Cosa fu davvero l’Inquisizione? Un’indagine tra “leggenda nera”, falsa propaganda anticristiana e reali fatti storici.

L’Inquisizione

la storia vera


Nell’immaginario collettivo, anche di persone colte (persino cattoliche), la parola Inquisizione sta ad indicare una sorta di plurisecolare “vergogna” della Chiesa, il segno del dispotismo e della violenza del suo potere, con cui avrebbe imposto la fede e impedito, persino con innumerevoli condanne a morte per “rogo”, il libero pensiero.
In realtà anche questo è in gran parte un “mito” antistorico costruito negli ultimi secoli dalla propaganda anticattolica.

Cosa fu davvero l’Inquisizione?
La Chiesa obbligava alla fede con la violenza e metteva al rogo chi dissentiva? Quante condanne ci sono effettivamente state? C’è stata davvero la “caccia alle streghe”? Cosa fu il “caso” Giordano Bruno? cosa portò alla condanna di S. Giovanna d’Arco? e cosa fu il Processo a Galileo?

Un’indagine … tra “leggenda nera”, falsa propaganda anticristiana … e reali fatti storici.

  • Per un approfondimento, vedi nel sito il Dossier L’Inquisizione
  • Per una versione invece più sintetica leggi

Indice





Un premessa essenziale …



La questione della “salvezza”

1. Cos’è la fede cristiana? Perché è decisiva per l’uomo? Cosa deve fare la Chiesa?

Gesù è Dio stesso che si è fatto uomo, per la salvezza eterna di tutti gli uomini (v. nel sito Gesù Cristo). Questa è la fede cristiana.

In Gesù c’è dunque la pienezza della Vita divina e della Verità, che ci sono donate per la nostra salvezza, cioè per vivere la vita vera, sempre più liberi dal peccato e sempre più partecipi della vita divina, così da sfuggire dalla dannazione eterna (inferno) e partecipare eternamente all’infinita felicità della vita di Dio (paradiso).

Gesù vuole ovviamente che questa Vita divina e questa Verità che salva, che scaturiscono da Lui, raggiungano e salvino tutti gli uomini di tutti i tempi, e non solo i suoi immediati ascoltatori e discepoli. In Gesù c’è infatti la salvezza dell’intera umanità. Per questo fonda la Chiesa Cattolica (v. nel sito Chiesa Cattolica), affidandole questa missione (cfr. Mt 28,16-20), cioè questo compito soprannaturale di trasmettere agli uomini questa Verità eterna e questa Sua vita divina, così che tutti gli uomini, credendo a questa Verità e ricevendo questa Vita, siano salvi, per sempre! E’ il grande segno dell’amore di Dio per noi. La Vita divina ci è donata soprattutto attraverso i Sacramenti, mentre la Verità divina ci è trasmessa fedelmente attraverso il Magistero della Chiesa. Gesù garantisce addirittura “oggettivamente” la validità di questo dono immenso: per i Sacramenti la garanzia della loro validità è data dalla “successione apostolica” (cioè quella catena ininterrotta che va da Gesù agli Apostoli e poi ai Vescovi, e ai sacerdoti in modo subordinato ai Vescovi – v. Gv 20, 21-23), per il Magistero (insegnamento ufficiale della Chiesa) la garanzia dell’autenticità è data da Pietro e dai suoi successori (Vescovi di Roma, cioè dall’insegnamento autorevole del Papa e dei Vescovi uniti con lui e in obbedienza a lui – v. Mt 16,18-19).

Dunque, compito (missione) principale e ineludibile della Chiesa Cattolica è quello di insegnare l’autentica fede (Verità) e di trasmettere la Vita divina attraverso i sacramenti. E questa è anche la prima e più alta espressione di amore per tutti gli uomini, appunto quello di donare loro la salvezza e beatitudine eterna! L’aiutare a far fronte ai bisogni materiali degli uomini è compito di carità secondario e conseguente.

2. Perché è allora fondamentale che la fede cristiana sia annunciata ‘integralmente’ a tutti?

Ricordato questo fondamento (domanda 1), è allora evidente perché sia fondamentale, decisivo e persino suprema espressione d’amore, che la Verità rivelata, quella sola che ci salva, sia sempre più compresa e fedelmente annunciata, senza contraffazioni, deformazioni o interpretazioni arbitrarie (eresie). Ne andrebbe di mezzo la stessa salvezza eterna delle persone che la ricevono. Da qui l’enorme e decisiva importanza che venga fedelmente trasmessa l’autentica “dottrina della fede”, cioè quella Verità che dobbiamo credere e vivere per essere salvi. Una sua contraffazione provocherebbe un danno eterno alle anime!

Siamo dunque immensamente grati a Dio che ci offre nella storia questa garanzia soprannaturale e oggettiva dell’autentico Suo insegnamento, l’unico che ci salva. E’ il segno dell’amore stesso di Dio per noi! Senza questa garanzia, cadremmo nella confusione, nel caos delle interpretazioni soggettive (magari comode ma che non ci salvano perché non sono ciò che Gesù ci dice, l’autentica volontà di Dio), col serio pericolo di smarrire la via sicura per raggiungere il paradiso.

Già Lutero e tutta la cosiddetta Riforma protestante sono caduti in questo grave errore di lasciare il Vangelo e la Bibbia all’interpretazione soggettiva; ma per questo sono sorte e continuano a sorgere innumerevoli comunità protestanti, gruppi, sette, ovviamente neppure in accordo tra loro.

Purtroppo oggi la cultura dominante (e sempre più intransigente, contraddicendosi!) ha perso la cognizione stessa dell’oggettività della verità, sprofondando sempre più in un “relativismo”, che solo apparentemente sembra generare rispetto per tutti, in realtà rende impossibile un vero dialogo (come e di che cosa discutere se non si pensa che ci sia “una” verità?) e sprofonda sempre più nel nichilismo (non c’è alcuna verità, non ha senso nulla, tutto è vuoto e provvisorio).

Il dovere di annunciare e pure difendere l’autentica “dottrina della fede” è dunque compito fondamentale che Gesù ha affidato alla Sua Chiesa per la salvezza di tutti gli uomini; è non è questione che ci possa lasciare neutrali, visto che in gioco c’è la salvezza eterna delle nostre anime e di ogni uomo.

Annunciare e difendere l’autentica dottrina è dovere fondamentale della Chiesa (in primo luogo dei Pastori, ma anche di ogni battezzato-cresimato); ma conoscere quale sia l’autentica dottrina (fede e morale, cioè cosa devo credere e cosa devo fare per essere salvo) è anche diritto fondamentale di ogni uomo.

Questo, nonostante che sia in gioco la salvezza eterna di ognuno, non significa affatto che la fede possa essere imposta.

Vedremo infatti come l’Inquisizione non aveva alcun potere sui non-cristiani e non fosse quindi assolutamente suo compito quello di imporre la fede, ma solo quello di difenderla da chi – tra i cristiani o addirittura tra i Pastori – la deformava, con grave danno delle anime. Che l’Inquisizione ecclesiastica non obbligasse alcuno ad aderire alla fede cristiana è data dal fatto che i suoi Tribunali non avevano alcuna giurisdizione sui non-cristiani; potevano cioè giudicare solo i Battezzati (credenti in Cristo e appartenenti alla Chiesa Cattolica) che deformassero pubblicamente la vera dottrina cattolica, cioè l’autentica fede (questo significa la parola “eresia” e questi erano gli “eretici”).

Tra l’altro, una fede “imposta” sarebbe comunque una contraddizione in termini, poiché la fede deve essere la risposta libera dell’uomo alla chiamata di Dio, l’obbedienza alla Sua volontà, e non può sorgere che dalla coscienza dell’uomo. Infatti, anche se fossero costretti esteriormente degli atti di fede, di fatto non sarebbero veri atti “di fede” perché non nascerebbero dall’interno, cioè dalla coscienza e dalla libertà dell’uomo.

Questo non significa che i contenuti della fede, che Dio ha rivelato e che la Chiesa guidata dallo Spirito Santo annuncia nei secoli, siano lasciati alla “libertà di coscienza”, inventabili o deformabili a piacimento. 
Nessuno può essere obbligato alla fede; ma nessuno (tanto meno un sacerdote, un vescovo e neppure un Papa) ha il diritto di cambiare ciò che Dio ha rivelato o di definirsi “cattolico” se non crede ai veri contenuti della fede cattolica.

La fede cristiana non si impone, ma è “convincente”, in quanto la Verità, anche se talora scomoda, è comunque attraente in sé, anche quando la si negasse.

Inoltre la fede cristiana è anche ragionevole, cioè se l’uomo vuole capire perché deve credere, ha “le ragioni”, cioè i motivi per dare il proprio assenso di fede, cioè per credere (cfr. ad esempio le parole di S. Pietro in 1Pt 3,15).

Infine la fede cristiana è attraente anche nella testimonianza di coloro che la vivono in modo più chiaro e profondo; lo si vede appunto nella testimonianza dei Santi, che vediamo lasciare dietro a sé anche nella storia una “scia” di attrazione, sia nella loro spiritualità che assai spesso anche nei seguaci ad esempio degli ordini religiosi, movimenti e gruppi che hanno fondato.

Rimane comunque vero che tutti hanno il diritto di conoscere tutta la Verità rivelata da Dio, anche al di là di ciò che i suoi annunciatori sono già in grado di viverla.

Spesso pensiamo che siano solo gli esempi brutti, le contro testimonianze, a rovinare la fede e ad allontanare da essa. E ciò è vero nel senso che un buon esempio rende attraente anche la fede mentre un cattivo esempio, una grave incoerenza, può rende psicologicamente reattivi nei confronti della Chiesa e della fede stessa. Da ciò il dovere di testimonianza e di coerenza da parte di chi ha incontrato Gesù. Ma a pensarci bene, ciò che conta davvero è cos’è vero (cioè come stanno le cose, quindi se il cristianesimo è vero e perché), non tanto se chi ci crede o ce lo dice è più o meno bravo o coerente (v. nel sito la questione della Verità, v. domanda 1.5)

Ecco perché se la Chiesa ci presenta degli esempi da imitare (i Santi), però la garanzia dell’autentica fede è data dal Magistero, specie del Papa. Infatti Gesù non garantisce a Pietro e ai suoi successori (i Papi) il dono dell’impeccabilità (anzi, Gesù profetizza persino a Pietro che lo avrebbe tradito, cfr. Gv 13,38), ma, con una particolare assistenza dello Spirito Santo, il dono dell’infallibilità nell’insegnare la vera fede (v. Mt 16,18-19).

3. Perché nessuno può permettersi di contraffare l’autentica dottrina?

Il contraffare, ridurre, deformare, trasformare a piacimento (magari per “piacere agli uomini” – cfr. Gal 1,6-10) la dottrina è una colpa gravissima, tanto più in chi è chiamato ad essere “ministro” di Cristo e della Chiesa, perché può procurare danni talora irreparabili per l’anima di chi ascolta, di colui che è guidato, con conseguenze perfino eterne! E’ dunque una fondamentale questione d’amore! Potremmo inoltre dire che persino chi è contrario alla fede cristiana ha il diritto però di sapere davvero quale sia la vera fede cristiana, altrimenti non saprebbe in fondo neppure cosa nega.

Nell’ormai diffusissima “ignoranza” dei contenuti della fede (con l’aggravante di credere invece di sapere cos’è) e nelle continue deformazioni e caricature della Chiesa, della fede e della morale cristiana che la cultura dominante quotidianamente propina (attraverso i media ma anche attraverso la scuola) capita oggi assai spesso che anche un giovane giunga a pensare di rifiutare la fede, ma in realtà non la conosce neppure e quindi rifiuta una caricatura della fede (cioè che non è neppure la vera fede).

In proposito si capisce quanto grande sia la responsabilità dei genitori ed educatori nel conoscere e trasmettere ai ragazzi l’autentica fede; ma si capisce anche quanto i Pastori debbano oggi più che mai vigilare perché anche i <catechisti> (come pure gli insegnanti di Religione cattolica), per non parlare ovviamente dei sacerdoti!, insegnino l’autentica fede, e non qualche sua briciola o persino qualche errore dottrinale, per non dire chi si limita a proporre attività pastorali che non lasciano nulla nelle coscienze dei ragazzi o che comunque non riguardano le questioni fondamentali della fede e della morale cristiana; ciò è oggi particolarmente grave ed urgente, visto che queste occasioni per moltissimi ragazzi di oggi sono forse l’unica occasione che hanno nella vita per conoscerla!

Gesù stesso ce lo insegna, anche con inaudita severità:

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna (Mt 10,28.32-41). “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare” (Mc 9,42). “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? … Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 3,13.18-19). “Conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna” (Mt 5,30). “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci” (Mt 7,15). “Se tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Mt 18,15-18).

Si deve dunque attentamente “vigilare” (ed è proprio questo il significato della parola “vescovo”!) perché nessuno all’interno della Chiesa e persino a nome della Chiesa annunci una Verità (di fede o di morale) diversa da quella che è l’autentica dottrina di Cristo e della Chiesa.

Questa fondamentale preoccupazione di garantire l’autentica dottrina, difendendola non solo dagli attacchi dei non-cristiani, ma dalle stesse deformazioni (eresie) che possono continuamente sorgere all’interno stesso del cristianesimo, non è semplicemente una questione accademica o teologica (per discussioni tra “dotti”) e neppure semplicemente disciplinare (per garantire un certo ordine interno né tanto meno una appiattita uniformità), ma sorge proprio dalla necessità di garantire quella Verità divina che “sola” ci può salvare. Possiamo dire che non c’è cosa più importante da assicurare all’uomo di ogni tempo e luogo!

Il danno, soprattutto alle anime ma poi anche alla società, è poi particolarmente grave se a deformare o distruggere la vera fede sono addirittura i “ministri di Dio”, sacerdoti e religiosi predicatori (come nel caso del monaco Martin Lutero e ancor più del ex-frate Giordano Bruno).

La difesa della “Verità” nella storia



4. Come la Chiesa Cattolica ha adempiuto nella storia questo mandato di Cristo?

La Chiesa (in primis i Papi) ha sempre adempiuto il compito divino non solo di comprendere e vivere sempre più la Parola di Cristo, cioè l’autentica dottrina, ma anche di annunciarla e difenderla da qualsiasi attacco, sia esterno (da parte dei nemici della fede cristiana) sia interno (da parte degli eretici, cioè da chi si diceva cristiano ma deformava la dottrina di Cristo).

Non solo nelle parole stesse di Gesù, ma in tutto il nuovo Testamento, cioè anche nelle parole ispirate degli Apostoli, noi vediamo in atto questa preoccupazione di mantenere integra l’autentica dottrina, e persino qualche serio provvedimento disciplinare per chi all’interno della comunità cristiana attentava all’autentica fede (vedi).

Fin dai primissimi secoli cristiani non tardarono a scoppiare eresie che deformavano gravemente la vera dottrina (circa la natura umana e divina di Gesù, la Santissima Trinità, alcuni punti fondamentali della morale cristiana – come l’eresia gnostica, monofisita e specialmente quella ariana), ma l’elaborazione teologica dei Padri della Chiesa (autori sacri dei primi secoli) e soprattutto l’insegnamento del Magistero (che culminava anche nelle precise dichiarazioni dottrinali e disciplinari dei primi Concili Ecumenici, come quelli di Efeso, Nicea, Costantinopoli, Calcedonia) vi fecero fronte in campo teologico, con sofferenza ma senza bisogno di interventi cruenti. I veri pericoli ed i nemici della Chiesa erano soprattutto quelli che provenivano dall’esterno (dagli Imperatori romani dei primi due secoli, come dai popoli pagani, barbari e dal VII secolo soprattutto la grave e persistente minaccia dovuta ai violenti attacchi dei musulmani).

Intanto la civiltà medievale, ad opera della fede cristiana cattolica, veniva consolidandosi in una unità di popoli, da cui nacque l’Europa, che pur nella diversità delle etnie e dei costumi, sentiva nella fede cristiana il proprio fondamento, quasi da non potersi più distinguere tra Chiesa e società intera. In questo modo, un attentato contro la fede cristiana cattolica veniva inteso da tutti come un attacco alla stessa società, allo stesso ordine sociale.

5. Quando è nata l’Inquisizione? Emergeva da questa preoccupazione?

Solo dal XII secolo l’Europa meridionale si trovò di fronte all’espandersi quasi improvviso, e senza alcun vero capo, di un’eresia talmente grave da minacciare non solo le fondamenta della fede cristiana, ma le basi della stessa vita sociale: si trattava dell’eresia dei Catari (o Albigesi).

Per far fronte a questo pericolo, per le anime e per la società, nacque l’Inquisizione medievale, che oltre ad intensificare nelle regioni dove tale eresia si diffondeva la predicazione dell’autentica dottrina, si dovettero per la prima volta compiere rigorose “indagini” (e regolari Processi) per individuare quale fosse l’eresia in atto, chi fossero gli eretici, e a quali provvedimenti (pene) si dovesse ricorrere per porvi termine (pene che nei casi più gravi e recidivi potevano giungere anche all’abbandono al braccio secolare, cioè alla pena prevista dal potere civile, cioè quella di morte per rogo). Vedremo però quali garanzie fossero fornite all’imputato, con quale correttezza furono in massima parte condotti tali Processi (di cui tra altro conserviamo in genere i Verbali) – così che oggi molti studiosi vi riconoscono un fondamento ed una esemplarità nel campo del Diritto – e quanto furono relativamente poche le condanne, contrariamente a quanto continuamente divulgato nella “leggenda nera” anticattolica sulla Inquisizione.

La particolare situazione della Spagna, invasa e occupata per 7 secoli dai musulmani ma abitata anche da numerosi ebrei, portò poi i reali spagnoli a chiedere e ottenere nel XV secolo una particolare loro Inquisizione (Inquisizione spagnola), la quale però poteva esaminare semmai solo i casi di falsi convertiti, in quanto appunto l’Inquisizione non aveva alcun potere sui non-cristiani.

Quando nel XVI scoppiò invece in Europa la grande eresia Protestante, che portò allo scisma dalla Chiesa Cattolica di quasi un terzo delle popolazioni europee (!), la situazione era non solo immensamente più grave, ma assai difficile da fronteggiare, in quanto la maggior parte dei regnanti di quelle terre si schierarono a favore di tale Riforma protestante (incamerando i beni della Chiesa e diventandone praticamente i padroni, fino al punto di nominarne i Pastori, se non addirittura a porsene a capo, come nel caso della Chiesa anglicana), così che la Chiesa Cattolica, che vi rispose dottrinalmente con il grande Concilio di Trento e con il rifiorire di nuovi carismi ed ordini religiosi, di fatto non poté farvi fronte dal punto di vista disciplinare, nonostante la ricostituzione in merito di una Inquisizione Romana, che infatti non ebbe alcuna influenza al di fuori dell’Italia e persino dello Stato Pontificio (e vedremo in seguito qualcosa dei suoi dati, totalmente differenti dalla leggenda su di essa creata).

6. Cosa è accaduto con la nascita della “modernità”?

L’Europa andò così incontro ad una grave disgregazione, che portò non solo a divisioni e lotte tra i diversi Paesi ma anche a terribili guerre. Intanto il pensiero stesso moderno e l’organizzazione degli Stati prendeva sempre più le distanze dalla fede e dalla Chiesa cattolica.

Con la Rivoluzione francese (1789) per la prima volta le nuove ideologie nate dall’Illuminismo portarono ad un inaudito e violentissimo attacco contro la Chiesa Cattolica, con immani distruzioni (persino artistiche), un numero impressionante di morti ed una violentissima persecuzione dei cristiani, specie quelli “cattolici” cioè fedeli al Papa (vedi Documento, anche 1 –2).

Possiamo storicamente osservare come le “Inquisizioni” laiche o protestanti abbiano compiuto immense violenze e violazioni del diritto, quando invece sono proprio loro ad accusare costantemente la Chiesa Cattolica di crimini che non ha compiuto e comunque in proporzioni fortemente minori.

La nascita delle filosofie atee nel XIX secolo ha condotto poi nel XX secolo a rivoluzioni e regimi talmente violenti da provocare decine di milioni di morti, due Guerre Mondiali, e la più grande persecuzione contro i cristiani (40 milioni di martiri!).

Ha del paradossale che proprio da queste ideologie moderne, che con le loro menzogne hanno provato tali immani catastrofi e decine di milioni di morti (annientando fisicamente coloro che vi si opponevano) nasca la “leggenda nera” anche sull’Inquisizione, che per la difesa dell’uomo e della verità, ha semmai condotto alla pena capitale solo poche migliaia di persone in 8 secoli.
Qualcuno ha autorevolmente ricordato che “le condanne a morte da parte dell’Inquisizione nel corso di tutti i secoli in cui fu attiva corrispondono a quanti ne uccideva il comunismo in un giorno solo” (Vladimir Bukowski, dissidente sovietico).

Il Magistero della Chiesa ha continuato a svolgere il suo compito di guida del popolo di Dio, con Documenti importanti non solo sulla dottrina e morale cristiana ma sulle stesse nuove ideologie (documenti che se fossero stati ascoltati dai popoli e dai loro capi non si sarebbe andati incontro ai cataclismi del XX secolo, basti pensare all’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII – v. nel sito “La Dottrina sociale della Chiesa”), ma anche con il Sant’Uffizio, organo della Curia Romana che a nome del Papa vigilava appunto sull’autentica dottrina.
Gran parte dell’organizzazione sociale e del potere cosiddetto “laico” si pose comunque in gran parte in parallelo, se non in aperto contrasto, con la vita della Chiesa e con la dottrina cristiana.

7. Come la Chiesa garantisce oggi l’autentica “dottrina”?

La Chiesa, soprattutto attraverso la Congregazione per la Dottrina della fede (erede del Sant’Uffizio e quindi in certo qual modo dell’Inquisizione), cioè quel dicastero della Curia Romana che a nome e sotto la guida del Papa vigila appunto sulla ortodossia della fede e della morale cristiana, ha continuato e continua la sua opera di discernimento e di aiuto ai fedeli cattolici di tutto il mondo, affinché si possa conoscere sui molteplici temi della fede e della morale cristiana quale sia l’autentica dottrina che salva.

Il Sant’Uffizio (dell’Inquisizione Romana) venne ristrutturato nel 1908 da Papa San Pio X (chiamandolo Sacra Congregazione del Sant’Uffizio) e poi ancora nel 1965 Papa Paolo VI, denominandolo Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (com’è tuttora e che ha sede nel palazzo attiguo al colonnato sinistro di piazza S. Pietro, che porta infatti ancora il nome di Palazzo del Sant’Uffizio).

Oltre alla vastissima produzione di Documenti illuminanti sulle molteplici tematiche oggi alla ribalta o in crisi, un esempio particolarmente importante, illuminante e decisivo in tal senso è stato dato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto da Giovanni Paolo II e richiesto anche dalla maggior parte dell’episcopato mondiale, redatto sotto la direzione della Congregazione per la Dottrina della fede (a guida del card. J. Ratzinger) e prmulgato dal Papa nel 1992. Nel 2005 ne uscì ufficialmente anche il Compendio, nella forma di domande e risposte.

Un Indice dei libri proibiti, che era stato pensato nel 1558 (ad un secolo dall’invenzione della stampa e quindi anche della nuova immensa possibilità di divulgazione di libri … e anche degli errori sulla fede, dui cui Lutero stesso e la Riforma si servì ampiamente per diffondersi) per segnalare quei testi che contenevano false dottrine, e per l’aggiornamento del quale fu istituita un’apposita Congregazione dell’Indice, ha retto fino al 1966, quando è stato soppresso, se non altro per l’attuale impossibilità di fornire un elenco anche solo approssimativo delle innumerevoli pubblicazioni erronee oggi circolanti.
Sulle attuali opere teologiche talora la Congregazione interviene anche autorevolmente, dopo ampia analisi, per indicare certi gravi errori dottrinali.

A garanzia dell’autentica fede e vita cristiana, esiste poi il Codice di Diritto Canonico, che regola la vita della Chiesa, chiarisce compiti e sancisce norme e relative “pene” per chi le contravviene.

