Bibbia e cultura
La Bibbia è la stessa Rivelazione di Dio all’umanità; e abbiamo motivi anche razionali per affermarlo. Più che un semplice libro sacro, la Bibbia è la lunga “storia della salvezza”, durata oltre 1800 anni (Antico Testamento) e culminata con la venuta di Dio stesso nella natura umana: Gesù Cristo (Nuovo Testamento).
Per questo motivo, poiché Dio non interviene certo nella storia dell’umanità come un optional ma come condizione per la salvezza eterna di ogni uomo, non conoscere questa “storia” e questa Parola o disobbedirgli, vivendo cioè come se ciò non fosse accaduto o addirittura in aperta ribellione a Lui, ha conseguenze gravissime non solo per la vita ma per il destino eterno di ciascuno di noi.
La Bibbia è però anche il libro più importante nella storia dell’umanità; e qui vogliamo ricordarne brevemente qualche prova, anche solo statistica.
Sotto questo aspetto, il non conoscere o il conoscere solo approssimativamente questo testo, non è solo sinonimo di non-credenza o sintomo di una fede superficiale; non è neppure semplicemente nescienza (non sapere una cosa che non si è tenuti a sapere); ma si tratta a ben vedere di un’inammissibile ignoranza, tanto più per una persona che possegga almeno un livello medio di cultura. Perché se non si volesse riconoscere che la Bibbia è Parola di Dio (anche se invece esistono appunto i motivi pure razionali per ammetterlo), in realtà già come parola umana siamo posti di fronte ai vertici della sapienza umana di tutti i tempi; e il non conoscerla almeno un poco sarebbe appunto segno di crassa ignoranza.
Cerchiamo allora di individuare brevemente almeno alcuni dei motivi che giustifichino questa affermazione, che altrimenti potrebbe apparire come intransigente, fondamentalista o “di parte”.
Non conoscere almeno un poco la Bibbia: segno di non-credenza, di una fede superficiale o persino di ignoranza culturale?
In genere già i ragazzini delle Scuole Medie (Inferiori) sono obbligati a studiare dei testi della cultura classica antica, come Iliade, Odissea ed Eneide. Ma non studiano la Bibbia. E l’insegnamento della Religione Cattolica*, ammesso che faccia studiare qualcosa della Bibbia, è comunque opzionale e insignificante. Dunque si può tranquillamente raggiungere e superare il Diploma di Scuola Media Inferiore senza questo insegnamento e senza sapere nulla della Bibbia.
Anche alla Superiori, persino nei Licei (che possono e debbono assicurare una più profonda conoscenza dei fondamenti culturali della nostra civiltà, tanto da studiare anche la lingua latina e al Classico anche quella greca), si può tranquillamente raggiungere la Maturità senza conoscere nulla della Bibbia (e per l’insegnamento della Religione Cattolica idem come sopra, anzi peggio, anche dal punto di vista statistico di frequenza e di studio).
* Si tenga invece presente che secondo la Repubblica italiana, anche dopo la riforma del Concordato (1984), lo studio della Religione Cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, pur non essendo obbligatorio, è assicurato, non tanto come scelta confessionale, ma proprio in quanto la Religione Cattolica è “patrimonio storico del popolo italiano”. Così infatti recita la legge che regola tale insegnamento (cfr. L. 121/1985 di applicazione del Concordato): «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». Come si vede, non si tratta tanto di un insegnamento “confessionale”, cioè per i Cattolici, ma di un fatto appunto culturale: si sottolinea infatti, anche da parte dello Stato, che non conoscere la fede cattolica significa non conoscere la civiltà italiana! Non si capisce allora perché (e qui la legge è palesemente contraddittoria, proprio in ordine alle “finalità della scuola”) tale insegnamento possa essere tranquillamente trascurato, reso opzionale, insignificante e spesso persino osteggiato (specie in quegli anni ’80 ci fu una vera e propria battaglia di importanti forze politiche, specie di sinistra ma anche radicali o comunque visceralmente anticlericali, per cercare di distruggere in tutti i modi tale insegnamento, già per sé scolasticamente irrilevante ed emarginato). E comunque, come si legge, lo studio della Religione Cattolica, è esclusa a priori dall’Università (dove un tempo si formava la futura classe dirigente del Paese). Ma non si è appena detto che essa è patrimonio storico del popolo italiano?
Anche in Università, infatti, persino nella Facoltà di Lettere (e addirittura di Lettere antiche), si può tranquillamente raggiungere la Laurea senza sapere neppure una parola della Bibbia.
Semmai qualche Università statale prevede in detta Facoltà qualche rarissimo Corso opzionale, non si capisce poi bene con quale competenza esegetica da parte dei docenti, in genere assai critico sulla formazione del testo biblico, quasi fosse semplicemente qualcosa di analogo allo studio di qualche “mito” antico del Medio Oriente, soffermandosi su particolari avulsi dal contesto e soprattutto senza tener conto degli oceanici studi provenienti dalla bimillenaria tradizione cristiana e persino ebraica, rifiutati a priori come giudizi non attendibili in quanto “di parte”, quasi fossero solo “devozionali” e senza alcuna dignità culturale e scientifica. Porsi anche solo la questione di come sia possibile la novità assoluta dei contenuti principali della Bibbia, già dell’Antico Testamento (v. poi), peraltro totalmente incomprensibile se fosse solo la sapienza del minuscolo e arretrato popolo ebraico del tempo, sapienza che invece persiste nel corso dei secoli e dei millenni e fonderà la stessa civiltà occidentale e persino mondiale, sarebbe per loro un’irrazionale presunzione da “credenti” ingenui e con giudizi o studi totalmente “di parte”, cioè accantonabili “a priori” come privi di alcuna dignità razionale e culturale.
