[News del 28/2/2023]
Quale Chiesa? False alternative
(Quarta Parte)
False (gravi) alternative
Soffermiamoci ancora su alcune questioni, già osservate, per sottolineare ulteriormente come il solo porre certe domande o alternative sia fuorviante, in quanto presuppone già un’idea falsa o almeno riduttiva della fede e della Chiesa stessa, lontana se non perfino opposta rispetto a quella che Cristo Signore ha voluto e vuole. Eppure sono domande e questioni talmente ridondanti da occupare da tempo innumerevoli discussioni, incontri, assemblee, sinodi …
Missione o dialogo?
C’è un solo Dio: la Santissima Trinità
Dio, per definizione stessa, non può che essere uno (in Sé) e unico (non ce ne sono altri)!
Già la ragione coglie che l’Essere perfettissimo, l’Assoluto, la Causa prima di tutte le cose non può che essere uno e trascendente. Due o più Dèi sarebbero una contraddizione in termini (uno non avrebbe qualcosa di un altro, altrimenti non si distinguerebbero neppure, e quindi non sarebbe l’Essere prefetto cioè Dio).
Lo afferma la fede: “Credo in un solo Dio …” (così inizia il Credo).
Già il popolo ebraico (nell’Antico Testamento) passò assai presto dal considerare il loro Dio (Jahvè) il più grande ad essere l’unico: le altre presunte divinità semplicemente non esistevano.
Nella pienezza della Rivelazione divina, cioè in Cristo, Dio si manifesta come Santissima Trinità: Tre Persone (delle quali si è “incarnata”, cioè fatto uomo, la Seconda, il Figlio-Logos), ma un unico Dio.
Per mezzo del Logos “tutte le cose sono state create”, come afferma il Credo; mediante la Sua Incarnazione, Passione, Croce e Risurrezione tutti gli uomini sono salvati, redenti (“per noi uomini e per la nostra salvezza”).
Questi sono i due “misteri” (cioè contenuti) principali della fede cristiana.
L’unica salvezza è in Cristo
Non c’è quindi un essere umano della storia che non esista già in riferimento a Cristo e ‘potenzialmente’ salvato da Lui! Quindi l’annuncio cristiano non raggiunge come un “messaggio” (parola oggi abusata e riduttiva a proposito di ciò che Dio ha rivelato!) la vita di un uomo o di un popolo come se questi fosse un materiale “neutro” (o una natura a sé; si dice addirittura, abbiamo già osservato, l’uomo “d’oggi”!), dall’esterno, ma come la verità stessa di lui, cioè ciò per cui egli stesso esiste!
Per questo il “mandato” (missione) che Gesù risorto affida alla Chiesa (cfr. Mt 28,18-20), perché il Vangelo (fede) e il Battesimo (grazia) raggiungano tutti i popoli della terra e della storia, non è mai una violenza, ma l’esplicitarsi della verità stessa di chi ascolta, cioè del senso vero della sua esistenza e sua unica via di salvezza eterna.
Oggi la crisi della fede e della Chiesa ha raggiunto livelli di apostasia apocalittica (come vedremo ancora): si relativizza Gesù come se fosse uno delle tante manifestazioni di Dio e gli uomini e i popoli sarebbero già salvi solo seguendo la propria coscienza, convinzione, religione o filosofia! Cioè come dire che Gesù sarebbe venuto e sarebbe andato in Croce invano! Non c’è bestemmia più grande!
La teologia contemporanea, che sta dietro anche a tanta predicazione attuale, non ha sempre osato affermare tale esplicita apostasia, ma subdolamente l’ha coperta con questo stratagemma, che se non vanifica totalmente l’opera salvifica di Cristo vanifica però totalmente la missione della Chiesa, con gravissimo ed eterno danno delle anime. Gesù sarebbe sì l’unico Salvatore dell’uomo, ma lo salva anche se non lo sa, non ha fede e non riceve la sua grazia (i famosi “cristiani anonimi” di Karl Rahner); oppure i cristiani coscienti fungerebbero da “sostituzione vicaria”, ottenendo la salvezza per tutti (cfr. Henri de Lubac)*. A pensarci bene, si tratta di una rimodulazione moderna e persino cattolica della “sola grazia” di prospettiva protestante (Lutero), in cui di fatto non serve la nostra conversione.
* Ne ha parlato Benedetto XVI nel suo ultimo libro, che ha voluto fosse pubblicato post-mortem, come immediatamente è stato fatto: Che cos’è il cristianesimo (Mondatori, 2023), cfr. pp. 93-94.
È vero che in “via straordinaria” Dio può salvare eccezionalmente, sempre per i meriti di Cristo, anche chi incolpevolmente non lo conosce (perché vissuto prima o perché non ancora raggiunto dall’annuncio del Vangelo), se ha almeno risposto agli appelli interiori di Dio nella sua coscienza o se ha seguito quelle parti di verità che possono esserci anche nella sua religione. Non certo se rifiuta o ignora colpevolmente Cristo e la salvezza che viene da Lui mediante la fede e i Sacramenti.
La “via ordinaria” (normale) di salvezza, non solo per vivere la vita nuova cristiana, ma per salvarsi dall’Inferno ed entrare in Paradiso, è però quella operata da Gesù ed annunciata e donata dalla Chiesa Cattolica: la fede autentica, la grazia di Dio ricevuta soprattutto mediante i Sacramenti, l’obbedienza a Dio in tutte le cose della vita e morire ‘in grazia di Dio’.
Rimane dunque inequivocabilmente il dovere della Chiesa (e di ogni cristiano) di annunciare Cristo, così come esiste il fondamentale diritto e dovere di ogni uomo di conoscere Cristo, e, se ben preparato, di ricevere il Battesimo e gli altri Sacramenti dell’Iniziazione cristiana (Cresima ed Eucaristia), di obbedire in tutto alla volontà di Dio insegnata da Gesù e fedelmente trasmessa e interpretata dalla Chiesa Cattolica, da Lui istituita per questo (missione della salvezza delle anime: salus animarum, suprema lex)!
Che tutto ciò oggi sia quasi tramontato, sia nella coscienza dei fedeli e persino di molti pastori, ne ha dato prova anche lo “scandalo”, clamore e opposizione, suscitato all’interno stesso della Chiesa (!) nel 2000, cioè in occasione del grande Giubileo dei 2000 anni dell’Incarnazione, dal Documento della Congregazione per la Dottrina della fede (a nome del Papa Giovanni Paolo II) Dominus Iesus (vedi).
Missione, popoli, culture, filosofie e religioni
Dovrebbe essere evidente che, anche dal punto di vista filosofico (lo abbiamo ricordato anche all’inizio di questo documento, nella “premessa gnoseologica”), una verità più grande (non parliamo poi se è la Verità assoluta!) non distrugge una eventuale verità più piccola e parziale, semmai la completa, la purifica e l’innalza a vette più alte e belle!
Ecco perché l’annuncio del Vangelo, se è autentico, mentre raggiunge tutti i popoli, culture, filosofie e religioni, contribuisce enormemente alla crescita spirituale e persino sociale e culturale di quegli uomini e civiltà. Ciò che di bene e vero vi è già in loro viene purificato ed innalzato a vette più alte; ciò che invece c’è in loro di falso e di male (molte volte, anche a livello di religioni primitive degli indigeni, con drammatiche atrocità) viene progressivamente estirpato e abbandonato; e ciò non è affatto una violenza, ma un progresso, di cui i popoli del mondo hanno beneficiato e beneficiano con imperitura gratitudine.