Non possiamo però nasconderci che in questi ultimi decenni specie la società europea ha conosciuto e conosce il suo più grave distacco dalla fede cristiana (una vera “apostasia silenziosa”, l’aveva già stigmatizzata Giovanni Paolo II), ed anche la coscienza di coloro che si dicono cristiani e persino praticanti regna assai spesso un’impressionante confusione (per non dire ignoranza) dottrinale e morale!


Nel Medioevo



8. Perché certe eresie venivano considerate anche socialmente pericolose e perfino reati?

Alla Chiesa Cattolica, mediante l’istituto dell’Inquisizione, spettava solamente giudicare la questione dottrinale, cioè spirituale, per diagnosticare se una certa dottrina (specie se predicata e con ampia diffusione tra il popolo) fosse autentica fede cristiana o la deformasse, fosse cioè eretica. Il suo compito terminava con questo giudizio.

A questo punto, qualora l’esito dell’indagine (appunto: inquisizione) fosse stato negativo, cioè una dottrina fosse risultata effettivamente “eretica”, cioè dichiarata non autenticamente cristiana, la questione poteva semplicemente rientrare e i suoi falsi predicatori, illuminati in merito, potevano da essa abiurare (infatti assai spesso era sorta o seguita semplicemente per ignoranza della vera dottrina), incorrendo al massimo in qualche penitenza spirituale. Altrimenti, se si persisteva nell’errore manifesto, allora l’eresia e il suo predicatore venivano pubblicamente condannati come tali, così che il popolo potesse chiaramente sapere che non si trattava dell’autentica dottrina cattolica, cioè dell’autentica Verità di Cristo.

La questione delle conseguenze sociali, che costituivano spesso seri pericoli anche in ordine alla vita pubblica, di tale dichiarazione di effettiva eresia, implicavano invece l’intervento del potere civile.

Abbiamo già accennato, riguardo ad esempio all’eresia “catara” (che tanta diffusione ebbe nel tardo Medioevo e che provocò appunto la nascita della prima Inquisizione per poter porvi rimedio), come alcune eresie non solo compromettevano l’identità cattolica del popolo – tenendo presente che l’intera civiltà europea coincideva di fatto con il cattolicesimo e la fede era il fondamento dello stesso vivere civile – ma costituivano una reale minaccia e un serio pericolo per la vita stessa della società, alla stregua di quello che oggi potremmo dire a riguardo ad esempio del terrorismo (tanto più che era allora ben presente come la salvezza dell’anima fosse più importante ancora della salvezza fisica).

Per questo, quando l’Inquisizione, dopo attenta analisi e ponendo come vedremo ogni salvaguardia a difesa dei diritti dell’imputato, emetteva un giudizio di effettiva eresia, anche il potere civile si sentiva chiamato in causa, specie appunto quando ciò costituiva pure una seria minaccia sociale. A questo punto il “reo” condannato, giudicato cioè effettivamente come “eretico” e senza alcun segno di pentimento, poteva anche essere “abbandonato al braccio secolare”, come si diceva, cioè a ciò che prevedeva il diritto penale in vigore allora nella società civile, e che i regnanti locali facevano osservare, che nei casi estremi poteva comportare anche la pena di morte (in genere per “rogo”).

9. Perché è sorta l’Inquisizione medievale?

Dopo i primissimi secoli, in cui la teologia cattolica [e grande ruolo ebbero quegli autorevoli teologi dei primi secoli chiamati “Padri della Chiesa” (Patristica)] e il Magistero della Chiesa, anche mediante appositi Concili [come quelli di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431) e Calcedonia (451)], dovettero far fronte a gravi eresie (la parola significa “scelta”, cioè una deformazione della fede) come quella gnostica, ariana, monofisita, nestoriana e pelagiana, che minacciavano l’integrità dell’autentica fede (cattolica), e autorevolmente indicare l’autentica dottrina di Cristo che salva, non ci furono grandi problemi interni alla cristianità (almeno sino allo “scisma d’Oriente” del 1054), semmai si trattava di riuscire a evitare un assoggettamento al potere imperiale e temporale durante la lotta per le investiture. Il “nemico” era per lo più esterno alla Cristianità: i popoli barbari ancora pagani, gli Slavi a est, i Normanni a nord, e soprattutto i saraceni e i Turchi (musulmani) che insidiavano dal Mediterraneo.

Fino al XII secolo le eresie furono dunque di tipo dottrinale e venivano affrontate sul quel piano (teologico). Invece le nuove eresie del XII secolo assunsero pure il tono di forze sovversive sociali.

Quando sorse nella Francia meridionale l’eresia “catara”, ci si accorse ben presto di trovarsi di fronte non solo ad un immane stravolgimento dei fondamenti stessi della stessa fede cristiana (la visione di Dio, dell’uomo, del creato, della morale), a tal punto da distruggere non solo il cristianesimo stesso ma da costituire pure una vera e propria minaccia sociale, mettendo cioè a repentaglio non solo la sua unità culturale ma gli ordinamenti stessi della vita civile; insomma alla stregua di ciò che oggi potrebbe essere costituito dal “terrorismo”. Non solo i regnanti, ma il popolo stesso, si sentirono minacciati e lesi nei loro fondamentali diritti, a tal punto da voler reagire in modo persino violento. Per valutare esattamente la questione, onde evitare abusi da parte dei regnanti e del popolo stesso, il Papa istituì una Inquisizione, che doveva appunto indagare (inquisire) come stessero effettivamente le cose, secondo un metodo di indagine e processuale talmente corretto da costituire un fondamento e un esempio illuminante nella stessa storia del “Diritto”. Tale Inquisizione medievale durò un tempo relativamente limitato e terminò con la scomparsa della stessa eresia catara.

10. Cos’era l’eresia catara e perché minacciava non solo la fede ma la stessa società?

L’eresia catara (o degli “albigesi”, dalla città francese di Albi, dove aveva un suo centro propulsore) sorse nel XII secolo in Francia ed ebbe una certa diffusione nell’Europa meridionale. Stranamente non ebbe un vero e unico fondatore, ma, mossa pure da un desiderio di rinnovamento e di purificazione della vita della Chiesa, risentiva di uno sfondo filosofico e religioso di tipo manicheo, che stravolgeva però i contenuti fondamentali del cristianesimo, sino al punto da non doversi neppure più considerare una eresia cristiana ma una vera e propria altra religione.

Questa eresia, credendo nei due principi supremi del Bene e del Male e individuando nella “materia” la sede stessa del male, predicava il distacco radicale (“catari” significa infatti “puri”) dalla materia, dalla corporeità, dalla sessualità, vietando pure il matrimonio. Giunsero addirittura a predicare il “suicidio” rituale, mediante l’astinenza totale dal cibo. I Catari combattevano poi ogni istituzione, ogni autorità civile, militare e religiosa. Quando ci riuscivano, cacciavano persino il Vescovo dalla propria diocesi; altrimenti tramavano come una sorta di società segreta.

La diffusione di questa pazzesca eresia allarmava non solo la Chiesa, ma anche e forse ancor più le autorità pubbliche, i sovrani; il popolo stesso, quando avvertiva il sovvertimento totale della vita privata e pubblica che tale eresia comportava, cercò di difendersi, anche in modo forte.

11. Come vi fece fronte la Chiesa Cattolica?

Una volta preso atto, e forse in ritardo, del diffondersi e della pericolosità di tale eresia, vista anche l’insufficienza di una risposta semplicemente locale (da parte dei singoli vescovi), il Papa istituì appunto l’Inquisizione (Inquisizione medievale), che doveva anzitutto inquisire, cioè indagare come stessero veramente le cose, sia dal punto di vista dottrinale che da quello sociale, per evitare pressapochismi o allarmismi, false accuse, impropri giudizi “a furor di popolo” o condizionamenti da parte dei regnanti o degli interessi locali (onde evitare che la questione diventasse pretesto per calunnie o vendette personali). La preoccupazione prima era quella appunto di difendere e ristabilire l’autentica fede; e quando l’indagato per presunta eresia riconosceva il proprio errore e se ne pentiva, la questione era sanata in radice.

Ci si accorse però ancor più della pericolosità della situazione, quando Papa Innocenzo III, oltre ad incrementare la predicazione della “vera fede”, inviò proprio ad Albi un suo legato (Pietro di Castelnau), ma questi venne ucciso dai Catari il 15.01.1208 (forse su mandato dello stesso conte di Tolosa, Raimondo VI, grande protettore dei Catari)! A questo punto, comprendendo che la situazione in Francia stava pericolosamente precipitando, il Papa chiese (secondo alcuni: accettò) l’intervento anche militare del re di Francia, dando inizio nel 1209 ad una specie di Crociata contro i Catari (Albigesi). Per la prima volta non si trattava infatti di difendere la fede e i cristiani dai nemici esterni alla cristianità (come coi musulmani che avevano invaso la Palestina, la Turchia e minacciavano l’Europa intera), ma da pericolosi nemici interni al cristianesimo e nella stessa Francia.

I Catari furono però talora segretamente protetti dai alcuni sovrani locali, i quali speravano e spesso ottenevano che tale ribellione contro la Chiesa permettesse loro di incamerarne i beni.

Da parte sua l’Inquisizione, mentre l’incrementata predicazione e catechesi permetteva una corrette conoscenza e difesa della vera fede cristiana, doveva semplicemente indagare se effettivamente in alcuni soggetti (imputati, cioè accusati di questo) c’era l’eresia e se da essi veniva divulgata. Come vedremo più avanti, la serietà dell’investigazione e dello stesso Processo “garantiva” all’imputato stesso una vera possibilità di difesa o di pentimento e ritorno nella vera fede. L’inviato del Papa, cioè l’Inquisitore, era il riferimento ultimo e il garante primo non solo dell’autentica fede ma della correttezza del procedimento giuridico.

Che il combattimento contro l’eresia fosse non solo una preoccupazione della Chiesa ma anche della società civile è testimoniata dal fatto che fino al ‘700 nessun governo “laico” fu contrario a questi processi canonici, ma anzi l’Inquisizione frenava gli animi e garantiva una corretta analisi e procedura, affinché il popolo o i governi non fossero troppo impulsivi o violenti contro di essa.

“L’Inquisizione nasce in realtà per il desiderio del popolo, che sentiva un attacco contro la vera fede e quindi contro la salvezza eterna dell’anima ancora più pericoloso di chi attentasse – ad esempio oggi – alla salute pubblica o contro l’ambiente. Per l’uomo medievale l’eretico è il grande Inquinatore, che attira la punizione divina sull’intera comunità. Per questo l’Inquisitore è sentito dal popolo come un liberatore. Se talvolta il popolo è insofferente per l’Inquisitore, non è per la sua severità ma per la sua poca severità (era troppo tollerante), il popolo andrebbe più per le spicce che per lenti e calmi processi” (V. Messori).

12 – Come si organizzò anzitutto la predicazione della “verità”?

Se di fronte a questo inaudito attacco contro la vera fede cristiana e i fondamenti stessi della vita civile si doveva operare una vera e propria “difesa” – ponendo in atto un’inaudita Crociata interna al cristianesimo stesso europeo e istituendo le precise indagini e gli specifici Tribunali (appunto l’Inquisizione medievale) – ancor più si doveva incrementare la predicazione dell’autentica fede, cioè della Verità.

Il Papa, secondo il mandato stesso di Gesù (Lc 22,31-32), organizzò nelle terre infettate da detta eresia delle particolari e intensive predicazioni, affidando genialmente tali particolari “missioni” proprio a quegli ordini religiosi che lo Spirito Santo aveva fatto sorgere e che erano esemplari per la purezza e semplicità di vita, oltre che per ortodossia di fede, così da far ancora più presa sul popolo e meglio aiutarlo in questa battaglia spirituale, che rischiava sempre più di divenire altrimenti anche battaglia civile e persino militare.

Se all’inizio ci si affidò alla predicazione dei “monaci”, spingendoli quasi oltre la loro clausura e vita contemplativa – in particolare all’ordine benedettino dei Cistercensi (fondato dal grande San Bernardo di Chiaravalle, che fu anche il predicatore della Crociata), in seguito furono impegnati proprio i due nuovi ordini religiosi (mendicanti e predicatori) che lo Spirito suscitò proprio in quel tempo (XII-XIII secolo), i Francescani (fondati da S. Francesco d’Assisi) e i Domenicani (fondati da S. Domenico da Guzman), e che si diffondevano ovunque e godevano della stima del popolo.

Sembra proprio che lo Spirito Santo, che guida sempre la Chiesa dal primo giorno (Pentecoste) fino alla fine del mondo, risponda alle particolari necessità della Chiesa e del mondo facendo sorgere specifici carismi e nuovi impulsi spirituali, capaci di riformare dal di dentro la Sua Chiesa. Nel caso specifico che stiamo analizzando, sembra proprio che la chiamata e il carisma di S. Domenico di Guzman (1170-1221), sorgano non solo per il bene della Chiesa ma proprio come aiuto soprannaturale specifico per far fronte al grave pericolo dell’eresia catara. Proprio nella predicazione in terra albigese nacque da S. Domenico il nuovo ordine religioso (Ordine dei Predicatori, detti appunto Domenicani) [Così sarà tre secoli dopo, di fronte al dilagare delle eresie protestanti, il sorgere di nuovi ordini religiosi (ospedalieri e nel campo dell’educazione dei giovani) e in particolare della Compagnia di Gesù (Gesuiti) fondata da S. Ignazio di Loyola, con il loro particolare carisma di predicazione della vera fede in rapporto anche al vasto mondo della cultura]. E infatti proprio a loro (Domenicani) il Papa affidò in modo specifico la predicazione in Francia meridionale, così come in genere scelse tra loro coloro (Inquisitori) che dovevano garantire appunto non solo l’ortodossia della fede ma anche la correttezza ed esemplarità giuridica dei Processi.

13. Come si svolsero i Processi?

Appunto quando fu evidente che per far fronte al pericolo dell’eresia catara non bastava la predicazione e neppure l’autorità del Vescovo locale, il Papa Gregorio IX nel 1231 istituì la “Inquisizione”, cioè un vero Tribunale (ecclesiastico, papale) in grado di svolgere serie e obiettive indagini, dotato di teologi in grado di avere le dovute competenze per analizzare le questioni dottrinali, e di giudici che fossero imparziali e slegati dalle questione di potere locali, affidando poi l’esecuzione delle eventuali pene al potere politico locale (“braccio secolare”).

Non solo molti sovrani locali ma lo stesso Luigi VII (1120-1180), fortemente allarmato, spinse il Papa a intervenire; il quale era però anche preoccupato di non tradurre il problema religioso in termini sociali e politici (per questo molti vescovi si mostrarono contrari a un intervento che non fosse semplicemente dottrinale). “Il popolo infatti non solo era assai favorevole all’intervento del Papa, ma si sarebbe mostrato assai più severo e intransigente contro questi eretici” (così il grande storico Moulin).

Il Papa (cioè ufficialmente la Chiesa) è quindi spinto ad intervenire anche dal fatto che il popolo e le autorità locali spesso intervengono in modo arbitrario, non riuscendo a individuare bene cosa sia vera dottrina e cosa sia invece eresia, con eccessi che rischiano di colpire anche innocenti.

Il Tribunale dell’Inquisizione nasce quindi anche da una vera esigenza di “giustizia”, assicurando una regolarità, imparzialità e correttezza di procedura – con una altrove impensabile possibilità di tutela e difesa degli stessi imputati, così da permettere agli innocenti di essere riconosciuti tali ma anche agli ingenui che fossero incorsi in eresia senza colpa di riconoscerla e persino agli eretici stessi di pentirsi ed essere così immediatamente assolti – che oggi nuovi seri studi storiografici riconoscono senza problemi.

Il fatto poi di dover render conto del proprio operato al Papa stesso, spingeva l’Inquisitore ad essere ancor più serio, onesto e rigoroso nelle proprie indagini; infatti il Papa aveva il potere di rimuoverli immediatamente qualora fossero risultati inadeguati o corrotti nel loro alto mandato.

Il Papa Gregorio IX affida quindi in particolare ai Domenicani la gestione di tali inchieste e di tali processi dell’Inquisizione sull’eresia catara.

L’Inquisizione non aveva alcun potere sui non cristianiNon si trattava quindi assolutamente di imporre la fede cristiana a qualcuno che non lo fosse, ma di garantire che, se si presentava come cristiano e specialmente come predicatore cristiano, la sua dottrina la fosse effettivamente. Si potrebbe persino dire che è questione di onestà intellettuale.

Fa parte delle falsità della “leggenda nera” anticattolica anche quel che in genere si dice proprio della presunta ignoranza e ferocia dell’Inquisitore (dimenticando tra l’altro che in molti casi fu proprio l’Inquisitore a rimetterci la vita).

Ad esempio l’Inquisitore Bernard Gui, che viene spesso rappresentato violento e ignorante anche in celebri romanzi (si pensi ad esempio a Il nome della rosa di U. Eco) e film, in realtà dalle cronache del tempo emerge che costui, che fu nientemeno che il Procuratore generale dello stesso Ordine dei Predicatori (Domenicani), fu “uno dei più prolifici scrittori medievali” e “il migliore storico domenicano del Medioevo”. La sua opera è in realtà considerata oggi da molti autorevoli studiosi come “eccezionale per la precisione documentaria”, con meticolosissimi resoconti dei Processi (oggi consultabili dagli Archivi dell’Inquisizione). Nel suo famoso quanto vituperato Manuale dell’Inquisitore* offre poi precise indicazioni per garantire non solo la correttezza dell’operato dell’inquisitore e dell’intero Processo, ma il rispetto dello stesso imputato.

* Nel tanto vituperato Manuale dell’Inquisitore Gui dice ad esempio: “(L’Inquisitore) deve essere diligente e fervente nel suo zelo per la verità religiosa, per la salvezza delle anime e per l’estirpazione dell’eresia. Tra le difficoltà e le contrarietà deve rimanere calmo, mai cedere alla collera né all’indignazione. Egli deve essere intrepido, affrontare il rischio fino alla morte, ma senza arretrare di fonte al pericolo, né aumentarlo a causa di un’audacia irriflessiva. Deve essere insensibile alle preghiere e alle lusinghe di quelli che provano a conquistarlo; tuttavia non deve indurire il suo cuore al punto da rifiutare proroghe o mitigazioni della pena a seconda delle circostanze e dei luoghi … Nei casi dubbi deve essere circospetto, non dare facilmente credito a quello che sembra probabile e spesso non è vero; non deve rifiutare ostinatamente le opinioni contrarie, perché ciò che sembra improbabile finisce spesso per essere la verità. Deve ascoltare, discutere ed esaminare con tutto il suo zelo per arrivare con pazienza alla luce … Che l’amore della verità e la pietà, che devono sempre risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, in modo che le decisioni non possano mai sembrare dettate dalla cupidigia e dalla crudeltà”.


A metà del XIV, cioè dopo due secoli, l’eresia catara – che tanto danno fece alla Francia e provocò aspre lotte intestine all’interno della stessa società europea – risultava definitivamente debellata.

Così, terminato il suo compito, il tribunale dell’Inquisizione medievale vide la sua attività ridursi, fino al punto da sparire.


L’Inquisizione spagnola


14. Qual era la particolare situazione della Spagna?

Come abbiamo ricordato nei documenti sull’Islam e le Crociate (v. nel sito Documento e Dossier), a neppure un secolo dalla morte di Maometto, l’Islam si era già imposto con la forza non solo in Arabia, Persia, Mesopotamia, Armenia, Anatolia, Siria, Egitto e in tutta l’Africa mediterranea (distruggendo definitivamente le importanti comunità cristiane che erano fiorite fin dall’inizio del cristianesimo e che mai più rinacquero!) ma gli arabi musulmani, come avevano posto l’assedio a Costantinopoli per invadere poi l’Europa da oriente (vi tentarono fino alla battaglia di Vienna del 1683), avevano oltrepassato lo stretto di Gibilterra occupando la Spagna (che rimase sotto il califfato indipendente di Cordoba per ben 7 secoli!), col desiderio di invadere l’Europa anche da occidente (il tentativo di oltrepassare i Pirenei e di occupare anche la Francia venne respinto nel 732 da Carlo Martello a Poitiers). La penisola iberica fu dunque occupata, tratti piccoli territori, dagli arabi musulmani dal secolo VIII al XV.

Quando nel XV secolo salirono al potere i sovrani “cattolici” Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia – il cui matrimonio contribuì enormemente alla riunificazione della Spagna – si proposero come priorità il dovere non solo di “liberare” la terra spagnola dall’invasione araba-musulmana (“reconquista”), ma di ricondurla nella piena unità, che aveva nella “fede cattolica” il proprio storico e indubitabile fondamento.

Già nella prima parte del XVI secolo molti musulmani rimasti nella penisola iberica si convertirono al cattolicesimo (i cosiddetti moriscos), ma, sia pur evidentemente sospinti da una pressione sociale che vedeva appunto nel cattolicesimo il fondamento dell’identità e dell’unità del Paese, è improprio parlare di conversioni “forzate”. Certo è che nel 1609 la Corona spagnola promulga una legge che decretava l’espulsione dei musulmani dalla Spagna.

Un’altra forte presenza etnica e religiosa in Spagna era costituita dagli Ebrei; in alcune regioni iberiche raggiungevano addirittura il 30% degli abitanti e in genere possedevano molti beni e gestivano una buona parte del commercio, esercitando però assai spesso anche l’usura (e questo contribuì a creare un diffuso malcontento popolare). Comunque il rispetto della loro fede era tale da permettere loro di godere persino di privilegi commerciali, come quello di poter tenere i propri negozi aperti anche durante le numerosissime festività religiose cattoliche. Però nel 1492 (proprio l’anno della scoperta dell’America) i reali di Spagna promulgarono una legge che ne decretava l’espulsione dal Paese. Questo spinse certamente molti ebrei a farsi cristiani (conversos); ma come si può immaginare in molti casi la fede cristiana era in loro simulata (marranos), rimanendo di fatto ebrei, con gravi confusione sociale e in ordine anche alla dottrina (a quale fede davvero aderivano?). E’ comunque anche in questo caso eccessivo parlare di conversioni forzate.

15. Cos’è stata l’Inquisizione spagnola?

Come abbiamo già ricordato, spesso erroneamente viene attribuito alla Chiesa Cattolica in quanto tale, se non addirittura al Papa stesso, quanto compì l’Inquisizione spagnola.

A garanzia dell’autentica fede, ma ancor più dell’identità sociale e dell’unità del Paese, i cattolici sovrani di Spagna chiesero più volte al Papa di avere nella loro terra un “Tribunale inquisitoriale”.

L’Inquisizione non aveva però alcun potere sui non cristiani, quindi sugli ebrei e sui musulmani rimasti nel territorio iberico; semmai si poteva chiedere il suo intervento qualora i convertiti al cattolicesimo dall’Islam e dall’Ebraismo mostrassero di fatto e perfino divulgassero una fede (dottrina) cattolica non autentica, falsa e quindi pericolosa per le stesse anime dei Cattolici.

I sovrani spagnoli chiesero addirittura al Papa che questo auspicato Tribunale dell’Inquisizione fosse un organismo governativo, cioè che dipendesse di fatto non più dal Papa ma dal Re!

Il Papa fu molto titubante nel riattivare un’Inquisizione che era nata per ben altre situazioni storiche e dottrinali (l’eresia catara). Alla fine, però, Papa Sisto IV il 1°.11.1478 concesse ai cattolici reali spagnoli – che dopo tanti secoli avevano restituito la Spagna alla Chiesa e ai quali non poteva negarsi quindi tanto facilmente – di istituire l’Inquisizione spagnola (la Suprema y General Congregacion de la Inquisicion); ottenne però che a capo di essa ci fosse un uomo di suo gradimento (e il primo fu il domenicano Tomas de Torquemada), al fine di arginare il più possibile sia il potere di giudizio in merito da parte dei regnanti, come pure da parte del popolo stesso (che in molti casi avrebbe chiesto condanne “a furor di popolo” o anche per odi e vendette personali), cioè appunto come garanzia di giustizia, anche proprio in difesa degli indagati e imputati.

Al fine di arginare il più possibile questa situazione e questi abusi, il Papa nominò appunto un proprio Inquisitore generale, che avesse giurisdizione al di sopra degli stessi giudici locali, a garanzia di obiettività e di correttezza dei processi. Si trattò del domenicano Tomas deTorquemada (1420-1498), peraltro proveniente da una famiglia di conversos (appunto di ebrei convertiti; e questo come prova di imparzialità!) e che fu pure il Confessore della regina Isabella.

