C’è davvero una vita dopo questa vita? Ci sono davvero l’inferno e il paradiso? Se Dio è Amore, come fa ad esserci l’inferno?

Questione 7

L’Aldilà

C’è davvero una vita dopo questa vita? 
Ci sono davvero l’inferno e il paradiso? Come facciamo a saperlo? 
Cosa sono?
Se Dio è Amore, se siamo stati creati per il paradiso e se Gesù è morto in Croce per ridonarcelo … come fa ad esserci l’inferno?

Quest’ultima questione (7, nella sezione “Un aiuto per capire la fede“) è in realtà quella più decisiva e fondamentale della vita. Non si tratta infatti semplicemente di sapere se c’è qualcosa dopo questa vita e che cosa c’è, ma tutta la nostra esistenza è orientata e mutata in un senso o in un altro, perfino inconsapevolmente, dalla risposta che abbiamo dentro di noi a questa questione.

Come in un viaggio – e la vita in fondo è un grande viaggio – la questione della meta non è una semplice curiosità e neppure l’ultimo passo del percorso, ma è lo scopo, ciò che dà senso ad ogni nostro passo: non è semplicemente la fine, ma il fine di esso. Se alla fine del viaggio non ci fosse la meta verso cui tendiamo, sarebbe ultimamente vanificato il viaggio stesso, nonostante le eventuali piacevoli tappe che forse potremmo fare. Se poi alla fine del viaggio fossimo certi che c’è per noi un incidente mortale, che ci distruggerà completamente, e che inoltre non potremmo evitare, esso sarebbe una terribile e angosciante corsa verso il nulla … Ogni attesa, ogni speranza, sarebbe annientata alla base. In fondo ogni voglia di vivere, al di là delle maschere o delle droghe che potremmo darci per non pensarci, ogni speranza sarebbe avvelenata ed annientata alla base. E quando un uomo non ha più la speranza si dice che è “di-sperato”. 

Tutte le questioni qui viste finora – quale sia la verità della vita, se c’è Dio, se Dio ci parli e ci chiami in Cristo alla comunione con Sé, cosa sia e a che cosa serva la Chiesa, che senso abbia la vita (cristiana) – tutto in fondo tende a questo scopo; e tutto sarebbe vanificato se alla fine ci fosse il nulla totale di noi.  

Che il corpo non sia tutto di noi e che quindi quando muore il corpo non muore tutto il nostro “io” ma ci sia una vita dopo questa vita è una delle più antiche e diffuse convinzioni che l’uomo mostra di avere da quando appare sulla Terra e in ogni civiltà. Infatti il culto dei morti è antico quanto l’uomo ed è unito all’universale convinzione che c’è l’anima, c’è un’altra vita e c’è Dio nell’aldilà. Le principali civiltà antiche (pensiamo ad esempio agli egiziani, come pure agli etruschi) hanno perfino edificato le dimore anche artisticamente più ricche e preziose non solo per Dio (altari, templi), ma anche per i morti (tombe). Ovviamente tutto ciò non avrebbe alcun senso se non per la convinzione che c’è l’aldilà e che i morti in qualche modo ancora vivono.

Anche una civiltà come quella occidentale, plasmata dal cristianesimo ma sospinta da decenni a diventare materialista e atea, solo apparentemente si dice convinta del contrario, che cioè fermatosi il nostro cuore e spentosi il nostro cervello – per cui il nostro corpo comincia a marcire – ci sia il nulla totale di noi. Se questo, nonostante la spavalderia con cui talora lo si proclama, sarebbe già l’angoscia di fondo della nostra esistenza personale, diventa poi quasi insopportabile quando ci muore una persona cara: intuiamo nel più profondo di noi stessi che, nonostante la sua salma e la sua tomba ora siano lì, sarebbe assurdo che questa cara persona non ci sia assolutamente più. Tanto è vero che anche da noi troviamo scritti, poesie, invocazioni, dialoghi, in cui ai cari morti si continua a dare del “tu”, così come portiamo loro fiori e talora perfino dei doni. Espressioni come “sei sempre con noi”, ” sei nei nostri cuori”, “non ti dimenticheremo”, sarebbero appunto parole al vento, se quella persona in qualche modo o da qualche parte non ci fosse e potesse ascoltarci e vederci.

Per questo si dice che solo l’uomo in senso proprio “muore”, cioè sente il problema della morte, l’angoscia di poter precipitare nel nulla totale, e spontaneamente intuisce che non può essere così. Questa universale questione esistenziale dell’uomo è invece totalmente assente nel mondo animale, dove infatti non troviamo mai traccia dell’idea dell’aldilà (come del resto di nessun’altra idea). 

Tutte le religioni (come abbiamo visto nella Questione 3.2) hanno queste tre fondamentali convinzioni: c’è Dio, c’è l’anima, c’è l’aldilà; pur diversificandosi nella modalità di concepire Dio, l’unione dell’anima col corpo e come sia la vita nell’aldilà. 

Non solo l’universale intuizione dell’umanità, ma anche le vette del pensiero razionale filosofico, già nella classicità greca, avevano compreso non solo che Dio c’è (come abbiamo visto nella Questione 2), ma che l’uomo ha un’anima spirituale e quindi immortale. 