Ricordiamo che le Università sono nate nel Medioevo dalla Chiesa (vedi) e in esse la Teologia era la regina delle scienze umanistiche (unitamente alla Filosofia, che ne forniva le basi concettuali e razionali: “Philosophia ancilla Theologiae”, come si diceva). E questo non perché allora comandasse la Chiesa, come stupidamente si sente talora dire, ma perché già la Filosofia classica greca (basterebbe pensare a Platone e Aristotele) aveva già ampiamente mostrato che, se la “scienza” come dice Platone è la “conoscenza delle cause”, lo studio della Causa Prima (Theos/Dio) è ovviamente il vertice della scienza (in senso lato, platonico, non solo sperimentale). E proprio a questo livello la Teologia naturale (razionale, filosofica) si incontra con la Teologia soprannaturale, cioè lo studio di ciò che Dio stesso ci ha rivelato (appunto la Bibbia). Basterebbe pensare alle sublimi sintesi fatte nella Patristica tra Teologia cattolica e pensiero filosofico platonico (cfr. S. Agostino) o nella Scolastica col pensiero filosofico aristotelico (cfr. S. Tommaso d’Aquino).
Si tenga peraltro presente che esistono tuttora nel mondo dei Centri di studi biblici (esegesi, ermeneutica, teologia biblica e persino archeologia) di altissimo livello specialistico, con studiosi, professori e specialisti di altissimo livello e di tutto il mondo. Ricordiamo ad esempio l’autorevolissimo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme (vedi) o il Pontificio Istituto Biblico, annesso alla Pontificia Università Gregoriana (la più grande e importante università dei Gesuiti al mondo), con sede in Roma (vedi).
Basterebbe pensare a questi o ad altri studiosi e specialisti (biblisti e persino archeologi), che magari hanno dedicato una vita intera di ricerca su quello specifico testo (persino su quel papiro o pergamena o Codice antico) o in quell’importantissimo specifico “scavo” in Terra Santa (scavi che negli ultimi 70 anni hanno riportato alla luce reperti di eccezionale importanza e che confermano i dati biblici ed evangelici!), per sentire tutta l’amarezza nel vedere come ciò sia censurato a livello mediatico e persino universitario (statale); così che poi basti l’emergere di un qualche magari fantasioso testo o sedicente esperto, su internet o promosso anche in TV, per vedere masse di giovani e adulti andare dietro appunto all’ultimo “ciarlatano” come se fosse il primo esperto al mondo, in grado di gettare al macero secoli e secoli di studi e persino il fondamento stesso (Bibbia) della nostra intera civiltà!
Che dunque un laureato, al di là delle singole competenze acquisite, possa essere totalmente ignaro almeno dei contenuti principali della Bibbia, e quindi dei fondamenti stessi del cristianesimo e della nostra stessa civiltà, non è questione solo di coscienza (ciascuno, al termine della vita, risponderà comunque a Dio della sua conoscenza e risposta affermativa o negativa a ciò che Egli ha rivelato per la nostra stessa salvezza eterna), ma appunto culturale.
In altri termini: se un uomo, tanto più se persona di cultura, non crede alla Bibbia come Rivelazione di Dio (e dovrebbe averne i motivi razionali per escluderlo, che non ha) è “non credente”; ma se non ne ha neppure una minima conoscenza è semplicemente “ignorante”. In questo modo si priva infatti della conoscenza dei fondamenti stessi della nostra civiltà. Non capirebbe in fondo neppure la storia stessa della nostra arte, letteratura, perfino della musica, per non dire degli usi, costumi e fondamenti etici della nostra civiltà.
Eppure, come abbiamo appena ricordato, già all’inizio delle Scuole Medie si chiede al giovanissimo studente che sia invece ad esempio a conoscenza di certi poemi anche dell’antichità, obiettivamente assai meno incidenti nella civiltà e nella vita stessa del popolo italiano, che non appunto la Bibbia e la fede cristiana.
Ripetiamolo ancora. Se uno non volesse riconoscere, a priori e dunque in modo non razionale, la Bibbia come “Parola di Dio” (e di ciò appunto dovrà rendere conto a Dio in eterno, perché il rifiuto a priori di Dio e di quello che Egli ha detto e fatto è il più grave dei peccati!), però non potrebbe non riconoscerla almeno come “parola umana”, e quella che più ha inciso nella storia mondiale; e come tale comunque doverosamente da conoscere e studiare. Non farlo, sarebbe appunto non una questione di fede o non fede, ma di ignoranza, anche a livello culturale, di cui dovremmo comunque seriamente vergognarci, anche in pubblico.
Tutto questo, cioè questa ignoranza, non è semplicemente una questione di “tendenza generale” del giovane o dell’uomo di oggi, come qualcuno si rassegna a pensare in modo un poco fatalistico. Si tratta invece di una precisa censura ideologica, che in Europa s’è attuata già con la Modernità e la Rivoluzione francese (vedi) e che in Italia s’è violentemente attuata soprattutto col Risorgimento (vedi dossier e vedi documento più sintetico).
Pensiamo solo alla violenta eliminazione delle Facoltà di Teologia in tutto il Regno d’Italia operata dal nuovo potere (fondamentalmente massonico) già nel 1873, cioè a soli 3 anni dalla “presa di Roma”; un’incredibile assenza, specie per un Paese che è il centro mondiale della Cattolicità. Un’assenza che perdura ostinatamente anche oggi (il che sorprende anche molti stati europei, come la Germania, che invece contempla la Teologia come Facoltà anche nelle Università statali).
Come abbiamo già ricordato, quasi tutte le Università sono nate dalla Chiesa Cattolica durante il periodo medievale (vedi). Anche l’Università di Roma detta “La Sapienza” fu fondata ad esempio dal Papa Bonifacio VIII nel 1303, col titolo di “Studium Urbis” poi “La Sapienza divina”. Quando nel 1870 le forze prevalentemente massoniche piemontesi hanno occupato anche Roma, incamerando quasi tutti i beni della Chiesa (come peraltro il Piemonte aveva fatto man mano che procedeva all’invasione dell’Italia), a cominciare dallo stesso Quirinale (residenza del Papa), anche l’Università “La Sapienza divina” divenne proprietà del Regno d’Italia, fu ovviamente chiamata solo “La Sapienza” e divenne, come tutte la altre Università della Chiesa subito confiscate, strumento privilegiato per la diffusione della nuova cultura massonica, che doveva sostituire quella cattolica, specie nella futura classe dirigente e intellettuale del Paese. Fu così che, in tutte le Università del Regno, già dal 1873 furono violentemente abolite le Facoltà di Teologia, tuttora inesistenti nelle Università Statali italiane!