Anche e proprio a proposito del Torquemada si è scatenata nei secoli la calunnia anticlericale, facendone la caricatura quale l’Inquisitore per antonomasia, il crudele e violento inviato dell’oscurantismo papale per estirpare ogni libero pensiero e obbligare con forza alla fede cattolica. Ma anche in questo caso le cronache autentiche del tempo ci dicono qualcosa di diverso: viene infatti descritto come “uomo di costumi integerrimi, nonché uno dei maggiori mecenati e protettore degli artisti dell’epoca, inquisitore mite e liberale, che ottenne anche ampie amnistie, come quella del 1484”. Certamente “un uomo rigoroso ma di grande correttezza; di fatto molto lontano dalle caricature (anche cinematografiche) che se ne sono state fatte” (così lo storico F. Cardini).

Rimane però vero che l’Inquisizione spagnola fu fin dall’inizio più che un organo della Chiesa uno strumento del neonato Stato spagnolo, utilizzato per consolidare sul piano etnico, religioso e ideologico un Paese pieno di religioni, razze e tradizioni diverse, in un’epoca in cui non era pensabile un’unità politica non fondata sull’unità delle fede. Il Papa in teoria poteva sì nominare e deporre l’Inquisitore generale, ma di fatto veniva scelto e controllato dal monarca. Non c’è infatti alcun serio storico che oggi attribuisca alla Chiesa in quanto tale ciò che fece l’Inquisizione spagnola.

La “cattolicissima” Spagna sentiva però nell’Inquisizione la garanzia della sua stessa unità popolare e per non cadere anch’essa nelle tristi e turbinose situazioni che avevano già dilaniato la Francia. E infatti storicamente sono state infatti poi risparmiate alla Spagna quelle divisioni e lotte che tanto avrebbero invece insanguinato l’Europa per secoli.

Di fatto seguì per la Spagna il “siglo de oro”, dovuto certo anche a motivo della scoperta dell’America (compiuta com’è noto dal nostro Cristoforo Colombo ma finanziata dai Reali spagnoli), con una fioritura non solo religiosa ma anche d’arte e di cultura come mai ci furono e ci saranno nella storia spagnola. Al Gran Inquisitor si deve ad esempio anche la fondazione della celebre Facoltà di scienze di Salamanca, dove peraltro si insegnava la teoria copernicana (contrariamente a quanto dice l’altra leggenda nera anticattolica, vedi 1 e 2). Ma sarà anche l’epoca dei grandi santi e mistici di Spagna, riformatori del Carmelo, cioè S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila (peraltro di origine conversa), come del fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti) Ignazio di Loyola. È il tempo di Bartolomé de Las Casas, dei grandi dibattiti giuridici che fonderanno il moderno diritto internazionale e l’universalità dei diritti umani. Ancora, è il secolo dei Muguel de Cervantes e dei grandi pittori. Tutto ciò, mentre in europa dilagano le lotte religiose e la caccia alle streghe (Rino Cammilleri).

Pur non compiendo tutto ciò che la polemica anticattolica le attribuisce, rimane però vero che l’Inquisizione spagnola fu più dura di quella medievale come di quella romana (comunque assai meno di quella protestante, per non parlare dei sommari e feroci processi dei Tribunali dei moderni Stati laici e assolutistivedi). Nonostante ciò, non fu così terribile come spesso viene descritta.

Su 50.000 processi solo l’1,9% si conclusero con condanne a morte, peraltro non tutte eseguite. Anche le torture furono usate assai raramente. Nelle regioni basche fu proprio l’Inquisitore a salvare le imputate dalla popolare “caccia alle streghe”; così anche nelle Fiandre la caccia alla streghe cessò proprio quando furono occupate dagli spagnoli. Dopo il Concilio di Trento (1545), l’Inquisizione spagnola concentrò tra l’altro la propria azione ad arginare e correggere certe dissoluzioni morali del clero. Insomma nulla a confronti di ciò che gli Stati moderni, a partire dalla Rivoluzione francese, hanno compiuto.
Ne è riprova ad esempio il seguente caso: Pablo de Olavide, condannato al carcere dalla tanto vituperata Inquisizione spagnola, chiese di venir trasferito in zona termale per via di certi suoi disturbi; accontentato, trovò che le cure non gli giovavano e ottenne allora uno spostamento al confine pirenaico; da qui gli fu così più agevole scappare in Francia, dove venne accolto dai tagliatori di teste giacobini come “martire” dell’intolleranza cattolica; ma sotto il Terrore francese conobbe le ben diverse galere giacobine, esperienza talmente traumatica, da indurlo a tornare nella Chiesa Cattolica e terminò la sua vita scrivendo apologie della religione cattolica.

L’Inquisizione spagnola ufficialmente fu abolita definitivamente nel 1820.

15.1.  C’è stata anche un’Inquisizione portoghese?

L’Inquisizione portoghese fu istituita nel 1531 dal re Giovanni III, su autorizzazione del Papa Clemente VII, e durò fino al 1821. Fu, come quella spagnola, di pertinenza della “corona”; ma fu talmente mite che in questi quasi 3 secoli di storia inflisse solo 4 condanne alla pena capitale.


La Riforma protestante


16. Cos’è stata la Riforma protestante?

Nel XVI secolo scoppiò in Europa un’eresia, o meglio un insieme di eresie, talmente grave da compromettere non solo l’autentica fede cristiana (sulla concezione stessa della fede, della “grazia”, dei sacramenti, del sacerdozio, della Chiesa, dell’interpretazione della Bibbia) ma da provocare uno “scisma” talmente forte da trascinare alla separazione e alla lotta contro la Chiesa Cattolica (Chiesa voluta da Cristo stesso e operante già da XV secoli!) un terzo dei popoli e delle nazioni d’Europa, per poi estendersi alle nuove terre scoperte e quindi a tutto il mondo! (cfr. Documento)

Tale separazione, detta Riforma protestante, è stata certamente condizionata anche dai nuovi poteri nazionali emergenti, che ne colsero l’occasione per separarsi dall’influenza romana, creare e governare proprie “Chiese” e tra l’altro incamerarne tutti i beni; ma ha anche provocato nei secoli estenuanti e laceranti lotte e guerre interne alla stessa Europa, che ha perso così progressivamente quell’unità, anche culturale, nata proprio dalla comune appartenenza alla fede cristiana.

Anche tra loro, le Chiese cosiddette “riformate”, divergono continuamente su questioni dottrinali e continuano nei secoli e nel presente a moltiplicarsi (all’interno delle comunità luterane, evangeliche, calviniste, zwingliane, e all’interno delle chiese “anglicane”).

16.1 – Chi fu Martin Lutero?

L’iniziatore della Riforma protestante fu com’è noto Martin Luther (Lutero). Si trattava di un monaco (agostiniano). Partendo dal pretesto delle “indulgenze” [il Papa Leone X nel 1514 concesse l’indulgenza plenaria ai fedeli che, dopo la Confessione e la Comunione, come segno di penitenza, avessero fatto anche un’offerta per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma (non si trattava quindi di “vendere le indulgenze”, tanto meno il perdono dei peccati, come erroneamente racconta la polemica anticattolica, ma di un vero atto religioso – cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1471-1479 – avvalorato da un’offerta come segno di penitenza e di comunione ecclesiale)], il 31.10.1517 Lutero emanò 95 enunciati (le cosiddette “99 tesi” di Wittenberg) che deformavano gravemente punti fondamentali della dottrina cristiana – e creduti fermamente da tutti i cristiani, compresi gli Ortodossi, da 15 secoli! – che indussero il Papa a chiedergli di ritrattare; ma Lutero bruciò pubblicamente la Bolla papale e diede appunto inizio alla Riforma protestante, protetto dal principe Federico (che gli permise pure di sfuggire alla condanna a morte come eretico) e dai nobili tedeschi. L’utilizzo della stampa, inventata da pochi decenni, contribuì ulteriormente alla sua rapida diffusione.

Abbondato il convento, non solo per “passione” (esistono tra l’altro documentazioni cliniche sulla sua instabilità psichica), ma come ulteriore segno di ribellione alla Chiesa, sposò addirittura una monaca, che poi abbandonò (ecco perché ancor oggi non esiste il celibato dei preti tra i protestanti). Si ubriacava spesso (doveva essere riportato di peso a casa dalle birrerie) e con ostentazione mangiava carne pure il Venerdì Santo, fino a vomitare. Oltre a definire “satana” il Papa, giunse a far mangiare alle mucche delle Ostie consacrate trovate ancora nelle chiese, in dispregio della “presenza reale” di Cristo creduta dai Cattolici. Alla fine morì suicida.
La storia (vera) non ci presenta quindi un modello di “riformatore” che desiderasse una Chiesa più santa (come oggi purtroppo è presentato anche in alti ambienti ecclesiastici)!

 
La nascita di questa eresia e di questo terribile scisma provocò assai presto enormi sconvolgimenti sociali. Quando un vasto movimento di contadini, che a partire dalla sua predicazione, si mobilitarono in modo violento per ottenere riforme sociali, Lutero non esitò ad appoggiarne la violenta repressione (si parla di 100.000 morti!) da parte dei principi tedeschi (incitandoli a “trucidare i contadini come cani rabbiosi”).

La Riforma Protestante fu imposta con violenza in quasi tutti i Paesi dove i sovrani l’abbracciarono, con grande persecuzione di coloro che volevano rimanere Cattolici.
Ciò provocò, oltre ai gravissimi danni spirituali, una tale spaccatura dell’Europa da generare guerre e lotte intestine. [leggi Documento]

17. Perché nacque l’Inquisizione romana, ma ebbe un’efficacia assai limitata?

Per cercare di arginare o perlomeno limitare i danni, spirituali e sociali, della Riforma protestante, che stava dilagando per l’Europa e si sarebbe poi estesa anche ai nuovi continenti scoperti, il 21.07.1542 il Papa Paolo III riorganizza il sistema inquisitoriale medievale e istituisce la Congregazione della Sacra Romana e Universale Inquisizione (detta anche Inquisizione Romana o più comunemente Sant’Uffizio). Come al tempo dell’Inquisizione medievale, si permetteva così di difendere l’autentica dottrina, garantendo al popolo di Dio di conoscere con esattezza quanto Dio aveva rivelato per la nostra salvezza; ma al tempo stesso, come aveva già fatto quella medievale, di procedere con equità nei confronti di quanti fossero “indagati” di eresia, garantendo loro un regolare processo, con tanto di possibilità di spiegare e chiarire le proprie posizioni dottrinali, scagionarsi da eventuali false accuse e pure di poter rientrare senza problemi nell’ortodossia e nel cammino dell’autentica Chiesa Cattolica, voluta da Cristo stesso. Proprio per evitare sommari giudizi dottrinali e disciplinari, e abusi da parte del potere locale e persino degli stessi Vescovi, il Papa evoca a sé il giudizio ultimo sulle questioni teologiche, del resto come Gesù aveva voluto, affidando a Pietro la responsabilità di guida della Chiesa universale e garanzia dell’autentica fede.

I tempi erano però radicalmente mutati rispetto all’Inquisizione medioevale (erano passati 3 secoli!) e i nuovi poteri locali non si sentivano più nel grembo della Chiesa e ambivano sempre più ad assumere in proprio anche il potere religioso. Non si trattava quindi più di distinguere il potere religioso da quello civile e temporale, ma sempre più della pretesa di quest’ultimo di assorbire sempre più anche il potere religioso. E l’occasione offerta da Lutero e dagli altri fondatori delle Chiese protestanti di separarsi da Roma e dalla guida suprema del Papa, riuscendo in questo modo ad incamerare tutti i beni della Chiesa, fu troppo ghiotta per lasciarsela scappare.

Per questo motivo l’Inquisizione Romana, quella autentica e sotto la diretta autorità del Papa, di fatto trovò l’opposizione dei molti regnanti europei e poté agire direttamente solo in Italia (e in seguito praticamente solo nello Stato Pontificio), riuscendo a preservarla dall’eresia.

Laddove i sovrani rimasero fedeli al Papa e alla fede cattolica, come nel caso degli Asburgo, anche i loro territori furono in gran parte preservati dall’eresia e dello scisma protestante (v. appunto in Austria e nelle tedesca Baviera, rimaste cattoliche, insieme a poche restanti piccole zone tedesche e svizzere).

Sia per far fronte a tale gravissima situazione come pure per operare un vero rinnovamento della stessa Chiesa Cattolica (per questo alcuni storici preferiscono parlare di Riforma Cattolica piuttosto che di Controriforma), fu indetto il Concilio di Trento (1545-1563), che ebbe straordinaria importanza per chiarire ulteriormente l’autentica dottrina, specie su quei punti contestati e stravolti dai “Protestanti”, e per offrire un nuovo impulso alla vita cristiana. E lo Spirito Santo suscitò proprio in quel periodo, come spesso avviene proprio nei momenti di maggior pericolo per la vita della Chiesa, molteplici e straordinari carismi (ad esempio i già nati Cappuccini e i Teatini), dediti all’evangelizzazione della cultura (soprattutto la Compagnia di Gesù o Gesuiti), alla cura degli infermi (si pensi a quello di S. Giovanni di Dio o Fatebenefratelli) o all’educazione dei ragazzi e dei giovani (Orsoline, Barnabiti e gli stessi Gesuiti, come in seguito gli Scolopi).

Nuovi poteri europei e la Chiesa cattolica

Come abbiamo già più volte sottolineato, la polemica anticattolica che soggiace anche a ciò che comunemente viene divulgato sull’Inquisizione, attribuisce alla Chiesa Cattolica e al Papa ogni tipo di Inquisizione, senza alcuna distinzione storico-geografica e di competenza (addirittura i processi e le esecuzioni posti in atto dalle Chiese protestanti e persino dai Tribunali civili).

18. Molti popoli furono obbligati ad abbandonare la Chiesa Cattolica?

La vera storia, quella che non legge gli avvenimenti con le “lenti anticattoliche”, ci mostra tra l’altro come le Chiese protestanti (e la Chiesa anglicana) posero in atto una violentissima repressione contro coloro che volevano mantenersi nell’autentica dottrina cattolica e nella fedeltà al Papa e alla Chiesa Cattolica, uccidendo davvero migliaia e migliaia di fedeli, compreso vescovi e sacerdoti, che volevano restare “Cattolici”, con una sorta di Inquisizione capovolta, ma questa sì non rispettosa della libertà di coscienza e dei diritti degli imputati. Si passava inoltre assai più duramente e speditamente anche alle esecuzioni capitali, senza risparmiare nessuno, compreso accademici e scienziati (i Protestanti ammisero che in casa loro Galileo avrebbe fatto una brutta fine! – eppure in seguito contribuirono non poco a creare il “caso Galileo”), oltre a una “caccia alle streghe” assai più spietata che nei paesi cattolici (nella sola Ginevra i seguaci di Calvino bruciarono oltre 5000 streghe!). Si pensi che nella sola Germania protestante furono eseguite 25.000 condanne a morte (un numero da scavalcare e far rabbrividire persino la tanto vituperata Inquisizione spagnola)! Bastava un piccolo scritto considerato sospetto (di fede cattolica) per essere trascinati in tribunale e finire male. Persino la lettura dei libri cattolici era considerato peccato e si misero all’Indice (perché anche i Protestanti fecero un enorme Indice dei libri proibiti).

E ciò è particolarmente paradossale, visto che fu proprio in casa protestante che furono inventate le prime “leggende nere” sulla Inquisizione, in chiave appunto anticattolica.

Tutto questo certamente anche sotto la pressione di molti sovrani, che appoggiarono la Riforma protestante, garantendosi così una piena autonomia non solo dottrinale ma di giurisdizione sulle Chiese nazionali (che sono diventate di fatto “Chiese di Stato”), incamerandone tutti i beni!

Anche nei Paesi scandinavi la Riforma protestante fu imposta, con grande violenza, dai sovrani locali. 
Vediamo ad esempio la Svezia …

Nel secolo XIV la Svezia era ancora fortemente cattolica, tanto da darci Santa Brigida, talmente grande da essere stata proclamata da Giovanni Paolo II “compatrona d’Europa”.
Con la Riforma protestante, i prìncipi costrinsero la popolazione ad abbandonare la Chiesa cattolica, incamerandone i beni, e ad aderire allo scisma ed eresia evangelico-luterana.
Scrive Vittorio Messori: “Il luteranesimo, in gran parte dei Paesi che lo accettarono, fu imposto con la forza dai principi e dai nobili, che concupivano i beni della Chiesa e non parve loro vero di poterli sequestrare. In Svezia violenza e cinismo regi raggiunsero il massimo. Il fondatore della nuova dinastia scandinava, Gustavo I Wasa, ben lontano da preoccupazioni religiose, per mero interesse economico e politico vide nel luteranesimo un modo per riempire le casse vuote dello Stato e per legare a sé la nobiltà, suddividendo tra loro il bottino costituito dalle proprietà della Chiesa. Il popolo ne fu indignato e più volte insorse, ma fu schiacciato dal re Gustavo. I suoi successori furono costretti, dal malcontento della gente nei confronti della nuova fede imposta manu militari, a tollerare almeno che restassero aperti alcuni santuari mariani. Proprio a Lund (dove Papa Francesco si è recato per celebrare coi luterani il V centenario della Riforma protestante, 31.10.2016 vedi) tutte le chiese furono rase al suolo, tranne la cattedrale (la chiesa principale di Svezia), pur ovviamente denudata di ogni decorazione, secondo l’uso riformato; e le pietre degli edifici cattolici abbattuti furono impiegate per la fortificazioni e la cinta muraria della città”.

Mettiamo un poco la lente anche sul Regno Unito…

Quello della Chiesa anglicana, che pur sino a poco tempo fa era su posizioni dottrinali persino meno gravi rispetto a quelle protestanti (credono ad esempio all’Eucaristia come presenza reale, anche se invece la loro è invalida in quanto manca la successione apostolica; ultimamente invece si è in gran parte ‘aperta’ alle più spinte stravaganze sessuali in voga, all’interno persino dell’episcopato, così da provocare una reazione da parte di una cospicua porzione di Anglicani, che hanno deciso di tornare alla Chiesa Cattolica), è un caso emblematico di questa sottomissione della Chiesa al potere regnante. Com’è noto il Re d’Inghilterra Enrico VIII, abbandonata la moglie Caterina d’Aragona e volendo passare a nuove nozze con Anna Bolena, non ottenendo ovviamente il divorzio richiesto al Papa (anche se pare fosse in corso un esame per il riconoscimento di nullità), non solo la sposò ugualmente il 25.01.1533 (per poi condannarla a morte 3 anni dopo, per sempre nuove amanti e mogli: ebbe in totale 6 mogli, facendone decapitare 2!), ma, ricevuta la scomunica da Papa Clemente VII, nel 1534 costituì in Inghilterra e Galles una Chiesa autonoma (Anglicana) e se ne autoproclamò “Capo Supremo” (il Parlamento inglese, con il cosiddetto Atto di supremazia, stabilì ufficialmente che la Chiesa d’Inghilterra era “anglicana” e si separava da Roma), titolo poi modificato da Elisabetta I in “Governatore Supremo della Chiesa Anglicana”, che il sovrano inglese detiene ancor oggi, addirittura nominando le più alte cariche ecclesiastiche, anche se Primate della Chiesa Anglicana è l’Arcivescovo di Canterbury. Tutti coloro che vollero rimanere fedeli al Papa e alla Chiesa Cattolica vennero emarginati, perseguitati e uccisi. L’anno seguente (1535) venne decapitato nientemeno che Thomas Moore (San Tommaso Moro), che era addirittura il consigliere, segretario e Cancelliere del re, che si era rifiutato di abdicare dalla fede cattolica; e qualche giorno dopo il suo martirio, fu ucciso anche il vescovo John Fisher (San Giovanni Fisher), che fu imprigionato (e mentre si trovava in prigione fu creato cardinale dal Papa Paolo III) e ucciso per lo stesso motivo. Sono martiri canonizzati (la loro memoria liturgica è il 22 giugno); e San Tommaso Moro nel 2000 è stato significativamente proclamato da Giovanni Paolo II “patrono dei politici”.
Iniziò così una terribile persecuzione contro i cattolici, che ha prodotto violenze di ogni tipo e decine di migliaia di martiri. Fu vietata anche ogni ordinazione sacerdotale cattolica; e visto che alcuni seminaristi andarono allora a farsi ordinare sacerdoti in Francia (garantendo così la validità del sacramento, cioè nella “successione apostolica”, eliminata in Inghilterra) e per tornare poi come sacerdoti cattolici in Inghilterra, quando venivano scoperti erano barbaramente trucidati, insieme anche ai religiosi e laici che li seguivano (v. gli 85 preti, religiosi e laici martirizzati dagli anglicani nel 1585 e beatificati da Giovanni Paolo II il 22.11.1987, vedi).
Anche la figlia di Enrico VIII, Elisabetta I, continuò in questa feroce persecuzione anticattolica, così che in pochi anni il numero dei cattolici da lei fatti uccidere superò di gran lunga quello che ad esempio la tanto vituperata Inquisizione spagnola fece in 3 secoli!
Anche il re Giacomo I Stuart (incoronato nel 1603) volle uccidere tutti i preti che rimanessero cattolici; giunse persino a impiccare il gesuita Henry Garnet davanti alla Cattedrale di Saint Paul a Londra (1606); e la sua pelle, come era in uso tra loro, fu usata per rilegare il libro in cui era contenuto il verbale del suo processo!
Visto il rifiuto di abbandonare la fede cattolica da parte di molti sudditi del regno (ci furono anche aspre lotte, come la cosiddetta e fallimentare “congiura delle polveri”), nel 1606 il Parlamento inglese emanò leggi ancora più repressive contro i cattolici, che provocò circa 72.000 martiri! (dato riportato anche dall’insospettabile storico protestante Raphael Holinsed).
Intanto da Ginevra Calvino, a capo dell’altrettanto violenta riforma protestante calvinista (vedi), inviava in Inghilterra messaggi per incoraggiare allo sterminio, con queste parole: “Chi non vuole uccidere i papisti (cioè i Cattolici) è un traditore: risparmia i lupi e lasca indifese le pecore”!
In tutto il Regno inglese i Cattolici, laddove non venivano uccisi, erano comunque emarginati dalla vita sociale ed esclusi dai pubblici uffici
Tuttora il sovrano d’Inghilterra non può ovviamente essere cattolico, visto che è a capo della Chiesa anglicana; ed anche i figli (principi) non possono abbracciare la fede cattolica e neppure sposare un consorte cattolico.
Infatti, in base all’Act of Settlement del 1701, né il regnante né i suoi figli (principi) possono sposare un consorte cattolico, a meno che non rinunci ai diritti di successione. Secondo questa legge inglese, ancora piena di livore anticattolico, un membro della famiglia reale può sposare chi vuole (anche di fede ebraica, buddista, musulmana, induista e perfino atei militanti), basta che non sia persona di fede cattolica (“Roman Catholic”, come si specifica con un tono sprezzante nel Regno). Solo nel 2015 tale legge fu emendata: i membri della famiglia reale inglese in linea di principio possono ora sposare anche dei cattolici; basta che non si facciano anche loro cattolici, altrimenti perderebbero ogni diritto, anche al trono se a loro spettasse (ma in caso un reale inglese sposasse ora una cattolica, pur dovendo rimanere anglicano, i loro figli in quale religione/confessione potrebbero essere educati? sembra ovvio “nella fede e chiesa anglicana”, visto appunto che il sovrano in carica ne è il Capo e i figi sarebbero comunque i principi).

Il problema pareva si ponesse ancora nel matrimonio del 19.05.2018 tra il principe Harry (anche se solo 4° o 5° nella linea di successione al trono) e Meghan, cattolica (anche se già divorziata). Sarebbe stata una novità assoluta. Ebbene, il problema è stato risolto alla radice e secondo la radicata consuetudine anticattolica della casa reale inglese: Meghan, qualche giorno prima del matrimonio col principe Harry, ha “abiurato” ufficialmente dalla fede cattolica e si è fatta anglicana!  
 