Solo una lettura ideologica, anticristiana o relativista, ha voluto scorgere in questa missione della Chiesa a tutti i popoli una sorta di violenza!
Al di là infatti certo di limiti, peccati ed abusi – che possono esserci stati nella storia della “missione cattolica”, come ovunque c’è l’essere umano segnato comunque ancora dalla possibilità di peccato, specie poi se ci sono pressioni di tipo politico o economico – possiamo osservare come, sin dai primi secoli e lungo tutta la storia e in ogni continente, la missione evangelizzatrice della Chiesa Cattolica, mentre procurava il dono infinito ed eterno della salvezza eterna, contribuiva enormemente persino al progresso di quei popoli e di intere civiltà.
Si veda in proposito la grande opera attuata dalla Chiesa Cattolica (in primis il monachesimo benedettino) nell’Europa nascente (vedi il dossier sul Medioevo), o nell’evangelizzazione dei popoli slavi (vedi l’Enciclica Slavorum Apostoli, scritta nel 1985 dal primo Papa slavo della storia!); ma vedi anche quanto qui sottolineato (con obiettiva differenza rispetto a certe missioni “protestanti”) a proposito delle missioni cattoliche in America (vedi).
Dialogo
Abbiamo già sottolineato come ciò che serpeggiava già da tempo nella teologia moderna e contemporanea e scorreva in modo sempre più impetuoso, anche se in genere come un criptico “fiume carsico”, in non pochi e non secondari settori della vita della Chiesa, sia improvvisamente venuto alla ribalta ed abbia assunto ruoli sempre più dominanti dopo il Concilio Vaticano II.
Una parola-chiave, una “password” diremmo oggi, un “mantra” persino ossessivamente ripetuto, quasi un segnale di riconoscimento per identificarsi e far capire da che parte ci si pone, era e ancora è la parola “dialogo”.
Lo stesso Paolo VI la pose come elemento predominante della sua prima Enciclica, quella che in genere è “programmatica” di un Pontificato, Ecclesiam Suam; e tale parola veniva evocata, a cerchi concentrici, proprio per delineare il nuovo volto della “missione” della Chiesa.
Del resto il Concilio stesso, tanto più che s’era scelto di caratterizzarlo solo in chiave “pastorale”, nel suo sfondo persino più antropologico (umanesimo, s’è detto) che cristocentrico (l’assenza del punto Alfa, come osservava criticamente l’emarginato “grande” teologo H. U. von Balthasar, come lo definiva Benedetto XVI), aveva fatto del dialogo col mondo e con l’uomo d’oggi un proprio cardine fondamentale.
Occorre però prestare molta attenzione a queste parole, tanto belle quanto spesso ambigue, peraltro tipiche delle ideologie della modernità (vedi): si veda ad esempio la parola “tolleranza”, tanto amata e reclamizzata quanto violentemente contraddetta nei fatti, prima dall’Illuminismo (vedi in Voltaire) e comunque ancor oggi dalla Massoneria.
Assai spesso queste parole-chiave, ripetute ossessivamente ma utili per aprire ben altri processi culturali e storici, significative e accattivanti (possono sembrare persino, ad uno sprovveduto, il fior fiore del cristianesimo o declinazioni della parola “amore”), nascondono delle insidie pericolosissime, per la mente, la cultura, la società, persino la civiltà e soprattutto per la Chiesa stessa e per le anime.
Infatti la cultura illuminista, moderna, massonica, utilizza la parola “dialogo” (e tolleranza) in modo ambiguo e assai pericoloso. Infatti, dietro parole così “buone” (tanto da ingannare anche i cristiani, credendole Vangelo) e persino ovvie per vivere con rispetto e giustizia i rapporti umani, sociali e tra culture e religioni, si nasconde la terribile insidia del “relativismo”: non c’è la verità ma tutto è opinione! Non a caso si accettano tutte le opinioni, purché restino tali e non osino proclamarsi “vere”! Quindi ogni cultura, filosofia e religione è considerata equivalente; e “intollerante” è chiunque osi ancora parlare di vero/farlo e bene/male!
Una società finalmente aperta, inclusiva, in perenne dialogo (fine a se stesso), dove tutto è accolto e tollerato, soprattutto omologato; salvo poi accorgersi (come nell’utopia “anarchica”) che intanto il male prima o poi emerge e va comunque riconosciuto e combattuto o quantomeno limitato.
Una cultura e società dove tutto è ammesso, dove persino ogni desiderio e pulsione diventa “diritto” da promuovere; purché non si discutano di dettami di “lorsignori” (padroni del mondo), che parlano di tolleranza e dialogo, ma perseguitano con tutti i mezzi (in genere occulti, talora anche violenti) tutti coloro che si oppongono ai loro progetti e alle loro nuove ideologie fatte passare come “progresso”.
Appunto, una paradossale “dittatura del relativismo”!
A livello culturale, si può ben capire come questo uso della parola “dialogo” sia diametralmente opposto a quello, assai sapiente e costruttivo (nella ricerca di una verità sempre più grande), usato dalle vette della filosofia: basterebbe pensare alla “maieutica” di Socrate, ai Dialoghi di Platone, ma a tutta la filosofia e teologia medievale (basterebbe vedere S. Tommaso d’Aquino, con le sue Quaestiones disputatae, le sue Summae, come anche i pubblici dibattiti tenuti persino a Parigi o Colonia; con la capacità di porre in dialogo cristianesimo, pensiero aristotelico e addirittura, solo allora fu possibile, i commentatori arabi di Aristotele!).
La Verità ha le sue ragioni e per questo è capace di convincere, di confrontarsi; contrariamente alle ideologie e persino a quelle religioni che non sanno “convincere” e allora vogliono “vincere” imponendosi (come l’Islam); ma anche il relativismo alla fine deve divenire intollerante e violento, perché non ha le ragioni e non vuole ascoltare ragioni, e quindi si impone appunto come “dittatura”!
[Sull’uso fecondo e costruttivo di questo metodo razionale “dialogico”, da cui sono nate dalla Chiesa persino tutte le Università, usato in modo fecondo dal tanto deprecato e oscurantista Medioevo vedi il dossier apposito. Paradossalmente, ed in modo esattamente opposto ai luoghi comuni usati dall’anticristianesimo illuminista, fu proprio questo il metodo usato dalla stessa Inquisizione vedi dossier, documento, News)]
Dobbiamo dunque prestare molta attenzione all’uso della parola “dialogo”, perché, come infatti purtroppo è avvenuto, da strumento per la ricerca ed approfondimento della verità, sotto la volta onnicomprensiva del “relativismo”, tale parola diventa slogan, sinonimo di equivalenza di tutte le opinioni, culture, filosofie, religioni. In realtà, fingere di accettare tutto, ammesso che sia possibile perché appunto prima o poi il “male” va impedito o almeno limitato (l’Europa occidentale se ne sta accorgendo in modo drammatico, come accade in Francia – vedi anche all’interno del documento – come in altre Nazioni dell’Europa occidentale), significa ritenere che nulla sia “vero”, perché non possono sussistere verità tra loro contraddittorie. La riprova è data proprio dal fatto che in questo concetto ambiguo di “dialogo” diventano impronunciabili le parole “verità” ed “errore”.
