Un aiuto per capire la fede: le religioni
Questione 3.3
Domanda:
Come mai ci sono tante religioni? Sono tutte uguali, equivalenti? è possibile dare un giudizio obiettivo?
Risposta:
Molti pensano che in fondo le religioni siano tutte uguali, che ciò che le differenzia siano particolari secondari e insignificanti, se non addirittura una questione di nomi. In realtà ci sono innumerevoli e significative differenze; su cui è possibile anche un confronto e perfino una valutazione (su quale sia più profonda e completa, quindi più vera, di un’altra).
Il clima relativista oggi dominante nasconde sotto il velo del doveroso rispetto o tolleranza per ogni convinzione la concezione che tutto sia opinione e tutte le opinioni siano equivalenti: non ci sia cioè un vero o un falso, un bene e un male, un più vero o meno vero, un meglio o un peggio. Questo relativismo, unito anche ad un materialismo scientista (v. Questione 1) secondo cui ciò che supera l’esperienza empirica sembra senza fondamento razionale, si riversa più che mai sulle religioni. E molti pensano erroneamente che sia questa l’unica base del “dialogo interreligioso”. Il laicismo poi, sotto il pretesto di rispettare ogni religione e di non privilegiarne alcuna (neppure quella che costituisce la base della propria civiltà), di fatto le nega tutte, come se il silenzio e l’assenza di qualsiasi riferimento religioso fosse una sorta di “neutralità”, mentre di fatto è una scelta ben precisa e la peggiore di tutte, quella del nulla (nichilismo).
Se il rispetto per ogni convinzione e in particolare per ogni religione è doveroso – visto che Dio in ogni religione è il valore assoluto, il Bene più grande dell’esistenza (e per questo la libertà religiosa è non solo un diritto fondamentale dell’uomo ma perfino il fondamento di tutti gli altri diritti) – questo non significa che tutte le religioni siano uguali e neppure equivalenti (abbiano cioè lo stesso valore).
Qua non entriamo in un’analisi particolareggiata; vogliamo solo capire che, se in ogni religione ci sono questi tre contenuti fondamentali (Dio, anima, aldilà), questo non significa affatto che essi siano uguali o equivalenti.
Come s’è detto già a proposito della verità in genere (cfr. Questione 1.4), tali differenze o sono complementari, per cui possono coesistere (ad esempio: una religione sa che c’è un Dio onnipotente ed un’altra sa che Dio è Amore); ma se sono contraddittorie non sono entrambe vere (ad esempio: una è politeista ed una è monoteista) ed è possibile anche razionalmente valutare e giudicare il loro contenuto (ad esempio: il monoteismo è superiore al politeismo).
E’ possibile anche formulare un rispettoso giudizio anche sui contenuti morali di una religione. Ad esempio: una religione che predica l’amore è superiore ad una religione che predica l’odio; una religione che predica il rispetto della coscienza è superiore ad una religione che vuole imporsi con la forza; una religione che fa sacrifici umani è superiore ad una religione che li esclude. Ancora: l’odio per gli infedeli dell’islam o le discriminazioni razziali e di casta dell’induismo sono evidentemente ad un livello morale inferiore rispetto alla legge dell’amore universale e della uguaglianza di tutti gli uomini emergente nel cristianesimo.
Evidentemente ci possono essere comprensioni più o meno profonde dell’unico Dio e non diversi déi. Si tratta quindi di capire Chi è il vero Dio.
Che Dio sia uno lo hanno scoperto non solo le più grandi religioni (dette appunto “monoteiste”) ma già la stessa filosofia (classica greca, nei suoi più grandi autori).Del resto, se si capisce un poco cosa significhi Dio, si coglie anche razionalmente che non possa che essere “uno e unico”. Come infatti abbiamo visto (cfr. 2.7), non c’è possibilità di esistenza per due “Dei”, per due esseri perfetti: non si distinguerebbero neppure, sarebbero cioè coincidenti, visto che la distinzione tra due esseri è data dalla differenza, cioè dalla mancanza o presenza di una qualità in uno rispetto ad un altro; ma se un Dio avesse una qualità in più rispetto ad un altro non sarebbe Dio l’altro, perché mancherebbe di una qualità, cioè non sarebbe perfetto; e viceversa.
Dobbiamo avere certamente rispetto anche per un primitivo che adorasse ancora il sole o lo spirito del bosco come delle divinità (animismo); ma questo non toglie che posso e debbo sapere che il sole non è Dio (perché non è causa di se stesso) e che lo spirito del bosco non esiste.
Gli déi pagani sono evidentemente intrisi di antropomorfismo, cioè chiaramente viene proiettato in loro quanto è proprio ancora dell’uomo (marito e moglie, invidie e gelosie, residenze sui monti).
Posso anche sapere che i 33 milioni di déi dell’induismo non sono vere divinità ma semplicemente la divinizzazione delle forze della natura; e che la loro Triade superiore di divinità (Dio creatore, Dio conservatore, Dio distruttore) non è affatto una concezione analoga alla Santissima Trinità (cristiana), ma un tentativo ancora incompleto di spiegare l’essere e il divenire di tutte le cose.
Le religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo ed islam – che fanno tra l’altro riferimento al Dio biblico), sottolineando l’unità ed unicità di Dio, sono quindi superiori a quelle politeiste. La concezione di Dio come puro Spirito trascendente è certamente più elevata ed adeguata di quelle con tracce materialiste e antropomorfiche. Dio rivelatosi come Amore (in Cristo) è infinitamente superiore ad un Dio chiuso in Se stesso (impassibile e senza amore, come troviamo ancora nella filosofia di Platone) o addirittura iroso e geloso delle proprie prerogative.
