Il divenire dell’universo richiede come causa l’esistenza di Dio? L’esistenza di un Essere è causa di ogni divenire (Questione 2.5)

Un aiuto per capire la fede: Dio

Questione 2.5


L’universo si trasforma, diviene, si muove. Tutto questo divenire può essere causa di se stesso o anche questo richiede l’esistenza di Dio come causa?

Può sembrare strano, ma in filosofia quello del “divenire” è sempre stato un problema, se non addirittura il problema principale, così che potremmo suddividere le diverse scuole filosofiche in filosofie dell’essere o in filosofie del divenire (queste ultime oggi imperanti).

Come sappiamo fin dall’inizio la filosofia ha dovuto affrontare questo problema, senza trovare subito un soluzione tra i due estremi. Parmenide, avendo scoperto la legge dell’essere ma volendo trovare l’essere pieno in tutte le cose, negò infatti il divenire. Eraclito, volendo invece affermare che tutto è divenire, arrivò a negare l’essere. La soluzione giunse in fondo già con Aristotele, che comprese come il problema del divenire non possa risolversi se non rimandando ad altro: ogni cosa che diviene diviene a causa di un’altra cosa e se tutto diviene diviene a causa di un altro Essere che trascende tutto il divenire (che per Aristotele è perfino ancora un divenire senza inizio e senza fine) e che a sua volta non diviene (Primo Motore Immobile).

Perché il divenire è un problema di non facile soluzione? Perché vediamo che tutte le cose divengono, si trasformano, si muovono, passano cioè dal non esserci all’esserci, dall’esserci al non esserci più, dall’essere in un modo all’essere in un altro modo, cioè in un’altra forma di essere. Nello stesso tempo la nostra intelligenza capisce però immediatamente, cioè con assoluta evidenza, che il nulla non fa nulla. Non solo il passaggio di una cosa dal non-esserci all’esserci richiede necessariamente una causa esterna, come abbiamo visto, ma anche ogni trasformazione, ogni divenire, perché anche ogni divenire, anche se non è un passaggio dal nulla totale all’essere è comunque un passaggio dall’essere in un modo all’essere in un altro modo, perché è comunque un passaggio dal non-essere così all’essere così, o viceversa. Ogni cosa che si trasforma, che diviene, si trasforma a causa di qualche cos’altro, cioè non ha in sé totalmente la causa del suo divenire.

Il concetto di “automobile” è per sé contraddittorio. La nostra automobile (con enfasi detta anche “la macchina”, cioè la macchina per eccellenza) si è chiamata così perché apparentemente si auto-muove, non essendoci più bisogno della forza trainante di un animale (ad es. il cavallo); ma in realtà si è sostituita soltanto la forza muscolare dell’animale con la forza del carburante che brucia e spinge il pistone nel cilindro, facendo muovere la ruota (non a caso ancora oggi esprimiamo questa potenza in “cavalli”). L’automobile in realtà, come un gioco di prestigio, nasconde il trucco, cioè la forza che la muove c’è ma è semplicemente nascosta; infatti basta lasciarla senza benzina e non si muove più (rimane in “potenza” – ed usiamo significativamente un linguaggio aristotelico: potenza e atto – può cioè muoversi, ma di fatto non si muove). Anche ogni energia deriva sempre da altre fonti (il petrolio ridona una energia accumulata in milioni di anni da altre fonti di energia). Nessuna cosa dunque si automuove. Perfino il “vivente”, che pur sembra capace di automuoversi, in realtà per vivere e divenire ha bisogno di energia assunta esternamente, ha bisogno cioè nutrirsi e di respirare, cioè di altro da sé non solo per nascere, ma per continuare a vivere. Anche in questo caso potremmo dar ragione a Lavoisier solo correggendolo, cioè completando necessariamente la sua affermazione “tutto si trasforma” con un “a causa di qualcos’Altro”.