Sembra proprio di sentire riecheggiare lo smarrimento, imbarazzo o superficialità pragmatista di Pilato, di fronte ad un Gesù che parla del Suo Regno di “verità”, con il celebre “quid est veritas?”, domanda forse tanto poco importante per lui da non ascoltare e forse nemmeno attendere risposta (che era “incarnata” di fronte a lui) (cfr. Gv 18,38)!
Non è certo casuale che proprio le questioni e documenti stessi del Concilio Vaticano II che hanno destato più perplessità e discussioni, tuttora non risolte ma anzi fortemente amplificate dall’inarrestabile deriva che ne è seguita, in un modo o nell’altro risentano di questa ambiguità.
Infatti tale pericolo “relativista” (per le religioni si può dire “sincretista”) è strisciato a tal punto dentro la Chiesa da costituire (inutile nasconderlo, anzi spesso è vantato dagli stessi artefici!) da certe “novità assolute”, potremmo proprio dire “figlie della modernità”, rispetto al bimillenario “depositum fidei”, tradizione e costante Magistero della Chiesa* [vedi le Dichiarazioni Nostra Aetate e Dignitatis Humanae; il Decreto Unitatis Redintegratio; ma anche molti passaggi della Costituzione Gaudium et Spes].
* Che ci sia una diversità di importanza tra i documenti del Concilio e che proprio su questi più critici si possa anche dissentire o pensare ad una futura correzione lo fece intendere nientemeno che Francesco, nel dialogo con la Fraternità S. Pio X, cioè i seguaci di mons. Lefebvre (vedi).
Fino ad allora si parlava delle religioni non cristiane come di “false religioni”! Da allora nessuno ha più osato usare tale appellativo. Per rispetto o perché in fondo si pensa che tutte le religioni siano “vere” o equivalenti? Di fatto siamo giunti, in tempi recenti, a indicarle come “diverse manifestazioni di Dio” (vedi)! Cioè Gesù non è più “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)?! Ben altre furono le parole di S. Pietro, all’inizio della sua missione, pronunciate con grande audacia (parresia) davanti alle più alte autorità religiose di Israele, che l’avevano fatto arrestare: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti (…) In nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 9.12).
Fino ad allora, riguardo alle diverse Confessioni cristiane e Chiese della Riforma (protestanti), si parlava di “eresie”, che hanno deformato la fede cattolica di sempre e rotto drasticamente l’unità della Chiesa. Poi si sono indicate come “Chiese sorelle” (la Chiesa di Cristo non “è” più la Chiesa Cattolica ma “sussiste” nella Chiesa Cattolica, cfr. LG. 8); fino ai giorni nostri, in cui s’è giunti a lodare Lutero come un vero riformatore da cui dovremmo prendere esempio!
Non si tratta dunque solo di aspetti psicologici, di atteggiamenti, di buoni rapporti, ovviamente doverosi, ma proprio di non comprendere e non distinguere più il vero dal falso. Proprio la questione della “verità” è tramontata! Sostituita dalla parola “unità” (ma unità per che cosa?)!
Anche il fatidico “dialogo col mondo” s’è tradotto sempre più in un inseguimento del mondo, delle sue logiche, cercando di attirarsene le simpatie, censurando sempre più ciò che del Vangelo potesse disturbare o scontentare la mentalità dominante; fino all’attuale riduzione della Chiesa ad una sorta di “Cappellania” del mondo (dall’ONU a tutti gli altri centri di potere globalista-relativista).
Mai fino ad allora si era parlato di “libertà religiosa” in senso illuminista (ciascuno deve seguire la propria religione; dunque sono equivalenti?), cioè senza la questione della verità e la necessità, certo nel rispetto di chiunque e senza alcuna costrizione, di cercare la Verità; ogni uomo ha il diritto e il dovere di cercare e scoprire l’unica Religione “vera” (perché è Dio stesso incarnato)! La Chiesa Cattolica non solo ha accettato di vivere in una società e in uno Stato laico, pluralista, multietnico e multireligioso (situazione divenuta peraltro sempre più esplosiva, come abbiamo ricordato, vedi appunto in Francia come in altri Paesi europei), ma ha lodato tutto ciò, fino al punto che la stessa Santa Sede, dopo il Concilio, ha chiesto di togliere ogni riferimento alla “fede cattolica” come Religione di Stato dalle Costituzioni di quei Paesi che invece ancora si vantavano di indicarla (senza per questo impedire, com’è ovvio, altre religioni).
Persino dell’Italia post-risorgimentale e addirittura di Roma (“città santa” cattolica perché sede di Pietro e centro della cristianità) s’è accettata la piena “laicità” (prima, col Concordato 1929, obtorto collo; poi, col rinnovo del Concordato nel 1984, addirittura applaudendo ad esso)
[cfr. su questo la già citata conferenza di mons. M. Lefebvre a Torino (1984), subito dopo il nuovo Concordato con lo Stato Italiano (ascolta, qui con video-documentario)].
Si tenga presente che la “laicità” (“laico” è una parola cristiana, che indica il fedele non sacerdote), secondo la tradizione illuminista tuttora persistente in Francia e in Italia secondo l’accezione risorgimentale “cavouriana”, indica solo formalmente la libertà della Chiesa Cattolica in una società pluralista e a-confessionale, ma di fatto relega la “libertà religiosa” a livello solo di “libertà di culto”, secondo cioè una visione della fede e della religione come fatto privato di coscienza (come oggi pensano anche grandi autorità politiche e istituzionali cattoliche!), senza alcuna possibilità di decisione e di intervento non solo sulle questioni politiche (sarebbe considerata un’intollerabile “ingerenza”, come se i Cattolici fossero cittadini di serie B!) ma persino sulle questioni di grande e grave valenza “morale” (cfr. i “valori non negoziabili” – vedi la Dottrina sociale della Chiesa).
Concludendo: la “missione” data da Cristo alla Chiesa (e di cui ciascuno dovrà a diverso titolo rendere a conto a Dio in eterno!), cioè la salvezza eterna delle anime (di tutti gli uomini del mondo e della storia), s’è ridotta a “dialogo”, poi a “silenzio” su Cristo, infine la Chiesa s’è ridotta ora a divenire “ancella” del mondo, delle sue logiche, ideologie e potere.
Ovviamente, questo tipo di Chiesa è non solo tollerata, ma applaudita (e persino sostenuta) dai poteri mondani. Piace al mondo; ma non è più la Chiesa di Cristo. E, come “sale che perde il sapore”, dopo i primi applausi è destinata ad essere calpestata e sparire! (cfr. Mt 5,13)
Una nota su missione e “proselitismo”
Com’è noto, se talora sentiamo ancora parlare di “missione”, ci si preoccupa però subito di escludere assolutamente il “proselitismo”!