Tra i recenti rigurgiti anticlericali e paradossi antistorici e anticulturali dell’Università “La Sapienza” di Roma c’è stato l’increscioso episodio del 17.01.2008 (vedi News 24.10.2021): dopo che il Rettore invitò Papa Benedetto XVI (*) a presenziare all’inaugurazione ufficiale dell’anno accademico 2007/2008, invito accettato dal Pontefice (e ricordiamo che fu appunto un suo Predecessore, Bonifacio VIII, a fondare tale Università), si sollevarono ‘ad hoc’ vivaci e pubbliche proteste, non solo da parte di alcuni facinorosi studenti ma addirittura di 67 docenti (tra cui il prof. Giorgio Parisi, poi insignito del Premio Nobel per la Fisica), che firmarono una petizione contraria alla visita del Pontefice (addirittura risollevando nientemeno che “il caso Galileo”, che è peraltro un mito ottocentesco anticlericale e antistorico vedi e vedi). Ciò costrinse Papa Benedetto XVI a declinare, due giorni prima della prevista visita, l’invito del Rettore, facendo però pervenire ugualmente lo stupendo discorso magistrale che vi avrebbe pronunciato (leggi).
(*) Ricordiamo che il prof. Joseph Ratzinger (poi Benedetto XVI), tra i più colti uomini contemporanei, fu docente in alcune delle più prestigiose e storiche università tedesche (Bonn, Regensburg/Ratisbona, Tübingen) ed anche da Papa poté visitare molte celebri università del mondo e incontrare diverse realtà accademiche [si pensi appunto a quella di Regensburg (12.09.2006), dove tenne una celebre e stupenda “Lectio magistralis” (leggi), articolato e culturalmente altissimo discorso, immediatamente avversato dal ‘mainstream’ mediatico occidentale e odiosamente strumentalizzato in pericolosa chiave anti-islamica; così la visita e il discorso alla storica Università di Tubinga (21.03.2007), come in quella di Praga (27.09.2009), di Madrid (19.08.2011), di Washington (17.04.2008) e, in Italia, di Pavia (22.07.2007) (vedi nei corrispondenti viaggi e date). Si aggiungano pure le diverse realtà accademiche ricevute in Vaticano, oltre agli incontri con le prestigiose Università Pontificie o Cattoliche presenti in Roma. In tali occasioni, incontrando il mondo accademico, Benedetto XVI ha sempre tenuto discorsi di altissimo profilo culturale, come egli sapeva stupendamente fare, così come quando ha incontrato le realtà culturali più prestigiose del mondo (cfr. ad esempio l’incontro col mondo della cultura al “Collège des Bernardins” a Parigi, il 12.09.2008 vedi).
Paradossale quindi che non abbia potuto visitare proprio l’Università di Roma, sede del Papato, ateneo peraltro appunto fondato dal suo predecessore Bonifacio VIII e gestito dai Papi fino al 1870.
Ironia e beffe della storia e della mentalità laicista italiana: la stessa Università romana (La Sapienza), l’anno dopo (11.06.2009) accolse invece con tutti gli onori il leader libico colonnello Muammar Gheddafi, che poté incontrare gli studenti e il mondo accademico nell’Aula magna e tenervi addirittura un discorso di elogio dell’Islam!
Ricordiamo che solo 2 anni dopo (il 20.10.2011) il leader libico Gheddafi sarebbe poi stato barbaramente ucciso dalle forze dell’ONU, USA (Obama) e francesi, che volevano cavalcare le cosiddette “primavere arabe”, da loro promosse con chiari interessi petroliferi e di geopolitica, ma hanno invece gettato la Libia nel caos, pericolosissimo per l’Italia, sia per le risorse energetiche (metano e petrolio) che ci fornisce, sia per la questione dell’immigrazione clandestina proveniente specialmente dalle coste libiche.
Ecco perché, anche nell’immaginario collettivo italiano, persino quello che si ritiene “dotto”, la Teologia non è ritenuta una scienza (in senso lato: cioè lo studio razionalmente rigoroso di una realtà), cioè con la dignità di un profondissimo studio universitario (mentre la Facoltà di Teologia, dove esiste, prevede, per la Laurea Magistrale, le Specializzazioni e il Dottorato di ricerca, circa 10 anni di studi), ma “roba da preti”, discorsi per credenti, insomma una questione confessionale e opzionale, su cui persino vantarsi di esserne all’oscuro!
Così che non si arrossisce neppure, ma anzi si sorride ironicamente, anche nei salotti “in” e mediatici, della propria ignoranza biblica, cioè di ciò che è invece appunto il fondamento stesso della nostra civiltà ed elemento portante dell’intera storia dell’umanità.
Per cui sentire il richiamo a dover conoscere almeno un poco la Bibbia, cioè la Rivelazione di Dio stesso, di cui dovremo peraltro e soprattutto rendere conto a Dio in eterno, è avvertito al massimo come un “pio” richiamo spirituale, da potersi scrollare facilmente di dosso come “roba da credenti ingenui” o semmai solo da rispettare come anticaglia tradizionalista.
Però, a ben vedere, si sorriderebbe ancora, anche in ambiente sociale e culturale di rango, se qualcuno fosse totalmente all’oscuro di chi sia stato ad esempio Dante Alighieri, Michelangelo, Bach o Händel? Eppure, non si capisce praticamente quasi nulla della Divina Commedia o degli affreschi michelangioleschi della Cappella sistina (dalla Creazione al Giudizio universale) o della sua Pietà, così come dei Corali di Bach (che componeva in base alle letture bibliche domenicali e sui cui spartiti segnava sempre Ad Dei gloriam) o del Messiah di Händel (che è l’intera Bibbia magnificamente cantata, dalla Creazione, all’Incarnazione fino al notissimo Alleluja e Amen finale dell’Apocalisse) se non si conosce almeno sommariamente la Bibbia!