Il divieto di essere o rimanere Cattolici e l’obbligo, per i cittadini del Regno, di appartenere alla Chiesa anglicana, pena una violentissima persecuzione e anche la morte, raggiunse ovviamente anche la Scozia. Anche nel nord della Gran Bretagna la persecuzione anticattolica fu violentissima. Però, pur essendo stata instaurata la Chiesa anglicana scozzese, fedele a Londra, lo spirito indipendentista di molti (che permane peraltro ancor oggi), fece sorgere anche una Chiesa anglicana “free”, cioè appunto indipendente; così che ancor oggi possiamo notare, persino in uno stesso paesello, entrambe le Chiese anglicane. Del resto, una volta perso il principio oggettivo della cattolicità, le comunità protestanti si sono sempre suddivise in innumerevoli tipi di chiesa (e tuttora nascono sempre nuove sette, pur sedicenti cristiane).
Anche l’Irlanda fu raggiunta da quest’odio anticattolico; ma la resistenza cattolica nell’isola fu molto forte. Quando nel XVII secolo Lord Oliver Cromwell cercò di installare con la forza la Chiesa anglicana nell’Ulster, peraltro la parte dell’isola più ricca di risorse, si pose in atto una vera e propria “pulizia etnica” contro i Cattolici. Moltissimi, che volevano rimanere cattolici e fedeli al Papa, furono uccisi; i superstiti furono privati della loro terra e di ogni diritto civile. E ciò è durato fino al 1913! 

Nell’Ulster (Irlanda del Nord, appartenente all’UK e quindi ufficialmente protestante, mentre il resto dell’isola rimane fortemente cattolico) permane infatti tuttora una spaccatura (che ha toccato pure punte violente anche in un recente passato); però, anche se comunemente si parla di tensione tra cattolici e protestanti, evidentemente si tratta più di lotta politica di indipendenza da Londra che di questioni di fede.


L’Inquisizione civile (laica)


19. Cosa facevano invece i Tribunali civili?

Molte delle efferatezze attribuite all’Inquisizione (cattolica) sono invece state perpetrate non solo dai Protestanti, ma addirittura e particolarmente dai Tribunali civili laici.

Con la nascita dei nuovi Stati nazionali, crebbe enormemente non solo la centralizzazione del potere ma anche la violenza, perpetrata pure attraverso i Tribunali civili; e spesso le questioni religiose e “dottrinali” venivano colte dai sovrani come pretesto per affermare il proprio potere politico o per condurre battaglie interne o internazionali. Gran parte dell’Europa fu per questo sconvolta per decenni e per secoli da guerre e lotte – conseguenze certo anche delle divisioni dell’unità europea provocata dalla Riforma protestante e anglicana (ne furono infatti risparmiate la Spagna e l’Italia cattoliche) – che vanno sotto il titolo di “guerre di religione” ma che in realtà sono guerre politiche che hanno spesso usato anche pretesti “religiosi”.

A proposito poi dei Tribunali civili (diremmo oggi “laici”) operanti in quel tempo nei nuovi Stati europei, la storia ci parla ad esempio di 50.000 condanne a morte inflitte su 100.000 processi documentati, cioè il 50% degli imputati (e spesso per motivi “politici”); un dato che fa quasi sparire quell’1,9% di condanne (e spesso neppure eseguite) inflitte dalla stessa Inquisizione spagnola.

Se poi andassimo a vedere cosa è seguito al sorgere dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese e del successivo “Terrore”, per non parlare dello “statalismo” assoluto (socialismo/comunismo e nazional-socialismo, cioè nazismo) che è seguito alle nuove ideologie laiche anticristiane, allora i numero dei morti ammazzati (se non si convertivano alla nuove ideologie e non si sottomettevano ai nuovi poteri)  – si veda ad esempio il caso della Vandea in Francia leggi – supera di molto come sappiamo i 100 milioni (questo il numero dei morti fatto solo dal comunismo!), senza contare gli altrettanti causati dalle due Guerre Mondiali e dalle altre lotte nazionali e internazionali che ne sono seguite.

Insomma, una vera “macelleria” storica perpetrata da ideologie anticristiane, che dovrebbe far seriamente vergognare tutti coloro che nel passato e nel presente si sentono in fondo ancora seguaci (talora sia pur riformisti) di tali dottrine e soprattutto dovrebbe impedire loro di continuare a divulgare i loro falsi e antistorici “luoghi comuni” sui (presunti) crimini perpetrati dall’Inquisizione cattolica.


I metodi dell’Inquisizione

come risulta dalla vera documentazione storica


Come abbiamo visto, lo scopo dell’Inquisizione era quello di difendere l’autentica fede da possibili contraffazioni che mettessero a repentaglio la salvezza eterna delle anime e talora anche la stessa vita sociale (come nel caso dell’eresia catara).
Non aveva per questo alcun potere sui non cristiani, né era strumento di pressione per convertire alla fede cristiana.

Abbiamo inoltre già osservato come la procedura dell’Inquisizione, che faceva intanto seguito ad una straordinaria “predicazione” (in genere compiuta da monaci e poi dai frati francescani e domenicani, sempre ben visti dal popolo in quanto più liberi da compromessi temporali) che fosse illuminante per tutto il popolo sulla “vera” fede cattolica, prevedeva rigorose indagini (per fugare il pericolo di false accuse o anche solo di vaghi e facilmente rientrabili errori dottrinali) e permetteva regolari e documentati Processi, con inaudite e precise garanzie per gli imputati, e con una supervisione che spettava nientemeno che ad un Delegato del Papa (Inquisitore), e questo proprio per evitare che i giudizi dottrinali fossero sommari e ancor più per scongiurare locali pressioni politiche e sociali, come pure false accuse per vendette personali e persino un “furor di popolo” che sarebbe stato invece assai più “sbrigativo” contro questi perturbatori della fede e della vita sociale (eretici, streghe o malviventi che fossero).

Entriamo ora in qualche particolare di questa procedura, usata già nell’Inquisizione medievale e perfezionata in quella Romana.

20. Come si cercava anzitutto di precisare o ristabilire la verità della fede?

Quando dunque giungeva notizia di una nascente eresia – cioè di un grave e pubblico pericolo per la fede (nel senso di una tale deformazione della dottrina, quindi della volontà di Dio, da compromettere persino la salvezza eterna delle anime) che talora comportava anche un gravissimo pericolo sociale – gli Inquisitori giungevano pubblicamente nella zona interessata e anzitutto promuovevano un anno di predicazione straordinaria per insegnare l’autentica dottrina. Tale predicazione era affidata a religiosi (prima ai monaci e poi frati, “francescani” o più frequentemente “domenicani”), che godevano peraltro di grande stima nel popolo, proprio per la loro povertà e distacco dai regnanti. Si dava così il tempo e il modo anche agli erranti, che fossero incorsi in eresie per ingenuità o per scarsa conoscenza della vera dottrina, di riconoscere il proprio errore e di tornare nella vera fede cristiana. E il popolo poteva essere salvato dalla confusione ed essere confortato (e salvato!) nell’autentica fede.

21. Come si procedeva per indagare (inquisire) sull’eventuale eresia o eretico?

Una volta accertata la presenza di un’effettiva eresia, si procedeva ad un’attenta analisi della stessa, così da evidenziarne l’errore teologico e dottrinale, al di là delle accuse o dei giudizi sommari che potevano venire dal popolo o dai regnanti locali. In certi casi l’eresia non conosceva un vero e proprio fondatore (come nel caso dei “Catari” e quindi dell’Inquisizione medievale che ha dovuto indagarla ed estirparla). In altri casi l’eresia nasceva invece proprio dalla predicazione o dagli scritti di vero e proprio fondatore (eretico) e l’indagine era quindi più specificatamente diretta su di lui.

Precisiamo ancora una volta: l’indagine e l’eventuale processo per eresia (dell’Inquisizione cattolica) poteva riguardare solo i battezzati, cioè i cristiani, nel senso che veniva fatta passare per dottrina cristiana ciò che di fatto non lo era più (appunto l’eresia). L’Inquisizione Cattolica non aveva alcun potere di indagine o di intentare un Processo (e relative eventuali condanne) su coloro che non erano cristiani. Quindi nessuno veniva obbligato ad aderire alla fede cristiana; ma pure nessuno doveva far passare per fede autenticamente cristiana ciò che di fatto non lo era più (eresia). E su questo l’Inquisizione doveva indagare e procedere.

22. Cosa si prevedeva per l’indagato?

L’indagine doveva partire da specifiche accuse di eresia e verificare se così fosse effettivamente. Per circa un mese si raccoglievano intanto le accuse e le testimonianze; ma l’indagato era considerato “innocente” fino a prova contraria.

L’indagine prendeva le mosse a partire da una denuncia scritta e giurata. In caso di testimonianze orali, esse venivano ascoltate separatamente e se fossero state in contraddizione tra loro venivano immediatamente scartate. Veniva ritenuta degna di fede solo la testimonianza di persone fidate, mentre erano scartate a priori testimonianze accusatorie ritenute non fondate. Per chi avesse testimoniato il falso contro qualcuno (calunnia) erano previste infatti pene severissime. Nel caso specifico di accusa di eresia, la deposizione dell’imputato era sempre ritenuta degna di fede: bastava cioè che negasse ufficialmente l’eresia per essere ritenuto innocente (non così ovviamente per gli altri delitti, in cui si procedeva in base al diritto comune o canonico).

Veniva in genere concesso un mese di tempo (tempo di grazia) per ricevere denunce, ascoltare confessioni, interrogare a piede libero i sospettati.

Quando si era verificato che l’accusa fosse davvero su questioni di fede o di morale cristiana e non fosse dovuta ad incomprensioni o sospinta da altre motivazioni (ad esempio per calunnia, rivalità o vendetta personali o sociali o per questioni di potere), allora l’indagine (“inquisizione”) poteva portare all’apertura di un ufficiale Processo del Tribunale della Inquisizione.

L’indagato, se ci fosse stato il pericolo di fuga, poteva anche essere arrestato e provvisoriamente imprigionato (come del resto si fa ancora oggi, anche in Italia e assai spesso in modo persino disinvolto!).

Si doveva avere però estrema prudenza nell’arrestare e nell’incarcerare un presunto colpevole: si doveva usare ad esempio una particolare clemenza per chi si presentava spontaneamente; se poi si trattava di un religioso (ed era la maggior parte dei casi!) tale garanzia era affidata semplicemente al suo superiore (il che significava praticamente restare in convento); se invece l’imputato aveva famiglia a carico veniva lasciato a casa perché potesse così provvedere ai suoi cari con il proprio lavoro. Se però l’accusato aveva famiglia a carico, veniva lasciato a casa, perché potesse provvedere ai suoi cari con il proprio lavoro (in questi casi era previsto uno sconto di pena anche qualora fosse poi risultato colpevole).

23. Chi era l’Inquisitore?

Nella vera Inquisizione cattolica, l’Inquisitore, cioè colui che doveva presiedere all’indagine e al processo, era un “Delegato” del Papa; e questo proprio per garantire l’indipendenza da interferenze o pressioni sociali o politiche locali. Egli doveva render conto del proprio operato al Papa stesso, che poteva rimuoverlo immediatamente qualora fosse risultato inadeguato o non si fosse comportato adeguatamente nella procedura e nello svolgimento del suo mandato, ancor più se si fosse lasciato condizionare o corrompere da qualcuno. Erano previste pene molto dure per quei giudici che avessero errato o anche solo ecceduto nei loro poteri.

L’Inquisitore doveva quindi essere non solo estremamente competente sul piano teologico, ma anche serio, onesto e rigoroso nelle proprie indagini e nel modo di condurre il Processo. Non poteva agire in modo arbitrario. Vennero prodotti persino degli appositi Manuali che ne regolassero l’attività, con tanto di elenco delle domande da porre.

L’Inquisitore papale era coadiuvato da una Commissione di teologi inquirenti (in genere frati Domenicani, particolarmente efferati in teologia). Anche per il giudizio finale c’era una Commissione di giudici, che fossero chiaramente imparziali e slegati da poteri o questioni locali.

Quanto è nell’immaginario collettivo, indotto da libri, romanzi e film (polemicamente anticattolici) che ne hanno fatto della terrificanti caricature, non corrisponde alla verità storica; senza per questo dover pensare che tutti siano stati santi e perfetti nella loro procedura.

Riportiamo di nuovo questo dato storico su un grande e tanto vituperato Inquisitore medievale: Bernard Gui.
Procuratore generale dell’Ordine domenicano, assai spesso caricaturizzato e calunniato ancor oggi in molta pubblicistica e persino produzioni teatrali o cinematografiche (di stampo anticattolico), i reali documenti storici ci parlano invece di lui come del “migliore storico domenicano del Medioevo”, addirittura “uno dei più prolifici scrittori medievali” e “la sua opera è considerata pregevole per l’eccezionale precisione documentaria”. Nel suo tanto vituperato Manuale dell’Inquisitore, scritta per garantire appunto la correttezza dell’operato degli Inquisitori, ad esempio scrive: “l’Inquisitore deve essere diligente e fervente nel suo zelo per la verità religiosa, per la salvezza delle anime e per l’estirpazione dell’eresia. Tra le difficoltà e le contrarietà deve rimanere calmo, mai cedere alla collera né all’indignazione. Egli deve essere intrepido, affrontare il rischio fino alla morte, ma senza arretrare di fonte al pericolo, né aumentarlo a causa di un’audacia irriflessiva. Deve essere insensibile alle preghiere e alle lusinghe di quelli che provano a conquistarlo; tuttavia non deve indurire il suo cuore al punto da rifiutare proroghe o mitigazioni della pena a seconda delle circostanze e dei luoghi … Nei casi dubbi deve essere circospetto, non dare facilmente credito a quello che sembra probabile e spesso non è vero; non deve rifiutare ostinatamente le opinioni contrarie, perché ciò che sembra improbabile finisce spesso per essere la verità. Deve ascoltare, discutere ed esaminare con tutto il suo zelo per arrivare con pazienza alla luce … Che l’amore della verità e la pietà, che devono sempre risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, in modo che le decisioni non possano mai sembrare dettate dalla cupidigia e dalla crudeltà”.

24. Come si istituiva e si sviluppava il Processo?

La prima fase del Processo si svolgeva a livello locale, ma appunto sotto la guida del Delegato del Papa (Inquisitore). Il Processo non doveva mai essere sbrigativo, ma neppure eccessivamente lungo (infatti in genere fu rigoroso ma anche rapido), nella consapevolezza che una procedura lunga poteva danneggiare l’imputato ed essere gravemente infamante (specie se poi al termine fosse risultato innocente).

[quanto sarebbe ancor oggi auspicabile e doveroso anche in Italia!]

A garanzia di maggior correttezza, normalmente gli interrogatori dell’imputato erano pubblici, in presenza del Vescovo locale, e se ne redigeva un Verbale da parte di un notaio, Verbale che doveva essere conservato per secoli nell’Archivio dell’Inquisizione. Ecco perché ancor oggi è possibile consultarli (quando non furono trafugati, ad esempio da Napoleone, o distrutti dagli anticlericali per eliminare le autentiche prove).

Tali Verbali, redatti da un Notaio, riguardavano tutte le fasi del Processo, a cominciare dalla trascrizione delle accuse, deposizioni, testimonianze. Nella verbalizzazione delle accuse dovevano essere presenti anche due testimoni; il tutto avveniva sotto giuramento, con gravi pene per chi avesse testimoniato il falso; e nessuno poteva poi riferire ad altri ciò di cui era venuto a conoscenza, pena la scomunica.

Una copia del Verbale delle accuse veniva consegnata quindi allo stesso imputato (usando persino la delicatezza di venire redatta anche in lingua volgare, per poter così essere forse meglio compresa), al fine di permettergli di conoscere dettagliatamente le accuse rivoltegli e organizzare meglio la propria difesa (anche per iscritto). L’imputato era quindi in grado di possedere la documentazione esatta e completa di tutte le accuse che lo riguardavano, oltre a poter ascoltare direttamente i suoi accusatori e chiamare altri testimoni in sua difesa.

Normalmente a questo livello locale non si poteva infliggere alcuna condanna definitiva.

Superato il primo livello, il Processo poteva infatti essere trasferito e rifatto a Roma (e ugualmente i tempi non dovevano essere lunghi). Lì veniva istituita una Giuria, composta anche da 50 probi viri, che analizzava tutti gli atti processuali e dava il proprio parere sulla sentenza e la pena da infliggere. Se sorgeva una contraddizione di testimonianze, il Processo ricominciava da capo. Presa visione degli Atti processuali e ascoltato il parere della Giuria, il giudice dell’Inquisizione emetteva quindi la sentenza.

25. Cosa si prevedeva per l’imputato durante il Processo?

L’imputato poteva ovviamente difendersi e dimostrare la propria innocenza, che era comunque da tutti presunta fino al termine del Processo stesso, e la falsità delle sue accuse (e persino le motivazioni recondite dei suoi accusatori).

Egli aveva diritto di avvalersi di un avvocato difensore, scelto fra tre da lui proposti, e nel caso non potesse permetterselo a causa delle proprie condizioni economiche poteva averne uno pagato dal Tribunale stesso. L’avvocato non poteva ovviamente entrare nel merito della questione teologica, se cioè una dottrina fosse autenticamente cattolica oppure eretica, ma solo difendere l’imputato dall’accusa di eresia.

L’imputato godeva poi del diritto di poter rifiutare un giudice e persino dei testimoni, se poteva dimostrare che erano suoi nemici o prevenuti contro di lui. In tal caso erano proprio i suoi accusatori ad essere contestati e interrogati.

Queste tutele e garanzie poste in atto dall’Inquisizione cattolica non erano invece allora contemplate nei Tribunali civili. Rappresentano quindi un enorme passo avanti anche nella storia del Diritto.

Tutte quelle norme che il Diritto penale secolare introdurrà infatti molto tempo dopo (ad esempio in Inghilterra si cominciò ad adottarle solo nei primi decenni dell’Ottocento), l’abbiamo già in atto nell’Inquisizione Romana (anzi, moltissime sono addirittura già nell’Inquisizione Medievale).

25.1 – E’ vero che si ricorreva anche alla tortura?

Circa la possibilità d’uso della tortura per ottenere deposizioni, contrariamente a quanto ha divulgato la leggenda nera e a quanto viene presentato da falsi “musei della tortura” tuttora presentati come testimonianze della violenza dell’Inquisizione, essa era prevista solo in casi rarissimi e gravissimi, a particolari condizioni, e mai in modo particolarmente cruento. Se tale mezzo estremo fu ammesso dall’Inquisizione medievale, non fu invece mai usata dall’Inquisizione Romana.

La possibilità di ricorrere alla tortura – espediente ordinariamente usato dai tribunali laici, fino al XIX secolo! – dall’Inquisizione era invece teoricamente prevista solo per i casi limite particolarmente gravi (e infatti fu usata raramente, mai dall’Inquisizione Romana) e doveva comunque essere assai debole: secondo i codici che la disciplinavano, non doveva giungere fino allo spargimento di sangue o a provocare danni che impedissero il ritorno alla normalità (a garanzia di ciò doveva essere presente un medico), non doveva poi durare più di 15 minuti e non doveva essere ripetuta. Inoltre la deposizione sotto tortura (anch’essa regolarmente verbalizzata, anche nei tempi e nei modi) non aveva valore se non veniva poi confermata dall’imputato in un secondo tempo (dopo almeno due giorni) e in condizioni normali. Inoltra non poteva essere mai usata per gli infermi e gli anziani (ultrasessantenni).

Dunque anche su questo è stata inventata dalla propaganda anticattolica una leggenda nera, tuttora persistente (e purtroppo creduta persino da molti Cattolici), cioè gravi e calunniose menzogne storiche, che ancor oggi circolano, anche con l’uso di romanzi, film e persino presunti “musei” degli orrori dell’Inquisizione.

“I cosiddetti Musei della tortura, presenti in molte città, sono in realtà dei baracconi antistorici, così come è antistorica la leggenda sugli <orrori dell’Inquisizione>, basata su scritti antistorici e anticattolici (come quello di Lea, History of Inquisition)” (così lo storico F. Cardini).

26. Come si giungeva alla sentenza?

L’imputato che al termine del regolare e meticoloso Processo fosse risultato innocente (cioè non eretico) veniva ovviamente assolto.

In questo modo risultava quindi anche ufficialmente e dottrinalmente ortodosso (cioè nella giusta dottrina), anche di fronte all’opinione pubblica, che quindi si era sbagliata nel ritenerlo eretico (ricordiamo come il popolo, se non ci fosse stata l’Inquisizione, sarebbe stato normalmente assai più sbrigativo e violento nei confronti del presunti eretici o per le cosiddette streghe, considerati anche socialmente pericolosi).

Se invece risultava effettivamente eretico, si distinguevano queste possibilità:

1) se era caduto in eresia per ingenuità o ignoranza, una volta chiarito l’errore e fosse tornato nella retta fede, veniva immediatamente scagionato e rilasciato.

2) se fosse stato invece consapevole della propria eresia ma poi l’abiurava (e, tranne che nei casi più gravi e urgenti, godeva di un intero anno di tempo per farlo), veniva ugualmente rilasciato, semmai con l’obbligo di porre in pratica lievi penitenze spirituali (preghiere o qualcosa di analogo, al massimo portando per un certo tempo una Croce sull’abito), ancor più lievi e persino simboliche se avesse avuto famiglia.

3) se invece l’eretico fosse stato non solo effettivamente tale ma risultasse ostinato o recidivo nel proprio errore, e tale eresia fosse stata particolarmente grave (e persino socialmente pericolosa), il processo si concludeva con una sentenza di “condanna”, con una pena commisurata alla gravità della colpa. A questo punto, una volta cioè terminata la fase di indagine dottrinale che spettava all’Inquisizione, l’imputato veniva consegnato al cosiddetto “braccio secolare”, ovvero alla giustizia penale (secolare), che applicava le pene previste dalle leggi civili contro tali reati (nei casi più gravi, era prevista la famosa condanna a morte sul “rogo”).

27. Quali erano le pene?

Abbiamo sopra già osservato che nessuna pena era prevista per chi fosse caduto in eresia per ignoranza o ingenuità e fosse quindi tornato alla retta fede. Così abbiamo visto che anche chi fosse caduto in eresia consapevolmente, ma poi durante il Processo avesse “abiurato”, cioè avesse abbandonato l’eresia stessa, veniva rilasciato, con il solo obbligo di porre in atto qualche penitenza spirituale (preghiere, pellegrinaggi, digiuni, elemosine ai poveri; al massimo portando una Croce sull’abito per un certo tempo).

Quando invece l’eretico persisteva nel suo errore, senza alcun segno di ravvedimento, la sentenza lo dichiarava tale e incorreva in pene di gravità diversificate.

Nei casi gravi poteva esserci anche la reclusione in qualche convento o la confisca dei suoi beni.

Si tenga presente che assai spesso gli eretici erano appunto “religiosi”, cioè frati o monaci (lo furono anche Lutero e Giordano Bruno!) che erano usciti dal seminato, cioè dalla retta dottrina, per cui vivevano già in convento e avevano già rinunciato ai loro beni personali. Di fatto quindi il loro superiore doveva particolarmente vigilare sulla persona già giudicata colpevole dal Tribunale dell’Inquisizione.

Anche quando la condanna al carcere era effettiva, il periodo della reclusione doveva essere breve (quasi sempre inferiore ad un anno, per i casi gravi 5 anni, al massimo per 8 anni – l’ergastolo non esisteva, fu infatti un’invenzione dell’Illuminismo!) ed era contemplata anche la semi-libertà, la licenza per buona condotta e persino la possibilità di lavorare nei campi. I detenuti anziani o ammalati, poi, potevano essere trasferiti nella loro casa. Anche le carceri dovevano essere in buone condizioni e il detenuto godeva di conforti e diritti (ad esempio, nelle carceri romane dell’Inquisizione del XVI secolo, peraltro usate raramente, le celle erano spaziose e luminose, con cambio delle lenzuola due volte la settimana, un Cardinale ne controllava periodicamente il buono stato come pure il buon trattamento del detenuto, che godeva della possibilità di utilizzare libri e di scrivere, un vitto discreto con possibilità di bere anche vino o birra di suo gradimento e avere vestiti personalizzati e sempre puliti – così l’insospettabile storico laico L. Firpo).

L’Inquisizione aveva poi il potere di attenuare, commutare e persino condonare le pene, il che avveniva assai spesso.