L’uso di questa parola può però ingenerare molti gravi equivoci, fino a far pensare che non si pensi solo al proselitismo, ma proprio alla “missione” della Chiesa in quanto tale (abbiamo visto persino disappunto per la conversione al cristianesimo ad opera di veri testimoni del vangelo)! In tal caso sarebbe gravissimamente condannata la missione della Chiesa (e allora persino l’educazione dei figli alla fede!), perché non rispettosa della “libertà di coscienza”. L’ambiguità illuminista della parola “libertà di coscienza” si manifesta qui in tutta la sua valenza anticristiana; proprio da questo sono scaturite pure, dalla modernità, tutte le false accuse sulle missioni cattoliche (vedi documento su “Colonizzazione e missione”). Anche l’attuale emergente “cancel culture” e l’odio per tutto ciò che nella storia l’Europa (ma si pensa al cristianesimo) ha fatto nel mondo vengono da questo pregiudizio moderno.
Ovviamente tutto ciò è non solo il suicidio del cristianesimo e persino di un immenso patrimonio di civiltà, ma la cancellazione stessa della “missione”, trasferita semplicemente ad una sorta di impegno umanitario (così si pensa oggi la figura del “missionario”) e in fondo della Chiesa stessa!
In senso proprio, infatti, “proselitismo” indica, come abbiamo altrove ricordato, la pratica, certo deprecabile, di obbligare fisicamente, moralmente o psicologicamente alla fede, promettendo vantaggi, magari di tipo economico o sociale.
Confondere ciò, o permettere la confusione, con la “missione”, che risulta così scoraggiata, è molto grave, essendo appunto la missione (salvezza eterna delle anime) il primo dovere della Chiesa, il superiore compito che Cristo stesso le ha affidato (cfr. Mt 28,18-20)!
Un’osservazione circa due iniziative di Giovanni Paolo II
Non vogliamo certo qui soffermarci sul lungo (1978/2005) straordinario Pontificato di Giovanni Paolo. Il carisma di quest’uomo “venuto di lontano”, dalla Polonia (la cattolicissima Polonia, però allora costretta a vivere all’ombra minacciosa di Mosca e quindi del marxismo ateo), che a soli 58 anni era già sulla “Sede di Pietro”, il primo non italiano dopo quasi 4 secoli, dotato di una personalità, intelligenza, capacità, cultura, comunicativa (sapeva pure moltissime lingue moderne, compreso il russo) e persino simpatia fuori dal comune e di una fede granitica, ridestò la vita della Chiesa, anche a livello giovanile (basti pensare alle GMG, sua invenzione), correggendo anche molti errori (abbiamo già accennato al superamento certo non definitivo anche della cosiddetta “teologia della liberazione” in America Latina) e ridestando con coraggio la passione per la verità, nell’armonia di “fides et ratio” (vedi) e persino per la “dottrina sociale della Chiesa” (espressione che era stata messa nel cassetto!), come per la liturgia autentica, dando inizio, come abbiamo visto, alla rivalutazione del Vetus Ordo (vedi) e cercando di frenare gli abusi nati col Novus Ordo (vedi, vedi).
Certo, nonostante l’iniziale vigore anche fisico (un Papa persino sportivo), già l’attentato subito in piazza S. Pietro il 13.05.1981 (che doveva portarlo alla morte sicura ma gli fu evitata da un intervento della Madonna: era l’anniversario di Fatima e quel proiettile ancor oggi è incastonato nella corona della statua della Madonna a Fatima, vedi dossier) e le successive malattie e cadute, fino al terribile morbo di Parkinson, che dal 1995 alla morte (2.04.2005) lo paralizzò progressivamente nel fisico, hanno molto impedito, fortunatamente solo fisicamente, l’esercizio del suo ministerium petrino.
Si potrebbe umilmente anche osservare che Giovanni Paolo II, forse consapevole dell’impossibilità di rimuovere certi sistemi e poteri interni alla Chiesa (volle però sempre tenere accanto a sé, come garante della vera dottrina e quindi Prefetto della Congregazione per la Dottrine della fede, il fidato card. Joseph Ratzinger), pensò più ad esercitare la propria missione personalmente e direttamente nel mondo. Ha così compiuto, in 26 anni, 104 viaggi internazionali (in 129 nazioni diverse) e 146 nazionali, percorrendo 1.247.613 chilometri, per 800 giorni del suo pontificato!
Non mancarono certo interventi decisi e soprattutto una parola chiara sull’autentica fede e morale cristiana, come pure sulle ideologie che condizionavano la vita dei popoli e delle nazioni. Viste comunque le permanenti derive eretiche e persino minacce scismatiche di molte Chiese dell’Europa centrale (v. certe contestazioni ecclesiali ricevute nel suo stesso viaggio in Olanda, o i movimenti scismatici in Austria, Germania e Svizzera – di cui abbiamo già fatto cenno e su cui ancora torneremo), si potrebbe osservare che, per evitare il peggio (che però oggi sta accadendo!), nonostante la sua fermezza sui principi fu più tollerante sui responsabili, anche vescovi, di tali derive.
In ordine però alle presunte o reali ambiguità che nel dopo-Concilio possono avere inciso anche negativamente sulla vita della Chiesa e creato confusione nelle anime, di cui alcuni accusano appunto persino Giovanni Paolo II, dobbiamo soffermare brevemente la nostra attenzione su due scelte di Giovanni Paolo II, che, pur in sé lodevoli e forse persino meritorie di fronte a Dio, hanno però permesso una certa confusione, alimentata subito dal potere mediatico, ma pure cavalcate da certe realtà ecclesiali (che hanno ingenerato una sorta di relativismo e sincretismo religioso), e l’impressione di un certo “ridimensionamento” della certezza della verità e santità della Chiesa Cattolica.
1) Gli incontri dei capi religiosi ad Assisi
Ha fatto epoca (era in effetti la prima volta nella storia che accadeva ciò) l’incontro dei capi o rappresentanti di tutte le religioni, col Papa, ad Assisi il 27.10.1986 (vedi). Voleva essere il segno visibile (e mediatico) che le religioni in sé non erano fonte di divisioni e di guerre (accusa tipica dell’Illuminismo, laicismo e Massoneria), ma potevano invece incontrarsi, persino fisicamente, per pregare per la “pace” nel mondo.
Fu precisato che non si trattava di “pregare insieme”, impossibile dal punto di vista religioso non essendo l’unico Dio (anzi non essendo certo Dio quello delle altre religioni!), ma un essere “insieme per pregare”. Analogo incontro si tenne sempre ad Assisi (raggiunto addirittura in treno col Papa da tutti i capi religiosi e leader di molti movimenti ecclesiali), il 24.01.2002 (vedi vedi), dopo cioè i terribili attentati dell’11.09.2001 negli USA, che potevano far correre il rischio di uno scontro tra il mondo islamico fondamentalista e l’Occidente. Anche in questo caso si trattava anche di far vedere al mondo che i capi religiosi potevano invece stare “insieme per pregare” il proprio Dio ed essere così “strumenti di pace”.
Il grande rilievo mediatico, che aveva certamente fatto vedere al mondo la valenza pacifica e l’unità delle Religioni, aveva però certamente anche potuto instillare nel popolo l’idea, vedendo il Papa vestito di bianco accanto e in cerchio con tutti gli altri capi religiosi, che le Religioni fossero fondamentalmente tutte uguali o equivalenti, dimenticando che Dio è venuto sulla terra solo in Cristo (e il Papa è il Suo Vicario!) ed ha fondato solo la Chiesa Cattolica, per la salvezza di tutti gli uomini!