Antico Testamento
Parola di Dio per la maggioranza assoluta della popolazione mondiale
Dovrebbe anzitutto essere assai significativo, e condurci a porci seri interrogativi sull’origine “divina” del testo biblico, constatare come già l’Antico Testamento, cioè i primi 46 libri della Bibbia e che coprono un tempo di 18 secoli, sia ancor oggi considerato Rivelazione divina dalla maggioranza assoluta della popolazione mondiale. Parliamo ovviamente degli Ebrei, primi destinatari di quella Rivelazione divina, dei Cristiani, che riconoscono in tale Rivelazione veterotestamentaria un’indispensabile preparazione al Vangelo, e pure i Musulmani, che trovano anch’essi nell’A. T. dei fondamenti della loro stessa Religione. Insieme, queste tre grandi Religioni, che sono le uniche monoteiste, superano oggi più di 4 miliardi di fedeli! Già questo dovrebbe porre qualche sospetto e farci scrollare di dosso quella talora perfino saccente ignoranza cui abbiamo sopra fatto cenno e così diffusa anche nella società italiana. Non saranno tutti cretini o ingenui creduloni miliardi e miliardi di persone che per millenni e ancor oggi credono che quel testo sia Parola di Dio.
Proviamo infatti a fare una semplicissima somma …
Ovviamente i primi destinatari di quella Rivelazione divina e di quel testo (Antico Testamento) sono gli Ebrei. Il loro attuale numero ufficiale è relativamente esiguo, nonostante l’ingentissimo potere economico e mediatico che rivestono. Essi poi, oltre che in Israele, vivono ovunque, soprattutto in Occidente e specie negli USA. Anche se non sempre ben numericamente identificabili essi sono circa 20 milioni. Inoltre tra loro molti, pur dichiarandosi Ebrei, lo sono più per appartenenza etnica che religiosa: molti di essi infatti sono perfino dichiaratamente atei (si pensi ad esempio, per rimanere in Italia, come si dichiarava tale la celebre Rita Levi Montalcini).
Rimane però certo impressionante come, rispetto a tutti i popoli dell’antichità, che fondarono civiltà ben più potenti e progredite (pensiamo agli Egiziani, agli Assiro-Babilonesi, ai Persiani ai Greci e persino ai Romani), solo la religione ebraica rimanga intatta nel tempo, dall’Antico Testamento fino ad oggi. Si pensi poi, come ricorderemo brevemente tra poco, all’assoluta novità (e superiorità anche razionale), della sua teologia (concezione di Dio), cosmologia (Creazione), antropologia (visione dell’uomo, creato “ad immagine e somiglianza di Dio”, libero e razionale), come della sua morale (basterebbe pensare al Decalogo) e alla stessa visione della storia (lineare e non più circolare). Come spiegare tutto questo, per un popolo allora piccolissimo e arretrato rispetto a tutti i popoli dell’antichità, senza ammettere una Rivelazione divina?
Come sappiamo, anche il cristianesimo, pur nato dalla novità evangelica (Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo), riconosce nell’Antico Testamento una prima e progressiva Rivelazione di Dio, che rimane fondamentale anche per capire il Nuovo Testamento. Gesù infatti attua tutte le profezie veterotestamentarie e perfeziona e porta al definitivo compimento tale Rivelazione già donata agli Ebrei (cfr. Mt 5,17). Non a caso anche nell’attuale Liturgia cattolica (in genere la Prima lettura, oltre al Salmo, della S. Messa festiva) brani dell’Antico Testamento vengono solennemente proclamati come “Parola di Dio”.
Ed oggi i cristiani nel mondo sono 2,5 miliardi.
Anche l’unica grande religione nata dopo il Cristianesimo (VII secolo d.C.), cioè l’Islam, pur fondata dal sedicente ultimo Profeta di Dio (Maometto vedi) e con un proprio testo sacro (Corano), ha comunque un chiaro riferimento anche alla Bibbia (che Maometto conosceva, sia pur molto confusamente, anche per il contatto con l’allora prospero monachesimo cristiano del deserto), specie all’Antico Testamento. Non a caso anche l’Islam rimane in un fermissimo “monoteismo” (ricordiamo peraltro che anche razionalmente e filosoficamente Dio non può che essere “Uno”, vedi una delle prime catechesi), nella visione del mondo come Creazione divina, oltre che nell’idea del finale Giudizio divino.
Ovviamente sia la religione ebraica che quella musulmana negano radicalmente che Gesù sia Dio stesso fatto uomo (che è invece il fondamento della fede cristiana), perché un Dio fatto uomo è per loro un’inammissibile “bestemmia”! Per l’Islam Gesù è però un grande profeta, nel solco della grande Rivelazione divina culminata col profeta Maometto. Per la religione ebraica Gesù non solo non era il Messia promesso da Dio (che infatti attendono ancora, pur riconoscendo il misterioso “silenzio” di Dio in questi ultimi due millenni), ma era il grande “bestemmiatore”, che venne infatti condannato a morte dai loro capi religiosi proprio in quanto voleva farsi Dio (cfr. Mt 26,63-66), anche se dovettero trovare il pretesto della sua “regalità” per farlo condannare alla crocifissione dai Romani (cfr. Gv 18,28-38).
Per la religione musulmana Dio (Allah) rimane comunque talmente trascendente da essere irraggiungibile, nel tempo e persino nell’eternità. La fede islamica, più che comunione d’amore con Dio, è totale “sottomissione” a Lui (questo il significato del termine “Islam”); lo si vede sia nel modo di intendere la preghiera che nella stessa sua visione sostanzialmente “teocratica”. Anche nell’eternità Dio rimane irraggiungibile; il paradiso stesso (per chi lo merita, perché anche per l’Islam Dio sarà il Giudice universale) non sarà il raggiungimento di Dio ma semplicemente un luogo di godimento (persino sessuale e solo per i maschi rimasti fedeli ad Allah; oggettivamente una visione molto ingenua e materiale, oltre che maschilista).
Attualmente nel mondo l’Islam conta circa 1,5 miliardi di fedeli.
