Cosa devo fare quando mi scoraggio e mi viene da dire “non è per me”, “quasi quasi mi lascio andare"? (Questione 6.15)

Un aiuto per capire la fede: la vita cristiana

Questione 6.15


Cosa devo fare quando mi scoraggio e mi viene da dire “non è per me”, “quasi quasi mi lascio andare, faccio come fanno ormai tutti”, “torno a fare la vita di prima”?

Non devo assolutamente cadere in questa trappola infernale di Satana, più pericolosa della prima (la pigrizia, il rimandare), perché può portarmi anche psicologicamente alla disperazione e moralmente in una situazione peggiore della precedente (Mt 12,43-45, Pt 2,19-22), con l’aggravante di non aver più la forza e la voglia di tornare, avendo già provato.
Il cammino verso la salvezza eterna (paradiso) è attraversato anche da molte “prove”, e di tanti tipi, ma sappiamo con assoluta certezza che se Dio le permette (anche quando non le vuole direttamente) è perché può trarne certamente un bene e ci dona tutte le grazie necessarie per superarle, così che alla fine siamo ancora più in alto e più felici che se non le avessimo incontrate e attraversate. 

Ci possono essere nella vita momenti di tempesta (cfr. Mc 4,37-41) e talora sembra proprio di stare per affondare; non dobbiamo però avere paura. L’unica preoccupazione deve essere quella di avere Gesù sulla barca della nostra vita, di non averlo lasciato a riva; perché se è con noi, anche se sembra dormire, magari all’ultimo momento mette tutto a posto, perché lui comanda anche al vento e al mare!

Non devo dunque avere paura, perché Dio è più forte di ogni male e Cristo ha vinto definitivamente il demonio. Non devo mai dubitare della Sua infinita misericordia! Questo dubbio lo addolora più dei nostri peccati (come ha rivelato a Santa Faustina Kowalska – v. Coroncina della Divina Misericordia). 

Non devo però essere neppure stolto: devo essere “semplice come le colombe ma prudente come i serpenti”, dice Gesù (Mt 10,16). Mi decido, taglio cioè alcune cose che impediscono il volo. Può lì per lì essere anche doloroso, ma è una buona chirurgia per essere davvero liberi e non chiamare più libertà la schiavitù. Ma anche non mi faccio mai scoraggiare dal demonio (che mi sussurra: vedi che non sei capace, che non è vita per te!?). Se cado, chiedo subito perdono a Gesù  nel mio cuore; e se è stato un peccato grave, non vedo l’ora di andarmi a Confessare, non con ansia od ossessione, ma con la gioia del “figliol prodigo” che torna a casa e trova un Padre che sempre accoglie e fa davvero festa (cfr. Lc 15,11-24). Questo non significa prendere le cose alla leggera: lasciare cioè che nella mente (prima ancora che i fatti, le occasioni prima ancora che i peccati stessi) rimanga o ritorni il pensiero “ma in fondo si stava bene tra porci e ghiande …”, perché in fondo ormai sappiamo che non è vero, che è un’illusione, che è magari un amo abbellito con qualcosa di gustoso con cui il demonio vuole ripescarmi per riportarmi nella sua schiavitù, nella palude di una vita vuota e senza senso, senza Dio!

Si tratta allora di un buon combattimento, della sfida vera della vita, che avrà conseguenze eterne; ma so anche che non sono lasciato solo, che Cristo ha già vinto, che questa battaglia si vince con Lui, con le armi spirituali, con la Sua grazia.

Accada anche a noi, al termine della vita, di dire quello che disse S. Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7).