Analogamente allo “spirito del Concilio”, che sorpassò il Concilio stesso, così nacque anche il sedicente “spirito di Assisi”, che promosse e promuove continui incontri inter-religiosi, tenuti in tutto il mondo e con grande enfasi (ed anche potere economico e mediatico, specie da parte della Comunità di S. Egidio; ma anche, in tono minore, da parte del Movimento dei Focolari).
2) La richiesta di perdono
Un’altra iniziativa, in sé benemerita (anche come atto di umiltà di fronte a Dio e al mondo), ma assai pericolosa per la possibile confusione dottrinale che avrebbe potuto generare nello stesso popolo di Dio, anche per lo spessore mediatico che tali iniziative rivestono (con strumentalizzazioni facilmente immaginabili!), fu, in occasione del grande Giubileo del 2000 (il 12.03.2000), la solenne e pubblica “richiesta di perdono” per i peccati che i cristiani hanno compiuto nella storia [cfr. Bolla di indizione, n. 11; omelia (S. Messa nella Giornata del perdono); vedi anche documento della Commissione Teologia Internazionale].
Ciò poteva infatti ingenerare la confusione, infatti subito emersa, tra gli storici “peccati dei cristiani” (di cui si chiedeva perdono in occasione del Giubileo) ed i “peccati della Chiesa”, che invece è “santa”! L’impressione poteva dunque essere, e infatti così è stata colta, anche ad opera del potere mediatico che non ha certo perso un’occasione così ghiotta per farlo, che finalmente anche la Chiesa ammettesse, magari dopo secoli, quelle colpe di cui la cultura “moderna” l’ha sempre accusata, creando quei miti “anticattolici” che si imparano fin dall’infanzia e vengono continuamente propagandati dalla cultura dominante [sulla loro falsità si vedano nel sito i documenti sull’Inquisizione (vedi) sulle Crociate (vedi), sul Caso Galileo (vedi), tanto per citare i più comuni ‘cavalli di battaglia’ anticlericali]. Insomma, non c’è stata mai alcuna richiesta di perdono da parte dei poteri ‘laici’ per le gravissime tragedie perpetrate nella storia e particolarmente feroci contro i cristiani (vedi miti, ideologie e rivoluzioni della modernità), tragedie causate dalle ideologie atee che hanno raggiunto proprio nel XX secolo proporzioni terrificanti, e invece questa Chiesa che dopo secoli chiede finalmente perdono dei propri misfatti storici (in genere appunto inventati o amplificati dalla propaganda anticlericale, che si guarda bene di parlare peraltro delle straordinarie opere di bene che la Chiesa ha sempre prodotto ovunque nei secoli e di cui gli stesssi Cattolici rischiano ormai di non sapere più nulla)!
Come dire: visto che finalmente dopo secoli la Chiesa stessa ha riconosciuto i propri misfatti e ne ha chiesto tardivamente pubblicamente perdono, ciò non solo aumenta il disprezzo per essa, ma può anche farci pensare che allora un domani potrebbe chiedere perdono per ciò che fa e ci insegna oggi. Dunque non è da seguire e obbedire! Altro che strumento di salvezza voluto da Cristo Signore!
Per questo motivo, Giovanni Paolo II fu vivamente sconsigliato di compiere questo gesto, anche da parte di autorevoli e sagge personalità della Chiesa, anche Cardinali assai stimati dallo stesso Pontefice (come il card. Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, che ne parlò esplicitamente nella sua autobiografia Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli 2007, pp. 535-536 vedi).
Camminare insieme o nella verità?
L’eclissi della questione della verità, tipica del pensiero moderno (antimetafisico), ha ormai raggiunto ampiamente anche la Chiesa Cattolica e se ne scorgono tutte le tragiche conseguenze, già evidenziatesi nella società civile.
Nella vita della Chiesa si tratta dell’eclissi della “dottrina”, che poi è la fede e il desiderio di fare la volontà di Dio, a favore della “prassi”, cioè della “pastorale”, da inventare di volta in volta, nel modo più creativo possibile, magari con continui sfibranti incontri di programmazione e persino secondo metodi “democratici”, dove tutti hanno diritto di parola e di voto, ma dove poi, come avviene anche nelle cosiddette “democrazie occidentali”, le cose che contano sono già state decise da qualcuno.
Si esalta quindi in modo unilaterale il valore della comunità, del fare insieme, del camminare insieme (etimologia della parola “Sinodo”), del decidere insieme. Il valore stesso di quanto si fa sembra dato dalla partecipazione, dal sondaggio, dalla somma delle opinioni, e non dalla verità o meno della direzione. Negli anni del post-Concilio, abbiamo già ricordato a proposito dell’influsso del comunismo all’interno delle comunità cristiane specie giovanili, si giunse addirittura a dire che “era meglio sbagliare insieme piuttosto che camminare bene da soli”! La preoccupazione di “obbedire” a Dio, di “fare la volontà di Dio”, veniva così progressivamente a nascondersi dietro il nostro “decidere insieme” e magari facendoli coincidere, cioè riducendo Dio stesso al “noi” umano. Peccato che poi appunto le grandi decisioni venivano e vengono prese altrove, non dall’autorità costituita, ma da occulte regìe.
Nella vita sociale, era evidente già nel fatidico ’68 e negli anni ’70, che le innumerevoli “assemblee” (studentesche, operaie) servivano solo per porre in atto “democraticamente” (aggettivo tanto usato quanto sconfessato nella prassi dei Paesi e dei Partiti “comunisti”) ciò che i leader dovevano far passare, anche con violenza psicologica e talora fisica sulle “masse”, in obbedienza cieca alle indicazioni di partito o di sindacato.
Anche le moderne democrazie occidentali sembrano sempre più chiedere il consenso popolare del voto (già pilotato dal potere mediatico), per poi in modo persino sfacciato perseguire obiettivi dei grandi poteri occulti nazionali e internazionali (vedi), persino in sfacciata antitesi alla propaganda elettorale servita per raggiungere certi alti scanni.
Nei gruppi e comunità ecclesiali si moltiplicano incontri e discorsi per consultarsi, per programmare iniziative, senza che mai si possano però porre in discussioni le linee di fondo, che assai spesso presuppongono e perseguono obiettivi invece assai discutibili se non apertamente eretici.
Il singolo cristiano, a cui vien fatto credere che è tanto più cristiano quanto più è impegnato in questi incontri e discorsi, si trova invece privato della luce necessaria per il proprio cammino di fede nella concretezza della vita quotidiana (si ascolti ancora l’indimenticabile conferenza del card. J. Ratzinger sulla Chiesa, già citata nella prima parte, v. i minuti 33’/36’).
Persino il singolo Vescovo, che pur di fronte a Dio è l’unico responsabile, sotto la guida di Pietro, della diocesi che gli è stata affidata e di cui dovrà render conto a Dio, è sommerso da innumerevoli Consigli diocesani (presbiterali, pastorali, economici, …), per poi rimanere soffocato da incontri delle Conferenze Episcopali (regionali, nazionali, continentali) e dalle relative Commissioni in cui è stato incaricato; ora deve provvedere a organizzare e partecipare a diversi livelli dei cammini “sinodali”, per preparare Sinodi che preludono ad altri Sinodi per concludere ad uno o più Sinodi mondiali sulla “sinodalità”; come un folle “gioco di specchi” che riflette solo se stesso (come disse appunto il card. Ratzinger nella conferenza citata), una ingannevole e alienante “finestra di Overton” che rasenta la follia.