Quando l’eresia conclamata e non abiurata era particolarmente grave, si era notevolmente divulgata, con attacchi alla Chiesa e con serio e gravissimo pericolo per la fede e la salvezza delle anime, e l’eretico non avesse dato alcun segno di conversione e di ritorno alla verità, allora la sentenza lo dichiarava ufficialmente colpevole di grave eresia e lo “abbandonava al braccio secolare” (cioè al potere civile), che nei casi più gravi comportava appunto la pena di morte (di solito con il “rogo”), in quanto il reo veniva considerato anche socialmente dannoso e pericoloso.

Anche in questo caso estremo e assai raro, in qualsiasi momento, fosse anche un istante prima dell’esecuzione, l’eretico avesse rinunciato alla propria eresia, veniva immediatamente rilasciato.

28. Erano frequenti le condanne a morte?

All’Inquisizione spettava il solo giudizio teologico, cioè indagare – con un Processo regolare e con tutti i diritti dell’imputato (come sopra abbiamo visto) – se ci fosse stata grave e pericolosa “eresia”. Nei casi estremi della massima colpa e quindi quando il Processo terminava con una sentenza di massima pena il potere civile (il “braccio secolare”) eseguiva la sentenza di condanna a morte, in genere col “rogo”, allora normalmente previsto per i crimini più gravi. La società stessa, infatti, considerava un pericolo pubblico l’eretico, e spesso lo era effettivamente, nel senso che non solo divulgava errori dottrinali che potevano danneggiare eternamente le anime, ma creavano anche disordini e violenze sociali (come abbiamo visto già nell’eresia dei “catari”, che ha richiesto appunto l’Inquisizione medievale). Non solo i regnanti ma lo stesso “furor di popolo” sarebbero stati assai più sbrigativi e violenti. Semmai il giudice dell’Inquisizione si raccomandava di non usare sul reo inutili supplizi e gli garantiva tutti gli aiuti spirituali (preghiere e sacramenti) per poter salvarsi l’anima e sfuggire al ben più terribile ed eterno fuoco dell’inferno.

Anche quando la “pena di morte” era diffusa ovunque (e non dimentichiamo che lo è anche oggi, anche in Paesi moderni e democratici, come alcuni Paesi degli USA; per non parlare dell’uso massiccio e politico con cui se ne fa ancor uso in Cina) sino al XII secolo era esclusa dai Tribunali ecclesiastici. Venne ammessa in casi estremi proprio per far fronte ai seri pericoli (anche sociali) dovuti al divulgare della terribile eresia catara.

Il ricorrere alla pena di morte era però considerato un caso estremo, quando non si poteva cioè più far fronte in altro modo al pericolo che il reo comportava per la stessa società (una sorta quindi di “legittima difesa”); e certo, quei pur rarissimi casi di esecuzione capitale, avevano pure uno scopo deterrente (non a caso tali esecuzioni erano sempre pubbliche).

Tutta la tradizione cristiana non ha mai considerato in sé illecita e contraria al Vangelo la pena di morte (come del resto il ricorso alla guerra difensiva), pur in casi davvero estremi e senza ragionevoli alternative nell’intento di arginare un grave male. Nell’attuale situazione sociale, l’eventualità di dover ricorrere alla pena di morte viene considerata praticamente nulla (cfr. CCC, 2266-2267 e CCCC, 468- 469).

Ma tali esecuzioni capitali furono in realtà assai rare!

Proprio sul numero effettivo delle condanne a morte, conseguenti al giudizio più grave emesso dalla Inquisizione cattolica, la leggenda nera costruita sull’inquisizione e sui suoi “roghi” dalla moderna polemica anticattolica ha inventato le sue più antistoriche e fantasiose calunnie, oltre ad attribuire alla Chiesa ogni tipo di processo, anche di altre Inquisizioni, persino quelli del potere civile.

In realtà le condanne a morte conseguenti all’Inquisizione Cattolica furono assai meno di quelle emerse dai Tribunali secolari (per non parlare poi quelle inflitte da essi nell’epoca moderna, che sono di decine di milioni!), ma anche meno di quelle delle Chiese protestanti. Insomma, rispetto alle condanne inflitte proprio da parte di coloro che hanno creato e diffuso questo mito anticattolico e che tuttora se ne scandalizzano tanto e ne fanno una potente arma denigratoria contro la Chiesa!

Eppure lo storico serio deve rifarsi a dei documenti autorevoli, non a delle leggende. E sui processi dell’Inquisizione, come abbiamo ricordato, abbiamo gli effettivi Verbali, oggi accessibili a tutti gli studiosi.

Secondo attuali seri studi storici, ad esempio, l’Inquisizione medievale, nell’arco di due secoli in cui ha operato e su un territorio che va dalla Francia alla Germania e dalla Spagna all’Inghilterra, le esecuzioni non sarebbero state più di un migliaio (il che vuol dire poco più dell’1% dei Processi intentati e di cui abbiamo storica e precisa documentazione).

Anche dagli archivi storici del Tribunale di Tolosa, proprio quello che nei secoli XII-XIV dovette far fronte alla terribile eresia catara, risulta che le condanne a morte furono solo l’1% delle sentenze emesse. Il già citato grande Inquisitore di detto Tribunale, il domenicano Bernard Gui (tanto denigrato nella pubblicistica anticattolica, ma in realtà, come abbiamo visto, “uno dei più autorevoli storici del ‘300”), su centinaia di casi “rimise al braccio secolare solo 42 persone”.

L’Inquisizione romana, quella più alle dirette dipendenze dal Papa, in 5 secoli del suo operato, ha concluso i suoi Processi solo con 36 condanne a morte! Nella città di Roma, quindi dove il Papa viveva e pure governava, in 5 secoli ci fu un solo caso, quello di Giordano Bruno nel 1600 (v. poi).

Ad esempio, “il tribunale di Aquileia-Concordia, su 1000 processi tenuti tra il 1551 e il 1647, inflisse solo 4 condanne a morte” (J. Tedeschi). [Qualche storico parla invece di 97 condanne inflitte in tutta Europa].

Persino l’Inquisizione spagnola, presentata sempre come terribilmente violenta, ma che abbiamo osservato non essere tra l’altro soggetta direttamente alla Chiesa, alla prova della reale documentazione storica si rivela invece mite e scrupolosa. Furono condannati a morte solo l’1.9% degli imputati, dei quali poi di fatto salirono sul rogo ancor meno.

Anche quando storici come E. Peters parlano di 3000 condanne a morte da parte dell’Inquisizione spagnola, includendo anche il XVIII e XIX secolo, riconoscono che comunque “si tratta di un numero assai inferiore a quello inflitto dagli analoghi tribunali secolari”.


L’Inquisizione portoghese, in 3 secoli di storia inflisse solo 4 condanne a morte.


Ora, che la “leggenda nera” sull’Inquisizione e sui suoi presunti milioni di roghi (!) sia stata creata dalla cultura anticattolica susseguente alla rivoluzione francese e alle ideologie anticristiane del XX secolo (nazismo e comunismo) ha del paradossale:

Nella Francia giacobina di “liberté-fraternité-egalité”, in due soli anni di Terrore robespierriano i giustiziati furono cinque volte di più di quanti ne avesse avuti in tre secoli l’Inquisizione spagnola, la quale, tra l’altro, risparmiò alla Spagna il bagno di sangue delle guerre di religione che sconvolse l’Europa settentrionale” (R. Cammilleri).

Venendo al XX secolo, persino secondo la Commissione storica “per la riabilitazione delle vittime del comunismo” (1999) – nominata nientemeno che dal Cremlino (e presieduta da Aleksandr Yakovlev) – i morti causati dal comunismo in URSS (Unione Sovietica) tra il 1917 e il 1953 furono 43.000.000 (10 milioni solo durante l’epoca di Lenin e 10 milioni durante quella di Stalin). [cfr. Documento]

Il mito anticattolico dell’Inquisizione


29.1 – Com’è nata la “leggenda nera” sull’Inquisizione?

Sì, anche quella dell’Inquisizione è in realtà una “leggenda nera”, un mito creato dalla propaganda anticlericale, cioè anticattolica, ma colpevolmente ben lontana dai reali fatti storici.

Tale leggenda nera fa anzitutto “di ogni erba un fascio”, attribuendo all’Inquisizione Cattolica ciò che riguarda altre Inquisizioni: oltre quella spagnola, persino quella protestante o addirittura dei tribunali civili laici (come diremmo oggi), che furono assai più severe. Poi inventa o ingigantisce fino all’inverosimile violenze, torture (con tanto di falsi “Musei dell’orrore”) e condanne a morte (c’è chi giunge addirittura all’inverosimile numero di milioni di roghi!). Infine si creano “casi” paradigmatici, come quelli di Galileo (v. in proposito altri documenti nel sito) o di Giordano Bruno. Il tutto sostenuto da un’enorme pressione culturale, che si impone già nei testi scolastici, che induce il successo di “romanzi” (da quelli, più seri, di Umberto Eco a quelli, più banali, di Dan Brown), e relativi film, persino opere teatrali (come quelle di Bertolt Brecht), che possono talora anche essere ben strutturate, ma che di storico hanno appunto ben poco.

Quanto basta però perché nell’immaginario collettivo, persino di persone colte, si credano come realmente accaduti questi falsi storici e questa ‘leggenda nera’ costruita contro la Chiesa.

Tale falsa propaganda nacque già in casa “protestante”, ovviamente in chiave anticattolica (quando invece furono proprio le Chiese Riformate a porre in atto ben più spietate “inquisizioni”), ma si divulgò con l’Illuminismo (che ne fece un punto di forza nella propria lotta contro la Chiesa Cattolica, al grido di écrasez l’Infâme! leggi), e crebbe fortemente nel XIX secolo, con l’emergente clima culturale positivista, ateo o protestante, e soprattutto massonico, per proseguire nel XX secolo, con la storiografia laicista, liberale, massonica o marxista.
In questo modo l’Inquisizione assurge ormai nella mentalità dominante a simbolo stesso dell’oscurantismo, dell’intolleranza, della violenza e della ignoranza clericale. Quanto basta per desiderare non solo di stare alla larga dalla Chiesa (quindi con grave danno per la salvezza eterna delle anime) ma che essa sparisca finalmente dal panorama mondiale.

La cosa forse più triste da constatare è come di tali pregiudizi sia ormai piena la stessa mentalità dei Cattolici, così che essi stessi si vergognano della storia della Chiesa – che pure è loro “madre”, perché da essa sono nati alla vita divina ed eterna – e di conseguenza si sentano allora autorizzati a prendere le distanze anche per il presente dal Magistero stesso della Chiesa, cioè dai giudizi dottrinali e morali ufficialmente espressi dal Papa e dai Vescovi uniti con lui, come se Cristo non insegnasse, operasse e ci salvasse anche oggi (come sempre) proprio mediante la Chiesa Cattolica (vedi)!

E’ peraltro paradossale che tali false accuse di violenze, che sarebbero stata perpetrate per secoli dalla Chiesa, vengano proprio da coloro che ancor oggi sono sulla scia di quelle ideologie che in questi 2-3 secoli si sono davvero imposte con violenze inaudite (a cominciare dalla rivoluzione francese per giungere a quella bolscevica) ed hanno sì provocato fiumi di sangue, violenze e terrore, provocando persino due guerre mondiali e davvero centinaia di milioni di morti anche solo nel XX secolo! (leggi) Da certe correnti culturali, tuttora dominanti, che si rifanno a quelle ideologie, potremmo almeno chiedere l’onestà di ammettere le proprie colpe, o almeno del silenzio, prima di accusare ingiustamente quelle presunte violenze della Chiesa.

29.2 – Esistono studi più seri ed equilibrati sull’Inquisizione?

In realtà, a livello di alta cultura e specialmente dopo che è stato possibile accedere all’autorevole documentazione relativa agli autentici fatti storici (ad esempio gli Archivi con gli Atti dei Processi dell’Inquisizione Cattolica), non sono pochi gli storici che riconoscono come si debbano finalmente sorpassare certi pregiudizi anticlericali e riconoscere ad esempio che tali “Processi” costituiscono invece un decisivo passo avanti nella storia del “Diritto”, basti pensare a tutte le garanzie di cui poteva godere l’imputato e alla serietà delle indagini (appunto “inquisire”) al suo riguardo.

Ha fatto scalpore il caso dell’autorevolissimo storico Leo Moulin, che dedicò tutta la vita ad indagare queste scottanti questioni della storia della Chiesa, forse proprio con l’intento originario di denigrarla. All’inizio si professava infatti agnostico; ma al termine dei suoi serissimi e autorevoli studi storici dovette ammettere di dover capovolgere quelli che erano stati i suoi pregiudizi … e addirittura si convertì alla Chiesa Cattolica!

Ecco alcuni nomi di autorevoli storici che hanno rivalutato l’Inquisizione Cattolica: Franco Cardini, Paolo Prodi, Adriano Prosperi (marxista), G. Musca (laico), Silvana Seidel Menchi, Luigi Firpo, Gabriella Zarri, Gigliola Fragnito, Romano Canosa, Carlo Ginzburg, Bennassar, Merlo, John Tedeschi (italo americano ed ebreo), Christopher F. Black (Università di Glasgow).

Inoltre, uno storico serio si guarda bene dal giudicare la storia in base a criteri e sensibilità attuali.

La civiltà medievale era ad esempio talmente intrisa di cristianesimo, che tutto ciò che veniva a minare la fede cristiana veniva inteso non solo come danno temporale ed eterno alle anime (il che è vero) ma anche come minaccia ai fondamenti stesso della società e della civiltà, come del resto la storia della modernità, con la diffusione delle eresie e poi delle ideologie atee, ha poi nel tempo tristemente testimoniato. Per questo le eresie, giudicate dalla Chiesa cattolica con l’autorità datale da Cristo stesso, assai spesso venivano intese dal potere temporale (civile) anche come enorme danno sociale, e perciò anche come ‘reato’, e quindi gli eretici come rei, passibili cioè di un giudizio anche civile e penale.

29.3 – È vero che anche il Papa ha chiesto perdono per queste presunte colpe della Chiesa?

Dobbiamo anzitutto osservare che, mentre sulle questioni dottrinali (cioè quale sia e cosa comporti l’autentica fede in Gesù Cristo) la Chiesa e in particolare il Papa non possono sbagliare, in quanto hanno una particolare assistenza dello Spirito Santo secondo la promessa e la garanzia voluta da Gesù stesso (vedi), invece su alcune questioni giuridiche e quindi anche su alcuni Processi dell’Inquisizione, specie a livello locale, non è affatto impegnata tale garanzia soprannaturale, per cui possono essersi verificati anche degli errori, come avviene nelle cose umane, o possono essersi applicati anche metodi non propriamente evangelici.

Anche per questo la vera Inquisizione prevedeva, come vedremo, che il Papa inviasse un proprio Inquisitore, appunto come maggiore garanzia non solo dell’autentica dottrina da salvaguardare ma anche di indipendenza da possibili interferenze (anche sui Vescovi) del potere locale e persino da quel “furor di popolo”, che sarebbe stato assai più sbrigativo e violento nel risolvere certe questioni. Tali interferenze comunque non mancarono. Il caso più eclatante è forse quello – che vedremo poi – del processo in Francia a S. Giovanna d’Arco, in cui non solo non si attese il giudizio di Roma (infatti il Papa poi annullò quella sentenza di morte e l’imputata verrà in seguito addirittura proclamata santa!), ma l’interferenza del potere inglese sul potere e persino sulla Chiesa locale fu purtroppo decisiva ed ingannevole.

Dobbiamo perciò prestare molta attenzione ed evitare equivoci quando sentiamo dire che oggi la Chiesa stessa avrebbe finalmente riconosciuto i propri errori e ne avrebbe chiesto addirittura pubblicamente perdono (ad esempio quando il Papa Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, avrebbe confessato a nome della Chiesa Cattolica i cosiddetti “mea culpa”) [vedi quanto già detto nel Dossier sulle Crociate]. Infatti se con ciò si intendesse ammettere che il Papa e la Chiesa hanno un tempo sbagliato ad indicare e donare la “via” di Dio e della salvezza (cioè su questioni di fede o di morale) dovremmo cessare di credere, anche nell’oggi, che Gesù ci parla e ci salva attraverso di essa, e che quindi Gesù stesso si sarebbe sbagliato quando ha edificato la “Sua Chiesa” su Pietro e sui suoi successori (cfr. Mt 16,18-19; Lc 22,31-32). In altri termini, si dissolverebbe alla radice la possibilità di conoscere e seguire l’autentica volontà di Dio (che non è interpretabile a piacimento) e quindi di salvarsi per l’eternità!

In realtà la Chiesa Cattolica ha sempre trasmesso fedelmente la Parola di Dio e la vita divina ricevuta da Cristo, anche quando molti suoi membri (i cristiani, ma persino alcuni Vescovi e Papi) non l’hanno seguita con il proprio comportamento. E di questo, cioè dei nostri peccati, chiediamo sempre perdono anche noi.

In realtà, in occasione del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II volle anzitutto che venisse fatta memoria dell’immenso numero di “martiri” cristiani, uccisi anche dalle moderne ideologie anticattoliche (40 milioni di martiri cristiani solo nel XX secolo!) – cosa passata invece sotto silenzio! – e poi che venisse compiuta, con grande umiltà e correttezza, anche una cosiddetta “purificazione della memoria”, nel senso di riconoscere pure gli errori e i peccati che molti cristiani (non la Chiesa in quanto tale) hanno compiuto nella storia (in quanto incoerenti e quindi andati contro il cristianesimo stesso) e se certi “metodi” di divulgazione e difesa della Verità (che tale rimane ancor oggi e per sempre! – mentre le ideologie della modernità si sono anche storicamente dimostrate false e sono già tramontate, nonostante le loro inaudite violenze e le centinaia di milioni di morti prodotti) non sono stati sempre evangelici, anche se comprensibili nel loro tempo. Si doveva però procedere ad una attenta analisi storica, senza alcuna paura della verità né da parte cattolica né da parte laica. L’occasione fu propizia per invitare gli studiosi (storici) di tutto il mondo a studiare meglio come fossero andate le cose anche riguardo all’Inquisizione, e si resero reperibili gli Archivi storici che contengono gli Atti dei Processi (almeno quelli che non sono stati trafugati da Napoleone o distrutti dai poteri laicisti moderni). Fu inoltre costituita un’apposita Commissione storico-giuridica che esaminasse autorevolmente e scientificamente la questione e i cui lavori, conclusisi nel 1998, capovolsero molti pregiudizi anticlericali in merito, come riconobbero molti storici e persino la stampa laica (v. ad esempio sul Corriere della Sera del 15.06.2004).


Alcune questioni particolari

su cui la polemica anticattolica sempre ritorna con gravi falsità

La caccia alle “streghe”



30. Cosa c’è di vero nella questione delle “streghe”?

Su questa questione l’immaginario collettivo e le accuse contro la Chiesa sono talmente falsi da riguardare più il mondo delle favole che quello della realtà storica.

Nel Dossier sull’Inquisizione sviluppiamo meglio la questione. Qui ci limitiamo ad alcuni dati.

Che alcune donne (ma in realtà si parla anche di uomini: stregoni), si facessero strumenti malefici del demonio e potessero procurare del male ad altri e nella società era una credenza popolarmente anche diffusa, dovuta certo a ignoranza come pure a coincidenze di fatti talora casuali. Non a caso anche l’uomo moderno, che pur si crede tanto razionale e progredito, crede assai spesso (e non solo tra popolani ignoranti) a fortuna/sfortuna, porta bene / porta male, oggetti, parole e numeri portafortuna, come a persone che hanno il potere di guarire o di portare male ad altri e persino ai luoghi, e poi ad un numero impressionante (anche nelle nostre società occidentali) di maghi, fattucchieri e quant’altro, spendendo pure forti somme di denaro in merito. Si direbbe anzi che abbandonata la fede in Cristo, l’essere umano difficilmente diventa davvero ateo; più spesso diventa superstizioso e credente in tante forze ed energie oscure, malefiche o benefiche.

Al di là delle esagerazioni, come pure delle leggende storiche in proposito, rimane comunque pur vero, anche teologicamente (e quindi ancor oggi – cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2117), che alcune persone posso abbandonarsi talmente al demonio da diventarne strumenti anche per nuocere ad altri, e non solo in senso morale ma anche in senso psichico e persino spirituale. Anche gli esorcisti ufficiali e seri (quei sacerdoti nominati dal Vescovo per compiere questo ministero di liberazione) riconoscono questa possibilità e realtà di “maleficio” (anche se i danni recati ad altri possono essere fisici o psichici, mentre per l’anima, cioè come danno morale causato dal peccato, occorre come sempre il consenso del destinatario). E sono proprio essi a denunciare come, se nei secoli passati si poteva correre il pericolo di ingigantire le proporzioni del fenomeno, oggi assai spesso si cade nell’errore opposto, cioè di escluderlo a priori, quando invece non solo certi fatti sono possibili ma proprio oggi, oltre all’impressionante inganno satanico sulle coscienza (che perdono la fede, la grazia di Dio e persino la salvezza eterna, quasi senza accorgersene e in massa!), aumentano enormemente anche i gruppi e le sette sataniche, che si propongono come scopo proprio quello di adorare Satana e ottenere da lui, magari in cambio della propria anima, di poter usare dei suoi poteri, anche per ottenere successi terreni come pure malefici nei confronti di altri.

Certo, nei secoli passati il popolo si abbandonava spesso a false dicerie, inventando o ingigantendo le modalità e il numero di casi di persone che avessero poteri paranormali o preternaturali, influendo negativamente anche sulla vita degli altri e dell’intera società. Il popolo giungeva persino a pensare che anche catastrofi o fenomeni naturali (anche carestie) e persino terribili epidemie (pestilenze) fossero dovute al loro potere malefico (da cui il celebre “caccia all’untore”).

Inoltre, oggi ci sono numerosi studi storici e persino clinici che parlano della diffusione di alcune droghe naturali, talora assunte consapevolmente ma anche inconsapevolmente, che avevano affetti allucinogeni e potevano far credere di avere particolari poteri, come quello di volare (da cui la diceria della “streghe che volano sui manici di scopa”).

In altri casi si trattava invece semplicemente di patologie psichiche.

Ebbene, anche se molti del popolo (e non solo) andavano poi a consultare tali “streghe”, per ottenere informazioni sul futuro, cure e pure malefici contro altri (e talora anche favori sessuali), poi assai spesso potevano diffondersi nei loro confronti dicerie, falsità, paure, a tal punto da ritenerle responsabili di molti mali e da scatenare così una “caccia alla streghe”, che talora il “furor di popolo” non sarebbe andato troppo per il sottile nel catturarle e condannarle a morte.

31. Cosa c’entra l’Inquisizione con la “caccia alle streghe”?

La Chiesa (e l’Inquisizione cattolica) si mostrava assai restia ad entrare in queste questioni, non trattandosi strettamente di “eresie”, cioè di attacchi interni contro la fede.

Tra l’altro, gli Inquisitori cattolici, essendo quasi tutti Domenicani e quindi filosoficamente e teologicamente buoni “tomisti” (seguaci del grande filosofo e teologo domenicano S. Tommaso d’Aquino), credevano assai poco alla stregoneria, specie quando il fenomeno era troppo diffuso e dilagante, propendendo in genere a considerare tali accuse più frutto di superstizione popolare che di reali delitti e tanto meno di eresie (che era ciò di cui dovevano occuparsi, mentre di superstizione dovevano occuparsi semmai i sacerdoti e confessori). Solo quando il fenomeno dilagò, si cominciò ad avanzare l’ipotesi di vera e propria “adorazione del Diavolo” e quindi anche di eresia.

Tale scetticismo è presente infatti anche nella tanto famigerata Inquisizione spagnola, così che non ci fu neppure una condanna per tale motivo. Nelle regioni basche, ad esempio, fu proprio l’Inquisitore Salazar y Frias a salvare le presunte streghe dalla popolare “caccia alle streghe”; e nelle Fiandre la “caccia alla streghe” cessò proprio quando vi giunsero gli spagnoli.

Semmai c’era il dovere (anche da parte dei Tribunali ecclesiastici) di intervenire a riguardo di veri o presunti reati commessi da tali imputati, visto che c’erano certo anche numerosi casi di delitti o reati legati alla stregoneria o alla magia.

