullesco che mi pareva un peccato. Una sera ebbi un’esperienza che mi sorprese molto. Maria (Guérin) la quale era quasi sempre malaticcia, piangiucchiava spesso; allora la zia l’accarezzava, le dava i nomi più teneri, e la cara cuginetta continuava, nonostante ciò, a dire lacrimando che aveva mal di capo. Io che avevo mal di testa quasi ogni giorno, e non me ne lamentavo, una sera volli imitare Maria, e mi sentii in dovere di lacrimare sopra una poltrona in un angolo del salotto. Subito Giovanna e la zia si occuparono di me: «Che cos’hai?». – «Ho mal di testa». Ma pare che non mi si addicesse lamentarmi, non potei mai persuaderle che il mal di capo mi facesse piangere; invece di coccolarmi, mi parlarono come a una persona grande, e Giovanna mi rimproverò la poca fiducia nella zia, perché pensava che avessi una inquietudine di coscienza: insomma, fui pagata a mie spese, ben risoluta a non imitar più gli altri, e capii la favola «dell’asino e del canino». Ero l’asino che, viste le carezze prodigate al canino, era venuto a mettere le sue povere zampe sulla tavola per ricevere la sua parte di baci; ahimè! se non ricevetti le bastonate come il povero animale, ricevetti davvero il soldino adatto per me, e quel soldino mi guarì per sempre dalla voglia d’attirar l’attenzione; l’unico sforzo che avevo fatto per questo scopo mi era costato troppo! L’anno seguente, cioè quello in cui la mia cara Madrina partì, la zia m’invitò ancora, ma questa volta sola, e mi trovai tanto spaesata, che entro due o tre giorni ero malata, e bisognò che mi riconducessero a Lisieux; la malattia che temevano fosse grave, in realtà era soltanto nostalgia dei Buissonnets, appena ebbi messo piede a casa, tornò la salute… Ed era a quella bimba lì che il buon Dio stava per togliere l’unico appoggio che l’attaccasse alla vita!
128 – Appena seppi la decisione di Maria, risolsi di non prendere più svago né piacere su questa terra. Da quando ero uscita dal collegio, mi ero installata nella ex stanza di pittura di Paolina e l’avevo accomodata a gusto mio. Era un vero bazar, un’accozzaglia di pietà e di curiosità, un giardino e una voliera… Così, sul fondo si stagliava una grande croce di legno nero senza il Cristo, alcuni disegni che mi piacevano; sopra un altro muro, un canestro guarnito di mussola e di nastri rosa con erbe fini e fiori; sulla quarta parete troneggiava, solo, il ritratto di Paolina a dieci anni; sotto esso c era una tavola sulla quale era posata una gabbia ampia che racchiudeva un gran numero di uccelletti, e questi, col loro cinguettio melodioso rompevano il capo ai visitatori, ma non già alla loro padroncina che li amava tanto. C’era anche il «mobiletto bianco» pieno di libri miei di studio, quaderni, ecc… Su quel mobile era posata una statua della Vergine Santa con dei vasi sempre ornati di fiori naturali, e dei candelieri; intorno varie piccole statue di santi e sante, panierini in conchiglie, scatole di carta bristol, ecc.! Finalmente il mio giardino era sospeso davanti alla finestra nella quale curavo alcuni vasi da fiori (i più rari che potessi trovare); avevo ancora una giardiniera nell’interno del «mio museo», e ci mettevo la mia pianta privilegiata. Davanti alla finestra era situata la mia tavola coperta con un tappeto verde, e su quel tappeto avevo posto, proprio in mezzo, una clessidra, una statuetta di san Giuseppe, un porta-orologi, dei panieri di fiori, un calamaio, ecc… Alcune seggiole zoppe, e l’incantevole letto per la bambola di Paolina completavano tutto il mio arredamento. Davvero quella povera soffitta era un mondo per me, e come il signore de Maistre potrei comporre un libro chiamandolo «Viaggio intorno alla mia stanza». In questo ambiente restavo sola per ore intere studiando e meditando davanti alla bella vista che mi si stendeva dinanzi.
