Un aiuto per capire la fede: le religioni
Questione 3.1
Domanda:
Perché l’esperienza religiosa è molto più che un semplice sapere che Dio c’è?
Risposta:
Già in un orizzonte solo umano potremmo dire che un uomo autentico cerca la verità non solo per sapere più cose, ma per “saper vivere”. Questo è in fondo il significato stesso della parola “sapienza”, sophia. E’ infatti importante capire, cioè ricercare sinceramente ed appassionatamente la verità, ma sarebbe inutile e perfino perverso fermarsi a capire senza poi vivere quello che si è capito, o almeno cercare di camminare in quella direzione, secondo quel significato scoperto.
Abbiamo già osservato come, sia dal punto di vista intellettuale che da quello esistenziale, la più importante verità da scoprire è che Dio esiste davvero. Ora ci potremmo chiedere: cosa cambia nella vita sapere che Dio c’è?
Il “deismo”, ad esempio quello illuminista, riconosce l’esistenza di Dio, come un Architetto supremo che ha dato origine al cosmo ma poi non se ne interessa più; per cui l’uomo sa di Dio come di una teoria che spiega l’origine di tutte le cose ma che fondamentalmente non c’entra con la vita. In fondo è una sorta di “ateismo pratico”, oggi assai diffuso in Occidente.
In realtà questa straordinaria scoperta, che abbiamo visto può fare anche la sola intelligenza, offre già molti contenuti alla volontà, cioè un orientamento diverso alla vita.
Si vede infatti che quando un uomo comincia a credere, cioè a prendere sul serio l’esistenza di Dio, anche se ancora non sapesse molto di Lui, tutta la sua vita cambia; e allo stesso modo tutto l’orientamento della vita muta se disgraziatamente uno passa dal credere in Dio all’ateismo.
Cambia infatti la percezione della realtà intera e della propria stessa persona: l’uomo non si sente più un minuscolo, casuale ed anonimo pezzettino di materia in un universo immenso e altrettanto casuale, ma vede invece in ogni cosa il riflesso e l’impronta della bellezza, sapienza e amore infiniti che Dio è, il dono di questo “Tu” supremo che non solo fa esistere, ordina e muove ogni cosa, ma che ci pensa, ci vuole, ci ama! Già questo ci spinge non solo a sapere ed a stupirsi, ma ad “adorare”, lodare, ringraziare il Signore di tutte le cose.
Le prime espressioni religiose, prima ancora che essere mosse dal bisogno di aiuto o dalla paura, sono proprio forme di “ringraziamento” (è significativo che, sia pur con motivazioni totalmente nuove, la stessa S. Messa sia fondamentalmente un grande ringraziamento, come indica la parola Eucaristia, durante la quale più volte “rendiamo grazie al Signore nostro Dio”).
Quando scopriamo Dio, scopriamo che quel nostro desiderio infinito di verità, di bene, di bellezza, di felicità, di eternità, di amore, cioè di assoluto, non è allora un desiderio inutile (una “passione inutile”, come direbbe J. P. Sartre), ma è desiderio di Colui che c’è davvero, anche se qui non è ancora visibile e godibile pienamente. Anzi possiamo intuire che questo nostro desiderio, che ci caratterizza nel profondo ma che è invece assente in tutti gli altri animali, ce l’abbia messo dentro Lui, come una Sua “chiamata”, per poterci incamminare verso di Lui e poter così godere di questo Bene Infinito che Lui è. Perfino inconsciamente il desiderio che sta al fondo di noi stessi, potremmo dire il nostro bisogno fondamentale, è il desiderio di Dio.
Quando invece ci fossimo (o ci avessero) convinti che Dio non c’è, questo bisogno di Assoluto, questo desiderio infinito, cerca spasmodicamente di trovare la felicità piena in qualcosa o qualcuno, vuol cioè trovare il paradiso qui; ma inevitabilmente prima o poi tutto si svela come insufficiente, come se non potesse rispondere pienamente a questo nostro bisogno fondamentale. Per questo tutto prima o poi ci delude, specie se ne abbiamo fatto un idolo, cioè pretendendo che possa essere la risposta esauriente al nostro bisogno di felicità. Inoltre nessuno, anche la persona più cara, potrebbe entrare veramente nella profondità del nostro io (visto che è impresa già difficile se non impossibile perfino a noi stessi!) e quindi in fondo al nostro cuore, al nostro essere, siamo fondamentalmente soli. Per questo moltissimi hanno oggi perfino paura della solitudine e del silenzio, sfuggendoli con terrore, quando invece sono così preziosi per ascoltare il fondo di noi stessi. E’ infatti proprio nel più profondo del nostro “io”, dove appunto nessuno può entrare, che invece abita Dio, la sorgente della nostra felicità, l’anticipo invisibile dell’eternità (come descrive benissimo S. Agostino all’inizio delle sue Confessioni).
Per questo l’uomo, che non si ostina a censurare questo fondo della propria umanità ma si apre alla presenza di Dio, comincia a godere di Lui, pur ancora non vedendolo. Comincia cioè a capire che Dio non è qualcosa di astratto, ma di necessario per la vita, per poter essere veri uomini, per poter vivere il senso pieno dell’esistenza, in modo sempre più forte; capisce che è necessario per vincere ogni tristezza, per risollevare lo sguardo dalle nostre piccole e spesso meschine cose, per combattere e vincere il male, cioè ogni resistenza a vivere questa pienezza di senso, ogni riduzione del significato vero delle cose e della vita, a cui siamo sempre tentati. Scopriamo inoltre che da soli non ce la facciamo, che senza di Lui tutto diventa faticoso, talora perfino impossibile; che senza di Lui precipiteremmo nella banalità e perfino in balia di forze (non solo esterne, ma specialmente interne a noi stessi) che pian piano ci distruggerebbero, ci renderebbero schiavi (nonostante l’impressione di libertà) delle nostre passioni, pulsioni, umori, che ci rovinerebbero in fondo la bellezza stessa della vita. Infine, saremmo comunque schiavi della paura della morte, il grande nemico che prima o poi ci vincerà; a meno che non siamo fatti davvero per l’eternità di Dio.
Ora, questo sentimento di stupore e gratitudine, questo desiderio di adorare e ringraziare e nello stesso tempo di invocare ed implorare aiuto, questa tensione verso l’infinito e l’eterno che si scontra con il limite e con la morte, questo desiderio di bene e la continuamente ritornante esperienza del male, tutto questo è la radice del senso religioso, è il segno del nostro bisogno di Dio.
Ogni religione è in fondo espressione di questo anelito, di questo desiderio di Dio, di unione con Lui, di lode e ringraziamento a Lui, di innalzamento a Lui, come l’orizzonte più vasto, adeguato e autentico della vita dell’uomo, un orizzonte senza limiti dentro cui tutti i particolari dell’esistenza acquistano un senso vero ed un orientamento preciso. Ed è appunto per questo motivo, per questa profonda radice che alimenta ogni religione, che non solo la nostra vicenda personale ma l’intera storia di un popolo e di una civiltà è sempre caratterizzata soprattutto dalla propria religione.