Il compito dell’Inquisizione era comunque proprio quello di intervenire per placare gli animi, compiendo serie indagini e fornendo tutto quell’apparato teologico e giuridico e tutte quelle garanzie per l’imputato (in questo caso le presunte o reali “streghe”) cha abbiamo visto essere applicate in genere per l’eretico.

Quindi, se si può parlare di “caccia alle streghe”, ciò è semmai attribuibile alla spontaneità e persino violenza del popolo (e spesso anche del potere civile), mentre invece il compito della Chiesa e dell’Inquisizione stessa era appunto quello di indagare, discernere, anche difendere da eventuali false accuse e dallo stesso furor di popolo. Solo in rarissimi casi (ancor meno che nel caso di eretici, che abbiamo visto essere minimale) si poteva giungere ad una sentenza di condanna.

Quindi esattamente il contrario di ciò che si continua a dire sulla Chiesa e l’Inquisizione, nella leggenda nera inventata dai nemici della Chiesa Cattolica.

Tra l’altro, contrariamente ai pregiudizi sul Medioevo inventati dagli stessi nemici della Chiesa nel periodo illuminista (pregiudizi e polemiche anticattoliche purtroppo ancor oggi in genere trionfanti), tale fenomeno sociale (la cosiddetta “caccia alla streghe”) durante il Medioevo fu invece di fatto praticamente assente. Di fatto è un fenomeno sociale assai posteriore (dalla fine del 1400) e che prenderà campo soprattutto nei Paesi protestanti (ma, come abbiamo detto, la leggenda nera sull’Inquisizione attribuisce ogni colpa alla Chiesa Cattolica).

È pure falso affermare che la “caccia alle streghe” fosse espressione di un maschilismo clericale, cioè nei confronti delle donne in quanto tali. In realtà, esistevano pure numerosi casi di presunti o reali “stregoni”.

32. Quanti casi effettivi?

Se vogliamo dunque uscire dall’immaginario collettivo e dai miti creati dagli avversari della Chiesa Cattolica e compiere una seria indagine storica, con l’apporto di una documentazione scientifica oggi resa possibile dall’accesso agli Archivi, possiamo contare un numero di esecuzioni (roghi) per reali e nocive forme di “stregoneria” che non raggiunge le 100 unità.

A onor del vero, non fu la stessa cosa nei Paesi conquistati dalla Riforma protestante (quella che tra l’altro è tra i primi artefici del mito anticattolico dell’Inquisizione), perché fu proprio in essi che scoppiò con maggior virulenza il fenomeno delle streghe e della conseguenza “caccia alle streghe”. In Germania, ad esempio, che contava allora circa 16 milioni di abitanti, ci furono 25.000 processi. Nella sola Ginevra di Calvino ci furono 500 roghi di streghe! Anche nei Paesi americani raggiunti dai protestanti ci furono molti roghi per questo, come quello delle famose “streghe di Salem” del 1692 nel Massachusetts. L’ultima “strega” giustiziata nella storia fu ancora in Svizzera nel 1782. I Protestanti accusavano poi i Cattolici di non fare abbastanza contro Satana e i suoi “adoratori”.


S. Giovanna d’Arco


33. Chi fu Giovanna d’Arco?

Il caso di S. Giovanna d’Arco (1412-1431) è in effetti sconvolgente e potrebbe mandare in crisi quanto abbiamo affermato in precedenza sull’Inquisizione. Infatti nel 1431 a Rouen in Francia, dopo un Processo dell’Inquisizione, venne mandata sul rogo questa giovanissima donna, che poi la Chiesa proclamò Santa e persino compatrona di Francia! Come è stato possibile?

Spesso infatti questo triste “caso” viene portato come esempio delle violenze dell’Inquisizione e delle stesse contraddizioni interne della Chiesa; quindi un ottimo argomento per la polemica anticattolica.

Oltre a quanto detto in modo più esteso nel Dossier L’Inquisizione punto 6.2, nel sito si veda pure una catechesi che il Papa Benedetto XVI tenne su di lei.

Giovanna d’Arco, detta la “Pulzella” (cioè la verginella), era una ragazza francese con degli eccezionali doni di Dio: sentiva infatti interiormente delle “voci” che la spingevano a compiere una particolare missione. Soltanto che tale missione non era solo quella, come per tutti, di annunciare il Vangelo e la salvezza di Gesù a tutti gli uomini, ma di “liberare la Francia dal nemico inglese che l’aveva occupata”! E doveva farlo proprio lei, una donna … e praticamente ancora adolescente!

Si capisce quindi che, nonostante che la sua condotta fosse integerrima, si potessero avere seri sospetti su queste “voci interiori” e su questa incredibile “missione militare” che le sarebbe stata affidata da Dio!

In realtà, non è difficile immaginare che proprio coloro che ancor oggi portano questo caso come argomento polemico contro la Chiesa, in realtà farebbero molta fatica ad ammettere una tale “missione militare” come voluta da Dio, anzi nel ‘pacifismo’ unilaterale oggi dominante sarebbe portata ella stessa come esempio di intolleranza e violenza cattolica!

La Francia, conquistata dagli Inglesi in alleanza coi Borgognoni, stava in quegli anni ormai per soccombere e per sparire dalla storia e geografia europea. Giovanna, che era nata in Lorena nel 1412 da una famiglia di contadini cattolici ed era analfabeta, a soli 17 anni (!) “sente” (realmente anche se solo interiormente) che Gesù la chiama a mettersi a capo di un esercito (ovviamente di uomini!) e liberare così definitivamente la Francia del nemico inglese! Ci sarebbe in effetti da sorridere. Soltanto che i fatti sembrano darle ragione. Riesce infatti a convincere di questa missione il Delfino di Francia, il futuro Re Carlo VII ormai ritirato inerme; intanto la “Pulzella” (come verrà subito chiamata) detta e invia delle lettere nientemeno che al Re di Inghilterra e ad altri Duchi inglesi che assediano la città di Orléans, ormai ultimo baluardo della resistenza francese, in cui cerca anzitutto di convincerli ad un giusto accordo di pace con la Francia, in nome della stessa unica fede in Gesù. Non essendo ovviamente presa in considerazione la sua proposta, ed essendo Carlo VII ancora perplesso sulla possibilità di una vittoria, allora Giovanna stessa si mise a capo di un manipolo di soldati per affrontare militarmente gli inglesi! E il fatto cha ha del miracoloso è che proprio lei, una ragazzina a capo di un gruppo di soldati, in quel 1429 riuscì a liberare Orleans dall’assedio degli inglesi. Ottenuto questo straordinario risultato, qualche mese dopo riuscì nella città di Reims a far incoronare Carlo VII Re di Francia, potendo tornare anche a Parigi (dove però il Parlamento era ormai condizionato politicamente dagli inglesi).
A questo punto i sovrani inglesi e tutti coloro che in combutta con loro avevano assunto poteri in Francia, si accorsero della pericolosità della “Pulzella” e cominciarono in tutti modi a perseguitarla, desiderando ovviamente di eliminarla o imprigionarla.
L’occasione propizia avvenne a Compiègne, dove purtroppo Giovanna d’Arco venne tradita proprio da alcuni francesi in combutta con gli inglesi, che la lasciarono catturare e imprigionare da loro.
Si sperò subito di farla condannare a morte per eresia o stregoneria. Non è difficile immaginare che quelle “divine o angeliche voci interiori” che la spingevano alle azioni militari, come pure l’incredibile successo militare e politico ottenuto – nulla ovviamente per sé ma per il bene della Francia intera – si prestavano molto a dicerie e interpretazioni di quel tipo. Inoltre, essendo ormai molto amata dal popolo francese, che già la chiamavano la loro santa eroina, avrebbero cambiato idea su di lei solo se un Tribunale ecclesiastico avesse giudicato tali fenomeni interiori e tali successi militari non un segno divino ma addirittura un potere diabolico!
Per questo gli Inglesi, con le loro influenze non solo su persone altolocate francesi ma persino su molti Vescovi, riuscirono ad intentare contro Giovanna d’Arco, ormai prigioniera, un vero e proprio Processo ecclesiastico, dove però le influenze inglesi e le motivazioni politiche erano ormai evidenti.
A fine anno 1430 Giovanna fu quindi condotta prigioniera a Rouen, con l’accusa di eresia o di stregoneria, e agli inizi del 1431 si riuscì ad aprire un Processo inquisitorio contro di lei.

34. Come è stato possibile che fosse condannata a morte colei che fu poi proclamata santa?

Il dramma di questo particolare Processo è che, pur corredato certo da perplessità comprensibili sul caso davvero eccezionale di questa giovane “verginella”, sia stato così condizionato da questioni politiche da giungere alla grave sentenza che ha portato in breve tempo Giovanna d’Arco sul rogo di Rouen, senza neppure che ci fosse una supervisione della procedura da parte del Papa; infatti tale Processo verrà (purtroppo a posteriori, quando ne venne a conoscenza) annullato dal Papa, a tal punto che poi l’imputata sarà addirittura canonizzata e proclamata Santa patrona di Francia!

Il Processo inquisitorio – ne abbiamo comunque il Verbale, rigorosamente redatto, conservato e ancor oggi consultabile, che contiene la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna e ne riporta le parole, permettendoci così di conoscere anche l’altissima spiritualità e testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa, anzi di santità, di Giovanna d’Arco – era stato presieduto sì da due giudici ecclesiastici (il vescovo Cauchon, purtroppo sostenuto dagli inglesi e quindi a loro debitore, e l’inquisitore Le Maistre, un domenicano che fu coinvolto controvoglia in questo Processo), coadiuvati da teologi dell’Università di Parigi (che si erano però già schierati dalla parte degli inglesi; e pensare che proprio quell’Università aveva conosciuto nella storia teologi all’altezza di S. Bonaventura, di S. Tommaso d’Aquino e del beato Duns Scoto).

Come abbiamo osservato, nonostante l’evidente pressione degli Inglesi perché si giungesse all’esito tragico che poi è stato in effetti raggiunto, questo Processo doveva affrontare anche problematiche di non facile soluzione teologica e doveva dare un giudizio teologico su dei dati che si prestavano facilmente ad opposte interpretazioni: la questioni delle “voci interiori” (dell’arcangelo Michele e persino di Gesù stesso), che spingevano irrefrenabilmente la fanciulla ad una missione politica e persino militare difficilissima (nessun regnante c’era riuscito), potevano facilmente essere interpretate come illusioni isteriche e persino come qualcosa che poteva avere il sapore della magia, della stregoneria e persino di satanico; così che tale fanciulla avesse indossato un’armatura maschile e si fosse messa a capo di un esercito di uomini (che in genere non trattavano certo coi guanti le ragazze che potevano avere tra loro; ma ella rimase notoriamente “la verginella”, come indica il nome Pulzella con cui era comunemente chiamata) si prestava certo anche a seri dubbi sulla sua missione “divina”. Durante il Processo si cercò anche di trarla in inganno teologico – ed era facile per una fanciulla analfabeta! – cercando di farle dire eresie o inganni riguardo a quelle “voci” e alla missione che Dio stesso le avrebbe dato; ma in realtà dimostrò una correttezza dottrinale e morale ineccepibile e inspiegabile per una fanciulla come lei.
Tutto aveva però in effetti la fisionomia di un caso paradossale. Lei stessa giunse quasi a credere di essersi ingannata; se lo avesse ammesso si sarebbe salvata; ma Gesù stesso le disse che se lo avesse fatto si sarebbe persino dannata; al che Giovanna rifiutò ogni dissimulazione al riguardo (col pericolo di essere quindi considerata recidiva), consapevole di andare così incontro alla morte. Aveva perfettamente compreso che tale Processo voleva rapidamente condurre ad una condanna decisa quasi a priori e in gran parte per motivi politici. Il suo operato aveva in effetti sconvolto lo steso panorama politico europeo.
Per questo il 24.05.1431 si appellò direttamente al Papa. Normalmente bastava questo per sospendere il Processo e ricominciarlo da capo sotto la supervisione di un Legato pontificio; ma in questo caso le venne inspiegabilmente risposto che il Papa era troppo lontano e irraggiungibile in quella situazione di guerra (tra l’altro il 20 febbraio era morto Martino V e il nuovo Papa Eugenio IV non poteva certo essere messo rapidamente al corrente della cosa, visti tra l’altro i tempi di comunicazione di allora), e che quindi non potevano attendere il suo giudizio, respingendo così il suo appello.

Infatti il 20 febbraio era morto il Papa Martino V e il nuovo Papa Eugenio IV venne eletto l’11 marzo. Tenendo presente i tempi delle comunicazioni di allora e la pressione degli inglesi (sugli stessi prelati francesi) possiamo ben comprendere come il Papa sarebbe stato comunque messo di fronte al fatto compiuto.

Il Processo si concluse dunque assai rapidamente con la sentenza di pena massima e l’abbandonò al “braccio secolare”, che avrebbe provveduto all’esecuzione della condanna a morte); salì così sul “rogo” il 30.05.1431.
 

In questo si evidenzia l’eccezionale leggerezza di quel Processo rispetto a quella che era l’abituale rigorosità giuridica dei Tribunali ecclesiastici, come abbiamo visto.
Ne era stato comunque redatto rigorosamente il Verbale (ancor oggi consultabile), che sarà fondamentale quando, purtroppo in ritardo, il Processo sarà ria perto e annullato dal Papa Callisto III nel 1456 (con un nuovo “Processo di riabilitazione”).

Giovanna d’Arco venne poi beatificata da S. Pio X nel 1909 e canonizzata da Benedetto XV nel 1920. La sua memoria liturgica, assai festeggiata in Francia (di cui è compatrona), ricorre appunto il 30 maggio, giorno della sua morte sul rogo.


Giordano Bruno



35. Perché il processo e il rogo di Giordano Bruno è diventato un “caso” tanto eclatante?

Come abbiamo detto sopra (n. 31), in 5 secoli di Processi intentati dall’Inquisizione Romana, quella maggiormente alle dipendenze del Papa, ci furono solo 36 condanne a morte; ma una sola nella città di Roma, sede appunto del Papa e sotto il suo governo! Ebbene, tale condanna fu proprio quella di Giordano Bruno, morto sul rogo a Campo dei Fiori il 17.02.1600.

Al tempo della sua esecuzione e nei secoli successivi tale condanna non aveva procurato alcun particolare scalpore. Ma dopo la presa di Roma da parte dei Piemontesi (20 settembre 1870 – vedi Documento e Dossier) e l’instaurazione del Regno d’Italia (sotto Vittorio Emanuele II e le fortissime pressioni culturali ed economiche della Massoneria, nemica della Chiesa) il caso Giordano Bruno è assurto a simbolo del “libero pensiero” contro il fanatismo e oscurantismo cattolico, addirittura presentandolo come antesignano della scienza (quando invece le posizioni del Bruno non avevano nulla di scientifico, semmai di magico) e della filosofia moderna, persino della rivoluzione francese. Moltissime logge massoniche furono intitolate a lui. E proprio nel centenario della Rivoluzione francese, il 9.06.1889 il nuovo Stato Italiano, per volontà del massone Francesco Crispi, eresse nel luogo del suo rogo, cioè in Campo de’ Fiori a Roma, quel monumento a Giordano Bruno (dell’artista Ettore Ferrari, finanziato da logge massoniche) che divenne ed è tuttora considerato il simbolo del trionfo dello spirito laicista, del libero pensiero contro il violento oscurantismo della Chiesa Cattolica.

Solo da poco tempo, nonostante l’opinione pubblica e i giovani siano sempre di nuovo indotti a vedere in Giordano Bruno il simbolo del libero pensiero perseguitato e ucciso dall’oscurantismo cattolico, più seri e obiettivi storici laici danno sul caso un giudizio assai meno ideologico, come il già citato storico laico Luigi Firpo, già allievo di Gentile e Saitta, che studiò accuratamente tale Processo e alla fine onestamente riconobbe che “pur essendo partito nella ricerca con molti pregiudizi sulla Chiesa, non poteva alla fine dire che la Chiesa avesse sbagliato” (L. Firpo, Il processo a Giordano Bruno, Salerno Ed. Roma 1993).

Pochi addirittura ricordano che si trattava di un frate o ex-frate (tra l’altro Domenicano, quindi proprio quei frati poveri ma dotti che gestivano normalmente a nome del Papa i processi dell’Inquisizione!), ma con una dottrina (ed una vita) così bizzarra da aver girovagato per tutta Europa, inizialmente protetto da molti sovrani ma poi scomunicato anche da molte Chiese protestanti; per cui appunto decise di tornare nei territori del Papa (cfr. Dossier L’Inquisizione punto 6.3).

Quello di Giordano Bruno, oltre ad essere l’unico processo della Inquisizione che a Roma si concluse con la condanna a morte, fu tra l’altro eccezionalmente lungo (quasi 8 anni, mentre tali Processi erano meticolosi ma in genere assai rapidi, proprio a garanzia dell’imputato e del suo onore, qualora fosse poi risultato innocente): questo proprio perché si fece di tutto per salvarlo, cioè per condurre questo ex frate domenicano a rinunciare alle sue bizzarre teorie filosofiche e teologiche, considerate assai pericolose non solo per la salvezza eterna delle anime ma anche per la vita sociale (e come tali perseguibili anche secondo il potere civile). Il suo netto rifiuto, anzi la sua ostinazione ai limiti della megalomania che lo portava ad insultare aspramente i giudici (e pensare che fu interrogato dallo stesso Santo Cardinale gesuita Roberto Bellarmino!), resero praticamente inevitabile la sua condanna, che lo portò appunto sul rogo la mattina del 17 febbraio 1600 nel luogo di mercato romano chiamato Campo de’ Fiori.

36. Chi fu Giordano Bruno?

Nato a Nola nel 1548, a 17 anni entrò nel grande convento dei Domenicani di Napoli. Dimostrò subito un’acuta intelligenza, ma anche un carattere ribelle, volubile e capace di rapide opposte dissimulazioni, con abile oratoria. Già da novizio (cioè in seminario) coltivava anche interessi esoterici e dottrine eretiche, e fu sentito ad esempio più volte dai compagni disprezzare apertamente la Madonna. Fu quindi una grande imprudenza, che costò cara a lui e alla Chiesa intera, l’averlo ammesso alla Professione religiosa (divenne cioè frate domenicano) e poi pure al sacerdozio. Ancor più grave che gli fu permesso assai presto di insegnare e di poterlo fare ovunque, anche in altri paesi europei, data la sua ottima padronanza della lingua latina (allora lingua dei dotti comune in tutta Europa).

Per questo cominciò a girovagare per tutta Europa (qualcuno si chiede anche chi lo finanziasse?!), ma già a trent’anni la sua grave volubilità lo portava a oscillare continuamente tra il voler rimanere frate o voler abbandonare i voti. A tal punto che molti in Europa non sapevano neppure se fosse ancora frate oppure no.

Di fatto decise di allontanarsi anche dalla Chiesa Cattolica, per stabilirsi nella Ginevra divenuta sede principale della Chiesa Riformata di Calvino.

Rimase certo deluso nel constatare come Calvino, e ancor più il suo spietato successore Teodoro di Bezza, mandarono al rogo migliaia di persone e di teologi proco graditi (tra cui quel Serveto che Giordano leggeva con entusiasmo sin da novizio). Ma avendo trovato la protezione del Marchese Caracciolo (di origine napoletana e parente di Papa Paolo IV, ma passato al calvinismo), ottenne di iscriversi all’Accademia di Ginevra (in cambio della suo passaggio al calvinismo).

Ben presto però, con il carattere polemico e arrogante che lo contraddistingueva, si oppose aspramente al titolare dell’Accademia che frequentava (A. de la Faye), il quale, essendo anche funzionario di Stato, lo fece arrestare, processare e scomunicare dalla Chiesa calvinista.

Tornò allora, certo con sotterfugi, nella Chiesa Cattolica e giunto nel convento domenicano di Tolosa (proprio dov’è sepolto il grande domenicano S. Tommaso d’Aquino!), riuscì persino ad insegnare nell’università tenuta proprio dai Domenicani (altra imperdonabile leggerezza dei suoi superiori! Non è chiaro se fu poi presa in seguito la decisione di sospenderlo “a divinis”, cioè che non potesse più esercitare il suo ministero sacerdotale ed agire in quanto frate domenicano).

Nell’incertezza persino se fosse ancora frate domenicano oppure no, due anni dopo andò a insegnare a Parigi, dove fu nientemeno che ammesso alla Corte e all’Accademia reale di Enrico III, appassionato di arti magiche come lui! Ma dopo due anni si trasferì però inspiegabilmente a Londra, abitando presso l’Ambasciata di Francia.

Secondo lo storico inglese John Bossy, Giordano Bruno fu un agente segreto, il quale, vestendo di nuovo all’Ambasciata di Francia il suo abito domenicano (e fu certo un gravissimo abuso!), riuscì a far catturare numerosissimi cattolici, anche mediante sacrileghe Confessioni e infrangendo persino il segreto confessionale! Il fatto che fosse così apertamente accolto da molti regnanti d’Europa, come pure che godesse di una tale disponibilità finanziaria (impossibile per un frate) che gli permetteva di viaggiare e pubblicare libri in tutta Europa, ha indotto molti storici a fornire appunto l’ipotesi che fosse una “spia”, persino inserito non solo in giochi di potere ma persino in sette esoteriche se non addirittura sataniche.

Andò quindi ad insegnare nella celebre università di Oxford, nata dalla Chiesa Cattolica ma passata ai Puritani (Protestanti radicali che non si riconoscevano in nessuna delle Confessioni protestanti), ed ebbe anche un iniziale successo, viste le sue abilità oratorie e di memoria; ma anche lì s’inimicò subito i colleghi professori, tanto che ben presto dovette ritornare a Londra.

È comunque sempre più evidente che per Bruno la religione è ormai nient’altro che un semplice strumento di potere, da cambiare di volta in volta, ma alla quale assolutamente più non crede, approdando invece a una filosofia sempre più panteistica e addirittura incline alla magia.

A questo punto non solo si distaccò totalmente dalla Chiesa Cattolica e dal cristianesimo stesso, ma si autoproclamò addirittura Mercurio, con chiari segni di megalomania, come se fosse il Grande Spirito inviato dal Principio Divino dell’Universo a sollevare l’umanità dal suo stato di ignoranza!

Tornato quindi a Parigi; ma trovando profondamente mutata la situazione politica, l’anno dopo si recò allora nella luterana Germania. Qui abitò dapprima a Marburgo (ma, essendosi presentato come un rivoluzionario “alla guida della nuova umanità”, vi venne cacciato) e poi a Wittenberg. Si recò quindi a Praga, dove venne accolto addirittura dall’imperatore Rodolfo II (che si era mostrato interessato ai suoi libri su magia, cabala e alchimia!). Raggiunse poi l’Accademia di Helmstadt (dove fece l’elogio funebre del duca Giulio, morto da pochi giorni, con lodi sperticate a lui e al protestantesimo, accusando ovviamente la Chiesa Cattolica); ma venne poi scomunicato anche dal pastore luterano di quella città e dovette fuggire. Lo troviamo poi a Francoforte e infine a Zurigo (ma per qualche storico c’è stata un presenza seppur furtiva del Bruno persino in Spagna). A Zurigo è accolto dal nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo invita poi a raggiungere Venezia.

Bruno accetta volentieri l’invito, ormai deluso e stanco delle censure e scomuniche collezionate nei Paesi della Riforma protestante. Confessò che preferiva ormai tornare in quella Chiesa Cattolica tutto sommato “meno asina” delle altre (come la definisce egli stesso nella sorprendente e terrificante opera Spaccio della bestia trionfante). Pensava poi che si sarebbe trovato bene in una città così colta e aperta a tutte le idee e pratiche (anche magiche!) come Venezia, data la sua influenza sul Mediterraneo e la sua vocazione di città-ponte tra Oriente e Occidente. Nella sua megalomania, pensava che fosse ormai maturato il tempo, corredato da segni astrologici, di una nuova era dell’umanità, e che essa avrebbe segnato il trionfo addirittura della sua filosofia!

Eccoci dunque a Venezia; siamo nel 1591 (e quindi, nonostante tutto questo incredibile ‘iter’, il nostro ha ancora solo 43 anni). Qui Giordano Bruno dà sfogo a tutte le sue tracotanti affermazioni, non solo fortemente eretiche (al di fuori non solo di ogni riferimento cattolico e cristiano, ma che hanno assai più le caratteristiche della magia e dell’esoterismo che della religione) ma talmente farneticanti, da scandalizzare e irritare il suo stesso protettore Mocenigo, che alla fine si stancò, sentendosi persino ingannato dal suo istrionico ospite, che tra l’altro, come dice, “preferisce frequentare bordelli piuttosto che insegnargli ciò per cui è pagato, alloggiato e nutrito”. Chieste e ricevute ulteriori informazioni dalla Germania, proprio questo nobile veneziano lo denunciò all’Inquisizione locale, scoprendo tra l’altro che si trattava di un ex-frate domenicano.

37. Come si è svolto il Processo a Giordano Bruno?

Comparendo davanti alla sede veneziana dell’Inquisizione il 26.05.1592, Giordano Bruno affermò istrionicamente di aver desiderato tornare in Italia e di non avere mai abbandonato la fede cattolica. Poteva affermare questo a Venezia, visto che intanto la maggior parte dei suoi libri, evidentemente ormai lontanissimi dalla fede non solo cattolica ma cristiana e persino religiosa, non erano ancora pervenuti in Italia. Nella seduta del 30.07.1592 chiese comunque ipocritamente perdono se avesse affermato qualcosa contro la fede cattolica. Per questo l’Inquisizione veneziana, ritenendo che ci fosse comunque un ravvedimento, fu propensa a riconoscerne l’innocenza; ma, prima di emettere il proprio giudizio, per sicurezza trasmise a Roma la copia degli interrogatori, verbalizzati come da prassi.

A Roma il tutto fu esaminato dall’Inquisitore Giulio Antonio Sartori, il quale però si accorse subito delle farneticanti posizioni ed eresie del Bruno e, contando anche sul fatto che era originario di Nola e quindi di loro competenza, chiese il trasferimento del Processo a Roma.

Bruno arrivò a Roma il 27.02.1593. Il Processo fu eccezionalmente lungo (quasi otto anni), proprio perché si volle indagare bene sul suo pensiero e sui suoi scritti, non facilmente reperibili e conoscibili a Roma in quanto scritti quasi tutti all’estero. Ci furono 36 udienze (solo nel corso del 1593 venne interrogato 8 volte); ma sorprese tutti per la sua arroganza, per gli insulti e persino le bestemmie.

Per evitare errori e anche per permettere al Bruno di organizzare meglio la propria difesa, nel maggio 1594 l’Inquisizione romana decise di riprendere il processo da capo; giunsero intanto su di lui notizie e testimonianze più precise e concordanti, anche dall’estero. Si venne a sapere come il Bruno fosse stato accolto (e certo anche respinto) da molte corti europee; occorreva quindi massima prudenza e più che mai una documentazione articolata, data anche la sua notorietà in un’Europa travolta dalle divisioni provocate dalla Riforma protestante. Per questo, anche quando nel 1595 la Congregazione dei Cardinali (il più alto collegio dell’Inquisizione Romana) era pronta per emettere la sentenza, il Papa stesso (Clemente VIII) intervenne per prorogare ulteriormente l’indagine, osservando come di fatto non si era ancora a conoscenza della maggior parte degli scritti del Bruno.

La lettura attenta dei suoi libri durò dal marzo 1595 al marzo 1597, il che documenta che non si trattava di giudizi affrettati o dettati da animosità degli avversari (tra cui il suo ex protettore e poi accusatore veneto Mocenigo). Alla fine, nel 1597, si riprese quindi la discussione e si chiese al Bruno se ritrattasse certe sue manifeste eresie (il che avrebbe concluso subito il processo con al massimo la pena di qualche penitenza spirituale, come preghiere, pellegrinaggi o altre pratiche religiose del genere, come era nella prassi dell’Inquisizione). Nella sua patologica volubilità e capacità di dissimulazione, qualche volta sembrò ritrattare, oppure affermava che si trattava di ipotesi “puramente teoriche”. Ma in realtà le sue posizioni teologiche e filosofiche erano di una gravità estrema, e alla fine confermate:

Negava la Creazione (dicendo che si trattò di un’emanazione necessaria dell’Essere), affermava di conseguenza l’esistenza di molti mondi, anzi, che l’universo stesso era una divinità (panteismo), di cui lo Spirito Santo sarebbe l’anima. Circa la Bibbia affermava che non era stata che il frutto di un sogno, che Mosè avrebbe simulato i miracoli e inventato la Legge di Dio, che i profeti erano stati dei maghi, come lo furono poi gli Apostoli (e per questo finirono male). Anzi, Cristo stesso non sarebbe Dio ma solo un “mago” e un ingannatore (e a buon diritto è stato ucciso!). La verginità di Maria non sarebbe stata reale. Circa l’Eucaristia ovviamente negava la transustanziazione (cioè le reale presenza di Gesù; cosa già presente nella quarta accusa della prima denuncia). Affermava quindi la bontà della magia, la metempsicosi (l’anima che può reincarnarsi in più corpi) e la salvezza anche dei demoni”.

Persino la questione copernicana, cioè l’ipotesi di un sistema cosmico eliocentrico e non più geocentrico, veniva letta da Giordano Bruno come fine del cristianesimo e inizio di un “panteismo” in cui non c’è più non solo un centro, ma neppure un Creatore, un Redentore e neppure un uomo con un destino superiore alla natura. Il nuovo dio sembra sempre più la “Natura” stessa [in questo senso, proprio per le sue implicanze non solo cosmologiche ma pure antropologiche, tale ipotesi fu provvisoriamente censurata dal Sant’Uffizio nel 1616 (v. nel sito il Dossier Galilei al punto 4.2).

Con queste idee, si capisce allora perché fu più volte rifiutato e scomunicato persino dai Protestanti.

Forse non credendo che un frate (o ex-frate) domenicano potesse arrivare a tanto, non ci si rese conto della cruda realtà, che cioè di cristiano non c’era proprio più nulla in ciò che Bruno scriveva o predicava! Per evitare l’irreparabile, si prese (e si concesse al Bruno) ancora tempo (ed era già stato un Processo eccezionalmente lungo: 8 anni) e ci si ostinava a credere alla possibilità di un suo ripensamento, procedendo in modo ancora morbido. Nel gennaio 1599 fu lo stesso Cardinale Bellarmino (il futuro Santo Dottore gesuita, che troviamo anche all’inizio della questione Galilei) ad assumere personalmente la guida del Processo e a interrogare Bruno circa le sue reali posizioni dottrinali, facendo di tutto per condurlo a un serio ripensamento e per salvarlo. Anzi, il 15 febbraio tale soluzione sembrò vicina; ma più tardi, il 16 settembre, si rifiutò di dare segni di pentimento. Intanto giunsero dall’Inghilterra notizie su come avesse sparlato pubblicamente del Papa, della Chiesa e della fede cattolica. Perfino un frate che fu con lui a Venezia venne spontaneamente a Roma, autodenunciandosi e denunciando Bruno di eresia.

Sino alla fine vennero fatti continui tentativi, anche da parte di frati Domenicani e Francescani e dai Gesuiti, per indurlo al pentimento e all’abiura dalla sue eresie (il che lo avrebbe immediatamente salvato). Nessuno sforzo in questo senso ebbe successo. Anzi, ancora ai primi di febbraio Giordano Bruno scrisse un “memoriale” mostrando di essere irremovibile. A questo punto, l’8 febbraio 1600, viste le gravi, manifeste e confermate eresie, il processo passò da canonico a civile, abbandonando cioè Giordano Bruno “al braccio secolare” (che in questi casi prevedeva il rogo, ma che a Roma era un pena che l’Inquisizione non aveva mai comminata!). Lo stesso Bruno ammise che “i giudici avevano più paura loro a pronunciare tale sentenza che lui di ascoltarla”. Negli otto giorni rimanenti, venne continuamente visitato nel carcere (di Tor di Nona), anche da preti, frati, teologi, per indurlo a pentirsi; senza successo. Così la mattina del 17 febbraio 1600 fu condotto nel luogo di mercato chiamato Campo de’ Fiori e fu messo sul rogo, dove morì dopo qualche minuto.


Il “caso” Galileo

Sul “caso Galileo”, falsato e ingigantito oltre due secoli dopo dalla polemica anticattolica e dallo scientismo ottocentesco per attaccare la Chiesa Cattolica e per dimostrare come essa si sia sempre opposta alla scienza, fin appunto dal suo sorgere, incriminando e condannando il suo stesso “padre fondatore”, nel sito abbiamo già scritto molto: oltre a quanto detto nel Dossier L’inquisizione al punto 6.4, v. il Dossier Galileo Galilei e il documento più sintetico Il caso Galileo nella sezione “Fede e cultura”. Qui riportiamo solo qualche cenno sintetico.

38. Che posto aveva la scienza nella Chiesa e nella stessa Roma dei Papi al tempo di Galileo?

La Roma papale dei tempi di Galileo era una fucina di cultura, scienza e arte (di cui anche oggi possiamo constatarne il trionfo e goderne la bellezza), sia per la saggezza e l’erudizione dei Papi (alcuni di loro erano perfino esperti in astronomia, come Paolo III, Gregorio XIII, Paolo V e lo stesso Urbano VIII del “processo” a Galilei), sia per il mecenatismo di certi cardinali, come pure per le alte istituzioni culturali e scientifiche poste in atto anche dai nuovi ordini religiosi, tra i quali specialmente la Compagnia di Gesù, che promosse ovunque non solo l’autentica fede ma anche la cultura, nelle sue molteplici ramificazioni. Ne è già riprova il loro Collegio Romano.

I Gesuiti fondarono proprio a Roma il Collegio Romano (oggi: Università Gregoriana), che fu una particolare fucina di cultura e di studi, anche in campo scientifico e astronomico, tra le più eccelse d’Europa. Tra i suoi docenti (gesuiti) ebbe insigni scienziati, tra i quali Clavius (figura così eminente in matematica da essere definito “l’Euclide del XVI secolo”), S. Roberto Bellarmino (che guidò il Processo a Giordano Bruno e seguì all’inizio la questione Galilei; oltre che superlativo teologo fu studioso e docente anche di astronomia, nel Collegio stesso e all’università di Lovanio), A. Kircher (fu il primo ad usare sistematicamente il microscopio per lo studio delle malattie; fu anche il primo ad esporre una teoria completa dell’evoluzione ed è considerato l’antesignano degli studi sull’Asia e sull’Egitto), Boscovich (per la sua intuizione degli atomi-punti che costituirebbero tutta la realtà è considerato il padre della moderna teoria atomica). Alcuni di questi professori gesuiti del Collegio Romano svilupparono studi speciali sui terremoti, mettendo le basi della sismologia (che non a caso era detta anche la “scienza dei gesuiti”). Altri furono astronomi di tale valore che ben 35 crateri lunari portano il nome degli astronomi gesuiti del Collegio che li scoprirono..

Che la scienza fosse fortemente promossa nella Roma dei Papi è provato anche dalla Accademia dei Lincei (fondata a Roma nel 1606 dal naturalista romano Federico Cesi sotto gli auspici di papa Clemente VIII), con lo scopo di radunare gli scienziati più insigni in una specie di comunità internazionale di studio e di ricerca scientifica. Fu in questo senso la prima accademia scientifica internazionale al mondo (precedendo in questo senso la Royal Society di Londra e la Académie des Science di Parigi). Poiché il metodo di ricerca promosso in tale Accademia era proprio quello di attenersi all’osservazione dei fenomeni e verificare le ipotesi mediante esperimenti (i membri dovevano guardare bene, come delle “linci”), potrebbe essere intesa anche come matrice della nuova scienza sperimentale. Tra i suoi membri ci fu anche Galileo, nominato proprio dal Cardinale Barberini (futuro Papa Urbano VIII) come segno della sua amicizia e stima.

Nel 1847 Pio IX trasformò l’Accademia in Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei e nel 1936 Pio XI in Pontificia Accademia delle Scienze. Furono membri della Pontificia Accademia delle Scienze grandissimi scienziati (tra cui Lemaitre, Marconi, Planck, Heisenberg, Fleming, Dirac). Tuttora esistente e operante, vi sono iscritti la maggior parte dei più grandi scienziati viventi (tra cui diversi premi Nobel). Che questa Accademia sia Pontificia è già per sé eloquente dell’attenzione sempre data alla scienza da parte della Chiesa.

Che poi la Chiesa desse una particolare attenzione proprio all’astronomia, è provato anche dal fatto che a Roma, voluto dal Papa Gregorio XIII (astronomo egli stesso), fu costruito il più antico osservatorio astronomico del mondo, detto appunto Specola Vaticana (tuttora esistente e di prestigio scientifico, anche se la sua attuale sede, dopo il Vaticano e Castel Gandolfo, è nel deserto dell’Arizona USA): e che proprio tale Papa Gregorio XIII, con l’aiuto degli scienziati gesuiti suoi collaboratori, riuscì a risolvere per primo e definitivamente la questione del Calendario, che infatti porta il suo nome.

Si trattava di come risolvere la questione, e appunto nessuno c’era riuscito prima di Papa Gregorio, che mentre la Terra compie una rivoluzione attorno al Sole (anno), compie “poco più” di 365 rotazioni (365,22) attorno a se stessa (giorni); questo “poco più” è peraltro un numero periodico, che corrisponde a poco meno di 6 ore; per questo occorre aggiungere 1 giorno ogni 4 anni (anno bisestile) ma toglierne 3 ogni 400 (è bisestile solo l’anno centenario le cui prime cifre e non le ultime, che ovviamente lo sono, sono divisibili per 4), a tal punto da formulare un calendario così preciso che durerà per sempre e che porta infatti il suo nome (“Calendario gregoriano”, che ha sostituito il precedente “Calendario giuliano”). E non era una questione puramente accademica, visto che nel XVI secolo si erano già accumulati 10 giorni di ritardo; andando avanti così ci saremmo trovati ad avere ad esempio nel nostro emisfero l’estate a dicembre e l’inverno a giugno.

Fu solo il Papa Gregorio XIII, peraltro anch’egli astronomo, che con i suoi collaboratori astronomi gesuiti del Collegio Romano nel 1582 risolse definitivamente il problema, così che il calendario da lui istituito e che da lui prende il nome (“gregoriano”) non solo è stato accolto dall’umanità intera, ma non avrà più bisogno di essere corretto, tanto è preciso.

Un autorevole professore statunitense (Heilbronn) afferma: “Dal tardo Medioevo all’epoca dell’Illuminismo la Chiesa Cattolica ha promosso e sostenuto (anche economicamente) lo studio dell’astronomia più di ogni altra istituzione, probabilmente più di tutte le altre insieme” [citato da T. E. Woods Jr. in How the catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., SI, 2007, p. 12)].

La nuova teoria astronomica secondo cui nel sistema solare il centro è dato dal sole (eliocentrismo) e non dalla terra (geocentrismo) porta comunemente il nome dell’Ecclesiastico di Cracovia che la intuì con più chiarezza e la promosse, cioè Nicolò Copernico (1473-1543).

Nonostante la “teoria copernicana” potesse comportare notevoli valenze anche sul piano antropologico (l’uomo non più il centro della Creazione? anche per questo ci fu una momentanea proibizione di insegnarla nel 1616 – l’espressione “rivoluzione copernicana”, usata anche da Kant per indicare la sua teoria della conoscenza, viene infatti usata per intendere una sorta di capovolgimento radicale di prospettiva), fu accolta e insegnata anche da molti studiosi, scuole e università ecclesiastiche, prima durante e dopo il processo a Galilei del 1633.

La prova “scientifica” – cioè sperimentale (quindi secondo i canoni del nuovo metodo scientifico utilizzato da Galileo e che sarà di tutta la scienza moderna) – della teoria copernicana non ci viene da Copernico, né da Galileo e nemmeno da Newton (1687), ma molto più tardi, con l’esperimento del pendolo di Foucault (1851)! E in questo, come vedremo, Galileo si mostra assai poco “scientifico”, pretendendo (anche con quel tono polemico e sprezzante che lo caratterizzava) di portare prove scientifiche (maree, macchie solari) che invece non aveva. Purtroppo proprio questa sua insistenza poco scientifica e questa pretesa di parlare della teoria copernicana come certezza invece che ancora come di valida ipotesi (come ancora era), unitamente appunto al suo tono sprezzante e persino a raggiri nei confronti della stessa persona del Papa, che peraltro gli era stato molto amico e che non era egli stesso privo di competenze in materia, incise non poco nella questione del Processo del 1633 che lo ha riguardato.

Teniamo inoltre presente che le principali scoperte scientifiche di Galileo di fatto vertevano più sul campo della meccanica che non dell’astronomia.

A lui si deve ad esempio la scoperta delle leggi del pendolo, della prima e la seconda legge del moto, del principio di relatività e l’invenzione della bilancia idrostatica, del termo-baroscopio (da cui forse derivò il termometro), del compasso geometrico e militare e del microscopio composto.

Il primo che misurò l’accelerazione di un corpo in caduta libera fu però il gesuita Giambattista Riccioli. Così non è stato Galilei a inventare il pendolo isocrono, né il microscopio semplice.

Su queste scoperte non solo non fu mai criticato né tanto meno impedito, ma ricevette sempre il plauso e l’incoraggiamento dagli importanti ambienti scientifici e accademici della Chiesa.

Invece proprio nel campo dell’astronomia – nonostante il valore delle nuove osservazioni compiute col cannocchiale e descritte nel suo Sidereus nuncius del 1609 (anche in questo caso non si trattò di una e propria invenzione ma di un potenziamento di un cannocchiale prodotto da un astronomo olandese – Galileo mostra ancora errori, pregiudizi, ingenuità e perfino un atteggiamento intollerante assai poco scientifico.

Può sembrare eccessivo questo giudizio, ma in realtà Galileo Galilei si oppose ad esempio alla scoperta delle orbite ellittiche compiuta da Keplero (chiamandole una “fanciullaggine”), definì un “effetto ottico” l’apparire di tre comete nel 1618 (chiamando il gesuita Orazio Grassi che scoprì le orbite di tali comete, pur vedendovi erroneamente una conferma della visione aristotelica, “serpe lacerata, scorpione, balordissimo, solennissima bestia”), così come appunto si ostinò a considerare le maree una prova della rotazione terrestre (definendo “puerile” – perfino nel Dialogo – l’idea degli astronomi gesuiti che le consideravano causate dalla luna, come dimostrerà Newton nel 1687).

Comunque a Roma le scoperte di Galileo erano tenute in grandissima considerazione. Il cardinale Roberto Bellarmino (il santo gesuita che presiedette all’Inquisizione Romana, che si era già occupato del caso Giordano Bruno e che si occuperà inizialmente anche del caso Galilei) incoraggiò i suoi confratelli Gesuiti a confermare e appoggiare le scoperte di Galilei coi loro telescopi. Il cardinale Cesare Baronio lo invitò addirittura ad insegnare a Roma la teoria copernicana (Galileo declinò l’invito dicendo che “preferiva restare dov’era”).

Quando nel 1611 Galileo venne a Roma per mostrare i suoi studi e le proprie scoperte, ricevette un’accoglienza potremmo dire quasi trionfale. Al Collegio Romano i padri astronomi gesuiti gli riservarono onori ufficiali e lo ascoltarono con vivo interesse ed entusiasmo. Il Papa Paolo V, peraltro anch’egli astronomo e inizialmente favorevole alla teoria copernicana, non solo lo ricevette ed ebbe con lui un caloroso colloquio, ma offrì in suo onore un ricevimento nel suo stesso palazzo del Quirinale. In quell’occasione Galileo venne molto elogiato dal Cardinale Dal Monte (quello che lo aveva introdotto all’università di Padova) e soprattutto dal Cardinale Barberini (futuro Urbano VIII), che gli divenne amico e lo nominò membro dell’ancor giovane ma prestigiosissima Accademia dei Lincei.

Nella sua visita al prestigioso Collegio Romano dei Gesuiti, vera fucina di sapere e anche di scienza, fu proprio Clavius ad informarlo che i loro astronomi potevano confermare tutte le scoperte da lui descritte nel Sidereus nuncius, pubblicato l’anno prima; Galileo peraltro si avvalse molto delle competenze matematiche del professor Clavius (il quale si mosse addirittura per garantirgli una cattedra, che Galileo di fatto rifiutò) e ciò fu di enorme importanza, visto che proprio la nuova scienza galileiana applicava la matematica alla fisica.

38.1 – La fede cattolica di Galileo

Galileo era un uomo di fede – ebbe tra l’altro due figlie suore di clausura – e rimase devoto alla Chiesa fino alla morte; nonostante il suo pessimo carattere (superbo, iroso e facile alla polemica) e la sua vita morale privata lasciasse a desiderare (aveva avuto a Venezia un’amante e dei figli, che poi abbandonò), ma che con grande delicatezza non ha mai avuto peso nel Processo del 1633 (non così sarebbe stato ad esempio in ambiente protestante).

Come più volte egli stesso afferma, la fede cristiana fu per lui addirittura il presupposto per poter iniziare a fare scienza, poiché proprio la certezza che c’è un Creatore trascendente ed è un Logos permette di sapere “a priori” che la creazione (la realtà, anche la particella più “volgare”, come diceva) porta l’impronta del Creatore e della Sua sapienza, cioè una “logica” che è addirittura matematica.

Per questo più recenti ed equilibrati studi, a livello di alta cultura, riconoscono che proprio questa visione cosmologica nata dal cristianesimo ha permesso la nascita della nuova scienza sperimentale, che non a caso infatti sorge in Italia e poi in Europa e non altrove e in altre culture e religioni.

Galileo diceva che Dio ha scritto due libri: la Natura (per questo anche negli oggetti più “volgari” è nascosta una sapienza addirittura matematica!) e la Bibbia. E dato che l’Autore è il medesimo (Dio) non poteva esserci contraddizione tra la scoperta scientifica (quella sapienza matematica inscritta nelle cose) e la Parola di Dio (espressa dalla Bibbia e fedelmente trasmessa dalla Chiesa Cattolica).

Talora spingeva persino troppo avanti questo principio, come nel caso del confronto avuto con Keplero, che aveva intuito le orbite “ellittiche” dei pianeti, e che Galileo negava proprio dicendo che Dio fa le cose perfettamente e il cerchio è più perfetto dell’ellisse (in realtà nello spazio è proprio vero che le orbite ellittiche sono migliori di quelle circolari, infatti i pianeti le percorrono e non a caso le facciamo percorrere anche ai nostri satelliti artificiali).

39. Perché si giunse dunque al Processo del 1633 e cosa fu storicamente?

Cosa dunque ha causato che quel clima di favore e stima che la Chiesa romana e il Papa nutrivano nei confronti di Galileo Galilei si tramutasse in uno scontro che sfociò nel Processo a Galilei del 1633, Processo che si concluse con una condanna, sia pur simbolica?

Nonostante che, come abbiamo osservato, la Chiesa di quel XVI-XVI secolo conoscesse un fiorire di nuovi carismi, ordini religiosi (quello dei Gesuiti, ma anche nuovi ordini dediti all’educazione dei fanciulli e dei giovani, come pure all’assistenza dei malati, generando anche ospedali modello di carità verso i malati) e che in Roma stessa ci fosse tutto un moltiplicarsi di iniziative caritative, culturali e artistiche di impareggiabile livello, anche nel campo delle scienze, non dobbiamo però dimenticare che la Chiesa d’Europa subiva una crisi e un attacco di proporzioni inaudite, sia dall’interno (si pensi appunto alla Riforma protestante, eresia e scisma che portò via un terzo dell’Europa e scatenerà poi lotte fratricide che ne lacereranno la coesione e la cultura), che dall’esterno (erano sempre incalzanti gli attacchi dei musulmani contro il cristianesimo e l’Europa, tanto da condurre ad esempio alla celebre battaglia navale di Lepanto del 1571,vinta dai cristiani per intercessione della Madonna del Rosario, che tuttora infatti viene celebrata il 7 ottobre, giorno appunto della vittoria).

La stessa cultura cristiana ed europea conosceva progressivamente deviazioni dalla “verità rivelata” che determinava nuovi modi di intendere l’uomo, la vita, il cosmo e la storia (abbiamo sopra notato, a proposito di Giordano Bruno, come anche la stessa “teoria copernicana” veniva presa a pretesto per generare visioni dell’uomo e della vita totalmente nuove e divergenti dal Vangelo, esulando quindi dalla semplice discussione scientifica).

In questo modo si capisce meglio come nella Chiesa, e nella preoccupazione stessa del Pontefice, ci fossero questioni ben più gravi e urgenti da risolvere che non stare a discutere di ipotesi scientifiche come l’eliocentrismo copernicano; e nello stesso tempo come anche questioni di questo tipo potessero ingenerare errori di ben più vasta e grave portata. Tutto ciò poteva anche generare tensioni e sospetti forse eccessivi.

Nulla della sia pur gravemente carente vita morale di Galileo condizionò e il corso degli eventi ed i giudizi su Galileo; e mai entrò nella discussione e sviluppo del Processo (e dobbiamo dare atto all’Inquisizione romana di questa delicatezza; perché fuori dalla Chiesa Cattolica l’esito sarebbe stato ben diverso. Ad esempio nella Ginevra di Calvino, concubini come lui potevano essere addirittura decapitati).

Nonostante che Galilei avesse molti nemici (anche per il suo carattere polemico, oltre che certamente per i suoi successi), a cominciare dai suoi colleghi di Pisa, Padova e Firenze, il Sant’Uffizio (Inquisizione) fu come sempre assai restia e prudente a raccogliere le loro denunce, persino se esposte da ecclesiastici.

Quando ad esempio nel 1615 il domenicano Niccolò Lorini, che già nel 1612 lo aveva accusato d’essere eretico, lo denunziò addirittura al S. Uffizio, tale organo della Santa Sede “non diede luogo a procedere”. Quando invece il domenicano Tommaso Caccini attaccò Galileo nelle sue prediche nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, non solo Galileo venne immediatamente difeso dal benedettino Benedetto Castelli e dal padre Luigi Maraffi (che aveva compiti di responsabilità nell’ordine domenicano), ma il cardinale Benedetto Giustiniani ordinò al padre Caccini di ritrattare pubblicamente le accuse e di scusarsi ufficialmente con Galileo. [In altre occasioni, quando Galileo venne attaccato anche dai suoi colleghi, scesero in campo in suo favore addirittura da Milano il Cardinale Federico Borromeo e da Roma lo stesso Cardinale Maffeo Barberini].

Cosa dunque fece mutare il giudizio del Papa e della Curia Romana su Galileo?

Anzitutto Galileo non accettava, anche quando gli era stato chiesto espressamente, di ritenere la teoria copernicana ancora solo un’ipotesi, come scientificamente allora era (e sarà ancora per oltre due secoli, fino alla prova sperimentale di Foucault).

Inoltre, con altro metodo ben poco scientifico, citava passi della Bibbia che secondo lui erano a favore della teoria copernicana (errore, peraltro ancora comprensibile per il tempo, che commisero anche molti di coloro che citavano invece la Bibbia per avvalorare la teoria geocentrica tolemaica). E questo lo esponeva ad entrare in un terreno minato, dove cioè le questioni non fossero più di tipo scientifico ma teologico, e quindi dove si poteva cadere in errore e l’errore in questo caso poteva voler dire “eresia” (il che sì’ sarebbe stato oggetto di un’indagine dell’Inquisizione. Teniamo inoltre presente che anche sull’interpretazione della Bibbia verteva l’eresia protestante che stava dilaniando l’unità dei cristiani in Europa e nel mondo, e quindi entrare nel campo delle citazioni bibliche per avvalorare una propria ipotesti scientifica era, oltre che scorretto proprio sul piano scientifico, anche quanto mai pericoloso sul piano teologico).

Il Cardinale Baronio gli suggerì in proposito di lasciare la Bibbia ai teologi e alla Chiesa; è tra l’altro sua, di Baronio e non di Galileo (come comunemente si dice), quella simpatica ed eloquente espressione secondo cui “L’intento dello Spirito Santo, nell’ispirare la Bibbia, era di insegnarci come si va in Cielo, non come va il Cielo”.

Nota.  La Chiesa protestanti e la nuova scienza

Come abbiamo già visto riguardo all’Inquisizione Protestante, secondo la logica luterana della “sola grazia” e “sola Scrittura” (da leggersi secondo un significato letterale) ogni intervento della ragione veniva inteso come un’adulterazione della fede. Per questo motivo la Riforma protestante si mostrò subito ostile alla nuova scienza, a cominciare da Copernico e Galileo, giungendo a perseguitare e condannare molti scienziati. Lutero diede a Copernico il titolo di “astrologo improvvisato”, qualificando la sua teoria “una follia”, e Melantone disse che “simili fantasie da loro non sarebbero state tollerate”. Furono proprio i Protestanti ad innalzare contro la teoria copernicana certi passi biblici, da doversi intendere appunto alla lettera, come la famosa citazione di Giosuè “fermati o sole!” (Gs 10,12), poi purtroppo usata anche da alcuni cattolici. Inizialmente non accolsero neppure la riforma del Calendario fatta da Gregorio XIII, definendo la Chiesa Cattolica “Babilonia” e “Anticristo”, anche perché voleva sostituirsi a Dio facendo astronomia con i numeri della matematica. Furono quindi fortemente contrari anche a Galileo, riconoscendo che nelle loro mani non l’avrebbe scampata! Si compiacquero dunque del Processo a Galilei; ma quando il Cardinale Bellarmino, che iniziò l’indagine su di lui, arrivò a dire che, qualora si fossero raggiunte finalmente le prove della teoria copernicana, si potevano leggere quei testi biblici in modo allora allegorico, suscitò l’ira dei Protestanti.

Avevamo osservato come sia sintomatico al riguardo anche il caso dell’astronomo Giovanni Keplero: quando l’università di Tubinga, dove studiava, fu conquistata dalla Riforma protestante, anch’egli si fece protestante; ma quando pubblicò la sua opera De revolutionibus, favorevole alla visione copernicana, fu subito avversato dai protestanti ed espulso dall’università. Allora nonostante fosse un cattolico divenuto protestante, fu accolto come docente proprio nella università papale di Bologna. Il che dimostra appunto come nelle università nate e gestite dalla Chiesa Cattolica ci fosse una vera apertura della ragione ad ogni sincera ricerca della verità, anche qualora fosse diretta a nuove ipotesi astronomiche e queste fossero insegnate perfino da professori, come nel caso appunto di Keplero, che alla stessa Chiesa Cattolica si erano ribellati.
 

In realtà, contrariamente a quanto si pensa, si giunse al Processo del 1633 per una questione sì inerente alla teoria copernicana, ma di fatto di tipo più “disciplinare”: si trattava di essere venuto meno ad una promessa fatta ufficialmente al Papa, cioè quella appunto di non parlare della teoria copernicana come di una certezza scientifica.

Quando invece Galilei scrisse nel 1630 il suo famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi, non solo Galileo ripresentò come assolutamente certa la teoria copernicana, contravvenendo alla promessa fatta al Papa, ma dietro uno dei personaggi che in tale “Dialogo” si mostra contrario a tale ipotesi e che Galileo presenta in modo derisorio (Simplicio) non era difficile scorgere la maschera del Papa stesso. Inoltre Galileo ne ottenne furtivamente l’Imprimatur (il placet della Chiesa allora ancora richiesto per ogni pubblicazione) a Firenze e non a Roma (che in quell’anno conobbe pure un’epidemia di colera), come doveva.

In questo modo anche il Papa Urbano VIII, che pur in antecedenza stimava molto Galileo (tra l’altro il Papa stesso era studioso di astronomia) e se ne sentiva persino amico, cambiò atteggiamento e nel 1632 ordinò al Sant’Uffizio (Inquisizione) di aprire un’istruttoria sul testo del Dialogo sopra i massimi sistemi, chiamando Galileo a comparire dinanzi al Commissario Generale del Sant’Uffizio. Galileo giunse a Roma il 13.02.1633 e, in attesa del “processo” che sarebbe iniziato il 12 aprile, si tennero all’insegna della cordialità e del mutuo rispetto i primi colloqui con gli Ufficiali del S. Uffizio, e poté continuare ad alloggiare nientemeno che nella splendida Villa Medici (al Pincio), sede appunto dell’Ambasciata del Granducato di Toscana.

40. Il Processo

Il Processo vero e proprio si svolse dal 12 aprile al 22 giugno 1633 e non fu di particolare rilievo.

Anzitutto, durante il Processo, venne riservato a Galileo Galilei un trattamento del tutto speciale, a cominciare dalla possibilità di abitare in un appartamento di 5 stanze (con vista sui giardini vaticani) messogli gratuitamente a disposizione dal Sant’Uffizio, con ottimi pasti e un cameriere personale sempre a propria disposizione. Di fatto però dopo pochi giorni egli chiese e ottenne di continuare ad abitare, anche durante il processo, a Villa Medici.

La Commissione (dell’Inquisizione), che aveva esaminato il Dialogo sopra i due massimi sistemi, non si era occupata della controversia scientifica, perché doveva rimanere nell’ambito disciplinare (aveva mantenuto o no la promessa fatta al Papa di presentare la teoria copernicana ancora come ipotesi?). Per sé, dunque, il Processo si disinteressò del problema scientifico in quanto tale.

Purtroppo, di fronte ai suoi cordiali interlocutori Galilei si mostrò polemico fino all’insulto, volendo a tutti i costi mostrare come certo ciò che ancora non lo era ed egli stesso non sapeva dimostrare.

Delle tre prove esposte a favore del sistema eliocentrico, nessuna a rigore dimostrava qualcosa di valido così da escludere la tesi opposta come errata: le prime due (anomalie dei moti dei pianeti e le macchie solari) erano di indole matematica ma lasciavano la teoria copernicana ancora discutibile; la terza (le maree), l’unica di natura fisica, era priva di fondamento, anzi decisamente falsa.

Venne benevolmente invitato a non essere così irruente e apodittico. Confesserà poi egli stesso di aver agito “per vana gloria, ambizione, ignoranza et inavvertenza”.

Ecco ad esempio un interessante passaggio del Processo – in cui tra l’altro si può notare come le domande non fossero affatto intimidatorie ma autentiche richieste di spiegazione – quando intervenne direttamente lo stesso Papa Urbano VIII (diremmo più come astronomo che come Capo supremo della Chiesa), con la seguente domanda: “Se la Terra gira attorno al Sole, come fa a non perdersi la Luna, che le rimane sempre agganciata?”. Galileo, che ovviamente non conosce la gravitazione universale, risponde semplicemente dicendo che “la Luna è legata naturalmente alla Terra”. Anche di fronte alla domanda “Se la terra si muove così velocemente, perché non ce ne accorgiamo, perché l’aria sta ferma?” Galileo non può dare ancora risposta (che sta nel principio di relatività).

Nel Processo non vi fu inoltre la minima traccia di violenza, né fisica né psicologica (come invece molti credono, facendo parte anche questo del “mito” Galileo).

A quali conclusioni arrivò dunque il Sant’Uffizio, dopo aver ascoltato per più di due mesi Galileo?

Il 21 giugno il Processo terminò con la condanna (per 7 voti su 10) in quanto appunto Galileo risultò aver trasgredito all’ordine del Decreto del 1616 di parlare del sistema copernicano in termini di sola ipotesi, e di non essersi attenuto a quanto promesso con la relativa Ammonizione (non si trattò quindi di una questione dottrinale, ma disciplinare). Dal punto di vista della controversia copernicana, non risultò dunque niente di nuovo rispetto al 1616; ma semplicemente che Galileo non aveva obbedito al divieto ricevuto, con l’aggravante di aver inoltre carpito l’imprimatur del Dialogo in modo non chiaro e compromettendo perfino alti prelati della Curia Romana.

Tale sentenza e relativa condanna non fu dunque di carattere scientifico, né poneva limiti alla ricerca in questo senso, ma semmai si affermava giustamente che dal punto di vista scientifico era ancora solo un’ipotesi (e tale resterà infatti fino 1851). 
È inoltre da rimarcare come invece le vere scoperte di Galileo, che sono più nel campo della meccanica che dell’astronomia, non furono mai contraddette ma anzi elogiate dalla Chiesa. 
Nulla dunque di quella presunta ottusa opposizione alla scienza inventata dal “mito” su Galilei.

Per sé dunque quel Processo non era particolarmente rilevante e verteva su una piccola questione disciplinare, senza compromettere la discussione sulla teoria copernicana. Nulla dunque di ciò che invece dopo due secoli è stato artificialmente gonfiato in polemica anticlericale, così da crearne il mito e farne il paradigma della presunta opposizione della Chiesa alla scienza nascente.
 

A che cosa Galileo fu condannato?

La Sentenza chiedeva anzitutto a Galilei di abiurare dalle proprie posizioni “teologiche” a favore della teoria copernicana (altrimenti poteva essere imputato di eresia).

Galileo Galilei ascoltò la sentenza e pronunciò in ginocchio la formula di abiura già preparata, in cui si riconobbe “colpevole di aver sostenuto la falsa opinione dell’eliocentrismo come dottrina rispondente a verità” e promise obbedienza alla Chiesa. Galileo accettò di abiurare, perché (sono sue spontanee parole) “tutto accettava purché non lo si obbligasse a dire di non essere cattolico, perché tale era e voleva morire, a onta e dispetto de’ suoi malevoli (avversari)”. Negli Atti del processo non c’è alcuna traccia di quel celebre suo sconfortato “eppur si muove”, riferito alla Terra, che Galileo, pur costretto ad abiurare dalle sue certezze scientifiche, avrebbe pronunciato in quel frangente e che invece fa parte del mito di Galileo ancor oggi divulgato e creduto. Tale frase, intrisa di sarcasmo anticlericale, fu infatti espressamente inventata a Londra nel 1757 dalla polemica anticattolica (in particolare dal pubblicista anticlericale italiano Giuseppe Baretti).

Pare che Galilei, udita la sentenza, abbia mormorato un ringraziamento ai 10 cardinali-giudici per la mitezza della pena, essendo consapevole di aver fatto di tutto per indisporre la Corte, composta anche da astronomi con una competenza in certi casi non inferiore alla sua.

Ricordiamo qui solo come la correttezza di tale Processo si mostrò anche nel fatto che le torbidi e private questioni morali di Galileo (ebbe una concubina e 3 figli illegittimi, tutti poi abbandonati), che allora erano giustamente considerate deplorevoli e scandalose e che potevano rendere Galilei attaccabilissimo, non furono invece mai sollevate all’interno del “Processo” e mai divennero motivo di discriminazione o di censura nei suoi confronti.

Veniva inoltre proibita la stampa del libro Dialoghi sopra i due massimi sistemi, ma in modo temporaneo (secondo l’espressione donec corrigatur, cioè fino a quando non fosse corretto). La correzione richiesta era appunto che la teoria copernicana venisse an cora presentata come ipotesi, come del resto scientificamente ancora era.

In pratica poi tale proibizione fu assai blanda, visto ad esempio che nel 1639 (quindi solo 6 anni dopo) il padre Marin Mersenne, dell’Ordine dei Minimi, pubblicò in francese senza alcun impedimento ecclesiastico un riassunto del Dialogo.

Inoltre tale proibizione di stampa dell’opera non impediva assolutamente di proseguire gli studi affinché si giungesse appunto a trovare tale auspicata prova o di parlare dell’ipotesi copernicana.

Infatti solo qualche anno dopo perfino il grande Inquisitore spagnolo fondò nella celebre università ecclesiale di Salamanca la Facoltà di Scienze Naturali e vi si insegnò subito la teoria copernicana.

La condanna prevedeva per Galilei anche il “carcere formale”, ma ciò non deve impressionare, poiché l’espressione significava praticamente una sorta di “domicilio coatto”. Potrebbe sembrare una condanna forte, ma in realtà fu appunto formale, data anche l’età di Galileo (quasi settantenne e ormai quasi cieco).

Dunque per Galileo non ci fu, né durante il processo né dopo, neppure un solo giorno in prigione, né fu sottoposto a violenza alcuna, come invece viene propagandato dal “mito”.

Di fatto tale “pena” si tradusse in questi termini: dopo i primi giorni in cui Galileo continuò ad abitare in Roma nella splendida Villa Medici del Granduca di Toscana, gli fu concesso di trasferirsi nella sua Toscana, a Siena, dove da luglio a settembre di quell’anno (1633) fu ospite nientemeno che dell’arcivescovo della città, Ascanio Piccolomini, suo amico.

Tale arcivescovo voleva infatti così bene a Galileo che non solo lo ospitò appunto per alcuni mesi in casa propria, ma lo sostenne anche in seguito. Galileo infatti dedicò a lui le sue opere successive. Così scrive lo stesso Galileo al padre Olivetano Vincenzo Ranieri: “Abitazione del mio più caro amico che avessi in Siena, monsignor arcivescovo Piccolomini, della cui gentilissima conversazione io godetti con tanta quiete e soddisfazione dell’animo mio che quivi ripigliai i miei studi, trovai e dimostrai gran parte delle conclusioni meccaniche sopra la resistenza dei solidi con altre speculazioni; e dopo circa cinque mesi, cessata la pestilenza nella mia patria, verso il principio di dicembre di quest’anno 1633, da Sua Santità mi è stata permutata la strettezza di quella casa, nella libertà della campagna, da me tanto gradita, onde me ne tornai alla villa di Bellosguardo e dopo in Arcetri, dove tutt’ora mi trovo a respirare quest’aria salubre, vicino alla mia cara patria Firenze”.

Ritornò infine nella sua villa Il Gioiello di Arcetri, presso Firenze, proprio accanto al convento delle Clarisse, dov’era la figlia Suor Maria Celeste, che l’assistette negli ultimi anni della sua vita (essendole eccezionalmente permesso di uscire dalla clausura, pur restando suora Clarissa dell’attiguo convento). Qui ritrovò anche il figlio Vincenzo Andrea, abbandonato a Padova 25 anni prima. In questa dimora, peraltro assai bella, dove Galileo visse gli ultimi otto anni della sua vita, poteva ricevere visite e trattare con tutti; non gli fu mai impedito di continuare le sue ricerche e di avere contatti con i suoi allievi e con altri scienziati e pensatori (tra cui vescovi, monaci e frati).

Infine la condanna prevedeva la recita quotidiana, per 3 anni, di un salmo penitenziale; ma anche questa “pena” o penitenza venne poi “mitigata”, dandogli il permesso che lo facesse al suo posto la figlia Suor Maria Celeste (che come suora ovviamente già lo faceva). Galileo volle invece farlo personalmente; anzi, anche passati i tre anni prescritti, continuò spontaneamente a farlo.

Nulla dunque dell’immaginario collettivo anticlericale, divulgato ancora nel nostro tempo (e creduto persino dai cattolici!), che crede addirittura a interrogatori con violenze psicologiche, fisiche e addirittura torture! Né di ottusa opposizione alla scienza e al libero pensiero.

Anche dopo il processo, quindi negli ultimi otto anni della sua vita, Galileo continuò ad essere un uomo di sincera fede cattolica e mai si trovò sulle sue labbra o nei suoi scritti qualcosa che potesse far pensare ad un rancore per quel Processo subito (rancore invece diventato parossistico nella polemica anticattolica di due secoli dopo, e tuttora persistente).

Scrisse: “In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa”.

Il giorno 8.01.1642, cioè all’età di 78 anni, Galileo si spense nella sua villa di Arcetri, con una morte davvero cristiana: ricevette infatti i Sacramenti (Confessione, Comunione e Unzione degli Infermi) ed ebbe il conforto non solo dell’indulgenza plenaria ma di una speciale Benedizione Papale. La figlia Suor Maria Celeste attestò che spirò pronunciando il nome di Gesù. Venne sepolto nella celebre chiesa di Santa Croce a Firenze, dove ancor oggi la sua salma trionfalmente riposa.

40.1. Perché quel Processo dopo due secoli è diventato tanto famoso e persino paradigmatico?

Come abbiamo potuto sia pur sinteticamente osservare, ma rifacendoci a fatti storici documentati e non alle “leggende nere” inventa a posteriori, il Processo che il Sant’Uffizio (Inquisizione) fece a Galilei nel 1633 (appunto dal 12 aprile al 22 giugno) fu in fondo “piccola cosa”, verteva su una questione disciplinare e non in modo specifico sulla questione scientifica copernicana, e soprattutto non ebbe conseguenze particolarmente gravose per lo stesso Galileo Galilei, che rimase un cattolico devoto per la Sua Chiesa (mai ebbe sentimenti e Parole di risentimento per quel Processo, semmai di gratitudine per la clemenza usatagli) e poté tranquillamente terminare la sua vita, continuando i suoi studi scientifici, coltivando le sue amicizie e pure pensando alla salvezza della propria anima.

Così fu inteso anche dall’opinione pubblico del tempo; e così il fatto rimase per due secoli nei suoi giusti contorni.

Dopo oltre due secoli, tale Processo è stato invece ripreso, ingigantito e falsato dalla propaganda anticattolica illuminista, che creò “il caso Galileo” come episodio paradigmatico dell’oscurantismo della Chiesa e della presunta opposizione scienza-fede.

Anche la Riforma Protestante, che inizialmente si compiacque di tale processo (fu una delle poche cose con cui si mostrò d’accordo con la Chiesa Cattolica, semmai dispiacendosi di come fosse stata troppo morbida nei suoi confronti, visto che “nelle loro mani Galileo avrebbe fatto una brutta fine”) e si oppose alla nuova scienza sperimentale, si accodò poi alla propaganda anticattolica alimentando questo “mito” anticlericale.

I grandi riformatori protestanti si sono fieramente opposti all’eliocentrismo copernicano. Anche le Chiese ortodosse sono rimaste a lungo anti-copernicane. Ma il caso Galileo è diventato il mezzo per accusare solo la Chiesa Cattolica” (così il prof. Jean-Robert Armogathe, Ordinario di Storia delle idee religiose e scientifiche nell’Europa moderna presso l’Ecole pratique des hautes études alla Sorbona di Parigi).

Allo stesso modo nel ‘900 il “caso Galileo” è stato costruito e utilizzato dalla cultura di sinistra (di stampo marxista) come strumento di opposizione culturale alla religione e alla Chiesa, che si sarebbe sempre opposta alla scienza e al libero pensiero (da che pulpito!). In quest’ottica venne costruita e sempre divulgata anche la relativa opera teatrale di Bertolt Brecht. 
E così il “caso” viene ancora divulgato e creduto (persino da molti cattolici!).

Secondo ad esempio un’inchiesta fatta qualche tempo fa tra gli studenti universitari proprio delle Facoltà scientifiche dell’Unione Europea, risulta che il 30% è convinto che Galileo fu arso vivo dalla Chiesa; il 97% che sia stato torturato; chi sa qualcosa di più crede come frase “sicuramente storica” il celebre eppur si muove! che Galileo avrebbe pronunciato, sconsolato e fiero, di fronte agli inquisitori che avevano emesso contro di lui, per mostrare comunque la verità della rotazione terrestre (frase che fu invece polemicamente inventata a Londra più di un secolo dopo).

Dal 1979 il Verbale completo del Processo del 1633 a Galileo Galilei (poiché come sempre i Processi dell’Inquisizione erano meticolosamente redatti e conservati negli Archivi per secoli, quando non sono stati trafugati dagli stessi nemici della Chiesa, come nel caso di Napoleone; ma il Verbale di questo Processo è conservato in Vaticano) è consultabile da parte degli studiosi di tutto il mondo. Ed è stato minuziosamente studiato per 10 anni anche da una Commissione vaticana. Sull’esito e le conclusioni di questi studi si è scritto anche sui giornali; ma anche in questo caso, al di là dei molti studi seriamente condotti, all’opinione pubblica è stato dato ben poco e in modo adulterato, ad esempio dicendo che in proposito nel 1992 Giovanni Paolo II aveva finalmente e tardivamente riabilitato Galilei. Quando invece risulta paradossalmente, come riconoscono oggi molti scienziati e soprattutto gli studiosi cha hanno potuto investigare quei documenti, che “la Chiesa è stata più <galileiana> di Galileo!”, in quanto non voleva che si parlasse di certezza scientifica fin quando non ci fossero le “prove” sperimentali (che sulla teoria copernicana arrivarono solo 218 anni dopo)!