129 – Quando seppi della partenza di Maria, la mia stanza perse per me tutto il suo fascino, non volevo lasciare un solo attimo la sorella carissima che sarebbe partita presto. Quanti atti di pazienza le ho fatto fare! Ogni volta che passavo davanti alla porta di camera sua, bussavo fino a farmi aprire, e l’abbracciavo con tutto il cuore, volevo far provvista di baci per tutto il tempo che dovevo rimanerne priva. Un mese prima che lei entrasse nel Carmelo, Papà ci condusse ad Alencon, ma questo viaggio non somigliò lontanamente al primo, tutto fu tristezza e amarezza per me. Non posso dire le lacrime che piansi sulla tomba di Mamma, perché avevo dimenticato di portare un mazzo di fiordalisi colti per lei. Mi addoloravo veramente per tutto! Ero il contrario di ora! perché il buon Dio mi ha fatto la grazia di non abbattermi per veruna cosa passeggera. Quando ricordo il passato, l’anima mia trabocca di riconoscenza vedendo i favori ricevuti dal Cielo, in me si è operato un cambiamento tale che non sono riconoscibile. E vero che desideravo la grazia «di avere un dominio pieno sulle mie azioni, di essere la padrona di me, e non la schiava». Queste parole della Imitazione mi commovevano profondamente, ma io dovevo acquistare direi quasi con i miei desideri questa grazia inestimabile; ero ancora soltanto una bambina la quale pareva non avesse altra volontà se non quella degli altri, e ciò faceva dire alla gente di Alencon che ero debole di carattere…
130 – Fu durante quel viaggio che Leonia compì un tentativo presso le clarisse; a me fece dispiacere il suo ingresso straordinario perché l’amavo molto, e non avevo potuto abbracciarla prima che partisse. Mai dimenticherò la bontà e l’impaccio del mio carissimo Babbo quando ci annunciò che Leonia aveva già l’abito di clarissa. Come noi trovava che la cosa era assai strana, ma non voleva dir niente, vedendo quanto Maria era scontenta. Ci condusse al convento e là sentii una stretta al cuore come mai avevo provato all’aspetto di un monastero, provavo l’effetto opposto a quello del Carmelo, ove tutto mi dilatava l’anima. La vista delle religiose non mi disse gran che di più, e non fui tentata di rimanere fra loro; quella cara Leonia era carina davvero nel suo nuovo abito, ci disse di guardar bene i suoi occhi perché non li avremmo più rivisti (le clarisse non si fanno vedere se non a occhi bassi), ma il buon Dio si contentò di due mesi di sacrificio, e Leonia tornò a mostrare i suoi occhi blu spesso velati di lacrime. Lasciando Alencon credevo che sarebbe rimasta con le Clarisse e perciò mi allontanai col cuore grosso grosso dalla triste via della Mezzaluna. Eravamo tre sole, ormai, e ben presto la nostra cara Maria ci avrebbe lasciate anche lei… Il 15 ottobre fu il giorno della separazione Della gioiosa e numerosa famiglia dei Buissonnets rimanevano soltanto le due ultime… Le colombe erano fuggite dal nido paterno, quelle che restavano avrebbero voluto sciamare con loro, ma le ali erano ancor troppo deboli perché potessero spiccare il volo. Il buon Dio che voleva chiamare a sé la più piccola e debole di tutte, si affrettò a svilupparle le ali. Lui che si compiace di mostrare la sua bontà e la sua potenza servendosi degli strumenti meno degni, volle ben chiamarmi prima di Celina la quale senza dubbio meritava più di me questo favore; ma Gesù sapeva quanto ero debole, e perciò mi nascose per prima nel cavo della roccia.
131 – Quando Maria entrò nel Carmelo ero ancora molto scrupolosa. Non potendo più confidarmi con lei, guardai verso il Cielo. Mi rivolsi ai quattro angeli che mi avevano preceduta lassù, perché pensavo che quelle anime innocenti non avendo mai conosciuto turbamenti né timori, dovevano aver pietà della loro sorellina la quale soffriva sulla terra. Parlai loro con semplicità di bambina, feci notare che, essendo l’ultima della famiglia, ero stata sempre la più amata, la più colmata di tenerezza da parte delle sorelle; che se fossero rimasti essi sulla terra, mi avrebbero certamente dato altrettante prove di affetto… La loro partenza per il Cielo non mi pareva una buona ragione pèr dimenticarmi, anzi, trovandosi essi a potere attingere dai tesori divini, dovevano prendere per me la pace, e dimostrarmi così che in Cielo si sa ancora amare! La risposta non si fece attendere, ben presto la pace inondò l’anima mia con le sue acque deliziose, e capii che, se ero amata sulla terra, lo ero anche nel Cielo… Da quel momento in poi la devozione crebbe verso i miei fratellini e sorelline, e mi piace di conversare spesso con loro parlando delle tristezze di questo esilio… del desiderio di raggiungerli presto nella Patria celeste!