Ora, poiché l’universo si trasforma (diviene, si muove), dipende in questo suo trasformarsi da altro. Nessuna trasformazione cioè è davvero spiegata, anche risalendo indietro in una catena infinita, se non si trova una sorgente di tutto il divenire, una sorgente di essere e di ogni divenire che non derivi da altro il proprio essere e la propria forza. Occorre dunque necessariamente ammettere l’esistenza di un Essere che è causa di ogni divenire, ma che a sua volta non divenga (altrimenti sarebbe a sua volta causato ed il problema sarebbe solo spostato ulteriormente di una posizione, rimanendo lo stesso, senza soluzione; invece una soluzione ci deve essere perché di fatto io vedo come esistente il divenire).
Anche se per ipotesi ormai abbandonata l’universo esistesse da sempre (come per Aristotele), poiché diviene sarebbe comunque causato da Dio, dipendente da Dio nel suo stesso divenire.

L’ipotesi di un universo esistente da sempre – ipotesi ormai abbandonata dalla scienza ma esclusa già dalla prima frase della Bibbia che ci parla di un “principio” (Gen 1,1) – non è però in sé assurda e quindi filosoficamente da analizzare, come dice anche S. Tommaso d’Aquino.

In altri termini, se una cosa per ipotesi esistesse da sempre, non avesse cioè un inizio, non ci sarebbe certo più il problema di chi l’ha fatta (da dove riceve il suo essere), ma non per questo risulterebbe subito autonoma, autosufficiente. Il fatto appunto che divenga, si trasformi, la fa comunque dipendere da altro.

Se un’automobile ci fosse paradossalmente da sempre ma fosse da sempre in movimento, non ci sarebbe certo più il problema di chi l’ha costruita, ma rimarrebbe anche all’infinito il problema di come fa a muoversi e richiederebbe ugualmente da sempre una causa esterna (una sorta di flusso eterno di benzina). Così, se una lampadina esistesse da sempre, non ci sarebbe più il problema di chi l’ha costruita (causa dell’inizio) ma poiché può far luce solo se riceve corrente elettrica (causa del divenire), anche se facesse luce da sempre vorrebbe dire che esisterebbe da sempre una causa esterna di corrente (una sorta di centrale elettrica eterna).

Abbiamo dunque osservato che se l’universo ha avuto un inizio (come non solo la Bibbia ma oggi anche la scienza sembra dirci quasi con sicurezza), certamente è causato da un Essere oltre l’universo, quindi è creato da Dio. Ma abbiamo anche osservato che se per ipotesi esistesse da sempre, per il fatto che comunque è intelligentemente ordinato e continuamente si trasforma, dipenderebbe ugualmente da Dio (Intelligente ed Essere indiveniente), non più appunto come causa del suo inizio ma ancora come causa del suo ordine e del suo divenire. 
Ci sono molti altri motivi per riconoscere che l’universo non è autosufficiente ma dipende necessariamente da Dio, e quindi Dio esiste. Ne abbiamo visti tre; ma anche uno solo basterebbe per riconoscere che l’affermazione “Dio c’è” non solo è molto intelligente, ma è anche l’unica possibile per spiegare l’universo fino in fondo. 
Dunque: Dio necessariamente c’è perché altrimenti l’universo non ci sarebbe o non sarebbe come è.

S. Tommaso d’Aquino individua ad esempio 5 motivi per capire la dipendenza del mondo da Dio e quindi la necessità razionale dell’esistenza di Dio: il divenire, la serie di cause, la contingenza (possibilità attuata e non necessità assoluta) dell’essere di tutte le cose, la gradualità delle perfezioni e l’ordine [sono le cosiddette “cinque vie” (cfr. Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3); si noti però che questo articolo 3, intitolato “Utrum Deus sit” cioè “Se Dio esista”, che l’Autore pone giustamente all’inizio di questa sua immensa opera su Dio (che non è l’unica), non è che un articolo, cioè circa 100 righe, di un’opera che da sola comprende 33 volumi! Sempre di S. Tommaso si potrebbe vedere la questione ad esempio anche nella Summa contra Gentiles, I,c. 13 e II, c. 64; nel De potentia, q. 3, a. 6; nel Commento alla metafisica di Aristotele, XII, 10, lect. 12; nel Commento al Vangelo di S. Giovanni, Prologo; il Commento al Simbolo degli Apostoli, a.1).