Cammino della comunità cristiana, ponti, dialogo, visione sinodale? Ma se sei emarginato e rischi persino la scomunica se osi porre dubbi e domande ragionevoli su questioni di fondo oggi in crisi, di cui è proibito parlare!
C’è da scommettere, perché lo abbiamo già visto, che dopo anni di apparenti discussioni e persino di dolorose divisioni, si scopra che la sintesi finale e gli obiettivi che si volevano raggiungere (anche a livello di documenti ufficiali) erano già pronti nel cassetto prima ancora che si cominciasse il cammino sinodale!
Di fronte al tracollo della famiglia due interi Sinodi sulla famiglia (2014-2015) hanno di fatto condotto (tra ambiguità, smentite e conferme) all’avvallo del divorzio, persino col conforto dei Sacramenti (non importa se l’episcopato tedesco lo ammette e quello polacco no; e in certe città basta attraversare la strada – es. vedi, vedi, vedi – per avere due posizioni opposte, tanto decisive per la salvezza della propria anima)!
Di fronte alla scomparsa di intere generazioni di giovani dalla Chiesa, specie in Europa occidentale, il Sinodo sui giovani (2018) è stato un tale flop da non aver fatto neppure notizia, prima, durante e dopo.
Il Sinodo per l’Amazzonia (2019), così poco amazzonico da essersi svolto a Roma e secondo ‘linee guida’ di fatto tedesche (forse gli abitanti della foresta amazzonica non sanno neppure che c’è stato), doveva servire, dentro una preoccupazione “ecologista”, per avvallare e poi estendere alla Chiesa universale (secondo il solito metodo che fa passare una novità come una eccezione locale per renderla poi accessibile e normale per tutta la Chiesa) il sacerdozio dato agli sposati e forse inventare le sedicenti diaconesse. Ma una parola di Benedetto XVI (altro che Papa emerito, zitto e “nonnino saggio” a cui ogni tanto far visita di cortesia, visto che ha continuato ad abitare in Vaticano, vestito di bianco e col titolo di Benedetto XVI vedi) ha messo un sassolino nell’ingranaggio; e la tanto attesa novità non ci fu! (*)
[Così, di quel Sinodo passeranno alla storia soprattutto le tristi immagini di quell’incredibile culto pagano, esoterico se non satanico di Pachamama nei Giardini vaticani e persino nella Basilica di S. Pietro, che vi fece da preludio (vedi vedi, vedi, vedi)!]
(*) Cfr. le parole di Benedetto XVI sul “sacerdozio cattolico” nel testo già preparato nel 2018 e pubblicato nel 2020 (con ampi stralci resi noti in precedenza) col Card. Sarah (R. Sarah con J. Ratzinger/Benedetto XVI, Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli 2020, vedi).
Tale libro uscì il 30.01.2020, proprio mentre stava ormai per uscire l’attesa Esortazione apostolica post-sinodale (appunto sul Sinodo per l’Amazzonia dell’ottobre 2019). Forse proprio le parole di Benedetto XVI riuscirono a bloccare quelle attese novità, date ormai per certe, che invece appunto non compaiono nell’Esortazione Quaerida Amazonia, pubblicata poco dopo, il 20.02.2020.
Benedetto XVI, nel suo ultimo libro, che ha voluto fosse pubblicato ‘post mortem’ e così è stato immediatamente fatto pochi giorni dopo, Che cos’è il cristianesimo (Mondadori, 2023), ripresenta (p. 4) e ripropone in forma nuova quel testo scritto con Sarah (pp. 96/122) (in realtà questa forma nuova era già pronta il 17.09.2019). In tali pagine (specie p. 109 e seguenti) torna proprio sul significato del celibato sacerdotale. Con la sua usuale lucidità, Benedetto XVI sottolinea come Lutero si oppose al sacerdozio, facendo sparire il sacramento dell’Ordine, perché la Chiesa secondo lui era tornata ad una visione sostanzialmente ancora veterotestamentaria del sacerdozio (offerta dei sacrifici), mentre la Riforma riprendeva solo il suo aspetto “ministeriale” (com’è infatti il “pastore” protestante). Ratzinger non ha timore di sottolineare come il Concilio Vaticano II, nel documento sul sacerdozio, presenta in effetti il sacerdozio solo come “ministero pastorale”, risentendo della riduzione luterana; così come fa gran parte dell’esegesi moderna. Sottolinea qui fortemente che invece il presbitero cattolico è un vero “sacerdote”, nel senso proprio di colui che “offre il sacrificio”, sia pur in un’ottica nuova e definitiva rispetto all’A. T., perché è Gesù il vero Sacerdote e la Sua Croce è il vero Sacrificio, che si rinnova, sia pur in forma incruenta, in ogni S. Messa!
A proposito di interventi autorevoli di Benedetto XVI che sul più bello delle orchestrazioni vaticane internazionali (pensate per fare fumo e far passare gli slogan precostituiti; in quel caso, riguardo alla terribile piaga della pedofilia, lo slogan-colpa doveva essere il “clericalismo”) rompe le uova nel paniere, cioè getta un faro di luce nella nebbia persistente, si ricordi il suo chiaro intervento in occasione dello speciale Incontro dei Presidenti di tutte le Conferenze Episcopali del mondo, voluto da Francesco e tenutosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019, sul tema degli abusi sessuali commessi dai chierici. Benedetto XVI fece pervenire a tutti i Presuli convocati a Roma un suo lungo, autorevole e sapientissimo contributo, sotto forma di “Appunti” (vedi). Pare tra l’altro che tale prezioso e illuminante contributo non sia pervenuto ai destinatari; ma è stato allora reso pubblico attraverso un autorevole mensile tedesco (Klerusblatt) e rilanciato, per l’Italia, dal Corriere della Sera del 12.04.2019. Benedetto XVI lo ripropone integralmente anche in questo libro pubblicato post-mortem (Che cos’è il cristianesimo, pp. 143-160)
E poi c’è sempre il Sinodo tedesco, che minaccia lo scisma ad ogni incontro, per essere apparentemente frenato da Roma, ma forse persino incoraggiato a continuare; perché nella dominante logica (dialettica) hegeliana, l’importante è “innescare processi”, passando da tesi (dottrina tradizionale) ad antitesi (spararla più grossa che si può) per ottenere una sintesi (una via di mezzo, che però diverrà a sua volta tesi per innescare un nuovo processo) e così avanti sempre! Intanto in Germania già siamo alla benedizione dello pseudo matrimonio omosessuale cattolico (già effettuato pubblicamente da molti preti cattolici, senza alcun conseguente provvedimento disciplinare nei loro confronti) e alle pseudo donne diacono. Forse è la coesistenza coi luterani che li spinge così ossessivamente ad inseguire sempre le ultime rivendicazioni della modernità nichilista; però potrebbero anche accorgersi che in questo continuo inseguimento del mondo i Protestanti si ritrovano peggio dei Cattolici (come seguito di popolo e di giovani e come numero di vocazioni sacerdotali, nonostante i pastori “sposati”).
