Il “caso” Galileo
Il “caso Galileo” è stato montato nel XIX secolo, cioè più di due secoli dopo di lui, dal clima culturale scientista-positivista e anticristiano, come paradigma della presunta opposizione tra scienza e fede, tra fede e ragione. In realtà è un pregiudizio, un mito laicista, creato proprio per screditare la fede e la Chiesa Cattolica, per dimostrare che non sono vere e che il “potere” della Chiesa è sempre stato oppressivo e contrario al vero progresso dell’umanità.
Il “processo” del 1633, intentato dal Sant’Uffizio a riguardo di alcune affermazioni (di fatto non “scientificamente” provate) di Galileo Galilei – padre della scienza moderna – e che si è concluso con la sua quasi “simbolica” condanna, si è quindi ingigantito e falsato a tal punto che ancor oggi viene presentato agli studenti e all’opinione pubblica come insopportabile vergogna della Chiesa, segno della sua stupidità e violenza, così che si smetta finalmente di credere ad Essa e alla sua presunta verità.
È vero che la Chiesa si è opposta alla nascita della scienza? È vero che si opponeva ottusamente alla teoria copernicana (della rotazione terrestre ed eliocentrica)? Cosa è stato davvero il “processo” a Galilei?
Perché invece la nuova scienza sperimentale (galileiana) nacque proprio nell’ambiente culturale cristiano cattolico? Perché la Chiesa ha avuto addirittura una particolare cura dell’astronomia?
Su questo argomento nel sito vedi anche un documento più sintetico (nella sezione “Fede e cultura“)
Indice
1) La costruzione di un pericoloso “mito”
Un ottocentesco ma perdurante pregiudizio anticristiano continua a presentarci la scienza contro la fede. E poiché oggi è consentito parlare ancora di verità solo in riferimento alla scienza, questo starebbe a significare che la fede cristiana è falsa. Secondo questo mito laicista, la Chiesa Cattolica, con i suoi dogmi e il suo potere, si sarebbe sempre opposta alla scienza, cioè alla verità; per questo oggi potrebbero ancora crederle solo gli ignoranti.
La cosa ancora più sconcertante è che anche moltissimi di coloro che continuano a credere in Dio, e perfino nella Chiesa, di fatto sono convinti di questo, con una sorta di “schizofrenia” culturale, secondo cui fin dall’infanzia convivono assurdamente nella loro stessa mente verità tra loro opposte (e quindi per sé non potrebbero essere vere entrambe!).
Ad esempio: l’universo si è fatto da sé ed è autosufficiente oppure è stato creato da Dio e dipende da Lui? L’uomo è stato creato da Dio o discende casualmente dalla scimmie? L’uomo ha un’anima spirituale o semplicemente un cervello animale più evoluto? Siamo liberi e responsabili delle nostre azioni oppure siamo totalmente determinati da fattori esterni (ambientali, sociali) o interni (neurologici, psichici)? Siamo fatti per l’eternità e per Dio oppure tutto di noi finisce con la morte del nostro corpo?
Ciò diventa particolarmente pericoloso per la mente e l’anima di un giovane studente, perché prima o poi finirà per non credere più alla verità cristiana ma a quella scientifica (non potendo infatti esistere due verità tra loro opposte). Quando poi in certi periodi esistenziali la verità cristiana – per sé davvero edificante e liberante (cfr. Gv 8,32) – ci si potrebbe presentare come difficile da vivere; questo pregiudizio (scienza contro fede, quindi la fede è falsa) diventa subito uno straordinario alibi.
Dentro questo pregiudizio anticristiano, secondo cui fede e scienza sarebbero in opposizione, cosa c’è di meglio per il potere culturale laicista che presentare la Chiesa ottusamente in opposizione proprio al “padre fondatore” della nuova scienza sperimentale moderna, cioè Galileo Galilei?
Ed ecco che il Processo a Galilei del 1633, per sé una piccola questione disciplinare più ancora che una discussione scientifica (in cui peraltro Galileo non sa portare alcuna prova reale a favore della sua convinzione astronomica), assurge a potente simbolo di questa opposizione, perfino dell’ottuso potere della Chiesa che persegue e condanna il libero pensiero, l’autentica ricerca della verità!
Nonostante che, come per tutte le questioni storiche, una vera indagine deve anche calarsi nella mentalità del tempo – per cui a noi sembrerebbe oggi un’imperdonabile invasione di campo la presa di posizione su questioni scientifiche (a parte che, come vedremo, la questione in sé è stata più disciplinare che scientifica) da parte di un organo della Santa Sede (quindi del Papa), ma nel XVII secolo era considerato perfettamente normale – e nonostante qualche ingenuità di contenuto e di metodo da parte anche di alcuni ecclesiastici, il “caso Galileo” storicamente non è avvenuto come ci viene presentato, né tantomeno può essere assunto come simbolo dell’opposizione tra scienza e fede, tra Chiesa e autentica ricerca astronomica.
Con questa onestà culturale, il Papa Giovanni Paolo II – considerando quanto il persistere del mito anticattolico circa “il caso Galileo” nuocesse non solo alla Chiesa Cattolica ma ad un vero dialogo tra “fede e ragione”, con grave danno per entrambe, e sapendo che la Chiesa ama e non teme mai la verità – promosse uno studio accurato dell’intera vicenda, permettendo ad autorevoli studiosi di tutto il mondo di consultare l’Archivio Storico del Sant’Uffizio, dove sono conservati gli Atti stessi del Processo a Galilei del 1633. Dopo 10 anni di studi e ricerche in merito, nel 1992 vennero ufficialmente presentate al mondo intero (alla presenza di Giovanni Paolo II e con un suo importante discorso) le conclusioni di tali indagini, unitamente alla pubblicazione degli stessi Atti del processo. Purtroppo anche in questo caso, come spesso avviene, il tutto è stato falsamente presentato all’opinione pubblica come una (tardiva) “riabilitazione” di Galileo Galilei da parte della Chiesa Cattolica. Come dire, finalmente – sia pur dopo 4 secoli! – anche la Chiesa si accorge di aver sbagliato e chiede scusa al mondo (si sottintende maliziosamente: non credete neppure alla Chiesa di oggi, perché tra qualche secolo potrebbe chiedervi scusa per quello che oggi vi sta insegnando!).
Così sono infatti state falsamente presentate all’opinione pubblica mondiale le celebri “richieste di perdono” fatte a nome della Chiesa da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, confondendo appositamente la richiesta di perdono per i sempre possibili e storicamente avvenuti “peccati dei cristiani” (cioè per la loro disobbedienza alla verità del Vangelo, o per i metodi talora immorali usati per promuovere quell’autentica verità) con la richiesta di perdono per “gli errori della Chiesa” e quindi per ciò stesso che ha insegnato (il che sarebbe evidentemente falso dal punto di vista storico e soprattutto contrario a Cristo stesso, che ha promesso per sempre alla Sua Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo perché non tradisca mai l’autentica dottrina su questioni di fede e di morale).
1.1 – Come si è costruito questo “mito” anticattolico?
La Riforma protestante, iniziata un secolo prima di Galileo ma che aveva trascinato contro la Chiesa Cattolica una consistente fetta di cristiani europei, si oppose alla nuova scienza, considerando ogni intervento della ragione un’adulterazione della fede (questa era la posizione di Lutero). Ma, nella loro polemica anticattolica, i protestanti furono i primi a costruire “il caso Galileo”.
Si veda ad esempio una protestante Historia Inquisitionis del 1691 ma tradotta e pubblicata a Londra nel 1731, utilizzata per suscitare l’odio contro Roma al tempo della seconda ribellione scozzese.
Gli illuministi francesi ne fecero poi ovviamente un loro cavallo di battaglia anticattolico.
Voltaire, nel suo Dizionario filosofico, scrive: “Ogni inquisitore dovrebbe arrossire fino in fondo all’anima solo alla vista di una sfera di Copernico”
Il conseguente pregiudizio circa l’“oscurantismo” cattolico cercò di penetrare anche in Italia.
Già sul finire del ’700, con Giovanni Targioni Tozzetti e Girolamo Tiraboschi.
Lo scientismo e il positivismo del XIX secolo (v. ad esempio Comte), secondo cui la nuova scienza moderna costituiva l’unica vera forma di sapere che seppelliva definitivamente quella mitica e religiosa come pure quella filosofica e metafisica, trovò nel “processo a Galilei” un ottimo pretesto per avvallare tale unilaterale (ideologica) visione della realtà. Anzi, è proprio in questo nuovo clima culturale che viene montato il “caso”, falsificandone gli stessi dati storici, e facendolo diventare l’emblema dell’oscurantismo cattolico che sempre si oppone alla scienza e al vero progresso dell’umanità.
Nel ’900, a sostegno della divulgazione di tale mito laicista, ci fu perfino l’opera teatrale Galileo del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, marxista e anticlericale, opera non a caso ancor oggi cavallo di battaglia della lotta culturale anticattolica, specie di sinistra, per mantenere questa “leggenda nera” che screditerebbe la Chiesa Cattolica e la verità della fede cristiana.
Dopo oltre un secolo di questa propaganda laicista, cosa sanno oggi del “caso Galilei”, cioè di come stessero le cose tra lui e la Chiesa Cattolica, gli studenti e gli universitari frequentanti le stesse facoltà scientifiche? Praticamente nulla, se non la ripetizione dei soliti falsi slogan anticlericali.
Secondo ad esempio un’inchiesta fatta qualche tempo fa tra gli studenti universitari proprio delle Facoltà scientifiche dell’Unione Europea, risulta che il 30% è convinto che Galileo fu arso vivo dalla Chiesa; il 97% che sia stato torturato; chi sa qualcosa di più crede come frase “sicuramente storica” il celebre eppur si muove! che Galileo avrebbe pronunciato, sconsolato e fiero, di fronte agli inquisitori che avevano emesso contro di lui, per mostrare comunque la verità della rotazione terrestre (frase che fu invece polemicamente inventata a Londra più di un secolo dopo, come vedremo).
2) Alcune premesse
2.1 – La Chiesa Cattolica, la ragione e la scienza
Il più grande e fecondo incontro tra ragione e fede, avviene nella religione cristiana e in particolare nella fede cattolica (cfr. l’enciclica di Giovanni Paolo II Fide set ratio del 1998). Non a caso, fin dai primi secoli, il cristianesimo ha promosso un fecondo dialogo più con la filosofia classica greca che con le religioni pagane del tempo. E proprio nel cosiddetto Medioevo, cioè in quei mille anni che hanno fondato la civiltà europea e occidentale (e che secondo l’altro dogma illuminista anticattolico sarebbero stati “secoli bui”; così che nello studio della filosofia alle superiori viene perfino non di rado saltato!), tale fecondo rapporto tra fede e ragione ha generato non solo una profondissima teologia ed una geniale filosofia (ad esempio quelle di S. Agostino e di S. Tommaso d’Aquino), ma anche quelle “cattedrali del pensiero” che sono le Università, non a caso nate all’inizio solo dalla Chiesa Cattolica (non esistevano infatti nei territori non cristiani).
Sono nate dalla Chiesa Cattolica, sia la prima università del mondo, cioè quella di Bologna (non a caso l’attuale tentativo di coordinare le università europee va sotto il nome di “processo di Bologna”) che quella di Padova (dove scelse di andare ad insegnare lo stesso Galileo, lasciando per questo Pisa), ma anche la Sorbona di Parigi (nata originariamente addirittura nel chiostro della cattedrale di Notre Dame), e le celebri università di Oxford e Cambridge in Inghilterra, per non dire de “La Sapienza di Dio” (così il nome integrale) fondata dal Papa nella ‘sua’ Roma. Solo in Europa, durante il medioevo, la Chiesa Cattolica creò ben 108 Università!
In quel periodo la ricerca della verità non era certo ancora approdata a quella forma specifica del sapere che sarà la scienza moderna galileiana, col suo metodo “sperimentale”, ma a ben vedere possiamo scorgere proprio in alcuni pensatori medievali cattolici gli antesignani anche della scienza moderna.
Non solo in S. Agostino e più ancora in S. Tommaso d’Aquino è ad esempio ben chiara la distinzione dei saperi, ma troviamo un abbozzo del metodo scientifico moderno già nei medievali S. Alberto Magno (il grande maestro di S. Tommaso, non a caso “patrono degli scienziati”), Giordano Memorario, Nicola Oresme, Giovanni Buridano, Giambattista Benedetti e ovviamente nel celebre Leonardo da Vinci (che precedette di oltre un secolo Galileo).
A dire il vero, a livello di alta cultura (ad esempio proprio in quell’università parigina della Sorbona che, pur essendo sorta dalla Chiesa Cattolica, fu dopo l’illuminismo e la rivoluzione fucina di un esasperato anticlericalismo, così che proprio lì nacquero certi dogmi anticristiani), sono terminati da tempo (già dagli anni ’30 del secolo scorso; e proprio per merito di quei grandi pensatori francesi che furono ad esempio Gilson, Maritain, Blondel e altri) certi miti laicisti che purtroppo regnano ancora nelle scuole e nei media anche italiani. A questo livello sono infatti ormai molti coloro che riconoscono che il Medioevo sia stato invece un periodo tra i più fecondi della storia del pensiero e dell’arte (basterebbe del resto pensare cosa ci ha lasciato in tal senso il XIII secolo!) e che non solo non ci sia mai stata una vera opposizione tra scienza e fede, ma che proprio la fede cristiana abbia non a caso permesso il sorgere anche della scienza moderna, che infatti nacque in questo ambito culturale cattolico e non altrove.
Il presupposto della scienza moderna è infatti la certezza, che viene dalla fede cristiana, che l’universo è creato da Dio e che questo Dio, rivelatosi pienamente in Cristo, è Logos (e Amore); per cui anche nelle sue opere, dal più piccolo sasso o dalla struttura stessa dell’atomo alle immense galassie, si manifesta una sapienza (sophia), una logica, che appunto da Galileo in poi, cioè con la scienza moderna sperimentale, si imparerà ad esprimere perfino in termini matematici.
Questa convinzione è infatti presente solo in Occidente.
L’algebra nasce certo nel mondo islamico fra l’VIII e il IX sec., ma poi proprio il musulmano Mutakallimum dirà invece che è un affronto ad Allah enunciare una legge fisica.
Galileo era talmente convinto che l’universo, come dice la Bibbia, è opera di un Dio che è Logos (Intelligenza suprema), per cui nel creato (tanto nel “volgare” sassolino che cade, come nelle stelle) si manifesta una logica talmente precisa da potersi esprimere addirittura cin termini matematici (ed è qui la genialità della scienza moderna galileiana, oltre alla sua verifica sperimentale).
Ne era talmente convinto, da esagerare perfino. Come quando si oppose alla scoperta delle orbite ellittiche di Keplero, dicendo che dovevano essere circolari, in quanto il cerchio è più perfetto dell’ellisse e Dio fa le cose in modo perfetto (oggi sappiamo che in astronomia l’orbita ellittica è infatti più perfetta di quella circolare, tant’è vero che facciamo fare queste orbite anche ai nostri satelliti e stazioni spaziali).