Anche la preghiera, pur essendo universalmente presente e indicando non solo il desiderio di Dio ma la consapevolezza di un possibile dialogo con Lui, non è però uguale in tutte le religioni.
La preghiera per rendersi favorevoli le forze della natura di una religione animista è certamente diversa e inferiore alla preghiera di adorazione e sottomissione al Dio unico e trascendente dei musulmani; ma questa, pensando che non sia possibile una vera e propria relazione d’amore con Dio, rimane un semplice atto di adorazione e sottomissione (islam significa appunto sottomissione); per questo la preghiera musulmana è ad esempio non solo notevolmente diversa ma anche di fatto inferiore al “Padre nostro” cristiano, dove l’uomo è reso figlio nel Figlio e può amorevolmente abbandonarsi all’amore di un Dio che chiama addirittura col titolo di Abbà (il titolo confidenziale e amorevole che usa il bambino nei confronti del proprio papà).
Se in ogni religione, ma anche già nelle più profonde filosofie, si sa che l’uomo non è solo il suo corpo ma ha un’anima, e questa, essendo spirituale, è immortale, ciò non significa che tale fondamentale contenuto sia uguale ed equivalente in ogni religione. [Sulla creazione dell’uomo e la presenza in lui dell’anima spirituale, v. nel Dossier Darwin e l’evoluzionismo cap. 4]
L’uomo ha sempre intuito (lo testimoniano anche i più antichi reperti della paleoantropologia) di non essere solo un corpo, ma che il suo “io” (la sorgente dei pensieri e delle decisioni libere) è spirituale e per questo continua a vivere anche dopo la morte del corpo. Non solo ogni religione crede questo, ma anche le più importanti filosofie dimostrano razionalmente come la presenza nell’uomo del pensiero e della libertà (facoltà spirituali) non sia riconducibile solamente ad una cervello evoluto ma richiedano una causa spirituale (“io” come anima spirituale), che come tale non cessa quando il cervello termina la sua attività ed il corpo muore.
Le religioni orientali, ad esempio, considerando il corpo come una prigione dell’anima, da cui progressivamente liberarsi, così che se non si riesce a far questo in una vita l’anima è condannata in altre vite a reincarnarsi in un altro corpo (perfino sub-umano), evidenziano – contrariamente a quanto purtroppo alcuni ormai anche in Occidente pensano, sentendosi attirati da quelle esperienze religiose – un sostanziale disprezzo del corpo (materia come male, corpo in opposizione a spirito), inteso come accessorio (un’anima potrebbe avere più corpi), non partecipe della dignità della propria persona umana, oltre a ridurre o elidere del tutto la libertà (poiché saremmo condizionati dalle vite precedenti).
Possiamo vedere invece come nella Bibbia, ed in particolare nel cristianesimo, l’uomo, pur dotato di spirito e di corpo e pur dovendo dare la priorità allo spirito (che deve governare il corpo), è considerato in modo unitario, così che anche il corpo è creazione buona di Dio (cfr. Gen 1–2) e in Cristo si unisce addirittura alla divinità (Incarnazione), così che anche il nostro corpo parteciperà, alla fine del mondo e secondo un tipo nuovo di vita, alla vita eterna.
Potremmo osservare come un’antropologia (visione dell’uomo) sia tanto superiore ad un’altra quanto più riesce a spiegare in modo profondo ed unitario i diversi aspetti della persona e della vita umana, senza più nulla censurare o dimenticare.
Se in ogni religione, anche la più arcaica, c’è l’idea fondamentale dell’immortalità dell’anima e quindi di una nostra vita dopo questa vita, cosa sia questo Aldilà è notevolmente diverso da religione a religione (sull’Aldilà nella fede cristiana v. Questione 7).
Nell’antichità vediamo un culto dei morti in cui si pensa ingenuamente che essi abbiano ancora dei bisogni materiali (si porta del cibo alle tombe), oppure che quello dei morti sia una sorta di un regno delle ombre (fantasmi). La concezione dell’eternità come nirvana (di molte religioni orientali) è di fatto un annientamento dell’io nel tutto (che poi è niente) e quindi risulta una sorta di dissolvimento della propria persona e individualità. Perfino ancora nella religione ebraica (Antico Testamento biblico) non è per nulla chiaro cosa sia questa vita dopo la morte, questo regno dei morti (inferi).
La parola paradiso significa giardino e si riferisce inizialmente a quel “paradiso terrestre”, descritto all’inizio della Bibbia, che era la condizione dell’uomo prima del peccato originale, quando viveva in amicizia di Dio e non conosceva per questo ancora il male, la sofferenza, la malattia e la morte.
L’Islam, avendo appunto un’idea di Dio molto elevata, trascendente, ma per questo inavvicinabile e irraggiungibile, ha conseguentemente un’idea di paradiso ancora molto materialista (un luogo di godimenti ricevuto come premio da Dio) e non come unione con Lui.
Di fatto solo con Cristo, Dio fatto uomo, si capirà che siamo invece chiamati a partecipare alla vita e felicità eterne di Dio stesso (paradiso), addirittura con il nostro stesso corpo risorto, e che la Via per raggiungerlo è Cristo stesso; ma che possiamo anche tragicamente rifiutare questo dono e rimanerne così privi per sempre (inferno).