Con tutta questa sinodalità, ma anche a causa di proposte talora indecenti ed eterodosse, invece dell’unità cresce la divisione. Invece di una Chiesa in missione (o “in uscita”, anche se non si è ben capito per andare dove e con quale scopo e se alla fine abbia smarrito anch’essa la via di casa!) è sempre più una Chiesa autoreferenziale, che si parla addosso, che si ubriaca di documenti e di discorsi che solo gli addetti ai lavori (magari in carriera) capiscono.
Eppure molte risposte sarebbero semplici: basterebbe tornare a chiedersi “cosa Dio vuole?”, “cos’ha detto N. S. Gesù Cristo?”, “cosa ha detto lo Spirito Santo, senza mai contraddirsi, in duemila anni di storia della Chiesa?”. E forse basterebbe mettere degli inginocchiatoi (possibilmente davanti ai tabernacoli, se ci sono ancora) al posto degli innumerevoli tavoli e sedie per guardarsi e continuare a parlare di cosa fare per essere moderni e andare incontro al fatidico “uomo di oggi” (che è fatto per Cristo come quello di sempre)!
Il Card. Giacomo Biffi, nella sua citata autobiografia, sottolineò in merito a questo prevalere dell’unità sulla verità, le proprie perplessità, non solo su alcuni passaggi del Concilio, ma anche su certe espressioni già di Giovanni XXIII, note e considerate importanti quando invece sono in sé fuorvianti. Una delle più note, ancor oggi continuamente ripresa, è “dobbiamo guardare a ciò che ci unisce e a non a ciò che ci divide”, espressione non solo contraria a tutta la storia del Magistero e pure dei Concili della Chiesa (che hanno dovuto sempre precisare l’autentica dottrina e denunciare le eresie), ma anche alla legge morale e persino ad un’autentica filosofia, perché va sempre distinta la verità dall’errore, il bene dal male, anche a costo di dolorose separazioni (cfr. G. Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli 2007, pp. 177-188).
La Chiesa di sempre o una Chiesa nuova?
Dovremmo anzitutto ricordare che la Chiesa non è “nostra”, ma di Dio, voluta da Cristo (cfr. Mt 16,18) e mossa dallo Spirito Santo!
Per questo, dovremmo parlarne con circospezione, con grato stupore e tremore, guardando a Lui piuttosto che guardarci tra noi, ascoltando Lui piuttosto che continuare a parlarci tra noi. Certo, la Chiesa è un corpo vivo che cresce, ma è “mistero”, è il “corpo mistico di Cristo” (cfr. 1Cor 12), abitato e mosso dallo Spirito, che non conosce certo contraddizioni lungo tutta la sua storia. Lo Spirito Santo guida la Chiesa a penetrare sempre più profondamente nella Verità che è Cristo (v. Gv 16,13.15), sviluppando quindi la comprensione del dogma ma senza mai negarlo o contraddirsi (vedi la meditazione patristica al termine di questa Parte).
La Chiesa non ha un’origine umana ma divina! Non è inventabile da noi di volta in volta, secondo i tempi e i luoghi! Può crescere, conoscere anche nuovi carismi, nuovi approfondimenti, ma non può cambiare!
Dio non si sbaglia, perché è Essere perfettissimo, Intelligenza suprema, Verità suprema, senza alcun difetto e quindi possibilità di errare. Dio non cambia, perché cambiare vorrebbe dire perdere o acquisire qualcosa (quindi non sarebbe perfetto, non sarebbe Dio). Dio non ci inganna: perché la menzogna è essa stessa una mancanza, un difetto; e soprattutto perché Dio è amore e ci ama infinitamente (se ci ingannasse non ci amerebbe ma vorrebbe il nostro male).
Cambiano certo le situazioni contingenti e storiche, ma non cambia la verità (fede e morale) che deve illuminare tali situazioni.
C’è chi parla di “rivoluzione” nella Chiesa. Abbiamo già osservato quanto sia improprio per la Chiesa questo termine della “modernità”. Se prima la data di inizio veniva considerata il 1965 (il Concilio), come se per 20 secoli la Chiesa non ci fosse stata o non fosse stata mossa dallo Spirito, avesse sbagliato e dovesse ora finalmente aggiornarsi (aggiornamento fu una parola chiave di quegli anni!) e adattarsi ai tempi; persino la Liturgia di sempre doveva essere cestinata per farne una “nuova”!
Ora improvvisamente l’inizio è stato spostato al 2013 (Francesco), con la stessa logica. Ci sarebbe ora un nuovo imprescindibile “salto”, una nuova “rivoluzione”, finalmente una “nuova Chiesa”!
Secondo questa logica (ancora hegeliana) ci si dovrebbe però aspettare poi un’altra rivoluzione, che seppellisca l’attuale! (Infatti c’è chi – sì, ancora i Vescovi tedeschi! – è già deluso anche di Francesco, perché dovrebbe avanzare di più … e di nuovo minacciano lo scisma!)
C’è stato anche chi, tra i Cardinali (Martini), accusava la Chiesa cattolica di essere in ritardo di 200 anni! Evidentemente si pensava proprio alla Rivoluzione francese, alle sempre nuove ideologie della modernità (vedi). Strano però che coloro che auspicano questo continuo “inseguimento del mondo” non si accorgano che il mondo, a partire da quelle ideologie, ha creato già degli “inferni” sulla terra (proprio quando voleva fare dei “paradisi”) e che l’esito nichilista di quei processi ha già indicato le proprie aporie (Nietzsche in questo era lucidissimo e profetico!) e nel XX secolo ha già fatto abbondantemente vedere il fondo agghiacciante del pozzo in cui si può precipitare; e non si accorgano neppure che c’è già chi, in modo più o meno cosciente, sogna un ritorno a casa (come abbiamo all’inizio ricordato, accennando alla parabola del “figlio prodigo”). Persino acuti pensatori ancora atei se ne rendono drammaticamente conto!
Se talora sembra di essere in un interminabile “sabato santo”, se avessimo persino l’impressione che il Signore dorma mentre la barca sta affondando (cfr. Mc 4,37-38), è sempre necessario ricordare che la barca della Chiesa è Sua, che Cristo Signore è con noi (cfr. Mt 28,20), che c’è la Sua promessa che “le porte degli inferi non prevarranno” sulla Chiesa (Mt 16,18). Non è però garantita certo la salvezza della barca nella tempesta, se avessimo lasciato il Maestro a riva (basti pensare che in tanti discorsi e persino documenti non si cita neppure più Gesù; e in certe liturgie sembra il grande Assente!). Rimane infatti l’angosciante interrogativo di Gesù “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
Riascoltiamo allora alcune ultime parole che Papa Benedetto XVI ha voluto lasciarci, proprio nell’ultima Udienza Generale (piazza S. Pietro, 27.02.2013, vedi):
“Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa (2005), ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato … come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare”! …
Tra l’altro, a proposito della sua Rinuncia al “ministero” petrino afferma:
“Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre … Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro.
Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore”.
Tradizione o progresso?
Abbiamo già riflettuto su questo, ricordando cosa sia la Tradizione nella vita della Chiesa Cattolica: addirittura parte, come il Magistero perenne, e insieme e sotto la Sacra Scrittura, della stessa Parola di Dio (Dei Verbum). In questo senso, abbiamo sottolineato, “tradizionalista” significa semplicemente “cattolico” (come disse S. Pio X nella Pascendi).