Tirando appunto le somme (2,5 miliardi di Cristiani + 1,5 miliardi di Musulmani + 20 milioni di Ebrei), dobbiamo dunque riconoscere che tuttora più del 50% della popolazione mondiale (ben oltre 4 miliardi di fedeli su 8 miliardi di abitanti della Terra) crede che Dio si sia realmente rivelato già agli Ebrei nell’Antico Testamento (Bibbia)! Non saranno tutti pazzi o ingenui creduloni a credere che sia Parola di Dio quel Testo (Bibbia) emerso dal 1800 a.C. al I sec. a. C. (e col Nuovo Testamento, creduto dai Cristiani, fino al I sec. d.C.), in una sperduta e insignificante regione del Medio Oriente (Palestina/Israele, non a caso considerata Terra Santa da queste tre grandi religioni dell’umanità, soprattutto dai Cristiani, per la presenza di Dio stesso fatto uomo in quella Terra). Non dovrebbe già questo, persino a livello solo culturale, scuoterci dall’apatia e sospingerci a studiare tale testo (Bibbia) e cercare di comprenderne il senso autentico?
[Nel sito vedi pure le Catechesi fondamentali, in “Un aiuto per capire la fede”, specie la 3 e la 4]
La formazione della Bibbia
Com’è noto, o dovrebbe esserlo appunto anche per motivi culturali, la Bibbia non è un testo come gli altri, neppure quelli considerati come testi sacri o religiosi.
Il termine Bibbia (Biblia) è antitutto un plurale: più che “un” libro, pur essendo certo un’unità ben precisa e inscindibile, il termine stesso indica “i libri”. Si tratta infatti di 73 libri: 46 dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo Testamento.
L’Antico Testamento (appunto 46 libri) occupa un arco di tempo molto lungo: circa 1800 anni! Come sappiamo e come abbiamo anche sopra ricordato, si tratta già della Rivelazione soprannaturale dell’unico vero Dio (pur attraverso l’ispirazione e gli scritti di molti autori umani), rivolta esclusivamente agli Ebrei, come lenta e progressiva preparazione alla Sua venuta (Incarnazione del Verbo/Logos, 2^ Persona della SS.ma trinità), che non a caso è avvenuta in quel territorio (Palestina) e in quel popolo (anche Gesù, Maria SS.ma, S. Giuseppe e gli Apostoli sono comunque appartenenti al popolo ebraico). Dopo il racconto della creazione (del cosmo e dell’uomo) e i primi grandi avvenimenti dell’umanità (peccato originale, diluvio, torre di Babele), presenti nei primi 11 capitoli del primo libro della Bibbia (Genesi), troviamo Abramo, capostipite e patriarca del popolo ebraico (anche dal punto di vista genealogico, oltre che nella fede). Da qui comincia una lunga storia, chiamata non a caso “storia della salvezza”, in cui Dio appunto si rivela (al popolo ebraico), attraverso fatti (non casuali ma come segno dell’intervento divino) e parole (dei profeti, cioè dei portavoce di Dio, per capire la volontà di Dio e il senso stesso di ciò che accade). Si tratta di una continua chiamata di Dio alla comunione con Lui (Alleanza), fonte di ogni bene; e dall’obbedienza (questa è la fede) o disobbedienza (questo è il peccato) a Lui dipende il bene o il male di ciò che il singolo e il popolo sperimenta appunto nella propria storia. Già nell’A. T. emerge dunque che la storia non è appunto un destino cieco né casuale, ma l’incontro di due libertà: quella suprema di Dio, che ci ama e ci chiama alla comunione con Sé e all’obbedienza alla Sua Legge, e quella dell’uomo, che è chiamato a rispondere a tale chiamata e alleanza divine. Una storia appunto di 1800 anni circa, che culmina (e anche per gli Ebrei non c’è un seguito) con la venuta di Dio stesso sulla Terra (Cristo Signore), 2025 anni fa.
Il Nuovo Testamento (appunto 27 libri) inizialmente più che un testo è soprattutto l’Avvenimento centrale di tutta la storia umana (contiamo infatti gli anni prima e dopo questo Evento) e culmine pieno, definitivo e insuperabile (fino alla fine del mondo) della Rivelazione dell’unico vero Dio, avvenuta con la Sua stessa Incarnazione (Dio fatto uomo) e per la nostra Redenzione (salvezza eterna). Tale Evento, decisivo per la vita e per l’eternità di ogni uomo di tutti i tempi e luoghi della storia umana, è Cristo stesso. Vangelo (che significa “la straordinaria notizia”), prima che un libro è dunque un fatto, un avvenimento, un evento storico, anzi, una Persona: la persona stessa di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
La notizia di tale evento, cioè di ciò che Cristo ha fatto e detto soprattutto nei circa 3 anni del Suo ministero pubblico (siamo quindi attorno al 30 d.C.), e che trova il suo culmine nella Sua morte in Croce e nella Sua Risurrezione, è anzitutto “orale” ed è fatta, testimoniata e predicata da coloro che ne furono appunto i testimoni oculari, ‘in primis’ gli Apostoli, cioè i 12 che sono stati sempre con Lui e diverranno, secondo il volere di Gesù stesso, le colonne e fondamento della Chiesa (che infatti si dice per questo “apostolica”, come la vera fede cristiana), con a capo Pietro.
Non si tratta quindi tanto di una nuova Religione, ma di Dio stesso fatto uomo, condizione di salvezza di tutti gli uomini di tutti i tempi.
Questo è il centro, fondamentale e insuperabile, di tutta la Bibbia, cioè di tutta le Rivelazione di Dio all’umanità. Non c’è per questo fondamentalmente da attendersi altro, fino alla fine del mondo, che sia necessario per la nostra salvezza eterna.
Proprio per questa presenza di Dio stesso sulla Terra (Cristo) si può comprendere facilmente come il cristianesimo è ben più che una Religione; e per sé non permette neppure paragoni con le altre Religioni (in nessuna delle quali c’è infatti Dio stesso fatto uomo).
Non può infatti che esserci un solo Dio; ed Egli è la Verità assoluta.
Oltre all’annuncio orale del Vangelo (testimonianza apostolica) e alla Tradizione vivente della Chiesa (che rimarrà nei secoli, sotto la guida del perenne autentico Magistero della Chiesa, condizione per la giusta interpretazione della Bibbia e quindi della vera fede e morale cristiana), nell’arco dei decenni successivi alla morte/risurrezione di Cristo e alla nascita della Chiesa (Pentecoste), sempre nel primo secolo dopo Cristo, si formeranno pure i Vangeli scritti (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), riconosciuti autentici (canonici) dagli stessi Apostoli o dai loro primi successori (Vescovi). I 4 vangeli (inizio del Nuovo Testamento) rappresentano quindi il cuore stesso della Bibbia, cioè della Rivelazione di Dio agli uomini, per la nostra salvezza.