Ascoltiamo in proposito il giudizio del grande fisico vivente, scopritore dell’antimateria, Antonino Zichichi (nel suo libro Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999):
“Mai una legge scientifica è stata infatti scoperta al di fuori della civiltà cristiana”. “La scienza è nata in casa cattolica con Galileo Galilei, per un atto di fede in Dio Creatore e nel Creato. E Galileo fu il primo a cercare le impronte del Creatore studiando anche gli oggetti <volgari>, cominciando perfino dalle pietre e dal loro moto di caduta, sapendo che la Sapienza infinita di Dio aveva scritto il libro della Natura con una logica (la Logica del Creato), anzi con caratteri matematici, e la scienza ha come obiettivo di capire ciò che Dio ha scritto, usando proprio il rigore della matematica. Per questo con Galileo nasce la scienza moderna, proprio comprendendo che le leggi fondamentali della natura sono espresse da precise equazioni matematiche. Galilei voleva semplicemente leggere il Libro della Natura, scritto con caratteri matematici. Dire nel XVII secolo che bisognava seguire questa strada per scoprire le leggi fondamentali della natura, non era il risultato di un discorso logico ma un atto di fede in Dio Creatore. La scienza nasce da questo atto di umiltà intellettuale, dalla consapevolezza che nasce dalla fede cristiana: in ciascun oggetto doveva esserci l’impronta della sapienza del Creatore, che è un <Intelletto Matematico>”. “Per questo stesso motivo fede e scienza non potevano per Galileo contraddirsi, perché Bibbia e Natura sono due libri scritti dallo stesso Autore, che è il Creatore”. “Fede e scienza non si contraddicono. Se vivessimo davvero nell’era della scienza queste verità sarebbero patrimonio culturale di tutti. I persistenti e propagandati pregiudizi contrari nulla hanno a che vedere con la scienza”.
E così scriveva lo stesso Galileo:
“Procedono di pari dal Verbo divino la Scrittura Santa e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”; “il mondo sono le opere di Dio e la Scrittura sono le parole del medesimo Dio”.
2.1.1 – Non così nella Riforma protestante
Come abbiamo già osservato, nella logica luterana della “sola grazia” e “sola Scrittura” (da leggersi secondo un significato letterale) ogni intervento della ragione un’adulterazione della fede. Per questo motivo la Riforma protestante si mostrò subito ostile alla nuova scienza (a cominciare da Copernico e Galileo), giungendo a perseguitare e condannare molti scienziati. Furono proprio i Protestanti ad innalzare contro la teoria copernicana certi passi biblici, da doversi intendere appunto alla lettera, come la famosa citazione di Giosuè “fermati o sole!” (Gs 10,12), poi purtroppo usata anche da alcuni cattolici. Inizialmente non accolsero neppure la riforma del Calendario fatta da Gregorio XIII, definendo la Chiesa Cattolica Babilonia e Anticristo perché voleva sostituirsi a Dio facendo astronomia con i numeri della matematica. Per questo l’unica iniziativa cattolica di cui si compiacquero fu proprio il processo a Galilei (dicendo perfino che, se fosse caduto nelle loro mani, Galileo non l’avrebbe scampata!), anche se in seguito, come s’è detto, lo utilizzarono anch’essi in chiave anticattolica.
3) La Chiesa e la scienza a Roma, al tempo di Galileo
Nonostante nel XVI secolo una cospicua fetta di Europa si fosse separata dalla Chiesa Cattolica e avesse gravemente deformato la dottrina cristiana (la dolorosa ferita della Riforma protestante), e persistendo perfino gli attacchi militari dei musulmani contro i cristiani e l’Europa stessa (basterebbe pensare alla battaglia navale di Lepanto del 1571), la Chiesa Cattolica sperimenta un meraviglioso rifiorire della fede, di nuovi carismi, ordini religiosi, e perfino di un nuovo umanesimo (e rinascimento) che si esprimeva anche nella bellezza dell’arte e nella fecondità della cultura.
Per questo, la Roma papale del XVI-XVII secolo fu una fucina di cultura, arte e scienza, sia per la saggezza e l’erudizione dei Papi (talora essi stessi esperti perfino nel campo astronomico, come nel caso di Paolo III, Gregorio XIII, Paolo V e lo stesso Urbano VIII del “processo” a Galilei), sia per il mecenatismo di certi cardinali, come pure per le alte istituzioni culturali e scientifiche poste in atto anche dai nuovi ordini religiosi, ‘in primis’ la Compagnia di Gesù (i Gesuiti, l’ordine religioso fondato da S. Ignazio di Loyola nel 1534 e approvato nel 1540), che promosse ovunque non solo l’autentica fede ma anche la cultura nelle sue molteplici ramificazioni (compresa la scienza e in particolare l’astronomia).
Anche su questo esiste un pregiudizio storico che deforma la realtà delle cose in chiave anticristiana, visto ad esempio che la notissima biografia di Galileo dello studioso marxista Geymonat, pur non misconoscendo gli studi del Collegio Romano e dell’intera Compagnia di Gesù, ci presenta falsamente questi studiosi come “difensori più del dogma che della verità scientifica”.
3.1 – Il Collegio Romano (dei Gesuiti)
Il Collegio Romano fu fondato nel 1551 e divenne una particolare fucina di cultura e di studi anche scientifici e astronomici, tra le più eccelse d’Europa. Fu il primo e più importante Collegio dei Gesuiti (divenne poi l’Università Gregoriana, ancor oggi tra le più importanti università al mondo, con sede in Roma) e conobbe subito un’enorme fioritura di studenti, sia numerica che di qualità. Nella storia ebbe tra i suoi allievi futuri personaggi illustri, papi, cardinali, vescovi e santi (tra i primi allievi ci fu anche S. Luigi Gonzaga) e tra i suoi docenti, oltre a S. Roberto Bellarmino, ebbe autorevolissimi scienziati gesuiti, tra cui Athanasius Kircher (1601-1680; fu il primo ad usare sistematicamente il microscopio per lo studio delle malattie; fu anche il primo ad esporre una teoria completa dell’evoluzione ed considerato l’antesignano degli studi sull’Asia e sull’Egitto), Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787; professore di matematica, per la sua intuizione degli atomi-punti che costituirebbero tutta la realtà è considerato il padre della moderna teoria atomica). Molti padri e professori gesuiti del Collegio Romano svilupparono anche studi speciali sui terremoti, mettendo le basi della sismologia (che non a caso era detta anche la “scienza dei gesuiti”). Vi si compirono fin dall’inizio anche accuratissimi studi di astronomia, così che ancor oggi ben 35 crateri lunari portano non a caso il nome di scienziati o matematici gesuiti. I Papi fino ad oggi hanno sempre affidato a loro la conduzione dell’osservatorio astronomico vaticano (Specola vaticana). I Gesuiti insegnavano la teoria copernicana già sul finire del XVII secolo e proprio a loro si deve la diffusione di questa teoria eliocentrica in Estremo Oriente. Professore di matematica del neonato Collegio Romano fu il gesuita tedesco Christopher Clavius (1537-1612), figura così eminente in questo campo da essere definito “l’Euclide del XVI secolo”. Ammiratore di Galileo, incontrato personalmente a Roma, si mosse per assicurargli un posto di insegnante in un’università. A lui Galileo deve molto della sua attitudine a descrivere i fenomeni fisici in termini matematici, metodo cardine di quella che sarà appunto la nuova scienza sperimentale. Nella sua visita romana del 1611, Galileo fu accolto con molti riguardi dal prestigioso Collegio Romano e fu proprio Clavius ad informarlo che gli astronomi del Collegio Romano potevano confermare tutte le scoperte da lui descritte nel Sidereus nuncius, pubblicato solo l’anno prima.
3.2 – La Chiesa Cattolica e l’astronomia
La Chiesa Cattolica ha mostrato sempre un vivo interesse per l’astronomia, non solo per il religioso stupore che desta l’immensità del cielo e che aumenta con la progressiva sua scoperta, ma perfino per questioni liturgiche. Tra queste, soprattutto la questione della ricorrenza annuale della Pasqua, cioè alla principale festa cristiana, che com’è noto varia annualmente, in quanto non si attiene alla data storica della risurrezione di Cristo (che dovrebbe essere il 9 aprile dell’anno 30) ma all’antica tradizione che la fa cadere nella “domenica dopo il primo plenilunio di primavera”, cioè dopo la prima luna-piena che c’è dopo il 21 marzo.
Essendo il mese lunare di 29 giorni, l’anno lunare non è sovrapponibile a quello solare; per questo cambia continuamente la data del primo plenilunio di primavera; e conseguentemente della Pasqua.
Per questo motivo liturgico dovette occuparsi di astronomia già il Concilio di Nicea (325 d.C.).
“Dal tardo Medioevo all’epoca dell’Illuminismo la Chiesa Cattolica ha promosso e sostenuto (anche economicamente) lo studio dell’astronomia più di ogni altra istituzione, probabilmente più di tutte le altre insieme”. Con queste parole si esprime l’autorevole professore universitario della California J. L. Heilbron [citato da Thomas E. Woods, Jr., How the catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., SI, 2007, p. 12)].
3.3 – Il Calendario Gregoriano
Un altro problema astronomico, che incideva ancor più non solo sulla vita liturgica ecclesiale ma sull’umanità intera, e che nessuno al mondo aveva mai risolto, era quello di come poter misurare il susseguirsi dei giorni e dei mesi all’interno dell’anno, senza accumulare progressivi ritardi, così da ritrovarsi ad esempio ad avere nel nostro emisfero l’estate a gennaio o l’inverno ad agosto. Fu solo un Papa peraltro anch’egli astronomo, Gregorio XIII, che con i suoi collaboratori astronomi gesuiti del Collegio Romano, nel 1582 risolse definitivamente il problema, così che il calendario da lui istituito e che da lui prende il nome (“gregoriano”) non solo è stato accolto dall’umanità intera, ma non avrà più bisogno di essere corretto, tanto è preciso!
La difficoltà del problema è data dal fatto che mentre la Terra compie una rivoluzione completa attorno al Sole (1 anno), compie poco più di 365 rotazioni attorno a se stessa (giorni) (per l’esattezza 365,22): questo “poco più” è di circa 6 ore (poco meno di 6 ore). Queste 6 ore di ritardo sui 365 giorni dell’anno devono essere recuperate: e lo si fa aggiungendo 1 giorno (il 29 febbraio) ogni 4 anni (anno bisestile); ma dato che sono meno di 6 ore di ritardo annuali (ed è addirittura un numero matematico periodico), nei secoli e millenni il tempo astronomico reale (ad esempio le stagioni) creava ugualmente uno scompenso. Il “calendario gregoriano”, promulgato appunto dal Papa Gregorio XIII nel 1582, risolse definitivamente anche questo problema: in quell’anno, per recuperare si saltarono 10 giorni (si passò dal 4 ottobre – peraltro il giorno in cui morì S. Teresa d’Avila – al 15 ottobre; balzo che non è stato riconosciuto dalla Chiesa ortodossa, separata da oltre 5 secoli, per cui nelle loro feste liturgiche si attengono ancora al calendario “giuliano” e perciò cadono con questo ritardo rispetto a quelle cattoliche) – e poi si stabilì che l’anno secolare (per sé sempre divisibile per 4 e quindi bisestile) fosse bisestile solo quando è divisibile per 4 la cifra di radice (in altri termini: è stato bisestile il 2000, ma non lo sarà il 2100 né il 2200 né il 2300 ma lo sarà il 2400). In questo modo si accumuleranno solo pochi secondi di ritardo in parecchi millenni, quindi il “calendario gregoriano” (promulgato da Gregorio XIII il 24.02.1582) può considerarsi giusto e perpetuo, e come tale è seguito dall’umanità intera.
“Un ulteriore esempio di come, ancor prima di Galileo, la Chiesa abbia sempre promosso ogni forma di sapere, anche quello astronomico, e con risultati tali da imporsi alla civiltà mondiale” (così si esprime Jean-Robert Armogathe, Professore Ordinario alla Sorbona di Parigi).
3.4 – La Specola Vaticana
Il più antico osservatorio astronomico del mondo è proprio quello vaticano, voluto ancora dal Papa Gregorio XIII nel 1579 e inaugurato ufficialmente nel 1583. Fu affidato – e lo è sempre stato fino ad oggi – ai padri gesuiti (allora i matematici e astronomi del Collegio Romano), che dovevano studiare la questione della riforma del calendario.
L’autorevolezza scientifica di questi padri gesuiti è confermata anche dal fatto che quando nel 1870 le truppe piemontesi invasero Roma, pur occupando ed espropriando tutte le sedi ecclesiastiche e cacciandone tutti gli ordini religiosi, pur confiscando il Collegio Romano, si fece una strana eccezione proprio per quei padri gesuiti verso i quali nutrivano in genere una speciale avversione (erano considerati la loro “bestia nera”): questo perché giunsero messaggi e petizioni da tutto il mondo perché si guardassero dal toccarli, specialmente perché non intralciassero gli studi e le ricerche del padre Angelo Secchi, che fu il primo a classificare gli astri in base ai loro spettri (fu quindi il pioniere della moderna spettroscopia stellare); e il nuovo Parlamento Italiano, proprio per non far saltare troppi progetti internazionali di ricerca, dovette addirittura varare una legge ad hoc per tenere quel direttore della Specola Vaticana addirittura a vita.
Agli inizi del XX secolo, la Specola Vaticana partecipò al grandioso programma internazionale di realizzazione della carta fotografica del cielo (gli fu affidata una precisa zona celeste, cioè l’inclinazione tra + 55° e +64°, con circa 500.000 stelle).
Tale importante osservatorio astronomico vaticano, inizialmente costruito come “Torre dei Venti” (alta m. 73) nei giardini vaticani e poi denominato “Specola Vaticana”, fu nel 1935 trasferito (per sfuggire alle luci della città e poter veder meglio il cielo) sui Colli Romani e precisamente proprio nel palazzo papale di Castelgandolfo (si possono ancor oggi i due emisferi nella sagoma del palazzo apostolico); quindi, per lo stesso motivo, nel 1981 è stato trasferito nel deserto dell’Arizona (USA).
L’attuale sede della Specola Vaticana, col suo nuovo telescopio, è infatti a Tucson, nel deserto dell’Arizona (USA), ed ha accesso al celebre Kitt Peak National Observatory degli USA, sempre gestito dai padri gesuiti, in collaborazione con l’Osservatorio Steward, dove di recente si è portata a termine la costruzione del primo telescopio ottico-infrarosso, posto sul Monte Graha, che di fatto è il migliore sito astronomico dell’America settentrionale.
