Un aiuto per capire la fede: le religioni
Questione 3.4
Domanda:
L’appartenenza ad una religione dipende solo dall’educazione ricevuta dai genitori o dalla religione del Paese in cui uno è nato e cresciuto?
Risposta:
Normalmente gran parte delle convinzioni di una persona dipende dall’educazione ricevuta in famiglia e dall’ambiente socio-culturale in cui vive.
E sostanzialmente è giusto che sia così, poiché non esiste né può esistere un’educazione neutrale. Anche chi pretendesse di non dire nulla ai propri figli (cosa peraltro impossibile), pensando così di lasciarli liberi di fare le proprie scelte (come oggi spesso si pensa) non è mai neutrale. Il nulla di contenuti non è sinonimo di neutralità, ma è una scelta ben precisa – come abbiamo sopra ricordato – ed è la peggiore di tutte (nichilismo). Anche il passare superficialmente da una visione all’altra della vita (un “sentire molte campane”, come oggi si dice e si insegna, anche nei dibattiti televisivi e nelle scuole) – tra l’altro quasi mai con la possibilità di un confronto reale dei contenuti né con validi criteri di giudizio – non significherebbe altro che lasciar ancora colui che deve essere educato nella confusione e poi di fatto nella dipendenza dalla mentalità dominante (se non addirittura dai propri impulsi).
Pur secondo intensità diverse, dovuto al diverso grado di intelligenza e di cultura, il giovane che si avvia verso la vita adulta, può però verificare le convinzioni ricevute durante l’infanzia, cioè può e deve cercarne le ragioni, il perché, divenendo così capace di riconoscerne la verità o meno e di confrontarle con altre, potendo rendersi quindi conto della maggiore o minore “verità” di una rispetto alle altre.
E’ un momento particolarmente importante della crescita della persona ed un compito difficile ma entusiasmante che l’educatore deve assumersi e che sempre più il giovane stesso deve svolgere; esso richiede normalmente degli aiuti da parte di persone (spec. più adulte e mature) competenti e sinceramente appassionate dell’autentico bene (verità) della persona (e non condizionate, ad esempio, dal consenso o dalle mode ideologiche del momento). Tutto questo lavoro di verifica personale è difficile, può cadere nel pericolo “adolescenziale” di un rifiuto o contestazione a priori delle convinzioni ricevute nell’infanzia, o in quello del comodo, dell’istintività, dello stato d’animo, della pigrizia, delle pressioni degli amici o dei mass-media, della paura dell’emarginazione da parte degli altri, ma non è impossibile ed è invece doveroso, come compito prioritario della vita.
Tutto questo vale anche per l’esperienza religiosa, per la verifica ed approfondimento della propria e per il confronto con le altre. Avevamo osservato [cfr. 1.12 e 1.14] che questa ricerca è la più fondamentale ed importante della vita, in cui nessuno può limitarsi ad un’impressione sommaria e superficiale, poiché ne va di mezzo la propria vicenda umana ed il suo esito eterno.
Nella precedente risposta, pur non entrando nel merito di un’analisi dettagliata, abbiamo visto che non solo è possibile cogliere le differenze tra le diverse religioni, ma anche la loro maggiore o minore verità e quindi anche il maggiore o minore valore per la vita umana. Questo non permette certo alcun atteggiamento di disprezzo verso nessuna esperienza; anzi, un’esperienza superiore saprà certamente valorizzare anche tutta la positività già presente in un’esperienza di verità più ridotta, ma la completa.