Sotto questo aspetto la Bibbia, più che essere letta dall’inizio alla fine, come un qualsiasi libro, impresa peraltro ardua (trattandosi appunto di 73 libri, di non sempre facile comprensione e specie per quel che riguarda l’A. T. richiede anche una corretta consapevolezza delle categorie proprie del tempo come dei simboli usati), andrebbe letta a partire appunto dai 4 Vangeli, cioè proprio a partire dall’evento di Cristo, culmine e chiave di volta per comprendere appunto il perché stesso dell’intera Bibbia.
Gli altri 23 libri che compongono il Nuovo Testamento, sempre del primo secolo (d.C.), sono testi che sono stati immediatamente riconosciuti come ispirati da Dio (Parola di Dio), e come tali appunto inseriti nella Bibbia, e utili per una più efficace e profonda comprensione del mistero stesso di Cristo.
Essi sono: Atti degli Apostoli, 13 Lettere di S. Paolo (ai Romani, 2 ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, 2 ai Tessalonicesi, 2 a Timoteo, a Tito, a Filemone), la Lettera agli Ebrei, la Lettera di S. Giacomo, 2 Lettere di S. Pietro, 3 Lettere di S. Giovanni e la Lettera di Giuda (l’apostolo S. Giuda Taddeo, non certo Giuda il Traditore). A conclusione di tutto il Nuovo Testamento e quindi dell’intera Bibbia e Rivelazione divina, c’è il libro dell’Apocalisse, unico libro profetico del N. T.
Dopo la morte dell’ultimo Apostolo (Giovanni, attorno al 90-100 d.C.) e l’ultimo libro apostolico del N.T. (Apocalisse), fino alla fine del mondo non c’è attendersi altra Rivelazione pubblica di Dio all’umanità, in quanto in Gesù (e in tutto il Nuovo Testamento) c’è appunto il compimento definitivo della Rivelazione divina e quindi di ciò che è necessario sapere, ricevere e vivere per essere salvi.
Se l’Antico Testamento, dal punto di vista temporale (per la sua formazione) occupa il lungo arco di tempo di 18 secoli (dal 1.800 a.C. all’anno 0), il Nuovo Testamento occupa un arco di tempo di neppure un secolo (primo secolo d. C.).
Potremmo dunque dire che la Bibbia, come rivelazione di Dio all’umanità, si estende per circa 19-20 secoli.
Non entriamo qui nella questione di cosa significhi esattamente che la Bibbia è “ispirata” da Dio, cioè che, al di là degli autori umani, sia proprio Dio a parlare e a rivelarsi all’umanità. Precisiamo solo che, in riferimento ai profeti e agli autori materiali del testo sacro, non si tratta né di una vaga ispirazione intellettuale o sentimentale (come quando parliamo ad esempio dell’ispirazione di un poeta o artista) né di una reale dettatura (come ad esempio l’Islam crede sia avvenuto per la formazione del Corano, da parte dell’angelo Gabriele). Attraverso gli autori umani ispirati, è realmente Dio a parlare (agli Ebrei e poi all’umanità intera) e quindi senza possibilità di errore (Dio non si sbaglia e non ci inganna!); ma ha lasciato ugualmente a loro il modo di esprimersi e, specie per quel riguarda l’Antico Testamento (visti i lunghi tempi di composizione), anche l’uso di vari “generi letterari” o diversi modi di esprimersi dei tempi e dei luoghi (che dobbiamo dunque conoscere e tener presenti, per l’esatta comprensione del testo), come pure in riferimento ai destinatari più immediati (vedi Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 11-12 e 13).
Alcune straordinarie novità della Bibbia e la loro enorme incidenza nella civiltà occidentale e mondiale
Abbia già sopra fatto cenno a certi contenuti della Bibbia, fin dalle sue prime pagine (Genesi) e già nell’A. T., che obiettivamente sono stati e sono di straordinaria importanza per la civiltà mondiale e che sarebbe arduo cercare di spiegare come semplice parola o sapienza umana.
Se fossero infatti opera degli Ebrei o comunque di qualche sapiente del Medio Oriente antico, i conti, per dirlo in modo semplice, non tornerebbero. Se infatti tali superlativi contenuti fossero frutto di una geniale invenzione degli Ebrei, allora non si capirebbe perché invece il popolo ebraico appare come il più piccolo, povero e arretrato popolo dell’antichità, a confronto con le altre civiltà mediterranee, mesopotamiche o persiana. E invece proprio tali contenuti superano di gran lunga anche i vertici di tali civiltà e permangono nel tempo, a differenza appunto di tali civiltà, che di fatto sono invece tutte tramontate nell’arco di pochi secoli. L’ipotesi più razionale e plausibile è dunque quella che ammette che qui non siamo di fronte semplicemente ad una sapienza umana, che andrebbe ugualmente e accuratamente studiata, ma appunto di fronte alla Rivelazione di Dio stesso (che proprio per evidenziare come l’opera sia Sua e non semplicemente degli uomini, sceglie spesso strumenti poveri e apparentemente inadeguati per manifestarsi; un metodo che Dio usa spesso anche nella storia della Chiesa e oggi).
Se pensiamo ad esempio alla grande civiltà egiziana vediamo come essa sia durata circa 4000 anni ed abbia trovato il suo apogeo proprio ai tempi di Mosè (circa 1250 a.C.) e quindi al tempo dell’Esodo (il più grande evento dell’A. T., riportato nell’omonimo libro, il 2° della Bibbia dopo Genesi); proprio in quel tempo è appunto evidentissima la sproporzione tra la grande civiltà dei faraoni e il miserabile popolo ebraico, allora proprio schiavo in Egitto; ma già dall’esperienza dell’Esodo si manifesta invece la straordinaria e obiettiva superiorità della sapienza ebraica (teologica, antropologica ed etica) rispetto a quella egiziana! Inoltre, già al tempo di Cristo la civiltà egiziana è quasi definitivamente tramontata; mentre tale sapienza e religione ebraica (Bibbia) rimane intatta ancor oggi.