A Castelgandolfo rimane la parte museale, tra cui una specialistica ed importante biblioteca, con migliaia di volumi (tra cui antichi scritti di Copernico, Keplero e Newton e 22.000 volumi di astronomia), una ricchissima collezione di strumenti astronomici (antichi telescopi e astrolabi), ed una raccolta di meteoriti di straordinaria importanza [si tratta, insieme all’Istituto di astrofisica spaziale di Frascati, di una delle più numerose raccolte di meteoriti al mondo: 1081 campioni, tra cui un grosso pezzo del “Canyon Diablo” (l’enorme asteroide di ferro che 50.000 anni fa cadde Arizona, creando un enorme cratere grande come 20 campi di calcio), il meteorite di Nakhla (rinvenuto in Egitto nel 1911 e quasi sicuramente proveniente da Marte), oltre ad un piccolo sasso tratto del suolo lunare.
La Specola tiene anche Convegni astronomici di altissimo livello. Suo Bollettino è il Vatican Observatory Publications. A motivo di tale osservatorio astronomico la Città del Vaticano è membro dell’Unione Astronomica Internazionale.
3.5 – L’Accademia dei Lincei
(futura Pontificia Accademia delle Scienze)
L’Accademia dei Lincei fu fondata a Roma nel 1603 dal naturalista romano Federico Cesi sotto gli auspici di papa Clemente VIII.
Fu proprio questo principe Cesi ad informare Galileo, di cui era ammiratore, sulle orbite ellittiche e non circolari dei pianeti, senza ottenere peraltro la sua attenzione; fu ancora lui a spingere Galileo a pubblicare Il Saggiatore; e proprio a lui Galileo affidò inizialmente il manoscritto del Dialogo affinché ne curasse la stampa.
L’idea era quella di radunare gli scienziati più insigni in una specie di comunità di studio e di ricerca. In questo senso quella dei Lincei fu la prima accademia scientifica internazionale al mondo (la londinese Royal Society nascerà 60 anni dopo, seguita dalla parigina Académie des Science). Il metodo di ricerca promosso in tale Accademia era proprio quello di attenersi all’osservazione dei fenomeni e verificare le ipotesi mediante esperimenti, per cui potrebbe essere intesa anche come matrice della nuova scienza sperimentale.
Fu proprio il Cardinale Barberini (il futuro Papa Urbano VIII, quello del Processo) che, amico e stimatore di Galilei, lo nomina membro di quella già prestigiosa Accademia.
Nel 1847 Pio IX trasformerà l’Accademia in Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei (con sede in Campidoglio) e nel 1936 Pio XI la trasformerà in Pontificia Accademia delle Scienze: essa veniva riaffermata come una sorta di “senato scientifico”, con un vero spirito di ricerca, senza preclusioni né pregiudiziali di alcun tipo, neanche di credo religioso.
La maggior parte dei suoi membri è di fede cristiana o comunque di sensibilità religiosa, ma la richiesta minima per aderirvi è soltanto quella della non ostilità nei confronti della fede e della Chiesa.
Furono membri della Pontificia Accademia delle Scienze eminenti figure di scienziati, quali Lamaitre (che era sacerdote cattolico), Marconi, Planck, Heisenberg, Fleming, Dirac, e moltissimi premi Nobel per i diversi rami della scienza.
Per sottolineare come talora anche gli ambienti scientifici risentano di questioni ideologiche e perfino si giunga a censurare ciò che non è allineato al “politicamente corretto”, riportiamo il caso non lontano di Jérôme Lejeune, uno dei più grandi genetisti del secolo scorso, dell’Institute de Progénèse dell’Università di Parigi, al quale si deve la scoperta del cromosoma responsabile della “sindrome di down”; uomo di grande fede, di cui si sta aprendo perfino la causa di beatificazione, gli fu negato il premio Nobel in quanto fermamente contrario all’aborto. Oltre ad essere stato membro della Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II lo nominò anche primo presidente della Pontificia Accademia della Vita.
La Pontificia Accademia delle Scienze, tuttora esistente e operante e alla quale è iscritta la maggior parte dei più grandi scienziati viventi, promuove Gruppi di lavoro, Settimane di studio, Sessioni plenarie annuali e autorevoli pubblicazioni (Commentarii e Scripta varia).
4) La questione copernicana
Dire “rivoluzione copernicana” è ancor oggi sinonimo di cambiamento radicale di prospettiva (l’usa in questo senso anche Kant). Infatti al nome di Copernico è legata quella concezione astronomica secondo cui non è la Terra al centro con tutti gli astri che le girano attorno (sistema geocentrico, tolemaico) – come potrebbe far credere il movimento della volta celeste durante il giorno e la notte – ma è il Sole che sta al centro del sistema, con tutti i pianeti, Terra compresa, che gli girano attorno (sistema eliocentrico, detto appunto copernicano).
A dire il vero Copernico non fu il primo ad avere tale concezione eliocentrica che porta oggi il suo nome, visto che tale ipotesi, che si opponeva a quella geocentrica di Tolomeo (sec. II d.C.), era già stata pensata – quantomeno la rotazione della Terra su se stessa – perfino prima di Tolomeo da Aristarco di Samo (sec. III a.C.) e perfino da alcuni pitagorici (sec. V a.C.).
Nel Medioevo convivevano le due prospettive, non essendoci prova sicura né dell’una né dell’altra.
Furono favorevoli all’ipotesi eliocentrica, ad esempio, Guglielmo di Conches (1080-1154; illustre filosofo, teologo ma anche naturalista della celebre Scuola di Chartres), Nicola di Oresme (1320-1382; teologo, scienziato e vescovo di Lisieux), Campano da Novara (..-1296; matematico, astronomo e medico), Celio Calcagni (1475-1541; scienziato sacerdote bolognese), Diego di Zuniga (1536-1589; frate agostiniano di Salamanca che nel 1584 pubblicò a Toledo un’opera di esegesi favorevole al sistema copernicano), Paolo Antonio Moscerini (1565-1616; scienziato carmelitano).
Che fosse la Terra a ruotare su se stessa (e non il cielo a ruotare attorno alla terra) fu convinzione di Giovanni Scoto Eriugena e di S. Alberto Magno; lo stesso S. Tommaso d’Aquino riteneva provvisoria la teoria aristotelico-tolemaica. Il Cardinale Nicolò da Cusa (Nicola Cusano, 1401-1464), filosofo e scienziato, insegnava proprio a Roma l’ipotesi eliocentrica prima ancora che nascesse Copernico.
E’ molto importante capire (anche per comprendere lo stesso “caso Galileo”) che le prove scientifiche sperimentali della rotazione terrestre e del sistema copernicano (eliocentrico) non ci sono fornite né da Copernico (1543), né da Galileo (1632) e nemmeno da Newton (1687) ma molto più tardi da Foucault (1851)!
Oggi inoltre, con la relatività del moto, e soprattutto avendo scoperto che anche il sole si muove all’interno della nostra galassia (composta di circa 200 miliardi di stelle, cioè di soli) e che questa a sua volta si muove, secondo quel movimento di espansione che allontana le galassie (circa 200 miliardi) le une dalle altre, parlare di che cosa ci sia al centro è pertanto a sua volta superato, fermo restando certo che la Terra ruota attorno a se stessa e attorno al Sole (in realtà ha anche un terzo movimento, quello della oscillazione dell’asse terrestre).
4.1 – Nicolò Copernico
Nicolò Copernico nacque in Polonia nel 1473. Rimasto orfano a soli 12 anni, andò a vivere con lo zio sacerdote, che poi divenne vescovo e nominò Nicolò a soli 24 anni “Canonico” della cattedrale di Cracovia. Anche se questo allora non significava sempre essere sacerdote, quasi sicuramente lo era, e come sacerdote cattolico lo nomina sempre lo stesso Galileo; fu infatti perfino candidato all’episcopato). Lo zio lo inviò a studiare nelle prestigiose università papali di Roma, Bologna, Padova e a Ferrara; e proprio in Italia Nicolò conobbe coloro che simpatizzavano per il sistema eliocentrico. Morì nel 1543 ed è tuttora sepolto nella chiesa universitaria di S. Anna a Cracovia (chiesa tanto cara al giovane sacerdote e poi arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla).
Copernico non era per sé un astronomo, ma un matematico; anche se proprio la sua fede cattolica lo rendeva certo che l’ordine ‘geometrico’ dell’universo era opera di Dio creatore, che egli chiamava anche il “Divino Artefice” e “Sublime Architetto”. Era convinto assertore del sistema eliocentrico (che prenderà addirittura da lui il nome), ma non poté portarne le prove. Fu incoraggiato a compiere le proprie ricerche in questo senso da confratelli (come il canonico ferrarese Celio Calcagnini), da vescovi (come il vescovo di Tulm: Tydeman Giese) e da cardinali (come Nicola Schoenberg). Con tutta probabilità nell’anno giubilare 1500 Copernico insegnava a Roma la sua teoria eliocentrica e pare che tra i suoi alunni ci fosse nientemeno che il futuro Paolo III (Alessandro Farnese, che peraltro fu astronomo). Quando poco prima di morire, Copernico pubblicò le sue osservazioni sulla “rotazione dei corpi celesti” in un libro intitolato De revolutionbus orbium coelestium, stampato nel 1543 con l’Imprimatur di un cardinale domenicano, lo volle significativamente dedicare proprio al Papa Paolo III.
Questo fa comprendere come da parte della Chiesa Cattolica, e persino nella stessa Roma, non ci fosse alcuna difficoltà o chiusura nei confronti della teoria copernicana, purché restasse ancora un’ipotesi (non essendoci ancora prova sperimentale a suo favore) e non ci si opponesse con polemica a quanto sostenevano ancora quella tolemaica, che era più tradizionale (anche aristotelica) e pareva perfino più consona a certi testi biblici, oltre ad sostenuta ancora da molti scienziati, come l’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601).
Tale ipotesi eliocentrica fu invece subito condannata dalla Chiesa protestante, nata nel 1517. Lutero diede a Copernico il titolo di “astrologo improvvisato”, qualificando la sua scoperta “una follia”; Melantone disse che “simili fantasie da loro non sarebbero state tollerate”. E abbiamo già notato come si opporranno anche a Galileo.
4.2 – La provvisoria proibizione del 1616
Come vedremo, la serena discussione tra la visione aristotelico-tolemaica (geocentrica) e quella copernicana (eliocentrica) – ricordando che non essendoci ancora prova scientifica di quest’ultima entrambe potevano essere ritenute valide – divenne più delicata quando si spostò erroneamente su un piano più teologico, cioè quando da entrambe le posizioni si volle trovare un fondamento biblico ad esse. Qualcuno temeva che la negazione del geocentrismo potesse mettere in crisi la visione biblica secondo cui la Terra, e in essa l’uomo, è il centro e il fine della creazione stessa.
Non a caso il nome di Copernico assurge a simbolo di radicale cambiamento. Sarà appunto Kant ad usare per primo l’espressione “rivoluzione copernicana”, per esprimere il suo capovolgimento dell’idea di verità (in fondo da oggettiva a soggettiva). Perfino Nietzsche si riferirà a Copernico per indicare il capovolgimento radicale di significato dell’esistenza che si è attuato nella modernità (non solo un decentramento della Terra ma dell’uomo) che si conclude nel “nichilismo”; dirà ad esempio: “da Copernico in poi l’uomo scivola dal centro verso una x” e ancora “Non è forse, da Copernico in poi, in un inarrestabile progresso l’autodiminuirsi dell’uomo, la sua volontà di farsi piccolo? La fede, ahimé, nella sua dignità, unicità, insostituibilità nella scala gerarchica degli esseri è scomparsa – è divenuto animale, animale, senza metafora, detrazione o riserva, lui che nella sua fede di una volta era quasi Dio (figlio d’Iddio, Uomo-Dio) […] Da Copernico in poi, si direbbe che l’uomo sia su un piano inclinato – ormai va rotolando, sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale – dove? nel nulla? nel <trivellante sentimento del proprio nulla> […] Ogni scienza (e nient’affatto la sola astronomia …) si propone oggi di dissuadere l’uomo dal rispetto sinora avuto per se stesso, come se questo altro non fosse stato che una stravagante presunzione […] autodisprezzo per l’uomo”.
Dobbiamo poi tener conto che proprio anche sull’interpretazione della Bibbia avvenne nel XVI secolo la dolorosa separazione delle Riforma protestante dalla Chiesa Cattolica e proprio i protestanti parteggiavano per una interpretazione letterale della Sacra Scrittura, così che anche alcuni testi venivano interpretati alla lettera anche su questioni astronomiche, per cui parevano chiaramente favorevoli al geocentrismo.
Nell’opposta posizione eliocentrica, che abbiamo osservato godeva del favore non solo di Papi e alti prelati ma anche di moltissimi astronomi cattolici (come i gesuiti del Collegio Romano), ci furono anche prese di posizione molto dure, come se fosse già certa questa ipotesi e stolta l’altra (anche Galileo cadrà in tale unilaterale esagerazione, allora scientificamente non lecita); ci furono anche casi aberranti, come quella del frate domenicano Giordano Bruno che proprio a partire dal sistema eliocentrico si era mosso per costruire una rivoluzione metafisica e teologica talmente grave da giungere ad affermare che Dio era la Natura e perfino a confondere la religione con la magia (e risultando inutili i tentativi di correggerne la dottrina e la predicazione, fu com’è noto condannato e giustiziato nel 1600).
All’interno di questo clima diventato più incandescente, la Curia Romana compì un passo forse esagerato ed inopportuno, ma dovuto a questioni più disciplinari che teologiche o tanto meno scientifiche (in questo senso non è ovviamente implicata l’infallibilità pontificia). Come vedremo infatti, nel 1616 (cioè 73 anni dopo la sua pubblicazione) la Congregazione dell’Indice pubblicò un Decreto in cui si sospendeva temporaneamente la stampa del De rivolutionibus di Copernico e si dichiarava il sistema copernicano come “errato e contrario alla Scrittura”.
Nel 1559 la Curia Romana, che offre il proprio aiuto all’apostolato universale del Papa, pubblicò un Indice dei libri proibiti, per l’aggiornamento del quale fu istituita poco dopo una Congregazione dell’Indice”. Tale istituzione della Santa Sede, durata fino a non molto tempo fa, indicava appunto quei libri che si ritenevano contrari alla verità ed alla retta dottrina cristiana e che quindi non erano da pubblicarsi o comunque da leggersi.
Tale Decreto era espressamente provvisorio, avendo per postilla un significativo donec corrigatur (ossia fino a quando la situazione non fosse chiarita). Quando infatti solo 4 anni dopo, nel 1620, fu chiarito che la validità del sistema copernicano non era ancora scientificamente provata ma era solo un’ipotesi molto plausibile, il testo di Copernico fu riammesso alle stampe. Tale Decreto fu poi definitivamente soppresso nel 1757 (dopo Newton ma comunque un secolo prima che il sistema copernicano fosse scientificamente provato!) e di fatto non risultò più nell’Indice dei libri proibiti.
Tale Decreto del 1616 non impediva comunque certo gli studi astronomici e la ricerca autentica della prova del sistema copernicano. Ne sono testimonianza appunto gli studi degli astronomi gesuiti e l’espressa simpatia manifestata per questa ipotesi da molti cardinali mecenati del tempo.
Il gesuita Pazmany, divenuto poi cardinale e primate di Ungheria, dichiarò solennemente che in base alla Sacra Scrittura non si poteva obiettare nulla contro il sistema copernicano. I Gesuiti del Collegio Romano continuarono a sostenere la nuova visione copernicana ed incoraggiarono in questo senso anche gli studi di Keplero.
4.3 – Giovanni Keplero
Il caso dello scienziato Giovanni Keplero (1571-1630), praticamente contemporaneo di Galileo, è sintomatico per dimostrare quanta apertura mentale e sincera ricerca della verità fossero presenti negli ambienti culturali cattolici, a differenza ad esempio di quelli protestanti. Keplero conobbe infatti le tesi di Copernico studiando Teologia presso la celebre università cattolica tedesca di Tubinga (il che dimostra appunto che nelle università cattoliche la visione copernicana non era affatto censurata o avversata). Quando però tale università fu conquistata dalla Riforma protestante, anch’egli si fece protestante, ma lasciò gli studi teologici per quelli matematici e di astronomia; ma quando pubblicò la sua opera De revolutionibus, favorevole alla visione copernicana, fu subito avversato dai protestanti ed espulso dall’università. Fu invece accolto come docente proprio nella università di Bologna (del Papa): e ciò dimostra appunto come nelle università nate e gestite dalla Chiesa Cattolica ci fosse una vera apertura della ragione ad ogni sincera ricerca della verità, anche qualora fosse diretta a nuove ipotesi astronomiche e queste fossero insegnate perfino da professori, come nel caso appunto di Keplero, che alla stessa Chiesa Cattolica si erano ribellati.
Keplero, che chiamava Dio “Supremo Geometra” dell’universo, può essere considerato un padre della moderna astronomia. A lui si deve infatti la scoperta (1596) delle orbite ellittiche dei pianeti, cui Galileo si oppose, con atteggiamento peraltro assai poco scientifico
Abbiamo già osservato che Galileo si oppose a questa scoperta perché pensava che l’orbita circolare fosse più perfetta di quella ellittica (cosa non vera) e Dio aveva creato l’universo in modo perfetto.
Per Keplero era chiaro come l’ipotesi copernicana non fosse ancora sicura, cioè scientificamente provata, e lo scrisse personalmente a Galileo (in una lettera del 3.01.1611), facendogli anche osservare che sbagliava nel considerare le maree come prova in tal senso, mentre secondo lui erano causate dalla luna.
5) Galileo Galilei
5.1 – Cenni biografici
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15.02.1564 ma per problemi familiari dovette subito trasferirsi a Firenze. Da ragazzo visse un poco nel monastero toscano di Vallombrosa e in quello fiorentino della SS.ma Trinità, degli stessi monaci vallombrosani (per questo a Firenze si dirà addirittura di lui che era un “monaco sfratato”), ma, sviato dal padre, ne uscì subito a 14 anni. A 17 anni andò a Pisa a studiare medicina, filosofia e matematica. I suoi maestri ne registrano l’acume intellettuale, ma anche il pessimo carattere, polemico e incline alle diatribe, che sarà fattore non secondario nella sua vita e nella stessa vicenda che lo condusse al cosiddetto “processo” del 1633.
Non era ancora ventenne quando nel 1583, nel celebre duomo di Pisa, osservando l’oscillazione di un lampadario toccato dal sacrestano, si chiese il motivo fisico di tale movimento pendolare e se vi fossero precise leggi matematiche a regolarlo. Scoprì in questo modo le leggi del pendolo.
Ed è paradossale come per tutta la vita non abbia mai pensato che proprio nel movimento del pendolo potesse celarsi anche quella “prova” sperimentale della rotazione terrestre che non riuscì di fatto mai a trovare. Infatti proprio a partire da un’osservazione analoga (il movimento di un pendolo all’interno del Pantheon di Parigi, con la traccia che segnava sulla sabbia) che giunse con Léon Foucault l’autentica definitiva prova della rotazione terrestre (e quindi della validità del sistema solare copernicano); ma era il 1851, ben 268 anni dopo l’osservazione di Galileo!
Già in quella esperienza troviamo però i fattori decisivi della scienza moderna sperimentale, detta appunto galileiana: lo stupore attento di fronte ai fenomeni naturali, anche quelli più comuni, unitamente alla certezza, che viene dalla fede cristiana – che tutto ciò debba avvenire con un ordine preciso (una logica) poiché ogni cosa è opera dell’intelligenza infinita del Logos Creatore (Dio)- fa sì che Galileo cerchi di esprimere quella logica intrinseca ai fenomeni naturali in termini addirittura matematici. Compito della nuova scienza è dunque non solo quello di scoprire le leggi che regolano i fenomeni naturali, ma di saperle esprimere in formule matematiche (in genere equazioni). Inoltre la validità di tali formule, cioè la loro effettiva corrispondenza alla logica intrinseca ai fenomeni naturali (che la logica matematica della nostra mente corrisponda all’effettiva logica messa dal Logos creatore nelle cose create), doveva essere provata mediante “esperimenti” riproducibili (da cui l’appellativo di scienza sperimentale).
Fu nel 1586 che Galileo scoprì ed espresse appunto matematicamente la legge fisica della caduta dei gravi.
Non si tratta della scoperta della forza di gravità, che arriverà nel 1687 con Isaac Newton e sarà meglio compresa come ‘legge universale fondamentale’ nel 1915 da Albert Einstein.
Proprio in quell’anno, quindi ancora ventiduenne, gli venne eccezionalmente assegnata la cattedra di matematica nello Studio di Pisa. Come la maggior parte dei suoi colleghi, anche Galileo insegna, oltre alla Geometria di Euclide, anche l’Almagesto di Tolomeo, condividendo (almeno fino al 1614, sia pur con molte perplessità) il sistema astronomico tolemaico.
E’ noto che a motivo del suo pessimo carattere, polemico e presuntuoso, si scontrasse spesso coi colleghi, certo invidiosi per le sue scoperte e per la sua fulminea carriera, e non solo per questioni scientifiche, ma anche su piccolezze, come l’uso della toga nel fare lezione.
Alcuni documenti lo definiscono “ribelle, ostinato, vanitoso, conscio della sua grandezza ma non dei suo limiti”; così anche nelle discussioni scientifiche “qualche volta porta avanti le proprie posizioni furbescamente, altre volte ingenuamente”.
Nel 1592, sia per sfuggire ai continui contrasti coi colleghi ma soprattutto perché meglio retribuito, Galileo si trasferì a Padova, dove aveva ottenuto la cattedra di matematica presso quella prestigiosa università (della Chiesa). Ottenne questa cattedra, assai ben retribuita (1000 fiorini) e che nel 1609 fu addirittura trasformata “a vita”, con la mediazione del marchese Guidubaldo del Monte e del fratello Cardinale Del Monte. Anche qui però i rapporti coi colleghi non furono buoni.
Durante il suo soggiorno e insegnamento a Padova, Galileo evidenziò la sua poliedrica genialità: oltre che matematico e fisico, fece l’astronomo, ma amava presentarsi anche come letterato, poeta, musicista e filosofo; si mostrò perfino appassionato di astrologia.
Questa coesistenza di astronomia e astrologia (oroscopi) può oggi sembrare giustamente contraddittoria per il fondatore della scienza moderna (l’astrologia fa infatti infuriare ad esempio lo scienziato contemporaneo Zichichi, v. il suo testo Il vero e il falso), ma la troviamo pure in Cartesio, Keplero, Bacone, Newton e preponderante in Giordano Bruno).
In questo periodo scrisse un trattato sulle fortificazioni, inventò una macchina per sollevare l’acqua, perfezionò il compasso geometrico e militare, studiò il magnetismo della calamita, compì le prime esperienze che porteranno all’invenzione del termometro.
Circa l’invenzione del cannocchiale, nel 1609 (fu infatti per questo 400° anniversario che nel 2009 si è celebrato un anno galileiano dell’astronomia), dobbiamo invece fare una precisazione: il merito di Galileo Galilei non fu quello di inventarlo, ma di potenziarlo talmente da renderlo atto non solo a guardare lontano ma addirittura per scrutare il cielo.
L’uso delle lenti era invece già noto da tempo e gli occhiali furono inventati dal frate domenicano Alessandro della Spina agli inizi del XIV secolo. Il cannocchiale vero e proprio, detto perspicillum, era già stato inventato nel 1590 dall’ottico olandese Hans Lipperheim e si trovavano cannocchiali ormai in Olanda, in Inghilterra e quindi a Venezia; fu proprio infatti il sacerdote (Servita) veneziano Paolo Sarpi che nel 1606 per primo ne parlò a Padova al prof. Galilei. Galileo, che a differenza di Keplero non si era mai occupato di ottica, vi aggiunse più lenti e riuscì così che per la prima volta ad ingrandire gli astri fino a 20 volte.
Le leggi dell’ottica a quel tempo erano ancora poco note; così che anche sul cannocchiale vertevano dubbi e sospetti, tanto è vero che perfino molti studiosi (come il Cremonini) si rifiutarono di guardare dentro anche il cannocchiale di Galileo, considerandolo uno strumento di illusione ottica.
Con questo nuovo strumento, l’astronomia divenne una passione preponderante in Galileo; ma dobbiamo riconoscere che le sue più grandi scoperte non furono in effetti in questo campo.
Nello stesso anno (1609) Galileo descrive (in latino) le scoperte fatte col suo cannocchiale in un libro intitolato Sidereus nuncius (annuncio celeste), che viene pubblicato a Venezia il 12.03.1610.
Galileo donò il cannocchiale ai c ardinali: Del Monte, Montalto, Acquaviva, Borghese, Francesco de Joyeuse, Odoardo Farnese, Roberto Ubaldini e probabilmente anche Federico Borromeo; e spedì una copia del Nuncius Sidereus al Card. Carlo Conti di Ancona.
Tale opera gli procura un enorme successo e plausi anche dagli ambienti astronomici cattolici (ma anche da Keplero), nonostante l’opposizione di molti aristotelici, che vi vedevo un attacco alla loro fisica.
Attirato anche da una più cospicua retribuzione (1000 scudi fiorentini, senza obbligo di residenza e d’insegnamento), nel 1610 Galileo lasciò Padova (nonostante la sua cattedra “a vita” affidatagli solo l’anno prima) per tornare in Toscana, dove il Granduca lo nominò “Primario Matematico” (titolo al quale l’ambizioso Galilei volle che si aggiungesse anche quello di filosofo; e gli fu concesso).
Vediamo dunque che anche il ‘padre della scienza moderna’ ama ancora unire e talvolta confondere scienza e filosofia, fisica e metafisica. Non era problema secondario, visto che proprio il sorgere della nuova fisica, che di fatto soppiantava progressivamente quella aristotelica, ebbe progressivamente l’ambizione di soppiantare anche la metafisica, come in effetti si giunse purtroppo a fare nello scientismo del XIX secolo e che in fondo è un clima culturale che permane tuttora. Questa confusione ebbe ovviamente incidenza anche sul rapporto tra la nuova scienza e la teologia, cosa che determinò non poco la questione del Processo a Galilei.
Inebriato dal successo, fin dal 1610 Galileo progetta infatti di scrivere un’opera sul “sistema del mondo”! L’uso del termine <sistema>, che non a caso rientrerà anche nella fondamentale opera “Dialogo sopra i due massimi sistemi” del 1632, manifesta appunto la consapevolezza che non si stava trattando una questione di secondaria importanza ma che coinvolgeva una visione d’insieme, e non solo dal punto di vista scientifico, ma anche antropologico, filosofico e forse perfino teologico.
Nel 1610 Galilei lascia dunque improvvisamente Padova per rientrare nella sua Firenze ed andò ad abitare in periferia nella villa “Il gioiello” di Arcetri.
5.1.1 – Una nota sulla vita morale di Galileo Galilei
Galilei era un uomo di sincera fede cristiana, anzi abbiamo già osservato che fu proprio la sua fede nel Creatore e nella Sua sapienza (egli definiva Dio un “Intelletto matematico”) a fornirgli la certezza di fondo circa quella logica matematica che Dio ha inscritto nelle sue creature e che la nuova scienza doveva progressivamente evidenziare.
Per ben due volte (nel 1618 e nel 1620) Galileo si recò ad esempio pellegrino alla “Santa Casa” di Loreto per “raccomandarsi alla Madonna”, accuratamente però evitando “di farlo sapere alle malelingue cittadine” (come disse).
Nella vita morale, invece, oltre al difficile carattere che lo induceva ad essere spesso altezzoso, intollerante e polemico, lasciava molto a desiderare. A Padova, ad esempio, viene descritto con una “vitalità esuberante che trova sfogo nelle tavole imbandite ed una forte sensualità che si manifesta in perturbanti compagnie femminili”. Di fatto conviveva con una donna veneziana (Marina di Andrea Gamba), che non volle mai sposare, e dalla quale ebbe un figlio maschio (Vincenzo Andrea) e due femmine (Virginia, nata nel 1600, e Livia, nata nel 1601). Si mostrava spesso smodato e intemperante, così da dover essere talora ripreso per essere “disordinato nel bere” (usando un eufemismo).
Quando nel 1610 decide di lasciare Padova per Firenze, con davvero scarso senso morale, non ci pensa due volte ad abbandonare figli e compagna! Per sistemare in fretta le cose fa sposare, dietro compenso finanziario, la sua donna Marina Gamba con un artigiano, affida il figlio Vincenzo Andrea ad un prete e manda in convento le due figlie Virginia e Livia.
Essendo ancora ragazze di 9 e 10 anni, fu permesso a Galilei che le figlie entrassero nel convento delle Clarisse con un particolare indulto ecclesiastico. In seguito i cardinali Del Monte e Bandini procurarono che si consacrassero nel monastero di Arcetri, dove viveva il padre. Fu infatti Virginia, suora professa nel convento delle Clarisse di S. Marco d’Arcetri nel 1613, col nome di Suor Maria Celeste, che assisterà poi il padre anziano Galileo fino alla morte, ancora col singolare permesso di uscire quotidianamente dalla clausura); Livia fu suora professa nello stesso convento nel 1614, col nome di Suor Angelica. Nonostante queste forzature, furono comunque buone suore.
E’ quanto mai significativo, e segno della magnanimità e misericordia della Chiesa Cattolica, che tali torbide questioni private, che allora erano giustamente considerate deplorevoli e scandalose e che potevano rendere Galilei attaccabilissimo, non furono invece mai sollevate all’interno della questione Galileo, neppure nel “Processo” del 1633, e mai divennero motivo di discriminazione o di censura nei suoi confronti (tenendo presente che nella Ginevra di Calvino, cioè della Riforma protestante, concubini come lui potevano essere addirittura decapitati).
Il successo aumentò il tono polemico e sprezzante che Galilei usava nei confronti di chi non fosse d’accordo con le sue idee, ormai sempre più favorevoli al sistema copernicano. Chiamava i tolemaici “pigmei intellettuali, appena degni di essere chiamati umani” e giunse a definire i suoi colleghi fiorentini “la piccionaia”, ironizzando sul nome del loro rappresentante Ludovico delle Colombe.
5.2 – Galileo e Roma
Galileo Galilei cominciò ad essere noto anche a Roma. Qui fu assai stimato, sia negli ambienti scientifici (come nel Collegio Romano), che in quelli di Curia: molti cardinali, che proprio allora promuovevano un mecenatismo assai fecondo sia culturalmente che artisticamente, accolsero e incoraggiarono gli studi di Galileo; fu assai stimato anche dallo stesso Pontefice Paolo V, peraltro anch’egli astronomo e simpatizzante della teoria copernicana.
Furono favorevoli all’ipotesi copernicana, a cominciare da Clemente VII (1523-1534) e Paolo III (1534-1549), i Papi Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV, S. Pio V, Gregorio XIII, Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX, Clemente VII, Leone XI.
Il cardinale Roberto Bellarmino (poi proclamato santo) incoraggiò i suoi confratelli gesuiti a confermare ed appoggiare le scoperte di Galilei. Il cardinale Cesare Baronio lo invitò addirittura ad insegnare a Roma la teoria copernicana (Galileo declinò l’invito dicendo che “preferiva restare dov’era”).
Quando poi Galileo decise di far visita a Roma per mostrare i suoi studi e le proprie scoperte, ricevette un’accoglienza potremmo dire quasi trionfale: al Collegio Romano i padri astronomi gesuiti gli riservarono onori ufficiali e lo ascoltarono con vivo interesse ed entusiasmo; il Papa Paolo V non solo lo riceve ed ha con lui un caloroso colloquio, ma offre in suo onore un ricevimento nel suo stesso palazzo del Quirinale.
Galileo venne molto elogiato dal Cardinale Francesco Maria Bourbon Dal Monte e soprattutto dal Cardinale Maffeo Barberini (proprio il futuro Urbano VIII, il Papa del “Processo”), che gli diventa amico e lo nomina membro dell’ancor giovane ma prestigiosissima Accademia dei Lincei.
Ricordiamo quanto detto circa l’attenzione che il curatore di tale Accademia, il principe Cesi, ebbe per Galilei.
Sempre più famoso, Galileo venne nominato anche membro dell’Accademia della Crusca.
Nelle cosiddette Lettere copernicane (tra le quali anche quella al monaco benedettino Benedetto Castelli, prima discepolo di Galileo poi suo collega e amico presso lo Studio universitario di Pisa) e nelle Lettere sulle macchie solari (del 1612-1613), Galileo presentava ormai il sistema copernicano non più come un’ipotesi ma come una certezza, con tanto di riferimenti biblici, ed era sempre più sprezzante ed offensivo nei confronti degli aristotelici-tolemaici.
Due episodi sono però emblematici del favore che Galileo godeva nella Chiesa, nonostante alcune voci dissidenti e per sé lecite al suo interno. Quando nel 1615 il domenicano Niccolò Lorini, che già nel 1612 lo aveva accusato d’essere eretico, lo denunziò addirittura al S. Uffizio, tale organo della Santa Sede non diede luogo a procedere.
Il Sant’Uffizio era l’organo della Santa Sede che, a nome del Papa, doveva vigilare sulla correttezza della fede e della dottrina cristiana. Composto inizialmente da 9 cardinali, fu incaricato di sovrintendere al Tribunale dell’Inquisizione, già istituito alla fine del sec. XII dal Papa Innocenzo III, come strumento per contrastare la diffusione delle eresie. Tale Tribunale decadde nel secoli XIV e XV, ma venne ripristinato dapprima in Spagna intorno al 1480 e e poi a Roma da Papa Paolo III nel 1542, in difesa dell’autentica fede cattolica, in contrasto con la Riforma protestante; fu così promosso anche dal Concilio di Trento (1545-1563). Oggi porta il nome di Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (che ha sede nel palazzo attiguo al colonnato sinistro di piazza S. Pietro, che porta ancora il nome di Palazzo del Sant’Uffizio).
Il Tribunale dell’Inquisizione forniva all’imputato (inquisito) la possibilità di chiarire la sua posizione, in base a quesiti precisi, e di difendersi (pare che fu proprio il Tribunale dell’Inquisizione a fornire per la prima volta nella storia perfino la Difesa d’ufficio dell’imputato).
Quando invece il domenicano Tommaso Caccini lo attaccò Galileo nelle sue prediche nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, non solo Galileo venne immediatamente difeso dal benedettino Benedetto Castelli e dal padre Luigi Maraffi (che aveva compiti di responsabilità nell’ordine domenicano), ma il cardinale Benedetto Giustiniani ordina al padre Caccini di ritrattare pubblicamente le accuse e di scusarsi ufficialmente con Galileo.
In altre occasioni, quando Galileo venne attaccato anche dai suoi colleghi, scesero in campo in suo favore addirittura da Milano il Cardinale Federico Borromeo e da Roma lo stesso Cardinale Maffeo Barberini.
Come si può notare, non esiste da parte della Chiesa Cattolica, specialmente ai suoi vertici, nulla di ostile nei confronti della teoria copernicana e tanto meno nei confronti di Galileo e delle sua scoperte; anzi mai come in questi ambiti Galileo sembra compreso, stimato ed incoraggiato.
Qualcosa dunque effettivamente mutò da lì in poi, se da parte degli ambienti ecclesiastici si passa da questo entusiasmo e aperto appoggio per Galileo Galilei ed anche per la sua teoria copernicana, al Processo del 1633.
Sostanzialmente Galilei commette due errori, aggravati dal suo brutto carattere e dal tono polemico e sprezzante che aveva nei confronti di chi non era d’accordo con lui, nel caso specifico con chi non credeva ancora alla teoria copernicana:
1) il primo, peraltro in contraddizione proprio con il metodo “sperimentale” della nuova scienza galileiana, fu quello di presentare come assolutamente sicura la teoria copernicana (eliocentrica), pur non essendoci ancora alcuna prova scientifica in questo senso (e abbiamo visto non ci sarà addirittura fino al 1851);
2) il secondo ancor più grossolano errore fu quello di portare a favore dell’ipotesi copernicana delle citazioni bibliche (cosa che facevano certo anche gli avversari ma che non si addice proprio al padre della scienza moderna), trascinando tra l’altro pericolosamente la questione su un piano più teologico (e proprio in un momento storico in cui, come s’è già osservato, anche sulla questione dell’interpretazione della Bibbia s’era separata dalla Chiesa la Riforma protestante ed erano sorte aberrazioni quali quella del Giordano Bruno).
Nella Curia Romana si cominciò ad avvertire un certo disappunto per questo atteggiamento intollerante e apodittico del Galilei e soprattutto per il suo voler addirittura citare la Bibbia per avvallare quella ipotesi copernicana, di cui peraltro non riusciva a trovare le prove scientifiche.
Così che quando nel 1615 Galileo decise di tornare a Roma per raccogliere da quegli ambienti culturali ecclesiastici – che sempre gli avevano riservato calorosa accoglienza e incoraggiamento – un appoggio contro quella “piccionaia” (come li definiva) dei suoi colleghi pisani e fiorentini, trovò invece assai più freddezza.
Il Cardinale Roberto Bellarmino (poi proclamato santo), cioè proprio colui che aveva chiesto ai suoi confratelli gesuiti del Collegio Romano di sostenere Galileo e di confermare con l’ausilio dei loro telescopi le sue scoperte, divenuto tra l’altro Padre Generale dei Gesuiti e Gran Consultore del S. Uffizio, assume nei confronti delle posizioni di Galileo un tono più prudente.
Al padre gesuita Paolo Antonio Foscarini, che a Napoli aveva pubblicato (con approvazione ecclesiastica) addirittura un’apologia di Galileo e del sistema copernicano, il Cardinale Bellarmino scrisse il 12.04.1615 una lettera in cui precisò che, oltre al fatto che l’interpretazione dei testi biblici deve essere compiuta all’interno della Tradizione (come aveva precisato il Concilio di Trento contro la “libera interpretazione” promossa dalla Riforma protestante), Galileo Galilei doveva accontentarsi ancora di parlare della teoria copernicana “ex suppositione” (cioè come ipotesi), fino a quando non vi fossero le prove scientifiche in tal senso. Quindi il Cardinale giunge ad affermare, con la più ampia apertura mentale e teologica possibile, che quando tali prove fossero state raggiunte, allora si sarebbero potuti interpretare in senso non letterale (contrariamente a quanto affermavano i protestanti) certi passi biblici che sembravano avvallare l’ipotesi geocentrica. In altri termini: diamo ragione a Galileo se accetta che l’ipotesi copernicana sia appunto ancora solo un’ipotesi; quando ci sarà la prova scientifica di tale teoria, allora non solo ovviamente si accetterà, ma si rivedrà perfino l’interpretazione usuale di certi passi biblici.
A proposito dei testi biblici spesso citati a favore della tradizionale ipotesi tolemaica (geocentrica), si noti ad esempio che la nota frase di Giosuè “Fermati o sole!” (Gs 10,12-13), tra l’altro tra i più antichi testi dell’Antico Testamento, non diceva assolutamente nulla di astronomico; tant’è vero che ancor oggi, dopo millenni e nonostante l’astronomia attuale, nel comune linguaggio parlato continuiamo a dire che “è tramontato il sole” e non che “è girata la terra”.
Il Cardinale Barberini consiglia a Galileo di lasciar perdere le considerazioni biblico-teologiche; e il Cardinale Baronio gli dice di lasciare la Bibbia alla Chiesa. è proprio del Cardinale Baronio, e non di Galileo come comunemente si dice, quella simpatica ed eloquente espressione secondo cui “L’intento dello Spirito Santo, nell’ispirare la Bibbia, era di insegnarci come si va in Cielo, non come va il Cielo”.
Galileo Galilei venne quindi invitato dal Sant’Uffizio a spiegare meglio la sua ipotesi e a portarne le ragioni. Egli è convinto di possedere le prove scientifiche della rotazione terrestre; e a Villa Medici (Ambasciata di Toscana a Roma), dove dimorava, redisse frettolosamente un opuscolo intitolato Discorso del flusso e reflusso del mare che il 6.01.1616 inviò ad Alessandro Orsini, appena diventato Cardinale. Fece quindi ristampare a Roma, come ulteriore prova, una sua opera del 1613 dal titolo Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti.
Nonostante che queste di fatto non fossero assolutamente prove a favore della rotazione terrestre (come lo stesso Keplero gli aveva inutilmente cercato di far capire), Galilei assunse anche di fronte al Cardinale Orsini quel suo peraltro usuale atteggiamento polemico e apodittico, presentando la teoria copernicana come certezza assoluta e quelle come prove decisive.
Intanto, come abbiamo detto, la Congregazione dell’Indice, sospinta da alcuni ambienti ecclesiastici preoccupati per la rilevanza teologica assunta dalla questione, pubblicò il 5.03.1616un Decreto che prese le distanze dal sistema copernicano, sospendendo temporaneamente (73 anni dopo la sua pubblicazione) la stampa del De rivolutionibus di Copernico.
Il Cardinale Barberini, il futuro Papa Urbano VIII, si era mostrato perplesso su tale provvedimento (scrisse al suo amico e filosofo domenicano Tommaso Campanella, entrambi simpatizzanti per Galileo: “la causa di Copernico la Santa Chiesa non l’aveva dannata per heretica, ma solo per temeraria … non fu mai nostra intenzione, e se fosse toccato a noi non si sarebbe fatto quel decreto”). Insieme al Cardinale Bonifacio Caetani si adoperò presso Paolo V perché la dottrina copernicana non fosse dichiarata “contraria alla fede” ed entrambi addussero buone ragioni per impedire un provvedimento più grave (forse una condanna per eresia).
E’ però significativo che in tale Decreto non ci fosse alcun riferimento a Galileo Galilei o a qualche sua pubblicazione. Questa delicatezza nei confronti di Galileo fu confermata sei giorni dopo (l’11 marzo), quando Galileo fu ricevuto in udienza privata dal Papa Paolo V.
Disse lo stesso Galilei: “Ragionai con Sua Santità per tre quarti d’ora con benignissima udienza … Gli raccontai la malignità de’ miei oppositori … mi consolò col dirmi che io avessi con l’animo riposato, perché restavo in tal concetto appresso a Sua Santità e tutta la Congregazione, che non si darebbe leggiermente orecchio ai calunniatori, e che vivente Lui io potevo esser sicuro; e avanti che io partissi, molte volte mi replicò d’esser molto ben disposto a mostrarmi anco con effetti in tutte le occasioni la sua buona inclinazione a favorirmi”.
Poco tempo dopo, il 26.05.1616, il Cardinale Bellarmino redisse però a nome del Sant’Uffizio una Ammonizione secondo la quale Galileo doveva promettere, non di cessare i propri studi o di abiurare dalle proprie convinzioni scientifiche al riguardo, ma solo di togliere tutti i riferimenti alla Bibbia che egli portava nei suoi scritti a conforto della teoria copernicana, facendo sconfinare la scienza nella teologia, peraltro su una questione di cui non c’era alcuna dimostrazione.
Si potrebbe dire che Galileo se la sia cercata, insistendo che la Chiesa intervenisse a favore della teoria copernicana, con tanto di base biblica e teologica. Il Cardinale Bellarmino ottenne questa formula di blanda Ammonizione, peraltro non diretta apertamente e personalmente a Galileo, ma solo ad alcune sue enunciazioni apodittiche. Purtroppo nella pratica si infilò un’ingiunzione, cioè una “promessa formale” (preparata preventivamente all’udienza da parte del Seghizzi e senza che fosse firmata né dall’autorità costituita né da Galileo), che risultò però decisiva nel Processo del 1633, come prova della disobbedienza di Galileo.
Essendosi però sparse subito false dicerie, da parte dei suoi avversari, sulla presunta ritrattazione di Galileo, il Cardinale Bellarmino gli rilasciò il giorno stesso una Dichiarazione o Attestato, in cui tra l’altro afferma:
“Noi, Roberto Allarmino … diciamo che il suddetto signor Galileo non ha abiurato in mano nostra né di altri qua a Roma, né meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione o dottrina, né manco ha ricevuto penitentie salutari né d’altra sorte, ma solo gli è stata denunziata la dichiarazione fatta da N.so Sig.re (il Papa) et pubblicata dalla Sacra Congregazione dell’Indice, nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico sia contraria alle Sacre Scritture et però non si possa difendere né tenere”.
Il Papa stesso, che di nuovo ricevette privatamente Galileo e tenne con lui un lungo colloquio, lo sollecitò a non insegnare più in università la teoria copernicana come certezza; e Galileo promise di obbedire.
Invece non mantenne la promessa, fatta al Sant’Uffizio e al Papa in persona, ed anche nella nuova edizione bolognese delle Lettere copernicane mantenne le stesse citazioni bibliche. Il che aggravò la sua situazione, perché al di là delle questioni scientifiche già scivolate erroneamente a livello teologico, si aggiunsero anche le questioni disciplinari, che porteranno pian piano al Processo.
Data la notorietà ormai raggiunta da Galileo, tale disobbedienza non poteva passare inosservata e generava quindi anche scandalo negli stessi ambienti ecclesiastici romani.
Cambiò anche il rapporto con gli astronomi gesuiti romani. Quando nel 1618 comparirono in cielo tre comete, Galileo polemizzò aspramente col gesuita Orazio Grassi, che in quelle strane orbite vedeva ancora una conferma della visione aristotelica, ma proprio Galileo commise l’incredibile errore di considerare quelle comete dei semplici effetti ottici. Tale contrasto col Grassi entrerà addirittura nel suo celebre testo Il Saggiatore, pubblicato a Firenze nel 1623.
Galileo, col suo pessimo e polemico carattere, chiamò Grassi “serpe lacerata, scorpione, balordissimo, solennissima bestia”. E pensare che, oltre ad essere sulla questione assai più vicino alla verità che Galileo, Orazio Grassi, oltre ad essere un grande matematico, fu tra i massimi architetti del suo tempo e proprio a lui si deve il disegno della grandiosa e stupenda chiesa di S. Ignazio in Roma.
Proprio il 6.08.1623 venne eletto Papa, col nome di UrbanoVIII, il Cardinal Maffeo Barberini, noto per la sua intelligenza e apertura alle arti e alla scienza, astronomo egli stesso, e perfino amico e difensore di Galileo Galilei.
Al nuovo Papa Galileo dedicò infatti Il Saggiatore, pubblicato appunto a Firenze nello stesso anno e dove espone di nuovo le proprie teorie astronomiche. Il nuovo Papa rispose di aver gradito quella dedica e di aver letto con interesse quel testo. Pare che il Papa si fosse persino dilettato a porre in versi l’elogio di Galilei per le sue scoperte.
L’anno seguente (1624) Galileo si recò in udienza privata dal Papa e gli domandò la revoca della Ammonizione del 1616. Urbano VIII lo ricevette calorosamente, con onori e doni, e gli concesse perfino il permesso di tornare a insegnare il sistema copernicano, purché fosse esposto come ipotesi e soprattutto evitando commistioni teologiche.
Incoraggiato da questo rapporto di stima da parte del nuovo Pontefice, nel 1624 iniziò a scrivere il famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi (il titolo completo suona così: Dialogo di Galileo Galilei, dove nei congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano, proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e naturali tanto per l’una quanto per l’altra parte), che venne completato addirittura nel 1630. Cosa inusuale a quel tempo, Galileo scrisse l’opera in lingua volgare, con lo scopo di renderla subito accessibile e nota ad un più vasto pubblico, perfino popolare (col pericolo però di confondere i semplici). La questione dei due “sistemi” (parola già molto elevata e di vaste proporzioni) – tolemaico geocentrico e copernicano eliocentrico – veniva dunque presentata nell’opera sottoforma di “dialogo”: all’inizio sembra porsi in modo equilibrato e imparziale (secondo le indicazioni dell’Ammonizione del 1616), ma poi riemerge il tono sprezzante e polemico di Galilei, nascosto anche sotto i nomi dei due immaginari dialoganti (l’aristotelico geocentrico si chiama Simplicio e il copernicano eliocentrico si chiama invece Salviati; il nome del mediatore è invece Sagredo).
Pare che fu proprio su un consiglio di Urbano VIII che Galileo abbandonò l’originario titolo pensato (Dialogo su flusso e reflusso, peraltro appunto un errato argomento portato da Galileo a favore del sistema eliocentrico) in favore di Dialogo.
Nel 1630, ultimato il lavoro, Galileo si recò a Roma per chiederne l’<Imprimatur> alla Santa Sede, sicuro di ottenerlo. Era però in corso a Roma un’epidemia di colera; per cui la revisione e la stampa del testo furono demandate a Firenze. Disgraziatamente già coi Revisori sorsero malintesi proprio sulla questione se la teoria copernicana vi dovesse essere presentata come ipotesi o come certezza, cosa appunto di fondamentale importanza per tutta la questione. L’opera ricevette comunque l’approvazione ecclesiastica da Roma – pare però che fu estorta con ambigui sotterfugi – ed era pronta per la stampa agli inizi del 1632, presso il tipografo Landini di Firenze. Improvvisamente, il 21.02.1632, giunse l’ordine del Papa di sospendere la stampa.
Simpatizzava per il Dialogo ed era amico di Galileo lo stesso segretario particolare del Papa Urbano VIII, mons. G. Ciampaoli, a tal punto che fu accusato, insieme al padre Riccardi, di aver aggirato Urbano VIII e fu allontanato.
Cos’era successo? Il Papa credette di essere stato ingannato circa la revisione del manoscritto e l’ottenimento dell’Imprimatur: fatto ulteriormente esaminare il testo, vide infatti che la mobilità della Terra e la stabilità del Sole non veniva presentata come ipotesi ma “asserita assolutamente”. Inoltre sulla bocca dello sciocco Simplicio del Dialogo (la posizione geocentrica) Galileo metteva ironicamente espressioni dello stesso Pontefice. Urbano VIII, che peraltro ha ben più gravi problemi internazionali, sociali ed ecclesiali, di cui occuparsi in quel periodo, ne fu irritato e si sentì tradito non solo nell’amicizia dimostrata a Galileo ma anche nelle promesse da Galileo stesso proferite.
La questione divenne quindi “disciplinare”: Galileo stava ingannando e non si era attenuto a quanto ufficialmente promesso in occasione dell’Ammonizione del 1616.
Ricordiamo però che non fu chiaro neppure come tale Promessa formale fosse stata siglata. Tra l’altro sia il Seghizzi che l’avrebbe stesa e il cardinal Bellarmino che l’avrebbe ricevuta (nel 1616) erano nel 1632 già entrambi deceduti e quindi non potevano renderne testimonianza.
Nella seduta del 23.09.1632, alla presenza del Papa, il Sant’Uffizio decide di aprire un’istruttoria sul testo del Dialogo sopra i massimi sistemi e di notificare a Galileo di comparire a Roma dinanzi al Commissario Generale del Sant’Uffizio. Galileo non si presenta alla data stabilita, inviando un certificato medico che lo dichiarava depresso, debole di stomaco e con vertigini. Il Sant’Uffizio accetta di rimandare l’incontro di un anno, con “tutto comodo del Galilei”. Una commissione (l’Inquisizione) doveva intanto studiare 8 passi del Dialogo in cui Galileo insinua questioni teologiche all’interno di quelle astronomiche. Galileo giunse a Roma il 13.02.1633.
In attesa del “processo”, che iniziò il 12 aprile, e mentre si tennero all’insegna della cordialità e del mutuo rispetto i primi colloqui con gli Ufficiali del S. Uffizio, Galileo alloggiò, su indicazione dello stesso Granduca di Toscana e col permesso del Papa, nella splendida Villa Medici (al Pincio), sede appunto dell’Ambasciata del Granducato.
5.3 – Il “Processo” del 1633
Cosa è stato veramente questo Processo, su cui dopo due secoli si è creato un mito che tuttora è assunto come simbolo della presunta opposizione tra scienza e fede e dell’oscurantismo della Chiesa Cattolica?
Il Processo vero e proprio si svolse dal 12 aprile al 22 giugno del 1633.
Gli Atti di tale Processo, conservati appunto nell’Archivio storico del S. Uffizio, sono consultabili dagli studiosi di tutto il mondo. Come abbiamo ricordato all’inizio, nel 1979 il Papa Giovanni Paolo II li ha resi disponibili, promuovendo e incoraggiando lo studio di quei documenti, così da far piena luce su quanto allora effettivamente accaduto; ma anche quando, nel 1992, sono state presentate le conclusioni di quegli studi, i mezzi di comunicazione hanno presentato la cosa come se la Chiesa anche in questo caso, e con un ritardo di 4 secoli!, avesse chiesto perdono degli errori commessi.
Anzitutto, durante il Processo, venne riservato a Galileo Galilei un trattamento del tutto speciale, a cominciare dalla possibilità di abitare in un appartamento di 5 stanze (con vista sui giardini vaticani) messogli gratuitamente a disposizione dal Sant’Uffizio, con ottimi pasti ed un cameriere personale sempre a propria disposizione.
“Il Padre Commissario del S. Uffizio ricevette (il 12 aprile) Galileo Galilei con dimostrazioni amorevoli e li fece assegnare non le camere o secrete solite a darsi ai delinquenti, ma le proprie del Fiscale di quel Tribunale; in modo che non solo egli abita tra i ministri, ma rimane aperto et libero di poter andar sin nel cortile di quella casa; anzi permettono al suo servitore di servirlo, che gli portino le vivande in camera e che possa abitare in tal appartamento” (dagli Atti del Processo a Galilei). Di regola invece gli indagati erano tenuti in arresto a Castel S. Angelo o nelle prigioni del S. Uffizio, per tutto il tempo del Processo.
Di fatto però dopo pochi giorni chiese ed ottenne di continuare ad abitare, anche durante il processo, a Villa Medici.
La Commissione (dell’Inquisizione), composta da tre teologi (Oreggi, Inchofer, Pasqualigo) e che aveva esaminato il Dialogo sopra i due massimi sistemi, non si era occupata della controversia scientifica, perché doveva rimanere nell’ambito disciplinare (Galileo si era attenuto a presentare il sistema copernicano come ipotesi? Aveva evitato di entrare in questioni bibliche e teologiche?).
Per sé, dunque, il Processo si disinteressò del problema scientifico in quanto tale.
I Consultori del Sant’Uffizio svolsero con Galileo un sereno confronto, specie sulle implicanze teologiche portate da Galileo a sostegno della teoria copernicana.
Ora, benché nella prefazione al Dialogo sopra i due massimi sistemi Galilei parlasse ancora di “ipotesi” copernicana, di fatto però nel testo non solo la asserisce in modo assoluto, ma, secondo il suo solito stile polemico, non esita a chiamare “imbecilli con la testa nelle nuvole, la cui stupidità macchia l’onore del genere umano”, coloro che potevano dubitare della teoria copernicana (oltre all’ironia sul tolemaico Simplicio, in cui poteva velarsi un riferimento al Papa stesso).
Poiché la prassi dei Processi era che l’inquisito dovesse rispondere a dei quesiti, anche in questo caso Galileo doveva rispondere a 3 quesiti; e precisamente:
1) se avesse insegnato la dottrina condannata nel 1616 col Decreto del S. Uffizio (copernicana) e secondo la promessa fatta al Bellarmino;
2) se realmente aderisse a quella dottrina;
3) se riconosceva di aver ricevuto nel 1616 un precetto personale del S. Uffizio e se ne aveva informato i revisori del libro.
5.3.1 – La discussione e la difesa
Purtroppo, di fronte ai suoi cordiali interlocutori Galilei si mostrò polemico fino all’insulto, volendo a tutti i costi mostrare come certo ciò che ancora non lo era ed egli stesso non sapeva dimostrare.
Delle tre prove esposte a favore della allora presunta certezza del sistema eliocentrico, nessuna a rigore dimostrava qualcosa di valido così da escludere la tesi opposta come errata: le prime due (anomalie dei moti dei pianeti e le macchie solari) erano di indole matematica ma lasciavano la teoria copernicana ancora discutibile; la terza (le maree), l’unica di natura fisica, era priva di fondamento, anzi decisamente falsa.
Venne benevolmente invitato a non essere così irruente e apodittico.
Quando portò la questione delle maree come prova del sistema copernicano, in quanto secondo lui erano dovute allo scuotimento della rotazione terrestre, si mostra sprezzante anche nei confronti di quegli astronomi gesuiti – che pur gli avevano sempre riservato calorose ed entusiaste accoglienze – che invece sostenevano (peraltro correttamente, come dimostrerà Newton nel 1687) che le maree fossero causate dalla luna (nel Dialogo definiva questa idea come “puerile”), come sospettava anche Keplero. Del resto non aveva esitato anche a chiamare “fanciullaggine” la scoperta delle orbite ellittiche compiuta da Keplero, ostinandosi a pensarle come circolari.
Confesserà poi egli stesso di aver agito “per vana gloria, ambizione, ignoranza et inavvertenza”.
Ecco ad esempio un interessante passaggio del Processo – in cui tra l’altro si può notare come le domande non fossero affatto intimidatorie ma autentiche richieste di spiegazione – quando intervenne direttamente lo stesso Papa Urbano VIII (diremmo più come astronomo che come Capo supremo della Chiesa), con la seguente domanda: “Se la Terra gira attorno al Sole, come fa a non perdersi la Luna, che le rimane sempre agganciata?”. Galileo, che ovviamente non conosce la gravitazione universale, risponde semplicemente dicendo che “la Luna è legata naturalmente alla Terra”. Anche di fronte alla domanda “Se la terra si muove così velocemente, perché non ce ne accorgiamo, perché l’aria sta ferma?” Galileo non può dare ancora risposta (che è nel principio di relatività).
5.3.2 – La sentenza
A quali conclusioni arriva dunque il Sant’Uffizio, dopo aver ascoltato per più di due mesi Galileo?
Ricordiamo di nuovo che non si trattava di giungere a delle conclusioni sulla verità o meno della teoria copernicana, ma di stabilire se Galileo si fosse attenuto alle indicazioni date e su cui si era impegnato.
Il 21 giugno il Processo termina con la condanna, in quanto appunto Galileo risulta aver trasgredito all’ordine del Decreto del 1616 di parlare del sistema copernicano in termini di sola ipotesi, e di non essersi attenuto a quanto promesso con la relativa Ammonizione.
Dal punto di vista della controversia copernicana, non risultò dunque niente di nuovo rispetto al 1616; ma semplicemente che Galileo non aveva obbedito al divieto ricevuto, con l’aggravante che aveva carpito l’imprimatur del Dialogo in modo non chiaro e compromettendo perfino alti prelati della Curia Romana.
Tale sentenza e relativa condanna non fu dunque per sé di carattere scientifico, non negando la possibilità che fosse vera l’ipotesi copernicana (peraltro insegnata sia prima che poi anche negli ambienti ecclesiastici accademici e scientifici) né poneva assolutamente limiti alla ricerca in questo senso, ma semmai si affermava giustamente che dal punto di vista scientifico era ancora solo un’ipotesi (e tale resterà infatti fino 1851).
E’ inoltre da rimarcare come invece le vere scoperte di Galileo, che sono più nel campo della meccanica che dell’astronomia, non furono mai contraddette ma anzi elogiate dalla Chiesa.
Nulla dunque di quella presunta ottusa opposizione alla scienza inventata dal mito su Galilei.
Abbiamo poi già evidenziato come l’Inquisizione del Sant’Uffizio, con grande delicatezza umana e cristiana, non toccò mai minimamente le torbide questioni morali della vita privata di Galileo (l’unione illegittima con una donna, poi abbandonata, ed i 3 figli illegittimi avuti da lei e anch’essi abbandonati), cosa che in altre sedi (come quelle protestanti) avrebbero invece avuto tragiche conseguenze.
Per sé dunque quel Processo non era particolarmente rilevante e verteva su una questione disciplinare, senza compromettere la discussione sulla teoria copernicana. Nulla dunque di ciò che invece dopo due secoli è stato artificialmente gonfiato in polemica anticlericale, così da crearne il mito e farne il paradigma della presunta opposizione della Chiesa alla scienza nascente.
Il giorno dopo (22.06.1633), nella grande sala del Convento dei Domenicani presso S. Maria sopra Minerva (Roma), il processo formalmente si concluse, alla presenza di dieci Cardinali-giudici della Inquisizione. Di questi 10 Cardinali, peraltro solo 7 votarono per la “condanna” di Galilei; e tra i tre Cardinali contrari e dunque favorevoli all’assoluzione di Galilei (Borgia, Barberini e Zacchia) ci fu nientemeno che il nipote del Papa (Cardinale Francesco Barberini).
Collaboratore del cardinale Francesco Barberini era Lukas Holstenius, che diverrà Prefetto della Biblioteca Vaticana, e che chiamerà Galileo “divin uomo”!
Venne quindi letta la Sentenza, in cui si stabiliva che:
1) sia proibito il libro dei Dialoghi di Galileo Galilei;
2) egli sia condannato al carcere formale (ad arbitrio del S. Uffizio);
3) per 3 anni, una volta a settimana, reciti i 7 salmi penitenziali.
Il S. Uffizio si riserva di moderare, mutare o levare le suddette pene e penitenze.
Seguono le firme dei 7 dei 10 Cardinali che l’hanno approvata.
La Sentenza proibiva dunque la stampa del Dialogo sopra i due massimi sistemi e richiedeva al Galilei di abiurare dalle proprie posizioni “teologiche” a favore della teoria copernicana (altrimenti poteva essere imputato di eresia, il che sarebbe stato assai più grave).
Galileo Galilei ascoltò la sentenza e pronunciò in ginocchio la formula di abiura già preparata, in cui si riconosce “colpevole di aver sostenuto la falsa opinione dell’eliocentrismo come dottrina rispondente a verità” e promette obbedienza alla Chiesa. Galileo accettò di abiurare, perché (sono sue spontanee parole) “tutto accettava purché non lo si obbligasse a dire di non essere cattolico, perché tale era e voleva morire, a onta e dispetto de’ suoi malevoli (avversari)”.
Negli Atti del processo non c’è alcuna traccia di quel celebre suo sconfortato “eppur si muove”, riferito alla Terra, che Galileo, pur costretto ad abiurare dalle sue certezze scientifiche, avrebbe pronunciato in quel frangente e che invece fa parte del mito di Galileo ancor oggi divulgato e creduto. Tale frase, intrisa di sarcasmo anticlericale, fu infatti espressamente inventata dalla polemica anticattolica dopo oltre un secolo: fu infatti inventata e lanciata a Londra nel 1757 dal pubblicista italiano Giuseppe Baretti.
Nel processo non vi fu inoltre la minima traccia di violenza, né fisica né psicologica (come invece molti credono, facendo parte anche questo del “mito” Galileo).
L’ipotesi di una “tortura”, cosa peraltro rarissima da parte dell’Inquisizione romana, oltre a non esser stata posta, sarebbe stata comunque puramente formale, visto che agli infermi e agli ultrasessantenni non veniva comunque inflitta anche se comminata (e Galileo era ormai quasi settantenne e soffriva anche di problemi alla vista).
Pare che Galilei, udita la sentenza, abbia mormorato un ringraziamento ai 10 cardinali per la mitezza della pena, essendo consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il Tribunale, composto anche da astronomi con una competenza in certi casi non inferiore alla sua.
In effetti, Galileo ad esempio nelle zone protestanti avrebbe avuto ben altra sorte!
Di fatto potremmo dire che, specialmente a causa delle menzogne e del mito creato su di essa dalla cultura anticattolica ottocentesca, quella Sentenza fu storicamente assai più dannosa per la Chiesa che per Galileo.
5.3.3 – Entriamo un poco nei particolari della “condanna”
1) La proibizione di stampare il libro dei Dialoghi era di fatto temporanea, essendo stata aggiunta anche in questo caso l’espressione donec corrigatur (cioè fino a quando non fosse corretta).
La correzione richiesta ai Dialoghi, come condizione per essere stampati, era ancora quella di presentare come ipotesi quella che di fatto scientificamente era ancora tale (cioè l’eliocentrismo).
In pratica poi tale proibizione fu assai blanda, visto ad esempio che nel 1639 (quindi solo 6 anni dopo) il padre Marin Mersenne, dell’Ordine dei Minimi, pubblica in francese senza alcun impedimento ecclesiastico un riassunto del Dialogo.
Potremmo di nuovo osservare che di fatto ciò corrispondeva proprio allo spirito della nuova scienza “sperimentale” galileiana, secondo cui infatti un’ipotesi può essere considerata una teoria certa quando se ne porta la prova con un esperimento (e finché un esperimento non dimostri il contrario).
Inoltre tale proibizione di stampa dell’opera non impediva assolutamente di proseguire gli studi affinché si giungesse appunto a trovare tale auspicata prova o di parlare dell’ipotesi copernicana.
Solo qualche anno dopo (il Processo a Galilei) perfino il grande Inquisitore spagnolo fondò nella celebre università ecclesiale di Salamanca la Facoltà di Scienze Naturali e vi si insegnò subito la teoria copernicana.
2) La condanna al “carcere formale” (ad arbitrio del S. Uffizio) voleva dire una sorta di “domicilio coatto”. Potrebbe sembrare una condanna forte, ma in realtà fu appunto formale, data anche l’età di Galileo (quasi settantenne e ormai quasi cieco).
Dunque per Galileo non ci fu, né durante il processo né dopo, neppure un solo giorno in prigione, né fu sottoposto a violenza alcuna, come invece viene propagandato dal “mito”.
Di fatto tale “pena” si tradusse in questi termini. Dopo i primi giorni in cui Galileo continuò ad abitare in Roma nella splendida Villa Medici del Granduca di Toscana, gli fu concesso di trasferirsi nella sua Toscana, a Siena, dove da luglio a settembre di quell’anno (1633) fu ospite nientemeno che dell’arcivescovo della città, Ascanio Piccolomini, suo amico.
Tale arcivescovo voleva infatti così bene a Galileo che non solo lo ospitò appunto per alcuni mesi in casa propria, ma lo sostenne anche in seguito. Galileo infatti dedicò a lui le sue opere successive. Così scrive lo stesso Galileo al padre Olivetano Vincenzo Ranieri: “Abitazione del mio più caro amico che avessi in Siena, monsignor arcivescovo Piccolomini, della cui gentilissima conversazione io godetti con tanta quiete e soddisfazione dell’animo mio che quivi ripigliai i miei studi, trovai e dimostrai gran parte delle conclusioni meccaniche sopra la resistenza dei solidi con altre speculazioni; e dopo circa cinque mesi, cessata la pestilenza nella mia patria, verso il principio di dicembre di quest’anno 1633, da sua santità mi stata permutata la strettezza di quella casa, nella libertà della campagna, da me tanto gradita, onde me ne tornai alla villa di Bellosguardo e dopo in Arcetri, dove tutt’ora mi trovo a respirare quest’aria salubre, vicino alla mia cara patria Firenze”.
A fine anno tornò quindi a Firenze, prima nella villa di Bellosguardo e poi nella sua villa Il Gioiello di Arcetri, presso Firenze, proprio accanto al convento delle Clarisse, dov’era la figlia Suor Maria Celeste, che l’assistette negli ultimi anni della sua vita (essendole eccezionalmente permesso di uscire dalla clausura, pur restando suora clarissa). Qui ritrovò anche il figlio Vincenzo Andrea, abbandonato a Padova 25 anni prima. In questa dimora, peraltro assai bella, dove Galileo visse gli ultimi otto anni della sua vita, poteva ricevere visite e trattare con tutti; non gli fu mai impedito di continuare le sue ricerche e di avere contatti con i suoi allievi e con altri scienziati e pensatori (tra cui vescovi, monaci e frati).
3) Perfino il dolce obbligo – ricordiamo che Galileo era comunque un uomo di sincera fede cristiana cattolica – di recitare ogni giorno, per 3 anni, un salmo penitenziale (ad esempio il salmo 50), giungendo così ai 7 salmi penitenziali da recitarsi settimanalmente, fu una “pena” poi mitigata, dandogli il permesso che lo facesse al suo posto la figlia Suor Maria Celeste (che come suora ovviamente già lo faceva). Galileo volle invece farlo personalmente; anzi, anche passati i tre anni prescritti, continuò spontaneamente a farlo.
Nulla dunque dell’immaginario collettivo anticlericale, divulgato ancora nel nostro tempo (e creduto persino dai cattolici!), che crede addirittura a interrogatori con violenze psicologiche, fisiche e addirittura torture! Né di ottusa opposizione alla scienza ed al libero pensiero.
Ricordiamo che, secondo una recente inchiesta fatta tra gli universitari europei (proprio della facoltà scientifiche), il 97% si è detto convinto che Galileo sia stato torturato dall’Inquisizione della Chiesa e il 30% che sia stato addirittura messo al rogo; altri, più preparati sull’argomento!, ritengono “sicuramente storica” la frase di Galileo “eppur si muove!”
Anche dopo il processo, quindi negli ultimi otto anni della sua vita, Galileo continuò ad essere un uomo di sincera fede cattolica e mai si trovò sulle sue labbra o nei suoi scritti qualcosa che potesse far pensare ad un rancore per quel processo subito (rancore invece diventato parossistico nella polemica anticattolica di due secoli dopo, e tuttora persistente).
Scrisse: “In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa”.
Nel 1637 era già ammalato e completamente cieco. Nel 1638 venne pubblicato il capolavoro della scienza di Galilei (sulla struttura meccanica della materia e sul vuoto), intitolato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed ai movimenti locali, con un’appendice del centro di gravità di alcuni solidi, in cui manifesta la sua vera vocazione di fisico-matematico. Nel 1640 vennero pubblicati i testi con le sue ultime Operazioni astronomiche.
Il giorno 8.01.1642 (all’età di 78 anni), nella sua villa di Arcetri, Galileo Galilei terminò la sua vita terrena, con una morte davvero cristiana: ricevette infatti i Sacramenti [Confessione, Viatico (ultima Comunione) e Unzione degli Infermi] ed ebbe il conforto non solo dell’indulgenza plenaria ma di una speciale Benedizione Papale. La figlia Suor Maria Celeste attestò che spirò pronunciando il nome di Gesù.
Venne sepolto nella celebre chiesa di Santa Croce a Firenze, dove ancor oggi riposa.
Come attesta la documentazione storica, Galileo Galilei fu sepolto in chiesa (e non nel campanile del noviziato, come talora è stato detto). “Per lo scandalo che poteva derivare ai buoni”, il Papa negò l’autorizzazione di erigergli un monumento funebre; quando, molto più tardi, il S. Uffizio lo concesse, ci si preoccupò che l’epitaffio non contenesse nulla che potesse riaccendere la vecchia controversia. Nel 1734 Il Sant’Uffizio, riabilitandone la memoria, autorizzò che sempre in Santa Croce si elevasse un mausoleo in suo onore. Quando il 12.03.1737 la sua salma venne riesumata per la sua definitiva sistemazione, se ne prelevò addirittura un dito (conservato in una sorta di laico reliquiario).
5.4 – Ultime considerazioni
La teoria copernicana, cioè il sistema planetario “eliocentrico” ripresentato nel XVI secolo dall’astronomo (sacerdote) polacco Nicolò Copernico, non fu mai avversata dalla Chiesa Cattolica, ma anzi la maggioranza degli astronomi cattolici (prima e dopo Galileo) ne era convinta e tale teoria veniva liberamente insegnata negli ambienti accademici cattolici (non così in quelli protestanti).
Non solo nel XVI e XVII secolo ma fino alla metà del XIX secolo essa rimaneva scientificamente ancora una “ipotesi”, non essendoci fino al 1851 (Foucault) una prova sperimentale che la dimostrasse.
Per cui anche l’altra ipotesi (tolemaica, cioè geocentrica) poteva essere ancora riconosciuta come possibile. Essa era tra l’altro quella tradizionale, che poteva sembrare più immediata e perfino più consona ai testi biblici.
Galileo commise assai presto l’errore di considerare l’ipotesi copernicana come sicura e scientificamente provata, con gran disprezzo degli avversari, quando non solo appunto ancora non la era, ma le sue presunte prove risultano errate e perfino ingenue (come quella delle maree).
L’errore di alcuni, sia propensi all’una coma all’altra ipotesi, fu poi spesso quello di cercare a proprio favore appigli biblici, così tra trascinare ingenuamente la questione dal campo scientifico a quello filosofico e teologico.
Galileo stesso cadde in questo errore. E proprio questo provocò il Processo, con l’aggiunta di non attenersi a quanto ufficialmente promesso in proposito (appunto di non dare per certo ciò che certo scientificamente ancora non era, né tanto meno di trovarvi conferme bibliche).
Già la (provvisoria) messa all’Indice, nel 1616, del testo De revolutionibus di Copernico era sorta per evitare di trasformare la discussione da scientifica a teologica, in un frangente peraltro divenuto in questo senso (cioè sull’interpretazione della Bibbia) incandescente con la Riforma protestante del XVI secolo.
Quando proprio il Cardinale Bellarmino, pur sapendo che l’interpretazione letterale della Sacra Scrittura poteva far protendere verso la visione tolemaica, aveva in modo sorprendente affermato che, qualora la teoria copernicana fosse stata dimostrata, si sarebbero potuti interpretare certi passi della Bibbia in senso metaforico, suscitò ancor più le ira dei protestanti, che rimanevano strenuamente legati all’interpretazione letterale della Bibbia e consideravano questa possibilità cattolica di un’interpretazione metaforica una perversione dell’autentica fede.
La stessa questione dell’interpretazione letterale, che rende impossibile qualsiasi apertura e dialogo, è invece obbligatoria per il Corano, da parte dei musulmani, essendo considerato dettato alla lettera a Maometto da Allah.
Paradossalmente potremmo concludere che, al di là di certi metodi disciplinari da parte della Chiesa del tempo (che si comprendono adeguatamente solo mettendosi nel contesto culturale e sociale del tempo) e certe ingenuità ed esagerazioni anche da parte di alcuni studiosi e giudici del Sant’Uffizio, la posizione della Chiesa fosse giusta perfino sul campo scientifico (in scienza non si dà per certo ciò che non è ancora provato e si da poi per certo fino a prova contraria), e la condanna del Dialogo fosse corretta. Galileo diceva di fatto il vero, ma non ne aveva ancora le prove.
Come lui stesso affermava, nella ricerca scientifica non basta aver ragione: bisogna dimostrarla, renderla di pubblico dominio con argomenti oggettivamente e universalmente validi (esperimenti). Proprio ciò che Galileo finché visse non fu in grado di fornire (ma tutte le prove che arrecava in favore del suo sistema erano false o inverificabili).
Quello che Galileo era riuscito infatti a compiere con successo in altri campi scientifici, cioè dimostrare l’esattezza della scoperta di una legge mediante esperimenti (e su questo ricevette sempre il plauso e l’incoraggiamento della Chiesa) non fu in grado di farlo a riguardo del sistema copernicano (non era una colpa; semmai poteva essere una colpa la presunzione di averlo fatto, mentre non era vero, o il disprezzo dei suoi avversari).
Quando anche del sistema copernicano giungeranno molto tempo dopo le prove, non solo gli astronomi cattolici ma lo stesso Sant’Uffizio non esitarono un istante a riconoscere e promuovere con sicurezza la teoria eliocentrica copernicana.
Dobbiamo poi sfuggire ad un altro pericoloso equivoco (pericoloso per la fede), che spesso la polemica anticattolica inserisce maliziosamente anche nel “caso Galileo”: cioè quello secondo cui la Chiesa si sarebbe palesemente sbagliata, contrariamente alla presunta infallibilità del Papa!
Dobbiamo anzitutto ricordare che l’infallibilità pontificia riguarda solo solenni affermazioni di fede e di morale (ed è un dono dello Spirito secondo cui l’amore del Padre non permette che possiamo essere tratti in inganno quando Pietro e i suoi successori insegnano l’autentica parola di Cristo – cfr. Mt 16,18-19 – e quindi come garanzia per la nostra salvezza). Quindi non essendoci nel Processo a Galilei alcuna accusa di eresia (cioè una falsificazione dell’autentica fede cattolica), ma solo una questione scientifica, anzi disciplinare, l’infallibilità papale non è implicata e neppure la Chiesa in quanto tale. Inoltre qui il Papa non figura proprio, se non come capo supremo del Sant’Uffizio o addirittura come astronomo egli stesso. Infine, se dal punto di vista di questi tipi di interventi disciplinari della Chiesa su certi campi scientifici oggi potremmo sollevare qualche perplessità, dal punto di vista perfino del contenuto e del metodo scientifico potremmo paradossalmente affermare che il Sant’Uffizio ebbe più ragione che Galilei, in quanto effettivamente non c’era allora alcuna prova scientifica che potesse offrire la certezza della validità della teoria copernicana. Che poi Galileo usasse citazioni bibliche per comprovare la sua tesi, se si capisce nell’ottica del tempo, di fatto contraddice sia l’autentico metodo scientifico che la genuina esegesi dei testi biblici.
Infine, il Processo a Galilei del 1633 – attorno al quale s’è creata appunto tanta enfasi e si sono costruite anche tante falsità – di fatto non influì minimamente sulla discussione scientifica internazionale, visto che anche dopo gli studiosi copernicani e quelli tolemaici rimasero sostanzialmente sulle proprie posizioni. Anzi, si può perfino notare che la maggior parte dei dotti del tempo propendevano maggiormente per l’ipotesi tolemaica.
Erano contrari all’ipotesi copernicana:
l’università e il collegio inglesi di Douai; Bacone critica la teoria delle maree; Cartesio scrive che apprezza di Galileo il metodo, ma quella copernicana è ancora solo un’ipotesi; Pascal, 5 anni dopo la morte di Galileo, si mostra ancora scettico; Gassendi scrive che è ancora solo un’ipotesi; dopo oltre un secolo il grande astronomo e matematico francese Pierre Simon de Laplace si mostrò apertamente contrario al sistema copernicano; e perfino due secoli e mezzo dopo Galileo un grande matematico come Jules Henri Pincaré riteneva quella copernicana una semplice congettura.
Erano invece favorevoli all’ipotesi copernicana:
– praticamente tutti i Papa del tempo: Papi Leone X (1513-1521), Clemente VII (1523-1534), Paolo III (1534-1549), Giulio III (1550-1555), Marcello II (1555), Paolo IV (1555-1559), Pio IV (1559-1565), S. Pio V (1566-1572), Gregorio XIII (1572-1585, il Papa della riforma del Calendario), Sisto V (1585-1590), Urbano VII (1590), Gregorio XIV (1590-1591), Innocenzo IX (1591), Clemente VIII (1592-1605), Leone XI (1605); Paolo V (1605-1621, astronomo; nonostante il Decreto del 1616), Urbano VIII (1623-1644; anch’egli astronomo; proprio il Papa del Processo a Galilei).
– i Cardinali: Niccolò Schomberg (astronomo domenicano, vescovo di Capua e cardinale con Paolo III), Enrico Caetani (favorì Galileo), Guido Bentivoglio e Federico Corner (furono allievi di Galileo a Padova), Barberini (nipote del Papa), Guido Bentivoglio, C. Baronio, Bandini (conversa con Galileo di questioni scientifiche nei giardini del Quirinale), Odoardo Farnese (invitava Galileo a pranzo e volle onorarlo anche al palazzo di Caprarola), Lorenzo Maialetti e Francesco Ingoli; lo stesso Dialogo fu letto con interesse dai cardinali Capponi e Scaglia.
– negli ordini religiosi: i benedettini Benedetto Castelli e Girolamo Spinelli; il servo di Maria Paolo Sarpi; il somasco Antonio Santini; gli scolopi Arcangelo Galletti, Francesco Michelini e Ambrogio Ambrogi; S. Giuseppe Calasanzio; i domenicani Luigi Maraffi (che difese Galileo contro gli attacchi del confratello Tommaso Caccini), N. Riccardi, Vincenzo Maculano, Tommaso Campanella (1568-1639, uno dei maggiori filosofi del Rinascimento, amico di Galileo già dal 1592 a Padova; difensore contro i suoi nemici ma non ancora certo dell’ipotesi copernicana); i gesuiti (tradizionalmente legati a Galileo, come quelli del Collegio Romano) Bonaventura Cavalieri (1598-1647), Giovanni Ciompoli, Cristoforo Scheiner, Foscarini.
“Perfino alcune invenzioni di Galileo sono un mito (non sono state compiute da lui). Egli ha inoltre sbagliato in diversi campi (come sulla questione delle maree o quella delle orbite circolari). E non ha provato il sistema copernicano. Però la sua condanna ne ha fatto il martire dell’oscurantismo cattolico. Le chiese ortodosse sono rimaste a lungo anti-copernicane. I grandi riformatori protestanti si sono opposti all’eliocentrismo. Ma il caso Galileo è diventato il mezzo per accusare solo la Chiesa Cattolica” (prof. Jean-Robert Armogathe, Ordinario di Storia delle idee religiose e scientifiche nell’Europa moderna presso l’Ecole pratique des hautes études alla Sorbona di Parigi).
6) Le vere scoperte di Galileo
Si noti che nessuna vera scoperta di Galileo (nel campo della meccanica, della dinamica, dell’ottica, dell’astronomia, ecc.) fu mai criticata e tanto meno impedita dalla Chiesa, ma sempre sostenuta e incoraggiata, con particolare entusiasmo proprio negli importanti ambienti scientifici e ecclesiastici romani (come abbiamo osservato).
La questione, ingigantita a posteriori, del Processo ha fatto focalizzare l’attenzione sulla questione astronomica, e in particolare sulla teoria copernicana; ma in realtà è proprio su questo punto specifico (eliocentrismo) che non solo Galileo non ha fatto particolari scoperte, ma ha addirittura commesso grossolani errori (come sulla prova delle “maree”).
Le grandi scoperte di Galilei sono infatti altre, come la prima e la seconda legge del moto e il principio di relatività.
Il primo però che misurò l’accelerazione di un corpo in caduta libera fu il gesuita Giambattista Riccioli.
A lui si deve l’invenzione della “bilancia idrostatica”, del “termo-baroscopio” (da cui forse derivò il termometro), del “compasso geometrico e militare” e del “microscopio composto”.
Circa il cannocchiale abbiamo osservato come Galilei non fosse l’inventore (esisteva già il perspicillum inventato dall’olandese Hans Lipperheim) ma il perfezionatore, aggiungendovi delle lenti, e rendendolo quindi strumento non solo per veder lontano, ma per scrutare il cielo. Non fu però lui a coprire le “macchie solari” (tale scoperta pare risalga al padre Cristoforo Scheiner, come conferma una lapide a Ingolstadt). Così non è stato ancora lui a inventare il pendolo isocrono; e neppure il microscopio.
7) La prova della teoria copernicana
Abbiamo più volte osservato che le prove scientifiche sperimentali della rotazione terrestre e del sistema copernicano (eliocentrico) non ci sono fornite né da Copernico né da Galileo, e in senso proprio nemmeno da Newton, ma solo da Foucault nel 1851!
Nel 1687 Isaac Newton, studiando la forza di gravità, evidenziò anche le orbite dei pianeti, permettendo così una determinante chiarificazione circa il movimento di rotazione e di rivoluzione della Terra.
Isaac Newton (1642-1727), lo scopritore della forza di gravità (ogni massa attira), fu un convinto cristiano che non esitava ad esprimere pubblicamente il proprio religioso stupore per questa straordinaria legge che Dio ha posto nell’universo (appunto la forza di gravità, che oggi si sa essere una delle 4 forze fondamentali dell’universo). Affermava infatti che, proprio a motivo di questa universale interconnessione di forze gravitazionali, “è solo per un intervento divino se i pianeti non escono dalle loro orbite” e che “è la mano di Dio ad impedire che si sfasci l’elegantissima compagine del sistema solare”.
Nel 1748 l’inglese James Brade riesce a fornire un’ulteriore prova a favore del sistema copernicano studiando le “aberrazioni” stellari, cioè il loro piccolo apparente spostamento di posizione, dovuto appunto alla rotazione terrestre.
Nel 1837 Friedrich Wilhelm Bessel, scoprendo e compiendo la prima misura di “parallasse” (della stella 61 Cygni), conferma il moto di rivoluzione terrestre attorno al Sole.
E’ però finalmente nel 1851 che il francese Leon Foucault evidenzia il moto di rotazione della Terra attorno al proprio asse, mediante gli studi sul famoso “pendolo” sotto la cupola del Pantheon di Parigi e la sua traccia in progressione sulla sabbia.
Solo allora la “teoria copernicana” risultò definitivamente provata.
E’ significativo che proprio nel Collegio Romano dei Gesuiti, il padre Secchi nel 1852 eseguiva la stessa esperienza del pendolo di Foucoult.
E’ invece quasi paradossale, come abbiamo già notato, che Galileo non vi avesse mai pensato, visto che non ancora ventenne, proprio a partire dall’osservazione di un pendolo (il lampadario del duomo di Pisa che il sacrestano aveva toccato e che non smetteva di oscillare) fece la sua prima scoperta scientifica, quella appunto “le leggi del pendolo”.
8) Galileo e la Chiesa … nei secoli successivi
La sentenza del Processo del 1633, trattandosi di questione disciplinare (e finchè il testo non fosse corretto), non è ovviamente mai stata considerata definitiva, come del resto il Decreto del 1616, ritirato definitivamente nel 1664 da Alessandro VII.
Dopo una prima rivalutazione di Galileo del 1734 (col permesso del S. Uffizio di erigere in suo onore un mausoleo in S. Croce a Firenze), il Papa Clemente XII affida tra l’altro proprio ad un pronipote di Galileo, l’architetto Alessandro Galilei, la costruzione delle facciate di S. Giovanni in Laterano e S. Giovanni dei Fiorentini, in Roma.
Comunque oltre un secolo prima che ne giungesse la prova scientifica definitiva, nel 1741 il S. Uffizio non solo revoca ogni censura circa la teoria copernicana, ma concede l’Imprimatur alla prima edizione delle Opere complete di Galileo.
Qualche anno dopo (1757), Benedetto XIV – un pontefice molto amante delle scienze, così che ad esempio istituì le cattedre di chimica e fisica nella sua Università “La Sapienza (di Dio)” di Roma – fece togliere dall’Indice tutti i libri che insegnavano la rotazione terrestre.
Il processo a Galileo verrà quindi “annullato” nel 1820.
Con un Decreto della Sacra Congregazione dell’Inquisizione, approvato da Pio VII il 25.09.1822, si autorizza ufficialmente l’insegnamento della teoria copernicana (detta ormai newtoniana), anche se tale teoria, come abbiamo osservato, era sempre insegnata nelle accademie ecclesiastiche di tutta Europa, sia pur doverosamente come “ipotesi”.
Anche nell’Enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII (del 1893) possiamo scorgervi un chiarificatore riferimento, quando si sottolinea che i testi biblici non hanno una preoccupazione di spiegazione scientifica del cosmo e che la scienza non contraddice la Bibbia (“La verità non può contraddire la verità”, afferma Leone XIII).
[Circa il Papa Giovanni Paolo II e gli studi circa gli Atti del Processo a Galilei, v. all’inizio]
La Chiesa ha visto meglio di Galilei e in anticipo le gravi conseguenze di una scienza che si sarebbe sostituita alla metafisica e alla religione, con danni incalcolabili per l’umanità?
Lo sostengono addirittura scienziati e filosofi della natura, perfino comunisti!
Dalla Conferenza La vie della fede nell’attuale momento di svolta, tenuta dal Card. Joseph Ratzinger a Parma il 15.03.1990:
“C’è un cambiamento nel modo con cui viene valutato il <caso Galilei>, questo avvenimento che nel secolo XVII era ancora poco al centro dell’attenzione e che nel secolo successivo assurse addirittura a livello di mito dell’Illuminismo, per presentare Galileo come vittima dell’oscurantismo medioevale, ancora persistente nella Chiesa (da un lato l’Inquisizione come la forza della superstizione avversaria della libertà e della conoscenza, dall’altra la scienza della natura, come forza del progresso e della liberazione dell’uomo dalle catene dell’ignoranza) […] Stranamente uno dei primi ad opporsi apertamente a questo mito e ad offrire una nuova interpretazione degli eventi fu Ernest Bloch, con il suo marxismo romantico. Per lui tanto il sistema cosmologico eliocentrico quanto quello geocentrico si fondano su presupposti indimostrabili (il movimento è solo relativo) […] Il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico consiste quindi non in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma solo in una più facile disponibilità di calcolo per noi. Fin qui Bloch esprime solo una concezione moderna delle scienze naturali. è tuttavia sorprendente la valutazione che egli ne trae: <Dal momento che la relatività del movimento è fuori dubbio,un sistema di riferimento umano e cristiano non ha certamente nessun diritto di immischiarsi con i calcoli astronomici e con la loro semplificazione eliocentrica, ma tuttavia ha il suo pieno diritto metodico, in forza delle implicazioni di importanza umana, di mantenere questa terra al centro e di ordinare il mondo attorno a quanto accade in essa> […] Molto più aggressivo il filosofo scettico-agnostico P. Feyerabend: <Al tempo di Galilei la Chiesa si mantenne ben più fedele alla ragione di Galilei stesso, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre è più opportunistica l’attuale revisione> […] Due scienziati della natura e filosofi, C. F. von Weizsaecker e G. Altner, vedono addirittura una <via direttissima> che conduce da Galilei alla bomba atomica […] Di recente mi è stato chiesto addirittura <perché sul caso Galilei la Chiesa non ha preso una più chiara posizione contro le sventure, che sarebbero sorte quando Galileo aprì i vasi di Pandora>” (nel settimanale Il Sabato, 31.03.1990).
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