Non lasciamoci dunque catturare da categorie e schemi ideologici umani. C’è chi addirittura parla di questa apparente e falsa alternativa secondo le categorie politiche di “destra” e “sinistra”!
“Tradizionalista” non indica colui o coloro che vogliono semplicemente rimanere fedeli al passato per una sorta di nostalgia, di amore per l’antichità, secondo gusti estetici che a torto o a ragione oggi si ritengono arcaici, anacronistici e superati, ma l’attaccamento all’immenso dono della Tradizione, che ci permette di raccogliere il frutto dell’approfondimento dottrinale e vitale della stessa volontà di Dio (Rivelazione).
Così “progresso” nella Chiesa non indica il gusto della novità per la novità (secondo l’equivoco ancora hegeliano che “nuovo” significherebbe automaticamente “migliore”), ma il desiderio di approfondire sempre di nuovo, nel solco della perenne Tradizione, la conoscenza della santa volontà di Dio, penetrando sempre più profondamente nel “mistero” di Cristo.
L’assunzione in senso invece solo umano, culturale, sociale e politico di queste categorie provoca danni enormi nella vita della Chiesa, inutili e persino feroci divisioni; al punto che uno, dopo aver detto due parole o compiuto alcune scelte, viene subito classificato inesorabilmente nell’una o nell’altra delle parti, rompendo ogni possibilità di confronto sereno e di dialogo (anche da parte di chi si riempie sempre la bocca di questa parola!), in base a degli “a priori”, senza voler ascoltare e dare le ragioni, in una sorta di manicheismo secondo cui il vero e il falso non sono conoscibili ma sono appunto dati o negati “a priori”, semplicemente perché si è già stati catalogati dentro una di queste categorie. In questa acuta separazione, con questo errato metodo manicheo, si rischia di entrare davvero nell’eresia e persino nello scisma!
Continuità o rottura?
Anche in questo caso il dilemma è semplicemente falso all’origine. Invocare la “rottura” col passato e con la Tradizione perenne della Chiesa e il Magistero di sempre (come ha fatto la Riforma protestante e ogni successive rottura e formazione di nuove presunte e sedicenti Chiese e Gruppi cristiani), significherebbe perdere appunto la concezione stessa della fede cattolica e della vita della Chiesa, anzi significherebbe negare la presenza e la guida perenne dello Spirito Santo nel corso della bimillenaria storia della Chiesa. In fondo è negare l’opera stessa di Dio!
[Abbiamo già più volte ricordato che tale idea di drastica rottura col passato, se nella cristianità ha travolto nel XVI sec. tutta le Riforma Protestante (vedi), nel pensiero moderno, specie nei suoi risvolti sociali, ha generato l’idea di “rivoluzione”, che ha caratterizzato e ancora caratterizza tutta la modernità (vedi)]
Possiamo certo individuare, se corredato da precise condizioni e garanzie, un “progresso” nella comprensione stessa del “dogma” (come vedremo anche nella mediazione patristica al termine di questa Parte del documento).
La Verità, che è Cristo (cfr. Gv 14,6) è talmente elevata, infinita, abbagliante, viva, che, pur rimanendo se stessa, definitiva, intoccabile, insuperabile, si può e si deve conoscere e vivere sempre più, guidati dallo Spirito Santo, all’interno della Chiesa (cfr. Gv 16,13).
In fondo già l’ispirazione divina che guida la formazione delle 23 opere del Nuovo Testamento che seguono i 4 Vangeli sono considerati Sacra Scrittura (Bibbia) perché, sotto la guida degli Apostoli (e fino alla morte di Giovanni), tali testi, che seguono nella Bibbia il Vangelo, ci aiutano a penetrare nel mistero di Cristo e della vita cristiana. Ma, come sappiamo e come abbiamo ricordato, dopo l’Apocalisse (con la morte dell’ultimo Apostolo) la Rivelazione piena e definitiva di Dio è terminata. Non si può prendere a pretesto Gesù (che è Dio) e il Nuovo Testamento, che completa e supera l’Antico Testamento, per immaginare sempre di nuovo una sorta di Nuovissimo Testamento che superi il Vangelo stesso!
Oltre al Magistero perenne della Chiesa (gli insegnamenti dei Papi), di particolare importanza in questo senso (come Tradizione), abbiamo già ricordato, sono i “Padri della Chiesa”, cioè gli autori sacri dei primi secoli, considerati maestri e dottori della fede. Ma, a diverso titolo, sono proprio i Santi, con la loro vita, i loro carismi, e talora persino i loro particolari doni mistici, ad aiutarci a penetrare più vivamente nella conoscenza di Dio e della vita cristiana (vedi nel sito alcune catechesi di Benedetto XVI). Per questo dobbiamo attingere molto dagli scritti dei Santi e anche dalle loro buone biografie .
Quando Benedetto XVI, in uno dei suoi primi grandi discorsi (incontro prenatalizio con la Curia Romana, 22.12.2005, vedi ), afferma, a proposito della comprensione del Concilio Vaticano II, la necessità di passare dall’ermeneutica della “rottura” a quella della “continuità”, sottolinea proprio questa fondamentale dimensione della vita stessa della Chiesa.
Evidentemente, nessun Concilio può contraddire gli altri Concili.
Anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, il 21° della storia della Chiesa, che pur ha voluto essere solo “pastorale” e non “dogmatico”, non può contraddire i Concili precedenti, ad esempio il Concilio di Trento. Falso e fuorviante appunto che molti, ancor oggi, anche nella liturgia e nella pastorale, li pongano in contrapposizione e cerchino di eliminare gli insegnamenti e le decisioni di quel decisivo Concilio del XVI secolo!
Allo stesso modo nessun Papa può contraddire gli insegnamenti dei Papi precedenti, specie su questioni fondamentali di fede o di morale!
Il Papa, il cui compito ricevuto da Cristo è proprio quello, nel mantenere il più possibile l’unità dell’intero popolo di Dio, di “confermare i fratelli nella fede” (cfr. Lc 22,31-32), è in ciò totalmente sottomesso alla Parola di Dio, al volere stesso di Dio, cioè alla Sacra Scrittura, alla Tradizione (depositum fidei) e al Magistero perenne della Chiesa
Tutto ciò, come abbiamo già ricordato, è stato fortemente richiamato anche dal Concilio Vaticano II (vedi Costituzione Dei Verbum, sp. prime due parti).
Senza questo non saremmo più nella Chiesa cattolica, voluta da Cristo Signore!
No, contrariamente a ciò che pensa Lutero e tutto il Protestantesimo, lo Spirito Santo e lo stesso Cristo Signore non hanno abbandonato la Chiesa per 15 secoli, né l’hanno lasciata nell’ignoranza e nell’errore, nell’attesa che arrivassero i sempre nuovi Riformatori.
Così come non l’abbandonerà oggi!
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Ecco in proposito una significativa meditazione “patristica”:
Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote
(Catechesi. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523) (Cap. 23; PL 50, 667-668)
Lo sviluppo del dogma
Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.
La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l’età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l’ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell’età matura di dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo.
Se coll’andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisce di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l’organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. E’ necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell’errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione.
Poiché dunque c’è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l’andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.