Analoghi confronti, e con lo stesso risultato, potrebbero essere compiuti con la civiltà Sumerica (sorta nel 3500 a.C. e già tramontata nel 1900 a.C.) o Babilonese (1900 a.C. / 600 a.C.), con quella Assira (1800 a.C. / 900 a.C.), Fenicia (2000 a.C. / 300 a.C.), Hittita (1800 a.C. / 800 a.C.), Persiana (700 a. C. / 200 a.C.) e persino Greca (1100 a. C. / 500 a.C.) e Romana (753 a.C. / V sec. d.C.).
Eppure, come abbiamo ricordato all’inizio, qualcosa di quelle civiltà, specie quella greca e latina, pur tramontate da tempo, viene giustamente fatto studiare anche a scuola; mentre della Bibbia praticamente nulla!
Facciamo allora un rapidissimo cenno ad alcuni di questi decisivi contenuti religiosi e culturali, emersi dalla Bibbia fin dalle prime pagine dell’Antico Testamento, e che storicamente costituiscono non solo una novità assoluta nel panorama delle religioni e civiltà mondiali, ma la base della nostra stessa civiltà occidentale e in fondo mondiale.
Ecco alcune novità della Bibbia, che costituiscono un enorme progresso per la civiltà mondiale
La prima grande novità emergente dalla Bibbia è proprio data dalla sua superiore concezione di Dio (teologia; ricordiamo come proprio la concezione di Dio costituisca il fondamento di ogni civiltà). Per la prima volta nella storia dell’umanità con gli Ebrei (fin dalle prime pagine della Bibbia) emerge un chiaro monoteismo (che sarà appunto caratterizzante le tre grandi Religioni: ebraismo, cristianesimo e islam): Dio non solo è trascendente (al di là dell’universo) ed eterno (al di là del tempo), ma è Uno (in Sé) e Unico (non ce ne sono altri). Inoltre, e ciò emerge già dal primo versetto della Bibbia (Gn 1,1: “In principio Dio creò il cielo e la terra”), Dio è il Creatore di tutto (l’Essere che trae dal nulla tutte le cose, visibili e invisibili). Questo è pure il primo contenuto della fede (v. il Credo), sia ebraica che cristiana e pure musulmana. Che tutto dipenda dalla “divinità” è patrimonio per così dire comune del senso religioso universale. Però anche le grandi culture dell’Egitto e della Mesopotamia, come anche degli Hittiti e dei Cananei, non possedevano alcuna idea di un Dio creatore, unico e onnipotente, e spiegavano anche gli eventi naturali con una serie di divinità [si pensi che questa è anche la visione di fondo dell’Induismo]. I vertici stessi della filosofia classica greca, cioè del pensiero razionale antico (Socrate, Platone e Aristotele) comprendono già che la Causa prima del mondo (arché) è trascendente, cioè non immanente alla Natura stessa (in Platone è il Logos, Intelligenza suprema ordinatrice dell’universo; in Aristotele è il Primo Motore Immobile, causa prima indiveniente di tutto il divenire cosmico, vedi relativa catechesi). Ma che Dio sia la Causa di tutto (“cielo e terra”), che nulla a Lui preesista (“in principio”) e che quindi Dio fa esistere tutte le cose dal nulla (“ex nihilo facere”) ed Egli, uno ed unico, doni “liberamente” l’esistenza a tutto, come segno non solo della sua Onnipotenza e Intelligenza ma del Suo stesso Amore, è un’assoluta novità della Bibbia (Creazione). Di conseguenza, tutto ciò che esiste è bene, perché opera di Dio. Persino il “serpente”(cfr. Gn 3,1), pur presente in molte culture contemporanee attigue a Israele, dove spesso è adorato e temuto come Dio del male (si pensi al manicheismo), nella Bibbia, pur simbolo del diavolo, è anch’egli una creatura di Dio, buona in sé ma diventata malefica per abuso di libertà (si chiarirà che sono “angeli decaduti”, divenuti diavoli perché ribellatisi a Dio), che tenta l’uomo al peccato, cioè a sua volta alla ribellione a Dio.
Proprio questa idea della Natura come realtà “creata”, dipendente da Dio-Logos ma da Lui dotata di proprie leggi intrinseche (appunto logiche, poi si scoprirà talora persino matematiche), crea la base culturale e concettuale (cosmologia) che permetterà la stessa nascita della scienza.
Per questo la scienza nasce esclusivamente dalla Bibbia e nella civiltà cristiana, specialmente cattolica
Non è un giudizio “di parte”, ma un dato storico e culturale inequivocabile (vedi). Ascoltiamo in proposito alcuni importanti testimoni di questo impressionante dato culturale.
Come osserva ad esempio lo studioso americano T. E. Woods Jr. (cfr. “How the Catholic Church built western civilization”, Washington D.C., 2001; trad. it., Cantagalli SI, 2007: “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”, cfr. p. 12 e p. 75 e segg.), la maggior parte degli storici della scienza oggi sa come non sia casuale che la scienza moderna sia nata e si si sia sviluppata in ambiente cattolico, che ci sia quindi un nesso profondo tra la scienza e la fede cattolica e che la scienza debba infatti molto alla Chiesa Cattolica. E ciò proprio a motivo della concezione di Dio come Logos trascendente e Creatore; mentre tutta la realtà, proprio in quanto “creata”, non viene più intesa come se fosse dipendente da spiriti irrazionali, capricciosi e addirittura malefici (come è nella maggior parte delle religioni pagane o extra-bibliche); allo stesso modo proprio la fede cristiana ha fortemente sottolineato il valore della ragione (che ci fa ad immagine di Dio) e della sua capacità (che doveva essere rigorosa ma lasciata libera di indagare) di scoprire la logica stessa del mondo. Tutto ciò è sostanzialmente sconosciuto nelle altre civiltà”.
Così si esprime ad esempio lo scienziato M. Calvin (1911-1997; Premio Nobel per la Chimica 1961): “Il monoteismo della Bibbia (già l’A. T.), con una cosmologia che considera l’universo regolato da un unico Dio e non dal capriccio di molti dèi, è il fondamento storico della scienza moderna”.