L’inizio della Bibbia (Genesi), dopo averci detto che tutto è “creato” da Dio (Gen 1,1), ci rivela anche che l’essere umano è creato da Dio “a Sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26-27), culmine della creazione. Ora, tale immagine non può essere ovviamente nel corpo – tanto più che proprio il popolo ebraico capisce con assoluta chiarezza che Dio è puro Spirito, tanto da essere considerata persino blasfema qualsiasi immagine di Lui – ma nello spirito. Inoltre all’uomo viene offerto in dono anche l’<albero della vita> (Gen 2,9.16-17), segno dell’immortalità. Nonostante ciò, lungo tutto l’Antico Testamento rimane ancora oscuro cosa possa essere questo Aldilà, questo regno dei morti (Sheòl), da cui eccezionalmente si possono perfino evocare (cfr. 1 Sam 28,8), questo modo di vita in cui c’è forse una ricompensa ai meriti della vita terrena (cfr. Sap 2,22; 3,1). Solo negli ultimi tempi dell’A.T. si capisce che possiamo anche pregare per i morti e così aiutarli (cfr. 2Mac 12,44-45); ma ancora ai tempi di Gesù i teologi discutono animatamente se ci possa essere o no una risurrezione (cfr. Mt 22,23-33; At 23,6-8).

Lo stesso Islam, pur creato da Maometto 6 secoli dopo Gesù, a motivo della sua concezione di Dio (Allah) assolutamente trascendente e quindi irraggiungibile, ha un’idea ancora molto materialista e ingenua dell’aldilà e del paradiso, come una sorta di luogo con tanti piaceri sensibili, cioè ancora una proiezione nell’aldilà dei piaceri terreni, non una vera comunione con Dio.

Solo con Gesù tutto diventa più chiaro: l’uomo è chiamato a partecipare per sempre alla vita stessa di Dio (paradiso); e non solo con la sua anima ma perfino con il suo corpo trasformato. Siamo al mondo per questo; e con Gesù questo è diventato possibile. In quanto creato libero, l’uomo può purtroppo rinnegare questa sua altissima vocazione e persino rifiutarla per sempre, precipitando nella disperazione eterna dell’inferno (privazione di Dio).

Sappiamo bene questo, non solo perché Gesù ce l’ha detto – e della Sua parola siamo sicuri perché Egli è Dio – ma perché è risorto! Appunto non si tratta di una nuova teoria o religione, ma di un fatto, dell’avvenimento centrale della storia e dell’universo, come abbiamo osservato (Questione 4.4 e 4.7). 

È allora davvero sciocco che ancora oggi, dopo duemila anni, qualcuno dica “non è mai venuto nessuno dall’Aldilà a dirci come stanno le cose”, quando è venuto addirittura Dio stesso! L’umanità ora può e deve sapere. Tutte le teorie filosofiche e religiose (immortalità dell’anima, reincarnazione) sono ormai sorpassate o completate da Cristo, con assoluta certezza.

Ed è strano che oggi se ne parli così poco, perfino nella predicazione cristiana, quando questa questione decisiva e fondamentale della vita (“cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”, Mt 19,16) occupa una parte preponderante del Vangelo (*), così che perfino quando Gesù ci parla dei nostri doveri terreni, lo fa ancora in riferimento all’aldilà e al Suo giudizio finale (cfr. ad es. Mt 25,31-46).

Gesù è venuto, è morto in Croce ed è risorto, soprattutto proprio per liberarci dall’inferno e per riaprirci le porte del paradiso, dicendoci cosa credere, ricevere e fare per andarci!

(*): cfr. Mt 5,3-11.19-22.29-30.46; 6,1-6.16-17.19-20; 7,2.13-14.21-23; 8,11-12; 10,15.22.28.32-33.39.42; 11,21-24; 12,32.36-37.41-42; 13,30.39-43.48-30; 16,25-27; 18,3-4.8-9.35; 19,16.24.28-30; 20,8-16.23; 22,13.30-32; 23,32; 24,(3-29), 30-51; 25,1-13.14-30.31-46; 26,64; 27,52. Mc 8,35-38; 9,41.43-49; 10,15.17.23-27.30.40; 12,18-27.40; 13,4-36; 14,62; 16,14-16. Lc 6,20-26.38; 9,24-26; 10,12.14.25; 11,31-32; 12,4-5.8-10.19-21.33-48; 13,3.5.23-30; 14,14.15-24; 16,9.19-31; 17,20-37; 18,8.17.1824-27.30; 19,11-27; 20,27-38.47; 21,8-36; 22,28-30.69; 23,42-43. Gv 1,51; 3,11-13.15-18.36; 5,22-29; 6,27.35-40.44.47-51.53-58; 7,34; 8,21-23.51; 10,9.17-18.28; 11,23-26; 12,25.47-48.50; 13,33.36; 14,1-6; 16,16-23.28; 17,1-3.24; 18,36.

Ascolta l’audio-catechesi di don Antonio Cecchini sul tema: