Indagine sul perchè quello di Charles Darwin e dell’evoluzionismo sembra essere un mito costruito ed ampliato per un attacco contro la fede

Fede ed evoluzionismo


Ormai fin dall’infanzia ci viene insegnato che “l’uomo deriva dalla scimmia”. E quindi anche il bambino comincia ad avere il sospetto che quello che ci dice la Bibbia (ammesso che ancora lo sappia) non sia vero, che non sia cioè vero che siamo “creati” da Dio.
Quando siamo un po’ più grandicelli ci viene detto che Charles Darwin ha scoperto l’evoluzionismo, un dogma scientifico indiscutibile; e se avessimo ancora qualche residuo di fede ci viene assicurato che la nascita e l’evoluzione della vita e delle specie animali è avvenuto “casualmente” e per meccanismi interni assoluti (lotta per la sopravvivenza, adattamento all’ambiente e trasmissione genetica delle mutazioni), senza alcuna finalità e soprattutto senza bisogno di un Creatore.

Si rassegnino dunque gli esseri umani: non siamo che animali evoluti casualmente, senza anima e alcuna trascendenza sulla natura e sul tempo, il frutto di un tiro di dadi e di necessità biologiche, destinati a marcire come tutti gli altri animali!

Questo è falso … non solo dal punto di vista filosofico e teologico, ma anche dal punto di vista scientifico.

Non solo perché l’uomo non è solo il suo corpo (che può anche essere frutto di evoluzione) ma possiede un’anima – creata direttamente da Dio – che ci rende superiori al resto della natura e capaci di trascenderla, fino a renderci “capaci di Dio”. Ma anche perché, specie se nega ogni finalità ed afferma la pura casualità, la “teoria dell’evoluzione” non ha prove scientifiche sicure e convincenti, anzi spesso è smentita da nuove scoperte (anche se questo passa normalmente sotto silenzio).

Anche quello di Darwin e dell’evoluzionismo sembra dunque un caso, un “mito”, costruito ed ampliato più in vista di un attacco contro la fede che come sincera ricerca della verità.

Facciamo allora una breve indagine in merito.

Per un approfondimento, v. nel sito il Dossier Darwin e l’evoluzionismo


Indice



Creati e/o evoluti?


1. C’è opposizione “di principio” tra l’idea di creazione e quella di evoluzione?

L’idea di evoluzione in sé non contraddice la creazione, anzi se ben intesa può perfino confermarla. I motivi sono questi: 
1) l’evoluzione della vita presuppone anzitutto che la vita sia nata e che sia strutturata in un particolar modo (peraltro complicatissimo ed ordinatissimo). Come vedremo, questo è tutt’oggi un grande ed insolubile “mistero”, che potrebbe richiedere perfino un intervento diretto del Creatore. Se poi andiamo ancora più indietro, rimane il problema dell’inizio del cosmo, delle leggi che lo costituiscono e lo fanno evolvere e infine delle singolarissime condizioni che hanno reso possibile la nascita della vita nel nostro pianeta. Tutto ciò richiede comunque l’opera creatrice di Dio (v. questione di Dio). 
2) la stessa evoluzione della vita, il formarsi delle specie viventi, la conservazione (di sé e della specie) ed il miglioramento della vita, manifestano un ordine, una finalità che ancora rimanda alla Intelligenza divina creatrice.

Ci sarebbe invece opposizione tra evoluzione e creazione se:
1) si pretendesse spiegare l’inizio (il divenire e l’ordine) dell’universo e della vita con se stessi e per pura casualità (senza cioè bisogno dell’opera creativa di Dio); ma questo sarebbe razionalmente falso (teologicamente, filosoficamente e scientificamente), perché nulla è causa di se stesso (si dà ciò che non ha) e proprio il continuo progresso delle conoscenze scientifiche del cosmo rendono sempre più impossibile credere al “caso” come spiegazione di un ordine tanto stupefacente.
2) se si riducesse la natura umana alla pura corporeità (solo corpo, senza spirito) e questa fosse solo frutto di un’evoluzione casuale di animali precedenti. Anche questo è però razionalmente errato (teologicamente, filosoficamente e scientificamente), perché la negazione dello spirito rende impossibile rendere ragione delle attività spirituali dell’uomo (pensiero astratto e la volontà libera), che determinano anche la superiorità dell’uomo su tutti gli altri animali e la sua trascendenza sul resto della natura.

Dunque: anche se la “teoria dell’evoluzione” fosse vera, essa spiegherebbe appunto solo come si siano evolute le specie animali e non il perché; spiegherebbe inoltre solo come si sia formato il corpo umano e non potrebbe dire nulla sulla formazione dello spirito, che ci caratterizza come “uomini” e che – come vedremo – deve essere creato da Dio non solo per il primo uomo ma per ogni essere umano. 
Anche l’evoluzione, se c’è stata, dipende allora da Dio e comunque riguarda solo il corpo del primo uomo.

2. L’evoluzionismo è scientificamente certo?

Contrariamente a quanto comunemente viene fatto credere, la <teoria dell’evoluzione> – che facciamo normalmente risalire a Charles Darwin (1809-1882) ma che oggi contempla più di 30 teorie, diverse tra loro – non è affatto scientificamente provata, anzi ci sono scienziati che affermano come di scientifico essa abbia ben poco, non avendo prove sperimentali e non essendo ovviamente riproducibile in laboratorio (due canoni fondamentali della scienza moderna galileiana).
Vedremo come molti punti della teoria siano addirittura contraddetti dall’esperienza e dalla ricerca. Quando poi l’evoluzionismo afferma dogmaticamente il <Caso> come unica spiegazione della nascita e dell’evoluzione della vita (uomo compreso), allora diventa un “credo ideologico”, un mito semplicemente polemico contro la fede in Dio Creatore, senza alcuna base razionale.

3. La Bibbia ci dice qualcosa in proposito?

Com’è noto la Bibbia inizia (Genesi 1-2) col racconto della creazione di tutte le cose (cielo e terra) da parte di Dio, che le ha tratte liberamente dal nulla. Questo è il primo contenuto assoluto della Rivelazione divina ed è infatti anche il primo contenuto della fede cristiana (v. il “Credo”).

In realtà, essendo appunto l’inizio dell’Antico Testamento, è il primo contenuto anche della fede ebraica e perfino di quella musulmana (le 3 grandi religioni monoteiste che insieme compongono tuttora la maggioranza assoluta della popolazione mondiale).

Secondo il racconto della creazione (dalla luce – la prima cosa, peraltro anche astronomicamente confermata – alla materia, quindi alla vita vegetale e poi quella animale, fino all’essere umano), l’uomo è il culmine della creazione, con un particolare atto creativo di Dio che lo fa addirittura “a sua immagine e somiglianza”).

Questa somiglianza (immagine) divina impressa nell’uomo è particolarmente straordinaria proprio all’interno della cultura e religione ebraica, in cui è chiaro che Dio è trascendente, puro Spirito, ed è per questo gravissimo peccato farsene un’immagine (come indica la versione originale del 2° comandamento).

Questa somiglianza dell’uomo con Dio deriva ovviamente dalla presenza in lui dello spirito.
Sul come si sviluppi la creazione, la Bibbia non vuole dare ovviamente spiegazioni assolute e neppure scientifiche. Certo è comunque che tutto, fosse anche la legge dell’evoluzione, dipende da Dio.
La creazione dell’uomo “a immagine e somiglianza” di Dio, sottolinea che egli è il culmine della creazione ed è superiore a tutto il creato (che all’uomo è affidato come ad un signore – dominus – amministratore e cooperatore di Dio con le sue scoperte e il suo lavoro) e capace di entrare in relazione con Dio.

Nel secondo racconto (in Gen 2; ma in realtà più antico del primo racconto di Gen 1) si afferma la stessa cosa ma in modo più plastico, secondo il noto racconto di Dio che crea l’uomo con il “fango” della terra ma rendendolo uomo vivente con il soffio (in ebraico ruah, in greco pneuma, in latino spiritus, in italiano spirito) delle Sue narici. Queste due immagini (fango, cioè materia, e spirito) possono anche lasciare aperta l’ipotesi che per la creazione dell’uomo Dio intervenga direttamente su una materia (animale o DNA) preesistente rendendola però un essere umano con l’infusione di uno spirito, questo ovviamente creato direttamente da Dio.

Per questo motivo, qualora la scienza potesse portare le prove dell’esattezza della teoria della evoluzione, essa non sarebbe in contraddizione con la creazione, come abbiamo sopra osservato e a quelle condizioni sopra segnalate.

4. Il Magistero della Chiesa è intervenuto in merito?

Non essendo appunto in sé una questione che contraddice i contenuti della Rivelazione divina, a meno che non la si estenda al di là di quello che può scientificamente affermare, l’insegnamento della Chiesa (Magistero) non ha mai preso una posizione ufficiale su questo punto né ha posto veti ai testi di Darwin.

In fondo già i Padri della Chiesa (ad esempio S. Gregorio di Nissa e S. Agostino) ammettevano un’eventuale evoluzione quando parlavano di “rationes seminales” presenti nella natura e nei viventi, cioè principi interni alla natura, creati da Dio, secondo i quali la natura a sua volta si evolve.

Certo, di fronte alle pretese scientiste (positiviste e atee) del XIX secolo di esaurire con pochi dati scientifici tutta la conoscenza della natura e dell’uomo, credendo in questo modo di oltrepassare definitivamente la religione e gli stessi contenuti della fede cristiana, la Chiesa Cattolica riaffermò ufficialmente (v. Concilio Vaticano I, nel 1870) la ragionevolezza della fede cristiana.
Il Papa Pio XII, nell’Enciclica Humani generis (1950), denuncia la lettura atea e materialistica che molti (ad esempio i comunisti), ma riconosce che la teoria evoluzionistica (come ipotesi), una volta salve le questioni  fondamentali, possa avere qualche validità. 
Il Papa Giovanni Paolo II, specie in occasione di importanti simposi che toccavano questi punti, è intervenuto con illuminanti discorsi, ad esempio il 26.04.1985 (quando la teoria dell’evoluzione esce dalle strette del materialismo filosofico ottocentesco può essere non in contraddizione con la creazione), il 31.10.1992, il 23.04.1993 e un messaggio del 22.10.1996 (in cui afferma che quella dell’evoluzione è ormai più di una mera ipotesi, ma non può essere vera quando giunge a negare lo spirito e lo riduce ad epifenomeno della materia). 
Il Papa Benedetto XVI è già intervenuto su “creazione ed evoluzione” in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (31.10.2008), in cui riprende l’immagine galileiana di natura come un rotolo da svolgere (da cui l’idea di evoluzione) scritto da Dio e che l’uomo progressivamente sa leggere.



 



Charles Darwin



5. Chi fu Charles Darwin?

Normalmente si fa risalire la teoria dell’evoluzione al naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882). In realtà perfino suo nonno (Erasmus Darwin), noto scienziato legato ai circoli massonici francesi, aveva elaborato certi contenuti di questa teoria (cosa che Charles ammise sempre con difficoltà). E proprio ad alcune intuizioni del nonno attinse anche lo scienziato Lamarck (1744-1829), da cui Charles assunse alcuni dei suoi principi fondamentali (adattamento all’ambiente, la funzione che crea l’organo, trasmissione ereditaria).

Già quindi nel 1809, proprio quando nasceva Darwin, Lamarck pubblicò Philosophie zoologique (e già il titolo tradisce un misto di presupposti filosofici e ipotesi scientifiche), in cui sosteneva che il passaggio da una specie all’altra dipendesse dall’adattamento all’ambiente, guidato dall’uso o disuso di certi organi e dalla trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti, oltre appunto all’idea che fosse la funzione a creare l’organo.

A dire il vero, né Lamarck né C. Darwin usano il termine “evoluzione”, preferendo quello di “trasformazione”.

Due secoli prima di Darwin fu però un gesuita tedesco, Kircher (1601-1680), professore al Collegio Romano dei Gesuiti, ad elaborare una prima idea evoluzionistica.

Dopo aver iniziato a studiare medicina ad Edimburgo, Charles passò un poco alla teologia (al Christ’s College di Cambridge); quindi abbandonò anche quella, per dedicarsi alle scienze naturali e alla geologia.

In realtà la sua unica esperienza di ricerca diretta (sulla natura, gli animali, le specie, l’uomo e le razze) fu una lunghissima crociera, durata 5 anni (dal 1831 al 1836), compiuta con la nave “Beagle” lungo le coste dell’America meridionale e nell’Oceano Indiano.

Spesso ancor oggi si parla con impropria enfasi (ad esempio in certi documentari televisivi di Piero Angela) sul viaggio di Darwin alle Isole Galapagos a caccia di conferme delle sue teorie e care quindi agli evoluzionisti. In realtà proprio la natura geologica di queste isole, emerse nel Pacifico a causa di eruzioni vulcaniche assai posteriori alla separazione dei continenti, pongono seri problemi alla teoria evoluzionista, rimanendo arduo se non impossibile spiegare come numerose specie viventi abbiano potuto raggiungere quelle isole (Messori).

Ne raccolse le osservazioni nel suo Journal of Researches into the Natural History and Geology of the Countries Visited during the Voyage of H. M. S. Beagle (1839). Infatti, dopo un breve soggiorno a Cambridge e a Londra, dal 1842 non si mosse più dal suo villaggio inglese di Down, compiendo nella sua casa tutti i suoi studi, fino alla morte.
Nel 1859, quindi 23 anni dopo il suo unico viaggio esplorativo, Charles Darwin scrisse la sua opera principale: On the origins of Species by means of Natural Selection [Sull’origine della specie per mezzo della selezione naturale (o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita)]. Qui, rispetto alle idee già presenti in Lamarck, aggiunge quella di “selezione naturale”, spingendo la teoria evoluzionistica su un piano meno finalistico e più meccanico, e cominciando ad inludervi anche l’essere umano. Così, nella sua opera del 1871 The Descent of Man and Selection in Relation of Sex (L’origine dell’uomo e la selezione sessuale), oltre a completare l’idea di selezione naturale con quella sessuale, anche l’uomo viene semplicemente fatto derivare da una specie inferiore e perfino le sue superiori facoltà (intelligenza, libertà, linguaggio, cultura, morale, arte, religione) sarebbero derivate da variazioni biologiche, in base al principio dell’utilità e dell’adattamento all’ambiente ed avrebbero una basse organica (v. poi nel suo The Expression of the Emotion in Man and Animals).

Cosi farà poi Sigmund Freud (1856-1939), nel tentativo di “ridurre” l’uomo e le sue superiori facoltà ad elementi  inferiori e naturali, facendole derivare dall’inconscio, dalla libido, sublimazioni, rimozioni …

Sembra proprio che ci sia un immane sforzo culturale per ridurre l’uomo ad animale (come aveva profetizzato Nietzsche); tentativo culturale che oggi pare vincente (sorpassando allegramente – ma in realtà è all’origine di un’angoscia profonda – quella consapevolezza di superiorità e trascendenza sulla natura e sul tempo, quella autocoscienza che duemila anni di cristianesimo ci avevano donato.

6. Quali presupposti culturali si nascondono dietro la teoria dell’evoluzione di Darwin?

Oltre alle idee sull’evoluzione ricevute dal nonno e da Lamarck, influisce fortemente sulla formulazione della teoria dell’evoluzione – e tanto più in quanto elaborata a tavolino (non avendo Darwin appunto mai fatto, oltre alla sua crociera, una ricerca diretta in  natura) – un clima culturale e filosofico tipico del XIX secolo.
Un primo forte influsso è dato dall’imperante filosofia di derivazione hegeliana, con la sua assolutizzazione del divenire, unitamente all’idea che il divenire stesso manifesti progressivamente l’assoluto, così che attraverso la lotta dei fattori (tesi e antitesi) si proceda inesorabilmente verso il meglio. Darwin ammette esplicitamente in alcune sue lettere questo influsso hegeliano sulla sua dottrina evoluzionistica.

Com’è noto, questa idea (per sé un’idea biblica – Dio che si rivela nella storia – impazzita, come spesso avviene in questi ultimi tre secoli!) si è trasferita nel materialismo dialettico di Feuerbach per poi passare alla dialettica storica di Marx (la lotta di classe che produrrà il nuovo assoluto del socialismo), così come plasma l’idea di trasformazione biologica di Lamarck, le teorie sociologiche di Malthus, e si assolutizza con più coerenza nell’<eterno ritorno dello stesso> di Nietzsche.

Il persistente dogma “progressista” ci obbliga infatti a credere – sulla scia di Hegel – che “nuovo” sia sempre sinonimo di “migliore”, quando ciò semmai è ovvio nella tecnologia ma non certo nella morale (l’ann prossimo potrei essere infatti migliore o peggiore di oggi).

Dentro questo (errato) orizzonte filosofico è poi preponderante lo sforzo di ridurre ogni fenomeno a manifestazione di un’unica forza. Come Marx la individua nella “lotta di classe”, Nietzsche nella “volontà di potenza”, Freud nella “libido”, Darwin la individua nella “lotta per la sopravvivenza”.

All’idea (di derivazione hegeliana) di lotta come motore del divenire inesorabilmente proteso verso il meglio, Darwin aggiunge quella di “lotta per la sopravvivenza”, così da permettere non solo di far sopravvivere chi è dotato di organi più vantaggiosi per questo ma di migliorare la specie e addirittura di far sorgere nuove specie caratterizzate da nuovi organi di adattamento. E con questo “a priori” cercò conferme nel suo unico viaggio.

In quasi tutto l’ambiente scientifico, anche a motivo dell’orgoglio suscitato dalle sempre nuove e sorprendenti scoperte, regna poi sovrano il positivismo e lo scientismo, come pretesa di spiegazione totale della realtà ed unica forma di razionalità – un influsso che vediamo imperante ancor oggi, come forse ultimo residuo di certezza lasciato dal relativismo – che sorpasserebbe definitivamente la riflessione filosofica e ancor più l’esperienza mitica e religiosa (A. Comte). Darwin conobbe il pensiero ateo di Comte e ammise di esserne rimasto vivamente colpito. 
L’esito fondamentalmente materialista di questa impostazione culturale – in cui non solo viene negata ogni trascendenza divina (ateismo) ma anche ogni trascendenza dell’uomo sulla natura (e sugli animali) – diviene progressivamente affermata nella teoria darwiniana dell’evoluzione.

Darwin nel 1826 seguì delle lezioni ispirate alle teorie materialistiche alla Plinian University. In un suo appunto anteriore al 1831 (riportato più tardi in una lettera all’amico Lyell), e quindi precedente il suo celebre viaggio e l’esplicitarsi della sua dottrina evoluzionistica, Darwin manifesta questo suo “a priori” in questi termini: “io non acconsentirò a che, ancorché esiste un abisso tra l’uomo e l’animale, l’uomo abbia un’origine diversa (che il pensiero sia più della materia è una nostra presunzione); libera volontà e caso sono sinonimi”.

7. E’ vero che Darwin era razzista e favorì l’eugenetica?

Un notevole influsso su Darwin ebbe anche Malthus (1766-1834), che non era uno scienziato ma un economista, di estrazione culturale illuminista. Secondo lui (già due secoli fa) le risorse del pianeta sarebbero insufficienti a sfamare la popolazione mondiale, per cui si crea anche nel genere umano una “lotta per la sopravvivenza”. Per questo giunse perfino ad elogiare le guerre (con i morti che provocano contribuiscono a riequilibrare la situazione demografica), l’astinenza sessuale (perfino da imporre ai meno dotati, così da migliorare la specie umana) ed a biasimare la medicina nei suoi tentativi di salvare ad ogni costo gli ammalati. E anch’egli cercò di trovare in un viaggio conferma ai propri presupposti ideologici. 
Sulla scia di Malthus ed in base al suo credo nella “lotta per la sopravvivenza”, anche Darwin arrivò a conclusioni oggi poco confessabili (e infatti censurate dalla cultura dominante): non tardò infatti ad assumere posizioni razziste (non tutte le razze sono uguali, alcune sono geneticamente assai inferiori) ed eugenetiche (dovremmo far vivere e riprodurre solo i migliori), giungendo perfino a progettare esplicitamente la “eliminazione immediata degli uomini deboli di corpo e di mente”.

Queste raccapriccianti idee – peraltro logiche conseguenze di un materialismo e un ateismo che non vedono nell’uomo nient’altro che un prodotto casuale della natura, per nulla superiore agli altri animali –  erano assai diffuse in certi ambienti culturali del XIX secolo (v. anche in F. Nietzsche) e passarono ai fatti nel XX secolo (negli esperimenti medici dei lager nazisti e dei gulag, manicomi e campi di rieducazione comunisti). Oggi riemergono di nuovo ed in modo più pericoloso, perché sotto il velo di menzognere buone parole, in riferimento ad esempio alla programmazione e selezione degli embrioni, alla selezione di chi deve vivere o morire, non solo tra i nascituri ma anche tra gli infermi e i moribondi. Tutto ciò si annida anche dietro la pericolosissima e sempre più diffusa idea di “vita non degna di essere vissuta”! Mentre la protezione degli animali ha ormai talora sorpassato quella degli uomini (o di certe categorie di uomini o di certe popolazioni).

Si pensi ad esempio che in una Ciba-Conference tenuta a Londra nel 1962 sul “Futuro eugenetico dell’umanità” si disse che attraverso la fecondazione artificiale si potrà raggiungere una selezione dei migliori, anche con donatore con patrimonio genetico migliore, pensando a banche del seme e ovuli migliori.

Darwin giunse a lodare l’antica Sparta, dove i bambini difettosi venivano gettati dalla rupe, e si mostrò entusiasta nell’osservare che in certi popoli considerati erroneamente incivili “i deboli di corpo e di mente vengono presto eliminati, così che quelli che sopravvivono godono di ottima salute; mentre noi uomini “civili” – sono sue parole – ostacoliamo con ogni mezzo il processo di eliminazione (cosa che non facciamo invece con gli allevamenti di animali!)”. Per questo si oppose perfino alla vaccinazione antivaiolosa e si lamentava del fatto che malati e poveri fossero curati; meglio sarebbe stato lasciarli morire. Se si oppose alla guerra, nonostante ritenesse la lotta il motore della esistenza, è solo perché in guerra muoiono i più forti mentre i più deboli sono lasciati a casa, con la possibilità tra l’altro di sposarsi e di procreare. 
Nel suo tranquillo trasferimento di ciò che vedeva compiersi negli allevamenti animali non solo ai processi della natura ma perfino all’essere umano, Darwin pensava che anche nell’educazione dei bambini si doveva favorire la competizione.

Tra gli inglesi del tempo non mancarono coloro che vollero trasferire queste idee in politica, a supporto addirittura del “diritto” dell’impero inglese di colonizzare certi popoli. Nell’idea di cieca lotta per la sopravvivenza l’impero inglese cercò un supporto scientifico e filosofico per affermare il proprio diritto a colonizzare (cfr. National Geographic, febbraio 2009, monografia su Darwin).

Eugenetica (parola che significa “razza buona”) è un termine, oggi riemergente, coniato non a caso dal cugino (e discepolo) di Charles Darwin Francis Galton (1822-1911). Fu proprio lui a trasferire l’idea darwiniana che nella lotta per la sopravvivenza vincono i più forti e intelligenti a programma sociale. Si chiese infatti: perché non guidare questa selezione, così da migliorare la razza umana? Pensò perfino alla programmazione di matrimoni selettivi (eugenetica positiva). Nel 1907 fu lui a fondare la Società Eugenetica e suo successore alla sua guida fu proprio il figlio di Charles Darwin (Leonard), che penso di passare da una eugenetica positiva ad una negativa, cioè al divieto di riprodursi ai deboli e agli imperfetti.

L’idea non si diffuse solo in Gran Bretagna, tanto è vero che al primo Congresso Internazionale di Eugenetica (1912) furono presenti rappresentanti di USA, India, Australia, Canada, Germania, Francia, Giappone, Kenya, Sudafrica.

Fu proprio questa ideologia eugenetica – che trovò in Darwin la base scientifica – a condurre poi la dittatura nazionalsocialista tedesca (nazismo) all’idea di “razza pura” e di “medicina razzista”. Così infatti scriveva Darwin:

“Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi, malati; istituiamo leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione tempo non avrebbero  retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere […] Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana […] Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani”.

8. Che rapporto aveva Darwin con la fede cristiana?

Nonostante che in famiglia (v. appunto il nonno) si respirasse un’aria culturale sostanzialmente massonica, oscillante tra il materialismo (la Natura si spiega con se stessa) e il deismo (Dio come semplice Architetto del mondo), non si può dire che Charles Darwin non avesse un senso religioso. Studiò perfino un poco teologia, come s’è detto; siamo comunque in ambiente anglicano. 
E’ difficile dare un giudizio sintetico sulla sua posizione religiosa. Che la teoria dell’evoluzione dovesse essere senz’altro atea non è però nel pensiero di Darwin; questo è un pregiudizio anti-religioso postumo (ancor oggi ampiamente divulgato, come ad esempio dalla rivista Micromega).

Sull’origine della specie Darwin infatti scrive: “C’è qualcosa di grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa che il Creatore ha impresso in poche forme o anche una sola forma”; e conclude il libro osservando stupito come sia “davvero una concezione grandiosa questa che vede la vita, con le sue diverse forze, originariamente infusa dal Creatore soltanto in poche forme o in un’unica … e da un inizio tanto semplice è incominciata a svilupparsi, e continua tuttora a farlo, una serie infinita di forme, le più belle e meravigliose”.

Nel 1879 scrive a John Fordyce: “Non sono mai stato un ateo, nel senso di chi nega l’esistenza di Dio”; e ancora nel 1873 dice: “Dio è troppo oltre l’intelletto umano, ma l’impossibilità che questo universo si scaturito per caso a me pare l’argomento principe a favore dell’esistenza di Dio”.

Dunque in Darwin, nonostante tutto, c’è l’idea che anche l’evoluzione manifesti un disegno divino. 
Semmai è più contrario alla fede cristiana il tentativo di ridurre anche l’uomo esclusivamente nella sfera animale. Su questo non ignora infatti che si possa scadere in puro materialismo ed ateismo.

Scrive infatti in The Descent of Man (1871): “Io non ignoro che molti respingeranno come altamente irreligiose le conclusioni a cui arriviamo in quest’opera; ma quelli che sosterranno questa tesi devono mostrare che vi è maggiore irreligiosità nello spiegare l’origine dell’uomo come specie distinta, discendente da una forma inferiore, in virtù delle leggi della variazione e della selezione naturale, che nella spiegazione della formazione e della nascita dell’individuo secondo le leggi della riproduzione ordinaria”.

Vediamo qui come Darwin non si accorga che infatti anche nella riproduzione ordinaria, cioè nella nascita del singolo, l’uomo non è solo il prodotto di un concepimento biologico e chimico, ma assai di più (in italiano si diceva infatti propriamente “procreare” un figlio – oggi assai banalmente “fare”); appunto quando non si riconosce lo spirito, tanto la nascita del singolo come della specie non sembra altro che un processo biologico.

Negli ultimi anni della sua vita lo troviamo su posizioni più agnostiche (non la negazione di Dio ma forse la sua inconoscibilità):

“Nelle mie grandi oscillazioni, non sono mai arrivato all’ateismo nel senso vero della parola, cioè a negare l’esistenza di Dio. Io penso che in generale (e a misura che invecchio) la descrizione più esatta del mio stato di spirito è quella dell’agnostico”.

Quando troviamo Darwin su posizioni più atee, perfino aspre, non è a motivo della sua dottrina evoluzionistica, ma semmai a causa di un tragico episodio che segnò la sua vita in modo traumatico, quando morì sua figlia Annie, ancora bambina.

Lo scrive lui stesso all’amico Asa Gray, dopo la morte della bambina: “Non riesco a vedere con la medesima nitidezza di altri la prova di un disegno e di una benevolenza divini tutto intorno a noi. Ai miei occhi sembrano esserci troppe afflizioni nel mondo”.

Una recente sua biografia, scritta da un suo discendente (Randal Keynes) che ha utilizzato un gran numero di documenti privati, mette in luce il processo che porta Darwin ad abbandonare la fede in Dio. Scrive infatti: “l’incredulità si insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale”.

9. Perché si è fatto di Darwin un intoccabile “mito” laicista?

Darwin è divenuto assai presto una nuova bandiera del materialismo e dell’ateismo, specie se sventolata in opposizione all’“oscurantismo clericale”. Attorno a lui e alla sua teoria evoluzionistica si è creato un mito, utile alla propaganda atea e anticristiana. 
L’evoluzionismo, mediante il caso e i dinamismi stessi della natura, ci avrebbe finalmente liberato (!) da ogni pretesa religiosa di far dipendere da un Creatore l’inizio e l’evolversi stesso del cosmo e della vita, e avrebbe finalmente (!) ricondotto anche l’uomo esclusivamente all’interno del regno animale e dei suoi meccanismi biologici.
La finalità (e la relativa necessità di una Intelligenza creatrice) e l’esistenza dell’anima (da cui la superiorità dell’uomo sugli animali, la sua libertà e responsabilità morale, il suo destino eterno): tutto ciò che ogni religione ha sempre creduto e perfino la filosofia classica greca aveva mostrato, tutto ciò che sta alla base del cristianesimo e che ha plasmato duemila anni della nostra civiltà occidentale, sarebbe stato disintegrato ed eliminato per sempre dalle inconfutabili scoperte di Darwin e dei suoi discepoli, fino ad oggi e per sempre!

Così pensarono nel XIX secolo della propria dottrina sia Marx che Nietzsche, e poi anche Freud; e così si fece anche della teoria dell’evoluzione di Darwin. Non è casuale che Karl Marx volesse dedicare la sua opera principale (Das Kapital, Il Capitale)  proprio a C. Darwin (che rifiutò l’onore, come rispose, per non addolorare troppo la moglie, devota cristiana).

Tutto ciò non ha però più nulla di scientifico, ma assurge, senza poterlo fare, a livello di una dottrina metafisica (come la definisce Nicola Abbagnano).

L’opera di Darwin ebbe un’enorme propaganda (v. Huxley), non tanto per convincere il mondo scientifico, quanto per combattere la Chiesa e il sentimento religioso in generale.

Il modo con cui si è culturalmente e socialmente imposto il darwinismo (evoluzionismo) ha il sapore della lotta ideologica. Le grandi scoperte del monaco J. G. Mendel (1822-1884), padre della biologia e scopritore delle “leggi dell’ereditarietà”, furono boicottate (vennero riconosciute solo nel 1900) perché ponevano in crisi il darwinismo. E così vennero boicottati gli autori antidarwiniani del tempo. 
Il Caso sembra assurgere ad una spiegazione globale, totalizzante, con caratteristiche quasi divine. Mentre proprio alla luce delle nuove scoperte è ormai inammissibile, come si vedrà poi.

Quando ad esempio J. Monod scritto il suo libro Caso e necessità (1970), lanciato con grande fortuna di pubblico, è stato considerato e divulgato come la “Bibbia dei non credenti, degli atei” (dove al posto di Dio c’è il Caso)! Mentre il suo a-finalismo (materialismo) non è assolutamente scientifico ma nasce da un “a priori” ideologico (come ha mostrato il grande biologo e antropologo Marcozzi, nel suo libro Caso e finalità).

E’ incredibile come tale teoria evoluzionistica continui ad essere presentata come un dato di fatto, mentre non lo è assolutamente. Molti scienziati devono ammettere semplicemente di crederci. Molti ammettono l’esistenza del dogma evoluzionista. Qualcuno ammette che il vero motivo è l’ateismo,  cioè pura “teofobia” (come afferma il grande genetista Sermonti). Sembra proprio che interessi non tanto la questione scientifica, ma la possibilità di negare così la religione, il cristianesimo, la Chiesa Cattolica.

Così l’antropologo russo Nestourkl: “L’evoluzione è la prova vivente che la religione è falsa”. Il genetista Montalenti: “Con l’evoluzione cade tutto il mondo metafisico e morale”. Anche in una recente intervista lo scienziato ateo Dawkins si esprimeva in toni sprezzanti contro la fede, esaltando “Darwin come antidoto all’ignoranza” (su Repubblica, 19.02.2010).

Questo atteggiamento ideologico non ha nulla di scientifico, ma viene proseguito anche oggi in molti ambienti culturali e diviene ormai perfino cultura di massa.  

Purtroppo anche il recente (2009) anniversario darwiniano (200 anni dalla nascita e 150 dalla pubblicazione de Sull’origine della specie), con tutte le iniziative pensate su questa problematica, non ha mostrato in genere quel quadro più obiettivo e critico che sarebbe stato ormai bene presentare.

Negli ultimissimi decessi tutto ciò è purtroppo diventato cultura di massa. 
Anche un bambino di 6 anni oggi crede che siamo nati dalla scimmia (anche se il prete o la catechista si ostinasse a dire che siamo stati creati da Dio)! Oggi pare ovvio che noi siamo solo animali (chiamiamo “figli” i cani e “cuccioli” e figli), anzi si dice che sono migliori loro di noi. Oggi è ovvio che non esista l’anima: basti pensare al tempo che si dedica all’anima (ad esempio alla preghiera), rispetto a quello che si dedica al corpo (allenamenti, palestra, corsette) o agli animali (tristemente chiamati “da compagnia” – v. la passeggiatina mattutina o serale per i cani che teniamo tra l’altro violentemente negli appartamenti).

Il Curato d’Ars, S. Giovanni Maria Vianney, diceva due secoli fa: “lasciate una parrocchia per vent’anni senza parroco e adoreranno le bestie” (cioè, lasciate l’uomo senza Dio e adorerà la Natura, l’ambiente, gli animali, tale è il nostro bisogno di assoluto). Forse nemmeno lui però immaginava di essere così profetico dicendo questa frase paradossale; e che la realtà avrebbe superato ogni più tragica previsione (come del resto già il XX secolo ha ampiamente e tragicamente dimostrato).

Ecco attuata anche la profezia di F. Nietzsche:

“Non è forse, da Copernico in poi, in un inarrestabile progresso l’autodiminuirsi dell’uomo, la sua volontà di farsi piccolo? La fede, ahimè, nella sua dignità, unicità, insostituibilità nella scala gerarchica degli esseri è scomparsa – è divenuto animale, animale, senza metafora, detrazione o riserva, lui che nella sua fede di una volta era quasi Dio (figlio d’Iddio, Uomo-Dio) […] Da Copernico in poi, si direbbe che l’uomo sia su un piano inclinato – ormai va rotolando, sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale – dove? nel nulla? nel trivellante sentimento del proprio nulla […] Ogni scienza si propone oggi di dissuadere l’uomo dal rispetto sinora avuto per se stesso, come se questo altro non fosse stato che una stravagante presunzione […] autodisprezzo per l’uomo […] la vittoria di Kant sulla teologia dogmatica concettuale (Dio, anima, libertà, immortalità) […] Similmente chi potrebbe ormai biasimare gli agnostici se costoro, in quanto veneratori dell’ignoto e del misterioso in sé, adorano ora come Dio lo stesso punto interrogativo?” (Genealogia della morale).



L’evoluzionismo



10. Perché quella di Darwin non è “scienza sperimentale”?

Canoni fondamentali della moderna scienza galileiana sono la prova sperimentale e la riproducibilità in laboratorio. Ebbene, la teoria dell’evoluzione di Darwin non ha né l’una né l’altra.
Il fatto stesso che Darwin, a parte quel famoso ed unico viaggio, non si mosse mai da casa e scrisse lì tutte le sue opere, dovrebbe già indicare come la sua teoria fosse un’intuizione, al massimo una possibilità, un’ipotesi, non certo una certezza (legge) scientifica.

Se si può concedere una qualche possibilità, è più per la micro-evoluzione (sviluppi all’interno di una specie) che per la macro-evoluzione (passaggio da una specie ad un’altra). I tempi dell’evoluzione biologica, specie se parliamo di pura casualità del processo, sono poi comunque così lunghi (migliaia e perfino milioni di anni) da essere insondabili e comunque non riproducibili. Inoltre renderebbero impossibile la vita dei presunti passaggi intermedi. Quanto avviene negli allevamenti animali (cui spesso Darwin si richiama), fatti comunque dagli uomini e quindi intenzionali, non sono trasferibili a ciò che farebbe la natura, specialmente se fosse casuale. Persino nei moderni laboratori mai assistiamo al passaggio da una specie ad un’altra. I fossili non possono dirci quasi nulla di questi presunti passaggi: mancano tutti gli anelli di congiunzione, abbiamo apparizioni improvvise di nuove specie, sparizioni improvvise di altre e la persistenza di vecchie specie che in base alla teoria darwiniana sarebbero dovute sparire.

Ascoltiamo in proposito il giudizio di grande scienziato italiano (Antonino Zichichi, lo scopritore dell’antimateria):

“Diciamo subito che la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana non è Scienza galileiana. Se l’uomo dei nostri tempi avesse una cultura veramente moderna, dovrebbe sapere che la teoria evoluzionistica non fa parte della Scienza galileiana. A essa mancano i due pilastri che hanno permesso la grande svolta del milleseicento: la riproducibilità e il rigore […] Essa pretende di andare molto al di là dei fatti accertati […] Una teoria con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili estinzioni, improvvise scomparse, non è una scienza galileiana. Essa può, al massimo, essere un tentativo interessante per stabilire una correlazione temporale diretta tra osservazioni di fatti ovviamente non riproducibili, obiettivamente frammentari e necessariamente bisognosi di ulteriori repliche […] Dal punto di vista scientifico è solo un’ipotesi […] anche interessante, ma non vagliabile in modo sperimentabile e riproducibile, come ogni scienza galileiana […] eppure molti arrivano all’incredibile presunzione di classificarla come un’esatta teoria scientifica, corroborata da verifiche sperimentali […] La teoria dell’evoluzione biologica della specie umana è uno degli atti di mistificazione culturale più gravi che siano stati commessi da quando è nata la scienza […] Eppure l’uomo della strada è convinto che Darwin abbia dimostrato la nostra diretta discendenza dalle scimmie (pretendendo tra l’altro in questo modo di negare Dio), […] che sarebbe oscurantista negarlo; […] quando invece gli oscurantisti sono coloro che pretendono di far assurgere al rango di verità scientifica una teoria priva di una pur elementare struttura matematica e senza alcuna prova di stampo galileiano […] Insomma, mettere in discussione l’esistenza di Dio, sulla base di quanto gli evoluzionisti hanno fino a oggi scoperto, non ha nulla a che fare con la scienza. Con l’oscurantismo moderno sì”.

11. Abbiamo mai sperimentato la nascita di una specie da un’altra?

A dire il vero, Darwin ha dubbi sull’esistenza stessa della specie, che considera alla stregua di una convenzione.

Afferma in proposito: “Considero il termine <specie> come la denominazione data arbitrariamente, per ragioni di convenienza, ad un insieme di individui con forti somiglianze reciproche”.

Possono darsi eventualmente mutamenti all’interno di una specie, mai non abbiamo mai assistito al passaggio da una specie ad un’altra; e non abbiamo neppure elementi per asserire che ciò sia avvenuto millenni o milioni di anni fa. 
In 10.000 generazioni non vediamo l’apparire di una nuova specie. Esistono invece, ad esempio, oltre 1000 mutazioni del “moscerino del mosto” (Drosophila melangaster).

Il biologo e antropologo Marcozzi, peraltro aperto a questa ipotesi evoluzionistica (purché rimanga nei suoi limiti e soprattutto non si estenda all’uomo in tutto il suo essere), ci ricorda ad esempio che: vari tipi di vegetali sono comparsi improvvisamente; i vertebrati appaiono in modo improvviso e non è possibile dire donde abbiano avuto origine; abbiamo la comparsa improvvisa delle classi e degli ordini; c’è la mancanza di forme intermedie; così come permangono forme immutate.

12. I fossili danno ragione a Darwin?

Un altro dogma scientista è quello che crede che i fossili comprovino la teoria evoluzionistica. A parte il fatto che Darwin non ne ha mai trovato uno (avendo fatto appunto tutti i suoi studi in casa), dobbiamo anzitutto ricordare che la scoperta di un fossile è elemento rarissimo rispetto alla totalità della specie o dei viventi (perché si formi un fossile si richiede la presenza di un ambiente umido in grado di calcificarsi rapidamente prima della deformazione o distruzione dell’animale che vi si deposita). Inoltre nessuno può dedurre con certezza che tra due fossili differenti ci sia stato una mutazione dall’uno nell’altro.
I fossili ritrovati non dicono comunque quello che gli evoluzionisti pretenderebbero.

Lo dice perfino un convinto evoluzionista quale il paleontologo statunitense contemporaneo Stephen Jay Gould.

Persistono ad esempio tuttora degli animali uguali ai rispettivi fossili di milioni di anni fa (come mai l’evoluzione in questi casi non ha prodotto cambiamenti?).

Fossili del crostaceo neoglyphea o del pesce “celacanto”, di centinaia di milioni di anni fa, ci mostrano che questi animali sono rimasti uguali a quelli che abbiamo ancora oggi (pur avendo una struttura che secondo la teoria di Darwin avrebbe dovuto farli estinguersi assai presto).

Proprio i fossili ci dicono ad esempio che le formiche sono uguali da 100 milioni di anni, le libellule da 135 milioni di anni, gli squali da 400 milioni di anni, i pipistrelli da 55 milioni di anni (quando compaiono improvvisamente, e sono più di 110 varietà), così le tartarughe.

La vita sulla Terra è apparsa già complessa. Non c’è stata una trasformazione dal semplice al complesso, dall’elementare al sofisticato, dall’inidoneo all’idoneo. Questo non corrisponde ad alcuna cronologia paleontologica. Nelle rocce cambriane abbiamo fossili di una fauna marina ricchissima e straordinariamente eterogenea, totalmente assente invece nelle rocce precambriane (mancano completamente i fossili dei presunti progenitori degli organismi cambriani). 
Mancano inoltre tutti gli anelli intermedi, di congiunzione (postulati dagli evoluzionisti).

Ad esempio nella formazione della particolarissima struttura ossea (vuota) degli uccelli, o gli stadi intermedi tra le branchie e i polmoni. Non abbiamo le fasi intermedie tra invertebrati e vertebrati, tra i pesci e gli insetti, tra pesci e sauri, tra sauri e uccelli, tra sauri e mammiferi, tra uccelli e mammiferi.

Perfino Darwin rimaneva molto perplesso nello studiare questo problema. Invece di arrampicarsi sugli specchi con decine di teorie tra loro contraddittorie pur di affermare l’evoluzionismo, è meglio riconoscere che quei progenitori non sono mai esistiti.
Ancora più ideologico risulta il presunto passaggio tra gli animali e l’uomo: mancano totalmente i fossili di questi presunti progenitori (fase intermedia) dell’uomo:

Non esiste neppure un fossile che mostri una fase intermedia tra la scimmia e  l’uomo, ad esempio con gli accorciamenti progressivi della coda e degli arti superiori.

“L’idea di uno sviluppo graduale della nostra specie da creature come l’australopiteco, attraverso il pitecantropo, il sinantropo ed il neeanderthaliano, deve essere considerata come totalmente priva fondamento e va respinta con decisione” (Sermonti-Fondi).

Molte volte la ricerca spasmodica di reperti di una dottrina costruita a priori spinge verso clamorosi abbagli.

E’ il caso di Boule sullo scheletro di La Chapelle-aux-Saints, che sembrava un progenitore dell’uomo mentre in realtà è risultato essere un uomo deformato da una grave artrosi.

Nel novembre 1999, l’autorevole rivista National Geographic ha pubblicato in pompa magna la foto di una lastra minerale dove si vedeva un dinosauro con ali e piume: “è la prova che gli uccelli si sono evoluti da questi antichi rettili”, ha esultato il biologo Palevitz nell’articolo che accompagnava la scoperta. Subito dopo, s’è appurato che “il fossile” era un falso, composto da due fossili diversi (un uccello e un sauro) incollati assieme, opera dei contadini cinesi della zona di Liaoning, che sfruttano e vendono (sul mercato nero) i fossili di un giacimento locale. Uno “scandalo” molto chiacchierato in Usa (ma non in Italia).

Altre volte si è giunti perfino a scartare certi fossili perché metterebbero in crisi la teoria evoluzionistica.

13. Perché gli allevamenti animali non ci dicono nulla sull’evoluzione?

Spesso Darwin, per definire la sua dottrina, si rifà addirittura a quanto ha visto fare negli allevamenti animali (accoppiamenti indotti, incroci, selezioni – oggi andrebbe con entusiasmo nei laboratori di genetica, con tutte le alchimie sulla vita che vi si compiono), dimenticando che questa è appunto un’opera intenzionale e artificiale dell’uomo, che la natura (non intelligente) non potrebbe fare casualmente neppure in milioni di anni [Nel 1868 Darwin scrisse su questo The Variation of Animals and Plants under Domestication].

14. L’organo permette la funzione o la funzione ha formato l’organo?

Darwin assunse da Lamarck la bizzarra idea che possa essere la funzione a creare l’organo (e non viceversa) e l’applicò alla sua teoria, così che proprio la “selezione naturale” permetterebbe la formazione di un organo.

Questa stravagante idea (ad esempio:  la vista crea l’occhio) è metafisicamente assurda, specie se si nega Dio: nessuna cosa può operare fin quando non c’è! Un fine (ad esempio la formazione dell’occhio), che ancora non c’è, come può muovere le cose (la vista) in vista di se stesso? Un fine può attirare un movimento solo se esiste come “idea” in una mente, che poi muove le cose affinché si raggiunga (deve essere un “progetto” di una mente).

Proprio gli evoluzionisti più radicali, che negano ogni finalità e l’esistenza di Dio creatore per affermare la pura casualità, dovrebbero quindi negare questa idea darwiniana.

In realtà gli organi si formano prima che agisca la selezione. Poi i mutamenti biologici avvengono in tempi così lunghi che nel frattempo questi animali (privi di quell’organo o di quella modalità di utilizzo dell’organo) morirebbero tutti.

15. L’adattamento all’ambiente spiega la nascita delle diverse specie?

Quello dell’adattamento all’ambiente è un altro postulato metafisico dell’evoluzionismo; ma può essere al massimo un dato di fatto (o una tautologia), non una legge scientifica. Sarebbe poi inspiegabile al di fuori di una concezione finalistica, nella pura casualità.

Rimangono in vita quegli individui più dotati in grado così di rispondere meglio alle sfide dell’ambiente o le sfide dell’ambiente sollecitano la formazione di individui con organi atti a farvi fronte?

La tautologia si potrebbe esprimere in questi termini: permangono in vita solo quegli animali che si adattano meglio all’ambiente. Ma quali sono quelli che si adattano meglio all’ambiente? Quelli che rimangono in vita.

Se questo principio fosse davvero il motore dell’evoluzione, potremmo paradossalmente osservare che un sasso si adatta meglio all’ambiente rispetto ai viventi, che i vegetali si adattano meglio degli animali, e tra gli animali si adattano meglio quelli che non devono neppure muoversi per sopravvivere (come i mitili). Il batterio è in fondo la forma di vita che più si adatta all’ambiente; allora perché avrebbe dovuto essere all’origine di tutte le altre specie viventi?

16. La “lotta per la sopravvivenza” c’è davvero e spiega la nascita delle diverse specie?

Come abbiamo già accennato, quello della “lotta per l’esistenza” è un principio-guida, derivante dalla filosofia di Hegel, diventato nel XIX secolo addirittura un luogo comune.
Che la lotta per la sopravvivenza (l’aggressività, la competizione) fosse una causa determinante per la selezione naturale della specie e delle specie – facendo persistere solo gli individui o le specie più dotati – fu una convinzione di Darwin talmente esagerata che egli stesso ammetterà più tardi (già nel 1871) di avervi dato troppa importanza.

Come osservano Morgan (uno dei più grandi genetisti dopo Mendel), Waddington e Popper, qui si ripresenta la solita tautologia: prevalgono i migliori perché sono migliori (chi sopravvive? il più adatto. Chi è il più adatto? chi sopravvive).

Nonostante sia ormai creduta come vera anche dalla massa, tale idea – secondo i biologi Fromm, Wright, Childe – risulta “una delle più grandi sviste del lavoro di Darwin”.

Inoltre Darwin osa estenderla anche all’uomo.

Per questo K. Marx la trovò idonea ad offrire un supporto biologico alla sua idea di “lotta di classe” e non a caso volle dedicare a Darwin Il Capitale.

Si parla di “darwinismo sociale” anche per le posizioni di Spencer e di Summer.

Oltre ad essere smentito da un’osservazione più attenta (abbiamo ad esempio esseri umani capaci perfino del totale sacrificio di sé per gli altri), oggi emergono anche dalla paleontologia dei dati sorprendenti che contraddicono questo dogma darwiniano: secondo recenti scoperte e studi, ad esempio, risulterebbe come fattore decisivo per la sopravvivenza non l’aggressività e la lotta ma la cooperazione. Si potrebbe perfino affermare che ha più opportunità di sopravvivenza chi è più capace di vivere in gruppo.

Cfr. le posizioni di Kropotkin (Il mutuo soccorso nel mondo umano e animale), von Üxkuell (“la relazione come principio biologico fondamentale”), Jacob (l’importanza della cooperazione), e chi afferma perfino che l’altruismo gratuito sia stato per l’uomo un fattore più forte dell’aggressività (Pearson, Teilhard de Chardin, Dobzhansky, Leakey, Lewin,  Keith, Darlington).

Alcuni fossili umani evidenziano come individui meno dotati (ad esempio scheletri con gravi menomazioni) non fossero isolati o emarginati ma oggetto di particolare cura ed attenzione.
Gli uomini della preistoria avevano poi particolare cura dei bambini e si interessavano seriamente degli invalidi. I popoli più primitivi sono poi generalmente pacifici.

“Possediamo la documentazione di forme di assistenza di individui portatori di menomazioni fisiche, che testimoniano una solidarietà operante già presso l’uomo preistorico […] La competizione e la lotta sono aumentati durante il periodo Neolitico. Dal punto di vista evolutivo la socialità e la cooperazione, più che la competizione e l’aggressività, hanno giocato un ruolo particolarmente importante, nel senso che hanno rappresentato, insieme ad altre espressioni della cultura, un fattore di evoluzione e di successo della specie umana, tanto sul pian biologico che su quello culturale” (F. Facchini).

17. Le mutazioni acquisite si possono trasmettere per via genetica?

Darwin aveva assunto da Lamarck anche questa idea della trasmissione ereditaria delle mutazioni avvenute; ma in realtà sa poco o nulla circa i caratteri ereditari, visto che sono ancora in corso gli studi di Mendel.

Dobbiamo la scoperta delle “leggi dell’ereditarietà”, una delle più grandi scoperte della biologia, al monaco agostiniano J. G. Mendel (1822-1884), priore del convento di Brünn (dove fu professore di fisica e scienze naturali, dopo aver compiuto gli studi all’università di Vienna). Fu proprio nell’orto di quel convento – e non a tavolino, come invece fece Darwin – che Mendel compì per 8 anni di “esperimenti” di ibridazione di alcuni vegetali (piselli, fagioli). Descritta questa eccezionale scoperta nel 1865 nel suo Esperimenti di ibridazione nelle piante, fu ignorata per 35 anni (perché avrebbe smentito Darwin?), fino a quando, morto Mendel, i biologi De Vries, Tschermak e Correns poterono compiere le stesse sue scoperte e riconoscere la validità di quanto l’ignorato abate aveva già scoperto (e al quale da morto, nel 1900,  furono resi i dovuti postumi riconoscimenti).

La moderna genetica smentisce questa idea di Darwin.

Secondo la moderna genetica i caratteri acquisiti non si trasmettono. La struttura del DNA rimane fondamentalmente invariata nel mondo vivente (il genotipo è, nelle sue linee fondamentali, una costante, con variazioni secondarie dal batterio all’uomo) [“Uno dei risultati più sorprendenti del confronto dei genomi di varie specie animali è quanto simili essi siano. Il genoma del topo non differisce molto da quello dell’uomo. Come possiamo allora spiegare le differenze?” (Esteller)]. Le grandi differenze tra le specie non sono genetiche.

Se in natura esistono mutazioni genetiche, esse sono degenerative e patologiche (cioè in direzione opposta all’evoluzionismo di Darwin).

Inoltre, come aveva già mostrato Mendel, la trasmissione dei caratteri ereditari non è casuale ma secondo una logica di calcolo delle probabilità. 
Che sia poi impossibile trasferire caratteri ereditari da una specie ad un’altra è mostrato anche dagli attuali esperimenti genetici: come già quelli per via chirurgica, ogni tentativo è sempre fallito.

“Si può riconoscere che, nonostante delle geniali intuizioni, le idee di Darwin sul meccanismo dell’ereditarietà erano sbagliate e confuse” (Matt Ridley, National Geographic febbraio 2009).

18. Si può spiegare tutto con il caso e la selezione naturale?

Anche se Darwin non è mai scaduto in un’esplicita professione di materialismo ateo, ha tentato comunque di spiegare l’origine e l’evoluzione della vita (perfino del’uomo) con i soli fattori dalla casualità e della selezione naturale. Ma in realtà ciò non è possibile. Essi sembrano più dei pregiudizio ideologici che seri risultati di indagine biologica.

Quella della selezione naturale, aggiunta alla pura casualità, è un’ulteriore deus ex machina, cioè un artificio creato appositamente per far tornare i conti. Se la selezione naturale ha avuto un ruolo nella storia della vita, l’ha avuto per il motivo opposto a quello affidatole da Darwin, cioè quello di conservare stabile e funzionale il materiale genetico esposto all’avaria dei millenni (Facchini, antropologo e paleontologo).

Lo stesso Darwin riconoscerà l’insufficienza di questi due concetti per spiegare i processi biologici.
Se il caso è certo ammissibile in casi particolari – e rientrerebbe comunque in una più grande finalità (voluta da Dio) – è invece impossibile, anche come calcolo delle probabilità, quando lo si voglia a tutti i costi assumere come spiegazione totale dell’ordine cosmico e anche biologico.
Oggi, di fronte alla sempre più profonda scoperta della complessità e dell’ordine che troviamo in ogni aspetto del macro e del micro cosmo, ed anche nei più elementari processi biologici, continuare ad affermare come spiegazione la pura casualità costituisce di fatto un “atto di fede cieca” in qualcosa che è continuamente smentito dall’esperienza e dall’indagine razionale.
Ecco alcuni esempi (con relativi calcoli di probabilità se tali fattori fossero frutti del caso):

L’intero tempo dell’universo non sarebbe sufficiente per produrre a caso la vita: è stato calcolato che per produrre casualmente 1000 enzimi si ha 1 probabilità su 10 alla 45sima; cioè anche con 1 milione di tentativi al secondo ci vorrebbero 1 milione di miliardi di anni, quando il nostro universo ha invece 13,6 miliardi di anni (Duclaux, dell’Académie des  Sciences).

“A elaborare le proprietà dell’atomo di carbonio deve essere stata, per forza, un’intelligenza superiore: le probabilità di formare casualmente un simile atomo nel caos delle forze della natura sarebbero state assolutamente irrisorie […] alcuni sentieri percorsi dall’evoluzione sono così intricati e complessi da rendere spaventosamente improbabile l’eventualità che a guidarli sia il puro caso” (Gingerich, astronomo di Harward).

Una proteina è formata da 2000 atomi, ordinatamente collocati: se ciò fosse frutto del caso, avverrebbe 1 volta su 10 alla 321sima.

Il calcolo delle probabilità perché si possa formare casualmente anche solo una molecola di sostanza proteica (anche molto semplificata, ad esempio formata da 50 aminoacidi di 20 qualità), è di 1 su 10 alla 45sima; ma gli aminoacidi sono in realtà centinaia e di 30 qualità (Oparin, scienziato sovietico).

Per formare casualmente una molecola di acido ribonucleico, la natura dovrebbe moltiplicare i tentativi per un milione di miliardi di anni, 100.000 volte l’età effettiva dell’universo (Bogdanov, scienziato russo)

Una sola cellula vivente è più complessa dell’intera galassia. Il calcolo delle probabilità (fatto da un gruppo di biologi con un potentissimo computer) perché si possa formare casualmente 1 dei 20 amminoacidi che compongono una cellula è 1 su 10 alla millesima potenza, la stessa probabilità che hanno due dadi di fare lo stesso numero per 50.000 volte di seguito.

“Perché comparisse la vita ci vuole una combinazione di particolari numeri, tra migliaia di altre combinazioni. Questo concorso di circostanze è troppo straordinario perché il caso ne sia il solo responsabile. Ecco perché sono certo che c’è un Creatore” (Xuan Thuan, astrofisico).

Il grado di informazione di un batterio è circa 5000 volte superiore alla Divina Commedia, ma chi direbbe che battendo a caso sui tasti di una macchina da scrivere potrebbe venir fuori per 5000 volte la Divina Commedia? (Bucci, biochimico molecolare).

Anche se un organismo avesse solo 10.000 geni (patrimonio genetico di un umile batterio) con sole 2 mutazioni ciascuno, supponendo che avvenga 1 mutazione al secondo, perché si formi l’intero organismo occorrerebbero 10 secondi alla 3000sima, immensamente di più dell’età dell’universo stesso (Gosztonyi, scienziato).

L’estrema improbabilità di questi risultati (se fossero casuali) anche per la formazione di un solo fattore costitutivo della vita diventa assoluta impossibilità pratica quando si pretende di estenderla addirittura all’intera struttura di un vivente; non parliamo poi se ne facessimo – come oggi qualcuno ancora pretende – un principio universale. Tra l’altro, anche come puro calcolo delle probabilità, dire 1 possibilità su 1 milione o su un miliardo e su migliaia di miliardi è in fondo la stessa cosa, perché è come dire che non si avrebbe mai.

19. C’è invece una “finalità” particolare nel mondo dei viventi?

Parliamo di finalità quando c’è la tendenza verso un fine, verso uno scopo; ma un fine, come abbiamo già sottolineato, visto che ancor non c’è (perché è futuro), può essere solo in una mente. 
Abbiamo sopra osservato come proprio alla luce delle continue scoperte scientifiche parlare ancora di pura casualità universale sia ormai totalmente irrazionale.
In realtà, nella nascita e nello sviluppo dell’universo vediamo svolgersi un progetto, una finalità.

Anche riguardo ad una delle scoperte o ipotesi più recenti, quella dell’<energia oscura>, il giovane astrofisico di Cambridge John D. Barrow, uno dei più grandi matematici e cosmologi viventi, afferma: “per capire l’energia oscura nell’universo occorre una cifra di 10 seguito da 120 zeri, e se mancasse solo uno zero la vita in esso non sarebbe stata possibile”.

Per Jen Dorst, professore di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, già direttore del Museo Nazionale (francese) di Storia Naturale, “le acquisizioni della scienza contemporanea non smentiscono nessuna verità della fede cristiana […] nel mondo vivente si vede la potenza di Dio […] a questo livello fede e verità scientifica entrano in contatto diretto […] il costituirsi del mondo vivente nel corso di qualche miliardo di anni non è concepibile senza un disegno […] ho incontrato Dio al vertice della scienza”.

Ogni singola cellula manifesta una intrinseca finalità (è già un “inno alla vita”). Se poi passiamo dalla singola cellula ad un organismo pluricellulare, dove solo l’assenza o il cambiamento di ogni singolo fattore compromette l’insieme organico, la finalità è ancor più manifesta (è tutto un concorrere al bene che è la vita stessa).

“La causa della vita non è all’opera solo all’inizio, ma è in permanente attività, essendo la vita in evoluzione, come un progetto che si attua in tempi piuttosto lunghi […] e in ciò la vecchia ipotesi del <caso> non ha verifiche […] con una improbabilità così alta da rassomigliare alla impossibilità”. “La biologia contemporanea sembra sempre più confermare l’esistenza di una grande finalità cosmica piuttosto che la casualità darwiniana” (Galleni, biologo).

Secondo il paleontologo Facchini nella natura c’è un finalismo biologico: anche solo la relativa rapidità con cui avvengono certi fenomeni evolutivi (emblematico il caso della crescita del cervello nella filogenesi umana) solleva notevoli perplessità sulla pura casualità delle variazioni.

Per il genetista F. Collins, responsabile del Progetto Genoma Umano, l’evoluzione non può essere casuale. Sotto la sua direzione, nell’aprile 2003, s’è ottenuta la sequenza completa del DNA umano, che egli chiama significativamente “il linguaggio di Dio”.

Afferma: “la scienza non ha come suo scopo diretto quello di dimostrare l’esistenza di Dio, ma può essere un primo gradino per arrivare poi, con un ragionamento filosofico, a Dio”; “l’evoluzione spiega il come, non il perché”.

Il presidente USA B. Obama lo ha chiamato (2009) a dirigere il National Institutes of Health (NIH), la maggiore agenzia di ricerca biomedica americana (che economicamente assorbe 1/3 di quanto gli USA destinano al settore).

Il 10.10.2009 il Papa Benedetto XVI lo ha nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze. Il Papa lo cita anche nel 2° vol. del Gesù di Nazareth (2011), alla p. 123: “Francis S. Collins, che ha diretto lo Human Genome Project, dice con lieto stupore: <Il linguaggio di Dio era stato decifrato> (The Language of God, p. 99). Sì davvero, nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell’uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. (Ma purtroppo non è il linguaggio intero. La verità funzionale sull’uomo è diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene e il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo)”.

Il finalismo, osserva Marcozzi, si manifesta poi nel corpo umano in modo sorprendente:

Il cuore batte 100.000 volte al giorno. Il fegato ha 300 miliardi di cellule. Il cervello ha 12-14 miliardi di cellule, di cui 9-10 sono della corteccia cerebrale. Il potere di rigenerazione (un dei numeri di magia più spettacolare del repertorio degli organismi viventi), di cicatrizzazione, il potere di compenso o di sostituzione (ad es. nei reni, polmoni, ghiandole a secrezione interna), l’adattamento fisiologico (omeostasi), l’adattamento al clima (con la temperatura corporea di 36,5°); i sistemi di difesa, il potere immunitario (anticorpi, svenimento).

La scelta di mezzi proporzionati ad un fine da raggiungere (finalismo) è infine più che mai evidente nella riproduzione:

Le cellule atte alla riproduzione (gameti) hanno la metà di cromosomi (23), altrimenti si moltiplicherebbero all’inverosimile rendendo la vita impossibile (oltre ad aumentare le possibilità di tare ereditarie).

Il famoso ma ormai datato tentativo di J. Monod di opporsi ad ogni “finalità” (v. il suo Caso e necessità, del 1970; assai noto e divulgato come la Bibbia dei non credenti!), che denota una pretesa materialistica che ha più dell’ideologico che dello scientifico, oltre ad essere scientificamente smentito da Marcozzi (cfr. Caso e finalità), con il plauso di Jules Carles [biologo di Tolosa e direttore della ricerca al CNRS; disse del lavoro di Marcozzi: “questo mette fine ad un dogma scientifico e infligge un duro colpo ai sostenitori della mutazione per caso” (“La fine di un dogma scientifico”, articolo su La Croix del 31.12.1975)], fu aspramente criticato anche dai tre biologi Temin, Dulbecco e Baltimore (premi Nobel per la Medicina 1975), i quali affermarono che il dogma intoccabile della biologia di Monod era stato finalmente contraddetto, infliggendo un duro colpo ai sostenitori della mutazione per caso”.

Certo, c’è chi si ostina ad affermare l’ateismo e conseguentemente la pura casualità (come Dawkins e Hitchens, entrambi militanti del “Movimento ateo britannico”).

Richard Dawkins, colpito da grave handicap e assai noto al grande pubblico, è un darwinista di Oxford che ostenta ripetutamente il suo ateismo e si oppone con forza alla Bibbia (di cui però non sembra aver compreso il significato), anche con toni polemici, come nel suo super pubblicizzato L’orologiaio cieco (“considerato da taluno come la più aggiornata messa a punto della teoria evoluzionistica darwinista, in realtà è un libro di metafisica annunciato come libro di scienza”, Giorgio Tupini] e L’illusione di Dio (un milione di copie).
In realtà perfino l’ateo Thomas Nagel critica Dawkins e definisce la sua posizione come “assolutismo relativista”.
In risposta alla provocazione atea di Dawkins, il biochimico americano Behe si oppone alla pura casualità e perfino alla teoria evoluzionistica [M. J. Behe, La scatola nera di Darwin. La sfida biochimica all’evoluzione].

Grande scalpore provocò nell’alto ambiente scientifico internazionale il famoso genetista inglese Anthony Flew (1923-2010), il cui ostentato ateismo era noto (e militante, insieme a Dawkins) così da scrivere God and Philosophy Theology and Falsification (1950). Ad un importante congresso scientifico internazionale (New York, 2004), terminati i suoi studi sul DNA, affermò pubblicamente che a proposito proprio del DNA non si poteva più parlare di “casualità” ma di un “Disegno intelligente”, pensato da Dio! Nel 2007 scrisse allora There is a God (sottotitolo: Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea), creando stupore e scompiglio negli ambienti culturali statunitensi e mondiali.

Ormai definisce il vecchio amico Dawkins un “laico bigotto, ostinato e intollerante” (visto ad esempio che nel suo testo L’illusione di Dio, definito un libro-mostro, viene totalmente censurata ogni religiosità, anche solo deista, come anche quella di Einstein).

Dobbiamo infine evitare di essere catturati in una sorta di tautologia, come quando – di fronte all’innegabile sapienza che regola ogni fenomeno, e ancor più proprio nel campo della biologia – ci limitiamo a dire “la natura fa così, perché è strutturata così”. Dire “è così perché è così” non è certo un atteggiamento scientifico e razionale, ma il rifiuto di cercare una spiegazione razionale. 
Se nella natura vediamo delle tendenze verso uno scopo (fosse anche quella dell’evoluzione), significa che c’è una finalità; ma se c’è una finalità significa che c’è una mente (un progetto, un disegno). Non è ovviamente intelligente la natura stessa (se dessimo poteri spirituale, di pensiero, alla Natura stessa torneremmo all’arcaico animismo). Dunque riconoscere nella natura una finalità è come riconoscere l’esistenza di una Mente creatrice, cioè Dio.

E’ forse perché “a priori” si vuole negare Dio che si giunge a negare anche la finalità intrinseca nella natura e credere irrazionalmente al puro caso? Non è un vago sospetto …

20. Perché l’evoluzionismo è contraddetto proprio dalle caratteristiche di certi animali?

Alcuni principi fondamentali dell’evoluzionismo, sopra menzionati, sono evidentemente incapaci di rendere ragione di molti fenomeni naturali e biologici, anzi sono chiaramente contraddetti da essi.

“Lotta per la sopravvivenza” e la “selezione naturale”?

Ad esempio: una “covata” di rana è costituita da 5.000 a 10.000 uova, di cui ne sopravvivono in media solo 2; ma non possiamo certo affermare che queste 2 sopravvivono perché più dotate o adatte all’ambiente.

Allo stato selvaggio troviamo animali con malformazioni, che si mantengono come gli altri.

Il limulus, una specie di granchio corazzato che vive sulle coste dell’Atlantico, è una sorta di fossile vivente; è uguale da 300 milioni di anni (come indicano i suoi fossili); è simile agli antichissimi trilobi liti, che si sono però estinti da milioni di anni. Di recente s’è scoperto che gli occhi del limulus, di notte, aumentano il loro potere visivo di un milione di volte: non sono dunque affatto occhi “primitivi” (sono più sofisticati degli apparecchi elettronici a visione notturna usati per scopi militari).

L’uomo, dal punto di vista sensoriale, è assai meno dotato della maggior parte degli animali. Gli insetti, nel cammino evoluzionistico, sono evidentemente assai arretrati rispetto all’uomo; eppure ci sono insetti in grado di percepire vibrazioni sonore 10.000 volte superiori a quelle colte da noi. L’occhio umano riesce a distinguere 20 o 30 stimoli al secondo; api, calabroni, libellule e mosche hanno capacità 10 volte la nostra.

Se il collo della giraffa fosse aumentato di un metro in 1000 generazioni (vorrebbe dire 1 mm per generazione) sarebbe stato un vantaggio praticamente inutile.

Senza una finalità intrinseca alla natura, come spiegare poi l’impollinazione da parte degli insetti o il linguaggio delle api? Perché bruco e farfalla si alternano?

Com’è noto, dalle uova della farfalla (il noto lepidottero) non nasce una farfalla simile alla madre, bensì un bruco. Dunque due animali dotati dell’identico codice genetico, ma con due forme assolutamente diverse. L’elenco delle diversità morfologiche fa paura: il bruco striscia su sei paia di zampe, la farfalla ne ha tre. Il bruco dispone di una bocca che mastica foglie, la farfalla ha una proboscide con cui succhia nettare. Il bruco ha sei occhi semplici, la farfalla due occhi composti, come quelli delle mosche. Il bruco ha colori mimetici e, spesso il corpo coperto di setole che lo rendono disgustoso ai predatori. La farfalla che nascerà dal bruco, ha ali vistosissime (che attirano i predatori), un sistema nervoso, l’aerodinamica atta al volo, e organi sessuali, che al bruco mancano. Quale vantaggio evolutivo hanno quelle ali sulla sopravvivenza della farfalla, perché la natura le abbia preferite al meraviglioso mimetismo del bruco? La risposta è che le ali sono un richiamo sessuale. Ma in natura esistono miriadi di modi per attrarre sessualmente il partner, senza attirare anche i predatori. Peggio: se, come ammettono i darwinisti, la forma originaria dei lepidotteri è il bruco (più “semplice”), e questo ha “imparato” a diventare la sofisticata farfalla per millenarie mutazioni, com’è che il bruco non ha apparato sessuale né riproduttivo? Come si sono riprodotti i presunti antenati e anelli di congiunzione? Dovrebbero aver vissuto per milioni di anni senza sessualità. Oppure i primi bruchi avevano organi sessuali, e poi li hanno persi? Oppure la forma “originaria” è quella volante e più complessa, e ad essere derivato è invece il bruco, più semplificato? Oppure va ammesso, ed ecco dove il darwinismo cade, che l’intero DNA del lepidottero sia stato scritto fin dall’inizio così, e abbia previsto fin dall’inizio la meravigliosa metamorfosi. Vediamo invece qui un “progetto” che ha separato due funzioni che negli altri animali sono congiunte (il bruco non fa altro che nutrirsi; la farfalla, non fa altro che accoppiarsi).

Perché la lucciola fa luce e gli altri insetti notturni no?

Se come dicono i darwinisti la selezione ha dotato le lucciole di una lampada, in quanto sarebbe un “vantaggio per la sopravvivenza”, perché allora le zanzare (e infiniti insetti notturni) ne sono privi?

Se la formazione o trasformazione (inevitabilmente lentissima in biologia) di certi organi fosse dovuta alle sollecitazioni e sfide provenienti dall’ambiente, come avrebbero potuto “nel frattempo” sopravvivere? Come avrebbe fatto ad esempio il picchio a formarsi una lingua così lunga?

Il picchio, questo comune uccellino, ha in realtà uno stranissimo apparato linguale. Ha infatti una lingua lunga ben cm. 15, cioè quanto il suo intero corpo, che tiene arrotolata in modo strano attorno al collo e che è in grado di lanciare come una fionda per catturare insetti sotto le cortecce degli alberi. Secondo la teoria evoluzionista la strana lingua del picchio deve essersi evoluta da un antenato che, come tutti gli altri uccelli, avrà avuto una lingua di misura normale. Ma questa strana lingua si protende all’indietro: grande svantaggio per l’antenato presunto del picchio, almeno fino a quando non sia divenuta tanto lunga da ricongiungersi al becco dopo un bei giro attorno al cranio, come è oggi. Nel “frattempo”, cioè per migliaia d’anni, gli antenati del picchio hanno digiunato, essendo gravemente svantaggiati nell’alimentarsi con una lingua volta all’indietro? Il darwinismo di nuova scuola (Stephen J. Gould) deve ammettere che l’apparato linguale del picchio s’è sviluppato in un colpo solo, in una gigantesca mega-mutazione. Ma allora, è necessario ammettere che è stato “progettato” così fin dall’inizio.

Domande imbarazzanti per l’evoluzionismo, perché non c’è risposta senza ammettere l’esistenza di una finalità, di un progetto e di un Creatore.

21. Perché l’evoluzionismo è contraddetto da alcune scoperte scientifiche?

Abbiamo già accennato come la moderna genetica contraddica un principio di Darwin (trasmissione genetica dei mutamenti). L’evoluzionismo sostiene poi che nel DNA avvengono continue mutazioni accidentali.

Il genetista Shapiro afferma invece che le mutazioni del DNA sono rarissime; anzi, il DNA è la struttura più stabile dell’universo. Semmai il DNA si difende proprio da quelle casuali accidentalità, in cui i darwinisti identificano il motore dell’evoluzione.

Le sole mutazioni frequenti sono quelle provocate dall’uomo su animali di laboratorio, con radiazioni nucleari o con agenti chimici che sconvolgono brutalmente la struttura del DNA.

E’ il caso del moscerino della frutta (Drosophila Melanogaster), l’insetto preferito dai genetisti perché produce una generazione nuova al mese. Studiato da 80 anni in tutti i laboratori del mondo, è stato costretto a subire milioni di mutazioni; ma mai si vede diminuire l’attitudine alla vita (mancanza di occhi, di ali, di zampe) e mai si vede la nascita di una nuova specie. Questi moscerini trasformati  possono peraltro vivere solo in laboratorio, grazie alle cure degli sperimentatori; in natura morirebbero prima di trasmettere il loro patrimonio genetico ai discendenti.

Il secondo principio della termodinamica (principio di Carnot: aumento di entropia) afferma che ogni sistema fisico chiuso tende verso il disordine, l’uniformità, la perdita di informazione. Questo renderebbe però impossibile l’evoluzione, se fosse casuale. 
L’evoluzionismo, pur di affermare la pura casualità, si è spinto perfino ad ammettere l’abiogenesi, cioè la generazione spontanea (il sorgere della vita dalla materia); ma ciò è già stato dimostrato sperimentalmente falso da secoli (prima da Redi, poi da Spallanzani e quindi da Pasteur).

22. Com’è la teoria dell’evoluzione oggi? è vero che gode di un unanime consenso scientifico?

Anche nell’opinione pubblica si dà ormai per certa la teoria evoluzionistica, tanto che si passerebbe per retrogradi e oscurantisti anche solo porre qualche dubbio su di essa.

E’ incredibile come tale teoria evoluzionistica continui ad essere presentata come un dato di fatto, mentre non lo è assolutamente. Nella divulgazione di massa (v. i documentari televisivi di Piero Angela) si continua a dare per scontato il darvinismo (la giraffa “ha evoluto il suo lungo collo” per brucare le foglie dei rami alti; la balena “discende” da un animale terrestre che “si adattò alla vita acquatica”. L’uomo discende dalle scimmie). Fin dall’infanzia ci vengono insegnate queste false certezze.

In realtà, anche in campo scientifico, non gode di tutto quel consenso che si crede; anzi, la teoria di Darwin è stata contraddetta come poche altre teorie scientifiche del passato.
Inoltre non esiste una teoria ma almeno 30 teorie evoluzionistiche. Persino i più ostinati darwiniani oggi criticano il padre di questa teoria su molti punti.

Del resto in qualche occasione Darwin stesso ammise che il suo fosse un “modello” di interpretazione che poteva richiedere continue integrazioni ed ampliamenti; ebbe inoltre, come s’è detto, qualche perplessità sull’esistenza stessa delle specie e rimase perplesso sulla scarsità di mutamenti dal Cambriano ad oggi.

Qualcuno ammette che il vero motivo del successo culturale della teoria evoluzionistica è il suo utilizzo al fine della propaganda materialista e atea (Huxley), cioè sembra proprio che interessi non tanto la questione scientifica, ma la possibilità di negare così la creazione e l’esistenza di Dio (Mayr, Jacob, Lewontin). Molti riconoscono che siamo di fronte ad un dogma evoluzionista (Rostand, Carazzi, Thompson). Molti devono ammettere semplicemente di crederci (Guyénot, Kerkut, Rostand). 
Credono alla pura casualità, con evidenti intenti antireligiosi: Monod, Dawkins, Hitchens, Fischer, Wright, Haldane, Dobzhansky, Nestourkl, Weismann, Vandel. 
Tra i neodarwiniani, nonostante permangano coloro che danno eccessiva importanza alla lotta per la sopravvivenza (Lorenz, Monod), abbiamo però chi riconosce oggi l’importanza della cooperazione (Jacob) e che l’altruismo gratuito sia stato un fattore più forte dell’aggressività (Pärson, Kropotkin, T. de Chardin, Leakey, Lewin,  Keith, Darlington). Altri riconoscono come Darwin sia giunto a dare quasi un potere magico alla selezione naturale (Portmann, Remane, Leonardi, Dalcq). C’è poi chi, pur essendo un convinto darwinista, riconosce però il trascendimento evolutivo dell’apparire dell’uomo (Ayala); e chi ammette che tre miliardi di storia della vita non sarebbero sufficienti per formare le principali strutture (Goldschimdt). 
Oltre ai neodarwiniani abbiamo anche i neolamarckiani (Grassé, Wintrebert, Kimura). 
Secondo Grassé, che è tra gli evoluzionisti più seri, la dottrina darwinista è ciò che più si avvicina a un laico “principio di fede”.
Nella scia neodarwinista abbiamo oggi la cosiddetta teoria sintetica, che tiene conto anche delle nuove scoperte della genetica; ma c’è però chi ritiene superata anche questa e parla apertamente di crisi del darwinismo (Johannensen, Wright, Crick, Lewontin). 
Tra coloro che scorgono nel processo evolutivo una finalità troviamo ad esempio: Marcozzi, Aster (premio Nobel), du Noüy, Schindewolf, von Frisch (premio Nobel), de Chardin, Colosi, Guyénot, Grassé, Piveteau, Leonardi, Hürzeler, Heitler, Dalcq, Blandino, Zatti, Zoller, Carles, Remane, Vogler, Dalla Porta, Cappelletti, Lejeune.

Quello di Jérôme Lejeune (1926-1994), dell’Institute de Progénèse dell’Università di Parigi, uno dei più grandi genetisti del secolo scorso, è stato un caso particolarmente grave di come uno scienziato possa essere vittima dell’uso ideologico della scienza e delle relative censure. A lui si deve infatti la scoperta del cromosoma responsabile della “sindrome di down” e per questo era candidato al Nobel, che gli fu però negato per la sua posizione dichiaratamente contro l’aborto. Eminente studioso anche dell’evoluzione, sapeva coniugare armonicamente evoluzione e creazione. Fu uomo di altissima professionalità e di profondissima fede (si sta inoltrando perfino la sua causa di beatificazione). Membro della Pontificia Accademia delle Scienze, fu nominato da Giovanni Paolo II primo presidente della Pontificia Accademia della Vita.

C’è chi conclude che, allo stato attuale della ricerca, le tesi casualistiche siano ormai nettamente confutate (Alexander, Tanzella-Niti, Boncinelli).
 

Apertamente contrari all’evoluzionismo sono ad esempio:

Fiorenzo Facchini (antropologo di fama internazionale)

Afferma: “chi assumesse l’evoluzione biologica come unica spiegazione della realtà esistente, la quale avrebbe in se stessa e da se stessa ogni potenzialità, escludendo qualunque altra dimensione, si muoverebbe in un’ottica non più scientifica, ma filosofica e ideologica”.

Giuseppe Sermonti (uno dei più grandi genetisti e studiosi di microrganismi contemporanei)

Definisce la teoria di Darwin un mito dogmatico, un insieme di tautologie che nulla prova di quanto afferma, anzi è smentito dalla biologia.

Francis Collins (uno dei maggiori genetisti viventi, direttore della ricerca sul “genoma umano”)

Nettamente contrario al materialismo insito nella dottrina dell’evoluzione, afferma che l’evoluzione non può essere casuale. “La fede in Dio è più razionale della miscredenza […] io credo che esista un progetto divino, che è passato attraverso il Big Bang e l’evoluzione per arrivare agli esseri umani […] Questo progetto è passato attraverso il DNA, un linguaggio utilizzato come libro di istruzioni per la vita”.

John C. Eccles (uno dei più grandi neurologi del secolo scorso, premio Nobel per la medicina 1963)

Si oppone, proprio a motivo dei suoi studi neurologici, alla riduzione dell’uomo ad animale evoluto, come alla casualità dell’evoluzione in genere. Afferma invece alla novità assoluta dell’apparire della autocoscienza, cioè dell’uomo e il finalismo insito nei viventi e cioè l’esistenza di un disegno superiore che guida i processi della evoluzione biologica.

Yves Coppens (uno dei più celebri paleontologi)

Afferma che la discontinuità rappresentata dall’apparire dell’uomo (dotato di pensiero astratto,  autocoscienza e libertà, fattori che chiamano in causa la dimensione spirituale) costituisce una sostanziale differenza qualitativa nei confronti degli animali, e non solo di grado, come invece affermava Darwin. Il salto ontologico che porta all’homo sapiens rimane un mistero.

Trinh Xuan Thuan (astrofisico americano d’origine vietnamita)

“Perché comparisse la vita, poi, ci volle una combinazione di particolari numeri, tra migliaia di altre combinazioni; questo concorso di circostanze è troppo straordinario perché il caso ne sia il solo responsabile. Ecco perché sono certo che c’è un Creatore”.

Antonino Zichichi (uno dei più grandi fisici viventi, scopritore dell’antimateria)

Nega che la teoria dell’evoluzione possa definirsi scientifica (v. cit. già riportata).

Lodovico Galleni (biologo e docente di Zoologia Generale),

“La biologia contemporanea sembra sempre più confermare l’esistenza di una grande finalità cosmica che il caso non può spiegare”.

Jean Dorst (professore di zoologia, già direttore del Museo Nazionale di Francia di Storia Naturale)

“Le acquisizioni della scienza contemporanea non smentiscono nessuna verità della fede cristiana … anzi, ho incontrato Dio al vertice della scienza”.

René Girard (uno dei più grandi biologi e antropologi contemporanei).

Negli USA è in corso da qualche tempo un vasto dibattito sull’evoluzionismo (perfino il 40% della popolazione rifiuta l’evoluzionismo). Se ne fa portavoce l’autorevolissima Boston Review (della più avanzata università scientifica statunitense), dove biologi, matematici, paleontologi e biochimici vi attaccano da tempo, su basi scientifiche, “il dogma evoluzionista”. Si fa infatti strada una nuova generazione di scienziati che sostengono, ormai apertamente, che gli esseri viventi sono il frutto di una “progettazione intelligente” (intelligent design).

E’ una teoria pienamente scientifica che formuliamo come tale”, ha scritto William Dembski, logico-matematico della Notre Dame University. Da cosa emerge questa nuova consapevolezza? “Dal fatto che troppi apparati dei viventi presentano una complessità irriducibile”, risponde Michael Behe (biochimico della Leighton University). “Complessità irriducibile” significa che “non può essere ridotta”: se mancasse un solo pezzo, non è che funzionerebbe meno bene; non funzionerebbe affatto. Dunque non può essersi formata a poco a poco, con aggiunte e miglioramenti. Molti apparati di esseri viventi sono ugualmente “irriducibili”. C’è qualche biologo di fama internazionale (Schutzenberger) che fa perfino dell’ironia sul tentativo darwinista di spiegare l’evoluzione ascendente (cioè verso il meglio) semplicemente mediante il caso e la selezione naturale (a vantaggio del migliore).

Si oppongono drasticamente alla teoria di Darwin i cosiddetti “creazionisti”, che anche in questo campo biologico (oltre che in quello astronomico) cadono però nell’errore opposto al materialismo ateo, interpretando alla lettera alcuni passi biblici (peraltro secondo la tradizione protestante) e non comprendendo adeguatamente il rapporto tra Causa prima (Dio) e cause seconde (leggi della natura, strutture che godono di una relativa autonomia funzionale, finalità intrinseca infusa dal Creatore, ed eventi che possono essere anche relativamente casuali), vedendo cioè Dio direttamente all’opera in ogni singolo evento biologico.

Macbeth sostiene che il darwinismo classico sia ormai morto, in quanto è un’ipotesi di lavoro non convalidata da oltre un secolo di ricerche; e che il pubblico deve essere informato di questa verità.

L’opinione pubblica italiana viene tenuta all’oscuro di questo dibattito in corso, tra i neodarwinisti e quegli scienziati (paleontologi, matematici, genetisti, biologi molecolari) che proprio in base alle loro nuove scoperte hanno ormai dichiarato tramontato il mito del darwinismo.

In Italia se ne è fatto invece portavoce Maurizio Blondet, con il suo libro L’uccellosauro e altri animali. La catastrofe del darwinismo, Effedieffe MI 2002. La teoria darwiniana dell’evoluzione viene fortemente criticata anche nel testo di Massimo Piattelli Palmarini (scienziato) e Jerry Alan Fodor (filosofo), peraltro atei, Gli errori di Darwin (Feltrinelli 2010).


La nascita della vita



23. Perché la nascita della vita rimane un passaggio misterioso nella storia del pianeta?

La vita sulla Terra è apparsa circa 3 miliardi di anni fa. Solo in un pianeta come il nostro esistono le condizioni – non la causa – perché ciò accada. Non abbiamo conoscenza dell’esistenza della vita in altri pianeti.
Conosciamo ormai i fattori che permettono e costituiscono la vita, ma non sappiamo in sé cosa sia la vita. E non siamo in grado di dare vita neppure ad una cellula. La vita può essere solo ereditata.
Nonostante tutte le conoscenze scientifiche raggiunte, cosa sia la vita è un tale mistero che non ne abbiamo neppure una definizione. La vita richiede non solo una somma di particolarissimi e innumerevoli fattori ma anche un (invisibile) principio vitale e unificatore, che la filosofia classica greca chiamò “anima” (distinguendo l’anima vegetativa delle piante, quella sensitiva degli animali e quella razionale-spirituale dell’uomo). 
L’apparire della vita sul nostro pianeta è un “salto qualitativo” misterioso, che richiede una serie di innumerevoli combinazioni; e l’assenza o la differenza anche solo di uno di essi non l’avrebbero resa possibile.
Quando appare la vita sulla Terra essa è subito in grado di mantenersi (conservazione di sé) e di riprodursi (conservazione della specie), quasi come se tutto fosse un “inno alla vita” (un bene da raggiungere, mantenere e non perdere). Allo stesso modo la vita è anche in grado di migliorarsi; ed è proprio questa tendenza verso il meglio, inspiegabile con la pura casualità, che permette e causa l’evoluzione.

L’intervento di Dio Creatore
Oltre ad essere richiesto l’intervento creativo di Dio (creare = fare dal nulla) per l’inizio del cosmo (Big Bang, cioè il passaggio dal nulla all’essere), per il suo perseverare nell’essere, per il suo divenire e il suo ordine, anche la nascita della vita sembra richiedere uno specifico e diretto intervento creativo di Dio (dello Spirito, “che è Signore e dà la vita”), poiché essa non si spiega appunto semplicemente coi suoi fattori né con gli elementi che l’hanno preceduta. Anche l’evoluzione, essendo una finalità, richiede la Mente stessa di Dio come sua causa prima.

Pur di negare l’esistenza di Dio e di affermare dogmaticamente la pura casualità, molti evoluzionisti hanno cercato di spiegare la nascita della vita con la particolare atmosfera terrestre (confondendo cioè le condizioni della vita con la causa di essa), con la sintesi spontanea dei primi composti organici, con un presunto “brodo prebiotico”, con la sintesi spontanea delle proteine e degli acidi nucleici, fino a credere alla formazione spontanea dei primi organismi viventi (abiogenesi). Pur di non arrendersi, certi evoluzionisti giungono perfino ad ipotizzare l’origine extraterrestre della vita.


 


La nascita dell’uomo




24. La “teoria dell’evoluzione” può spiegare la nascita dell’uomo?

La teoria dell’evoluzione diventa ancor più “ideologica” (materialismo ateo) quando trasferisce le proprie convinzioni dalle specie animali all’essere umano, misconoscendone totalmente l’originalità e superiorità e riducendo anche le sue superiori facoltà (pensiero astratto e volontà libera) a semplici manifestazioni di un cervello casualmente evoluto.
In realtà, l’apparire dell’uomo rappresenta un tale “salto ontologico” (cioè non avviene per gradi e non si spiega con ciò che lo precede) da travolgere tutte le categorie evoluzionistiche.

Da 100.000 a 40.000 anni fa è esistito l’Homo sapiens neeanderthalensis; ma questo uomo di Neanderthal, pur avendo un cervello più grande del nostro (e ciò manda in crisi sia l’evoluzionismo come chi crede che le facoltà intellettive siano proporzionali al volume del cervello), si estingue però in modo inspiegabile 40.000 anni fa, mentre il ramo dell’uomo attuale si afferma negli ultimi 35.000 anni.

35.000 anni fa apparve improvvisamente ed inspiegabilmente l’Homo sapiens sapiens, che è in fondo l’uomo attuale, con le medesime nostre capacità! è dotato di pensiero astratto e di volontà libera (spirito). è religioso, possiede un senso morale e fa arte. è persona. Questo uomo si spinse ovunque e, pur fisicamente meno dotato di molti altri animali, divenne “il signore” (dominus) del pianeta.

“Siamo di fronte ad un salto ontologico che rimane un mistero. Prima una serie di mutazioni, poi l’apparire di qualcosa di incomprensibile e improvviso: la coscienza, l’autocoscienza, la riflessione. Mai s’è visto nulla di simile sulla Terra! (Coppens).

“La radicale differenza tra l’uomo e gli animali è qualitativa e non solo di grado … Questo di più, rilevabile sul piano paleontologico dai segni dello psichismo riflesso e quindi della cultura, appare come una discontinuità”.

“Il trascendimento evolutivo dato dall’apparire dell’uomo non può avere risposta sul piano empirico. Non basta lo sviluppo del cervello … Si prospetta il problema della spiritualità dell’uomo, un problema essenzialmente filosofico, ma che non può essere tralasciato, altrimenti si compie un’illecita operazione riduzionistica” (Facchini)

“Se l’evoluzione non è ammissibile come pura casualità e senza l’intervento di una Mente Suprema … non parliamo poi per la nascita di un essere pensante (spirituale) come l’uomo!” (Marcozzi).

Tutto il cammino dell’evoluzione tende di fatto verso questo animale speciale (in realtà perché non solo animale) che è l’uomo. E poi si arresta!

Anche l’evoluzionista Grassé fa infatti notare con stupore come “l’evoluzione dopo l’uomo si sia poi praticamente arrestata e non si notino cioè da tempo i segni di un’evoluzione progressiva, ma, semmai, solo quelli di un’evoluzione regressiva; e le cause che hanno bloccato la genesi dei nuovi tipi di organizzazione sono sconosciute”. “L’uomo da 10.000 anni è rimasto identico a se stesso, come se il tempo si fosse fermato. Non c’è alcun segno di evoluzione biologica della specie umana; c’è solo un’evoluzione culturale” (Zichichi).

Dall’apparire dell’uomo (e solo nell’uomo) l’evoluzione diventa “culturale”, cioè le capacità intellettive dell’uomo – già presenti fin dall’inizio come sono oggi – lo spingono verso una verità infinita (così come una felicità, una vita ed un amore vita infiniti). è un innato desiderio di Dio!. Tutto è fatto per l’uomo; ma l’uomo è fatto per Dio. Questo si manifesta nella storia della vita; ma diventa poi chiaro e possibile in Cristo.

25. Da cosa si capisce che l’uomo, fin dal suo apparire, ha lo spirito?

Da quando è apparso sulla terra, l’uomo ha le stesse capacità intellettive dell’uomo contemporaneo. Le applicazioni di tali facoltà permettono un continuo progresso di conoscenze e di applicazioni, ma le facoltà sono già presenti fin dall’inizio e uguali a quelle dell’uomo contemporaneo.

“Le manifestazioni psichiche dell’Homo sapiens sapiens non differiscono sostanzialmente da quelle degli uomini attuali”. è sorprendente che “l’uomo di 35.000 anni abbia avuto le stesse capacità dell’uomo di oggi” (Marcozzi). Ciò è rilevabile anche con alcuni primitivi d’oggi (Sermonti). è il caso ad esempio di individui della Nuova Guinea: messi di fronte alle possibilità di capire le nostre scoperte scientifiche e tecnologiche le capiscono subito (Zichichi).

In questo senso la filogenesi (sviluppo dell’uomo) non è come l’ontogenesi (sviluppo del bambino): se i primi uomini avessero avuto ad esempio una psiche infantile non avrebbero potuto sopravvivere.
I segni della presenza dello spirito sono soprattutto il pensiero astratto e la volontà libera (che sono infatti assenti in tutti gli altri animali).
Il dominante clima culturale, che risente fortemente del materialismo scientista e anche dell’evoluzionismo, tende paradossalmente a “diminuire” l’uomo e ad abolire la sua differenza e superiorità rispetto agli animali, misconoscendo ciò che è proprio dell’uomo e lo rende una creatura speciale (fatta “ad immagine e somiglianza di Dio”).
Siamo di fronte ad un tema vastissimo, in cui tra l’altro le problematiche scientifiche si incontrano con quelle filosofiche e teologiche. 



Elenchiamo qui i principali segni della presenza dello spirito, presente nell’essere umano fin dall’inizio:

manifestazioni psichiche e manifestazioni intellettive

Anche gli Antropoidi avevano già manifestazioni psichiche (riflessi, sensibilità, immaginazione, memoria, tendenze, stati affettivi, intelligenza pratica), ma non hanno manifestazioni propriamente intellettive (concetti astratti, giudizi formali, ragionamenti, riflessione).

sviluppo biologico e sviluppo culturale

Gli animali (lasciati a se stessi) non progrediscono, non aumentano il loro tenore di vita. Solo l’uomo fa questo.

fabbricazione e utilizzo di utensili

Anche nell’intelligenza pratica (che anche gli animali hanno) l’uomo manifesta subito una sorprendente superiorità (Marcozzi). “L’uso di oggetti naturali a scopo di difesa o per procurarsi cibo può trovarsi anche in altre specie animali (spec. scimmie antropomorfe), ma la fabbricazione sistematica di utensili di svariata tipologia e il progresso in questa tecnologia sono esclusivi della specie umana. Dove troviamo strumenti intenzionalmente fabbricati, là c’è la documentazione della presenza dell’uomo” (Facchini).

intenzionalità

Anche negli animali troviamo il lavoro per uno scopo, talora anche in modo perfettamente organizzato (pensiamo alle formiche e alle api) e perfino in grado di rispondere a nuove sollecitazioni dell’ambiente (i corsi dei fiumi e le dighe dei castori), ma è un’intenzionalità spontanea, non riflessa e automatica (si chiamava vis estimativa, oggi diciamo comunemente istinto); per questo non cambia. Solo l’uomo ha un’intenzionalità intellettiva, riflessa e in grado di sempre nuovi obiettivi.

cultura

“Quando compare l’uomo è già culturale. L’uomo, attraverso la cultura, entra attivamente nella sua stessa evoluzione. Egli è l’unico essere vivente che è parzialmente l’artigiano di sé … Per far questo non è sufficiente il possesso di adeguate strutture anatomiche” (Facchini).

linguaggio animale e linguaggio umano

Nel tentativo ideologico di ridurre l’uomo a semplice animale evoluto, anche sulla questione del linguaggio si sentono spesso molte sciocchezze, come se il linguaggio animale fosse analogo al nostro. Già a livello di grandi biologi e antropologi, si fa osservare che “quello degli animali non è un linguaggio in senso proprio, ma uno pseudo-linguaggio, che traduce solo stati emotivi, ma non esprime concetti (che gli animali non hanno), come è invece quello umano. Proprio la parola, cioè il linguaggio concettuale (che pure richiede una diversa base cerebrale) è l’indice di un pensiero astratto, che è operazione caratteristica di un essere spirituale. Qua il problema (e salto di qualità) non è tanto come sia cerebralmente possibile il nostro linguaggio, ma che cosa c’è da comunicare. Proprio la <parola> (spesso diciamo scioccamente, guardando ad esempio certe espressioni del cane, che “gli manca solo la parola”!) è indice di un salto di qualità enorme, perché la parola esprime un concetto, ma la formazione di un concetto è un’attività intellettiva (spirituale). Infatti gli animali non hanno concetti (e di conseguenza giudizi e ragionamenti), perché non hanno lo spirito. [com’è noto, anche il caso del pappagallo non è indice della capacità di formulare concetti ma è solo ripetitivo]. Per il linguaggio umano “più ancora che le basi anatomiche, è determinante ciò che c’è da comunicare” (Facchini).

 “Il salto qualitativo, ontologico, rappresentato dall’apparire dell’uomo, che si evidenzia nella razionalità, si manifesta anche nel linguaggio; il linguaggio concettuale è ovviamente estremamente decisivo per la comunicazione, per il vicendevole arricchimento culturale, per la formazione e lo sviluppo della civiltà (manifestazioni totalmente assenti nel regno animale)” (Marcozzi).

spontaneità e libertà

La spontaneità, che è un moto a partire da un impulso interiore, può essere presente anche negli animali; ma solo l’uomo è libero, proprio in quanto pensante e non determinato a fare una cosa invece di un’altra (perché la volontà libera è chiamata a seguire la ragione, cioè la verità). Per questo quella della “spontaneità”, che erroneamente contrapponiamo ad “artificiosità”, non è una qualità in sé umana e per questo potrebbe essere tanto positiva (se spontaneamente mi viene da fare il bene) quanto negativa (se spontaneamente mi viene da fare il male); cioè che ci caratterizza come uomini è infatti il “giudizio” (bene/male) e la capacità di andare anche contro ciò che spontaneamente si farebbe (se è male) per fare il bene (e ciò permette il “merito”).

riflessione

Quanto abbiamo appena sopra osservato, ci fa già capire che l’uomo, e solo l’uomo, manifesta la capacità di riflettere, cioè di tornare (non a caso usiamo una espressione – riflettere, riflessione – che si riferisce allo specchio!) sui propri atti, intenzioni e scopi. Questo denota la presenza della coscienza e della sua straordinaria capacità di distacco da sé per tornare a dare un giudizio su di sé. Ciò permette anche l’autocoscienza (consapevolezza), che contraddistingue le nostre attività sia sensoriali che intellettuali (non solo sento, vedo, parlo, ma so di sentire, vedere, parlare; non solo penso ma mi accorgo perfino che sto pensando!) e ci rende ovviamente superiori agli strumenti materiali (che non sanno ovviamente quello che ascoltano, vedono, dicono) e alla recezione sensoriale stessa degli animali (spesso assai superiore alla nostra, ma sempre inconsapevole).

senso morale

Proprio la coscienza ci permette la libertà e la responsabilità delle nostre azioni. Infatti, proprio perché non siamo biologicamente costretti (condizionati magari sì ma determinati no) a fare quello che facciamo, possiamo “decidere” e avere consapevolezza del valore delle nostre decisioni. Solo l’uomo ha da subito il senso del bene e del male (morale) e per questo solo l’uomo può fare il bene e il male (un leone che sbrana una gazzella non fa il male; un uomo che uccide un altro uomo fa il male). Per questo l’uomo sente anche la gioia nel fare il bene (anche se gli fosse costato sacrificio), come pure la tristezza (rimorso) di avere fatto il male.

Non a caso parliamo di “voce della coscienza”, di “rimorso di coscienza”, come di gioia interiore nell’aver fatto il proprio dovere. Vediamo davvero in noi una “legge morale” che non siamo noi a darci (anche se cercassimo di violarla e di nascondere il rimorso di averla violata) [e che faceva dire a I. Kant, al termine della Critica della ragion pura, che insieme al cielo stellato sopra di noi è ciò che più lo stupiva].
 

Aggressività o altruismo?

Abbiamo già osservato come l’idea di “lotta per la sopravvivenza” risentisse in Darwin di un condizionamento culturale di stampo hegeliano (presente anche in Marx e poi in Freud), così come l’esagerata importanza data all’aggressività. Ed avevamo già detto che questi “dogmi evoluzionisti” erano già stati confutati perfino a riguardo degli animali; ma ancor più nell’essere umano (anche primitivo).

Troviamo già nell’uomo primitivo segni di cooperazione e di altruismo gratuito, una particolare cura non solo dei bambini (non solo propri) ma anche degli invalidi. “Possediamo la documentazione di forme di assistenza di individui portatori di menomazioni fisiche, che testimoniano una solidarietà operante già presso l’uomo preistorico. Dal punto di vista evolutivo la socialità e la cooperazione, più che la competizione e l’aggressività, hanno giocato un ruolo particolarmente importante, nel senso che hanno rappresentato, insieme ad altre espressioni della cultura, un fattore di evoluzione e di successo della specie umana, tanto sul pian biologico che su quello culturale” (Facchini).

Avevamo notato poi che secondo recenti studi e scoperte risulterebbe che i popoli più primitivi fossero poi generalmente pacifici. La competizione e la lotta sono aumentati durante il periodo neolitico (Facchini).


Monogamia o poligamia?

Secondo recenti studi (paleontologi Lovejoy e Melotti) pare che all’inizio il rapporto di coppia (maschio-femmina) fosse monogamico e stabile.

E’ in proposito significativo (ed è l’unico caso) che su questo punto (contro poligamia ed adulterio) Gesù si richiami proprio alla creazione, citando Genesi, affermando che “all’inizio non fu così” (Mt 19,4; Mc 10,2-12).

incontentabilità

L’uomo è fondamentalmente un “incompiuto”. Nella sua inarrestabile ricerca del vero, del bene (felicità), del bello, dell’amore, della vita, l’uomo non si accontenta mai, perché è fatto per l’infinito (Dio) e solo esso questi può davvero saziarlo. Ogni esperienza, fosse anche la più bella, porta sempre con sé il segno del limite (per questo non basta e perfino annoia). Perfino l’amore e la vita (che portano in sé la traccia di Dio) sono in noi segnati dal limite (e tendono verso Lui, che ne invece è la pienezza).

arte

L’uomo delle caverne disegna graffiti sulle pareti. è già arte. Imparerà assai presto a fare musica (dalla voce al tamburo, fino agli strumenti a fiato e a corda). Usa la parola non solo per dire ma anche per evocare (poesia). “Abbiamo fin dall’inizio segni di manifestazioni artistiche. Esse non sono legate a necessità vitali di ordine fisico, ma espressioni di attività di ordine spirituale” (Facchini).

senso del sacro e del divino

Da sempre, dalla preistoria ed in ogni civiltà, vediamo nell’uomo un senso del sacro, di un’altra realtà invisibile e trascendente, che si esprime mediante riti e simboli (Mircea Eliade, il più grande etnologo contemporaneo).

religiosità

Fin dal suo apparire l’uomo si manifesta come religioso e non vi è mai stata popolazione o civiltà senza questo fondamentale fattore della vita umana (invece totalmente assente in tutti gli altri animali).

Non vi è razza, popolo o clan che non sia religioso. I più qualificati etnologi affermano unanimemente che non c’è mai stata popolazione senza religione (anche quando ci sono pratiche magiche, la religione non si esaurisce in queste). “C’è sempre la credenza in un Essere Supremo” (Eliade). “L’etnologia non conosce popolo senza religione” (Ratzel, Schebesta) “L’indagine etnologica ha ormai dimostrato l’inesistenza di popoli senza Dio (senza credenze religiose e forme di culto) (Grottanelli). “Non trovai l’ateismo in nessun luogo […]mentre negli animali non si è mai visto qualcosa di simile e neppure di analogo alla religione” (de Quatrefages). Anzi, pare che tra i primitivi il senso religioso fosse più forte e più puro che in epoche successive.

Anche gli incredibili e perfino violentissimi sforzi del XX secolo per eliminare la religione (soprattutto col comunismo) o la subdola “anestesia della coscienza” ora in atto (ad esempio in Europa) non sono riusciti a cancellare il bisogno religioso dell’uomo. Negli animali non c’è invece nulla di simile.

morte e aldilà

Solo l’uomo sente la questione della morte. Non si tratta solo dell’istinto di conservazione (presente come in tutti gli animali), ma dell’intuizione e dell’anelito di un “per sempre”, come se questo limite supremo della morte non dovesse esserci (infatti l’uomo è stato creato per l’eternità). In fondo quello della morte è la grande questione di fondo della vita umana (G. Jung). Il legame con i morti caratterizza l’uomo fin dal suo apparire sulla Terra. Anche questo è un dato umano universale, ma è invece totalmente assente negli animali.

Fin dall’inizio si intrecciano nell’essere umano “motivi artistici e religiosi; soprattutto le pratiche funerarie, che indicano non solo la coscienza della morte, ma il desiderio di superarla e trascenderla nell’immortalità;  ad esse viene riconosciuto un carattere religioso” (Facchini).


Per spiegare questa alterità, questa sostanziale differenza con gli altri animali, non è sufficiente il possesso di adeguate o nuove strutture anatomiche. L’attività cerebrale non può identificarsi con la soggettività dell’essere umano, con la sua autocoscienza, con il suo io [anche se in questa vita è richiesto il funzionamento del cervello per esprimerle]. L’attività cognitiva dell’uomo è di tipo astrattivo, non riconducibile alla conoscenza empirica, anche se parte da essa. Le idee, il pensiero, le emozioni non sono riducibili all’attività elettrica del cervello, che pure le accompagna, ma non ne è la causa. Oltre alla capacità cognitiva c’è l’autodeterminazione, la libertà, che svincola le scelte dell’uomo da motivi puramente materiali. Si aggiunge il comportamento altruistico, la possibilità di libere scelte che possano comportare sacrifici. Sono espressioni che trascendono la sfera biologica e denotano una componente non di ordine fisico (Facchini).

26. Lo presenza in noi dello spirito ha reso diverso anche il corpo umano?

Se l’evoluzionismo non è ovviamente in grado di spiegare la nascita di un essere spirituale come è l’uomo, è in difficoltà a spiegare perfino l’originalità e superiorità del corpo umano. Anche dal punto di vista corporeo, infatti, l’essere umano è una delle realtà più stupefacenti dell’universo. L’essere abitato ed “informato” – come si dice in linguaggio aristotelico – da un’anima spirituale (o spirito) ha fatto sì che anche il corpo umano subisse delle significative e straordinarie trasformazioni.
 

Il cervello umano

Il nostro cervello è composto da 10 miliardi di cellule nervose, ciascuna con 10.000/100.000 fibre di collegamento elettro-chimico con altre cellule, unite tra loro tramite le sinapsi, per un totale di un milione di miliardi (10 alla quindicesima) di connessioni. Per darne un’idea un neurofisiologo americano ricorre a questa immagine: si tratta di un numero che corrisponderebbe al totale delle foglie di tutti gli alberi (da 100.000 foglie ciascuno) che ricoprissero uno accanto all’altro tutto il Canada (10 milioni di kmq).

Neppure questa complessità, pur necessaria (almeno in questo stato di vita terrena), è però sufficiente per spiegare il sorgere del pensiero e della libertà; con l’esperienza che negli atti più propri dell’uomo è il nostro <io> a comandare a comandare al nostro cervello (tanto è vero che possiamo prendere decisioni diverse e agli stessi stimoli possiamo liberamente reagire in modi diversi). Questo rimane un mistero, fintanto che non si ammette la spiritualità del nostro <io>.

 “Il finalismo biologico si mostra anche nella relativa rapidità con cui è avvenuta la crescita del cervello nella filogenesi umana (e che solleva notevoli perplessità sulla pura casualità delle variazioni)” (Facchini).

La comparsa della razionalità implica anche nel cervello modificazioni qualitative e non solo quantitative: un aumento del cervello non rende ragione del cambiamento sostanziale che è l’apparire dell’uomo. Infatti anche il cervello umano manda in crisi due dogmi evoluzionisti: il primo è quello che legherebbe l’aumento delle facoltà all’aumento del volume cerebrale, mentre l’uomo di Neeanderthal possedeva un cervello più grande del nostro; il secondo è quello che sarebbe la funzione a creare o sviluppare l’organo, mentre il nostro cervello ha tuttora delle potenzialità che non siamo ancora in grado di usare.

Il linguaggio

Proprio perché il linguaggio umano (legato alla formulazione di concetti universali) è il segno della presenza dello spirito – come abbiamo osservato più sopra – anche le parti ad esso deputate sono straordinariamente complesse e articolate.

Dal punto di vista dell’anatomia-fisiologia umana il linguaggio interessa l’area di Wernicke (emisfero sinistro del cervello, lobo temporale) per la comprensione, l’area di Broca (emisfero sinistro, in prossimità della corteccia motoria) per la comprensione; [per la pronuncia (coordinatore muscoli) sono invece interessati corteccia motoria, connessioni cortico-spinali, gangli basali e cervelletto].

Proprio perché il linguaggio tipico dell’uomo è quello concettuale, “più ancora che le basi anatomiche del linguaggio articolato, è determinante e necessario avere qualcosa da comunicare” (Facchini), cioè i concetti (che sono spirituali e che gli animali non hanno).  

e la coda?

Parliamo spesso e banalmente della nostra parentela biologica con la scimmia o lo scimpanzé, ma anche la questione della coda manda in crisi molte pseudo certezze evoluzioniste: come mai l’uomo non ha la coda? Come è possibile che sia improvvisamente sparita? Non abbiamo infatti alcun fossile che ci indichi uno stadio intermedio (anche su questo punto, come del presunto passaggio da una specie ad un’altra).

I sensi e le capacità corporee

In realtà, pur essendo avendo superato con l’intelligenza ogni animale ed essere così diventato lui il “signore” del pianeta, dal punto di vista fisico-corporeo l’uomo è assai meno dotato di moltissimi animali  (e ciò pone in crisi molti parametri evoluzionistici): non abbiamo ad esempio la forza del leone, l’olfatto e l’udito del cane, la vista dell’aquila, le antenne delle farfalle …


Ma anche ciò che potrebbe sembrare in noi più affine alla vita animale, in realtà – proprio per la presenza dello spirito – manifesta una straordinaria diversità:

Il volto

Le innumerevoli e capacità espressive del volto, degli occhi. Il ridere e il piangere (fin da neonati). La capacità di guardare in alto, anche il cielo (c’è chi ha afferma che questo abbia permesso o contribuito ad assumere la posizione eretta). Tutto ciò è assente nel mondo animale.

Le mani

L’uomo non possiede le ali (potrebbe sembrare per questo arretrato nel cammino dell’evoluzione) ma in realtà ha assunto un’incredibile capacità di usare le mani (fino alla velocità delle singole dita nel pianista o nel dattilografo). Incredibile poi la questione delle impronte digitali, che come sappiamo essere uniche per ciascuno degli esseri umani, che sono già presenti nel feto a poche settimane dal concepimento e che si riproducono in caso di piccoli tagli.

La sessualità umana

“Il salto qualitativo rappresentato dall’apparire dell’uomo si riscontra anche in ciò che potrebbe sembrare più affine agli altri animali, come nelle tendenze sensitive, (come quella sessuale), che  nell’essere umano sono qualitativamente e perfino concretamente differenti da quelle animali” (Marcozzi).

Potremmo banalmente pensare che la sessualità, con le sue tendenze, sia ciò che ci rende uguali agli altri animali, specialmente i più evoluti. In realtà, proprio per la presenza in noi dello spirito e la conseguente capacità di pensiero e libertà, cioè di auto-dominio, la sessualità umana è assai diversa e superiore di quella animale, sia nella sua struttura che nella sua manifestazione. Non abbiamo ad esempio nella coppia maschio-femmina dell’essere umano delle “stagioni di accoppiamento” (come invece negli altri animali), perché gli stessi istinti e desideri sessuali nell’uomo sono affidati alla sua coscienza, al suo pensiero (chiamato a scoprirne il significato, per cui è anche necessaria un’educazione sessuale) ed alla sua libertà (non perché ne faccia un capriccio – altrimenti si perverte e diventa peggiore degli animali – ma proprio perché ne viva il significato) [e tale significato è altissimo, essendo legato all’amore vero ed alla procreazione della vita umana, quindi ai due valori più alti, che trovano in Dio la loro sorgente ed il loro culmine]. Per questo la sessualità umana non è solo “genitalità”, ma è legata al cervello, alla psiche (v. Freud) ed allo spirito, con un’incidenza reciproca. Ha dunque una importante valenza morale [ma in questo ambito si vede anche la debolezza morale conseguente alle ferite del “peccato originale”, per cui è necessaria la “grazia” di Dio per vivere con verità questa importante realtà]. L’essere umano è quindi in grado di essere padrone anche di queste pulsioni e perfino di sublimarle nella completa astinenza. Anche gli organi “genitali”, così chiamati appunto perché deputati alla generazione, nell’essere umano hanno non solo una particolare struttura biologica ma sono avvertiti con un singolare legame all’interiorità (non a caso si usa per essi anche l’appellativo “intimo”) e ne sente anche un singolare pudore (coprendoli, cosa che nessun animale ha mai fatto).

27. Dunque è vero che abbiamo l’anima, che il nostro “io” è spirituale?

Che l’essere umano possieda un’anima spirituale (o spirito) non è solo una intuizione universale, presente in ogni religione e civiltà, ma è anche razionalmente evidenziabile, come ha fatto già la filosofia classica greca. In quanto spirituale essa non è certo osservabile in laboratorio, ma possiamo conoscerla dai suoi effetti: che l’io dell’uomo sia spirituale si capisce infatti dal fatto che le attività più proprie dell’essere umano sono spirituali (il pensiero astratto e la volontà libera).

Mediante il pensiero possiamo formulare concetti, giudizi e ragionamenti, così da accrescere il nostro sapere anche al di là dell’esperienza empirica e condividerli con altri (così cresce la cultura e si forma una civiltà).

In quanto coscienti, siamo anche liberi (cioè condizionati ma non obbligati da fattori esterni ed interni), cioè padroni di noi stessi e dei nostri impulsi, e quindi responsabili delle nostre azioni.

Queste facoltà superiori [nello stato attuale di vita (terrena)] richiedono per manifestarsi un cervello particolarmente complesso, ma esso è solo lo strumento e non la causa di esse.
La spiritualità dell’anima umana fonda la vera dignità dell’uomo, che infatti non dipende dalle sue capacità fisiche o intellettuali. 
Proprio il fatto che la nostra anima sia spirituale, e pur essendo in un corpo lo trascenda, fa sì che la lo sviluppo del nostro “io” non segua cronologicamente quello del corpo (non segue la parabola biologica del nascere, crescere, invecchiare, morire); il nostro io cresce o diminuisce, cioè diventa migliore o peggiore, non in base all’età ma alle scelte morali (bene o male).
Al momento della morte del corpo, il nostro spirito (che per sé è fatto plasmare il nostro corpo) se ne distacca, mentre il nostro corpo cessa di vivere e comincia a decomporsi.

Come è convinzione universale che l’uomo abbia uno spirito, così è convinzione universale che esso sopravviva alla morte corporale; altrimenti non si spiegherebbe come fin dal suo apparire sulla terra l’uomo non solo sia stato religioso (abbia ad esempio la dimensione della preghiera) ma abbia sempre avuto anche l’intuizione dell’aldilà ed un culto dei morti (cose totalmente assenti negli animali).

Per il potere di Cristo risorto, alla fine del mondo Dio riunirà il nostro spirito al nostro corpo, che verrà recuperato in una nuova dimensione eterna (extra spazio-temporale); in questo modo verrà ricomposta l’unità della persona, così che partecipi interamente alla beatitudine o alla dannazione eterna. In Cristo, per virtù di se stesso, ciò è avvenuto il terzo giorno dopo la morte. Anche Maria SS.ma, per il potere del Suo Figlio Gesù, è subito entrata in paradiso anche col suo corpo (Assunzione). In noi avverrà alla fine del mondo.

Come abbiamo già osservato, la cultura illuminista e post-illuminista (di questi ultimi tre secoli), apparentemente esalta molto la libertà, in modo unilaterale e a scapito della verità; in realtà cerca in ogni modo di convincere l’uomo che non è libero e responsabile delle proprie azioni, ma sarebbe solo il frutto di determinismi esterni o interni [socio-economici (v. Marx), psichici (v. Freud), cosmici (v. Nietzsche)]. Ultimamente questo riaffiora con il tentativo delle neuroscienze di risolvere anche ogni attività superiore dell’uomo in determinismi cerebrali (neuronali).

In realtà abbiamo autorevolissime prese di posizione contro questo subdolo materialismo, come il seguente …

L’anima, per il premio Nobel 1963 per la medicina (neurologia) John Eccles:

Il prof. Eccles ha mostrato con chiarezza che le esperienze mentali non sono riducibili all’attività cerebrale. L’autocoscienza rimane un mistero insondabile, che non si può capire semplicemente con la singolarità del genoma o l’influsso dell’ambiente, ma solo con un atto creativo. “L’emergere dell’autocoscienza non è spiegabile sulla base dell’evoluzione darwiniana o della scienza biologica […] I materialisti trascurano il più straordinario evento del mondo della nostra esperienza, cioè la comparsa di ciascuno di noi, non solo come esistente, ma come essere unico autocosciente, come centro di decisioni e di attività […] il loro sforzo di ricondurre le esperienze mentali all’attività cerebrale è “dogmatico” […] essi non forniscono la spiegazione dell’esistenza della coscienza di sé, ma non riconoscono questa lacuna […] Il nucleo più interno della individualità unica di ciascun uomo richiama la necessità di una creazione divina. Io aggiungo che nessun’altra spiegazione è possibile: né l’unicità genetica (genoma) con la sua improbabile <lotteria>, né le differenziazioni (influsso) ambientali, che non determinano, ma modificano questa unicità (contro Darwin) […] L’evoluzione biologica – cosa che il darwinismo non comprende – trascende se stessa, fornendo il materiale di base (il cervello umano) per l’emergere di esseri autocoscienti (che trascendono il dato materiale) e che manifestano infatti la loro vera natura nella domanda di significato, di verità, di bellezza, d’amore […] Questa conclusione rinforza notevolmente il nostro credere nell’anima dell’uomo, nella sua creazione da parte di Dio […] Anche se la questione dell’anima, proprio in quanto spirituale, è per sé al di fuori della ricerca scientifica, non nel senso che non ci siano prove scientifiche della sua necessità, ma nel senso che non è in sé oggetto di studio scientifico […] Ciascuno di noi è una nuova creazione divina, ciascuna anima è “legata” al feto in formazione da una creazione divina. è la certezza del nucleo più interno dell’individualità unica di ciascun uomo che richiama la necessità di una creazione divina”.

28. Le nuove scoperte della genetica cosa ci dicono delle differenze tra l’uomo e gli animali?

Le nuove conoscenze in campo genetico, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non hanno affatto diminuito ma anzi hanno aumentato il “mistero” della originalità e superiorità dell’uomo.
Gli studi sul Dna e la mappatura del genoma umano ci hanno mostrato infatti che le differenze tra l’uomo e gli animali sono minime. Qualcuno potrebbe allora credere che questa scoperta confermi che non siamo altro che animali. In realtà il problema invece si complica e il mistero si infittisce, e non ha soluzione per chi si ostina a rimanere in una visione materialistica che escluda a priori la spiritualità dell’anima umana, causa delle sue inaudite facoltà. Infatti, proprio perché le differenze tra noi e gli animali sono enormi, evidenzia che ciò che caratterizza l’essere umano è allora “altro” rispetto a ciò che può essere inscritto nei geni e nella materia.

F. Collins (il direttore della ricerca sulla mappatura del genoma umano): “Proprio il fatto che il genoma umano e quello dello scimpanzé siano costituiti da 3 miliardi di lettere ma differiscano tra loro solo dell’1% costituisce un enigma ancora più stupefacente – contrariamente a coloro che pensano così di aver ridotto l’uomo ad un semplice scimpanzé evoluto – perché la loro differenza è abissale!”.

“La decodificazione del genoma umano mostra che abbiamo 25.000 geni in comune con altri animali. Questo non risolve il problema ma lo amplifica: come mai siamo così diversi da loro?” (Silani, docente di Neuroscienze all’Università Milano).

Ancora una volta anche la genetica smentisce l’evoluzionismo, specie se letto in chiave materialista.

29. Allora non è vero che discendiamo dalle scimmie?

Come abbiamo già osservato, contrariamente a quanto ormai comunemente si dice, non è vero che l’uomo derivi dalle scimmie: non solo ovviamente per la presenza in lui dello spirito (che le scimmie, come tutti gli altri animali, non hanno e non possono trasmetterlo – anzi, abbiamo osservato, non lo trasmettono neppure i genitori ai figli!) ma anche dal punto di vista dell’evoluzione del corpo (tra i mammiferi). Infatti semmai derivano entrambi da un mammifero comune (un ceppo da cui il nostro ramo si distacca già 20 milioni di anni fa).

Tra l’altro l’albero genealogico fornitoci dagli evoluzionisti viene sconvolto da sempre nuove scoperte, che spingono i nostri presunti “progenitori comuni” alla posizione di rami collaterali.

Ci sono perfino scienziati (Westenhöfer) che si divertono a capovolgere l’ipotesi, dicendo che la scimmia discende dall’uomo! Da poco in Spagna (Atapuerca) è stato trovato il fossile d’un ominide di 780 mila anni, eppure così moderno che gli imbarazzati evoluzionisti hanno creato una specie apposta per lui: Homo Antecessor (che precede gli altri). Anche riguardo all’uomo di Neeanderthal (apparso 100.000 anni fa ma improvvisamente e misteriosamente sparito 40.000 anni fa, nonostante avesse un cervello più grande del nostro), secondo alcuni paleontologi si sarebbe estinto invece 25.000 anni fa, quando già esisteva l’uomo attuale (Sapiens sapiens), e quindi non sarebbe un nostro progenitore ma le due specie sarebbero state collaterali (e non incrociabili a motivo del diverso Dna).

Il genere umano da un’unica coppia?

La Bibbia (Parola di Dio) ci assicura soprattutto che l’uomo è creato da Dio, a Sua “immagine e somiglianza” e fatto per Lui, e non vuole poi darci spiegazioni scientifiche sul modo. Vi si parla, com’è noto della prima coppia umana maschio-femmina (Adamo ed Eva). Ma i più recenti studi sembrano anche confermare che l’essere umano derivi effettivamente da un unico ceppo (dalla zona africana dei grandi laghi, e poi in Medio Oriente) e forse da un’unica coppia originaria.

E’ triste che ormai anche ai bambini si insegni che discendiamo dalle scimmie … che persino a livello popolare si stia ormai perdendo la consapevolezza dell’alterità e superiorità dell’uomo rispetto alla natura, di cui con il nostro corpo facciamo certo parte. è la perdita di un’autocoscienza – potremmo perfino dire di un’autostima – che durava da millenni e che il cristianesimo ha elevato a livelli vertiginosi, riconoscendo nell’uomo l’essere creato “a immagine e somiglianza di Dio” e chiamato in Cristo a partecipare per sempre alla stessa vita di Dio.

30. Perché lo spirito deve essere creato da Dio?

Al termine di questo sintetico percorso possiamo dunque trarre le seguenti conclusioni.
La teoria dell’evoluzione (che in Charles Darwin ha il suo padre ufficiale ma che in 150 anni ha avuto ed ha molte e diverse formulazioni), pur fornendo alcune utili intuizioni, non gode né della scientificità galileiana né di un unanime consenso. Non spiega tutto quello che vorrebbe spiegare ed è contraddetta da altri dati biologici. Quando poi assume i toni del materialismo (sola casualità, nessuna finalità, applicazione all’uomo totale) diventa più ideologia atea che teoria scientifica. 
L’essere umano manifesta nelle sua più proprie facoltà (razionali) una soggettività – l’io di ciascuno – non riducibile semplicemente ad un corpo e ad un cervello evoluto ma essenzialmente spirituale.
Se nel suo corpo potrebbe essere anche prodotto di evoluzione (non certo casuale ma per volere di Dio), l’uomo non può esserlo per lo spirito che lo caratterizza, che non solo non può essere ereditato da animali precedenti (che non l’hanno assolutamente), ma neppure – per ciascuno di noi – dai genitori (che possono procreare, dare cioè origine ad un corpo, ma non donare lo spirito).
Ogni uomo, dal primo all’ultimo della storia, deve dunque essere creato da Dio, indirettamente nel suo corpo e direttamente nel suo spirito.


Non siamo opere casuali e anonime in un universo senza senso. 
Non siamo destinati a marcire
.
Siamo creati da Dio e fatti per Lui.
Ed è proprio una “bella notizia”!