Così ancora lo scienziato R. A. Millikan (1868-1953; Premio Nobel per la Fisica 1923 e strenuo sostenitore dell’accordo tra scienza e fede): “la causa del sorgere della scienza sperimentale è la Bibbia, cioè la Rivelazione del Dio vero, non un Dio o dèi stravaganti e capricciosi, ma un’Intelligenza che opera secondo delle leggi”.
Sul perché la scienza moderna sia nata esclusivamente all’interno della civiltà cristiana e specialmente cattolica (non a caso in Italia e in Europa), ecco poi la testimonianza del famoso scienziato italiano Antonino Zichichi: “Mai una legge scientifica è stata infatti scoperta al di fuori della civiltà cristiana”. “La scienza è nata in casa cattolica con Galileo Galilei, per un atto di fede in Dio Creatore e nel Creato. E Galileo fu il primo a cercare le impronte del Creatore studiando anche gli oggetti <volgari>, cominciando perfino dalle pietre e dal loro moto di caduta, sapendo che la Sapienza infinita di Dio aveva scritto il “libro della Natura” con una acutissima logica (la Logica del Creato), anzi con caratteri matematici; e la scienza ha come obiettivo di capire ciò che Dio ha scritto, usando proprio il rigore della matematica. Per questo con Galileo nasce la scienza moderna, proprio comprendendo che le leggi fondamentali della natura sono espresse da precise equazioni matematiche. Galilei voleva semplicemente leggere il “Libro della Natura”, scritto da Dio con caratteri matematici. Dire nel XVII secolo che bisognava seguire questa strada per scoprire le leggi fondamentali della natura, non era il risultato di un discorso logico ma un atto di fede in Dio Creatore. La scienza nasce da questo atto di umiltà intellettuale, dalla consapevolezza che nasce dalla fede cristiana: in ciascun oggetto doveva esserci l’impronta della sapienza del Creatore, che è un Intelletto Matematico”. “Per questo stesso motivo fede e scienza non potevano per Galileo contraddirsi, perché Bibbia e Natura sono due libri scritti dallo stesso Autore, che è il Creatore”. “Fede e scienza non si contraddicono. Se vivessimo davvero nell’era della scienza queste verità sarebbero patrimonio culturale di tutti. I persistenti e propagandati pregiudizi contrari nulla hanno a che vedere con la (vera) scienza” [A. Zichichi, “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo”, Il Saggiatore (MI) 1999, pp. 20.31.48.78].
Del resto, lo stesso Galileo, che era un uomo di fede cattolica (vedi il dossier o il documento a domande e risposte vedi), diceva: “Procedono di pari dal Verbo divino la Scrittura Santa e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”; “il mondo sono le opere di Dio e la Scrittura sono le Parole del medesimo Dio”. Proprio la certezza che l’universo, come dice la Bibbia, è opera di un Dio che è Logos (Intelligenza suprema), per cui nel creato, tanto nel “volgare” sassolino che cade come nelle stelle, si manifesta una logica talmente precisa da potersi esprimere addirittura in termini matematici, portò Galileo a fondare non solo sull’esperimento ma sul rigore matematico la nuova scienza moderna. Era talmente convinto di questa base biblica e teologica della nuova cosmologia, che Galileo arrivò perfino ad esagerare, non solo erroneamente citando la Bibbia stessa nei suoi trattati (e persino nel processo del 1633, vedi il documento) ma ad esempio opponendosi inizialmente alle scoperte di Keplero circa le orbite ellittiche dei pianeti, che Galileo sosteneva dovessero essere circolari a motivo del fatto che Dio fa le cose in modo perfetto e il cerchio è più perfetto dell’elisse (il che è vero nel piano ma non nella sfera e nello spazio).
Che la Natura, come emerge dalla Bibbia, non sia una divinità (panteismo) o un destino cieco e casuale (fatalismo), né scherzo e trastullo degli dèi o di forze oscure (visione magica e superstiziosa, condannata dalla Bibbia già col 1° Comandamento), ma opera di Dio Creatore (Intelligenza e Amore supremo), è stato decisivo, nello sviluppo stesso della civiltà mondiale, per evitare due opposti estremismi, assai frequenti e molto pericolosi per l’uomo: l’uomo non è né succube di forze oscure e cieche (persino malvagie, da adorare e da tenere buone per sé, come avviene in quasi tutte le religioni arcaiche, anche americane pre-colombiane), che sorpasserebbero e annienterebbero la sua libertà, né è lui il padrone assoluto (come si vuole dall’Illuminismo in poi e quindi nel liberalismo/capitalismo selvaggio), così da poter agire con una libertà senza regole e alla fine distruttiva (degli altri, di sé e della natura stessa).
Proprio questa consapevolezza del mondo come opera (Creazione) di un Dio-Logos (Intelligenza suprema), affidata all’uomo (come signore e amministratore ma non padrone assoluto del creato), ha permesso la nascita stessa della scienza, che sarebbe invece a priori impossibile in un’idea fatalistica o casuale della realtà. Infatti non a caso la scienza è nata e si è sviluppata storicamente dalla civiltà cristiana (come la storia dimostra e come illustri scienziati anche contemporanei ci ricordano).
Il Signore di tutto è Dio (Creatore), non l’uomo. E l’uomo deve obbedire a Dio, suo Creatore. Il Creato stesso (Natura) obbedisce a Dio: obbedisce infatti a rigorose leggi scientifiche, che l’uomo può pian piano scoprire ma non inventare, utilizzare per il suo bene ma non per distruggere e distruggersi.
È per questo essenziale e imprescindibile che si riscopra questo primo contenuto della Bibbia (fede giudaico-cristiana) e del Credo (Dio Creatore di tutto, del cielo e della terra, delle realtà visibili e invisibili), cioè la Creazione.
Ancora fin dalla prima pagina della Bibbia emerge pure una nuova, straordinaria e insuperabile antropologia.(visione dell’uomo). Si evidenzia infatti subito che il culmine della creazione è l’uomo, creato “a immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26), cioè capace di pensiero (intelligenza) e volontà libera (responsabilità). Per questo, oltre e soprattutto ad essere in grado di conoscere Dio e chiamato a partecipare alla Sua vita, è in grado anche di conoscere progressivamente la natura e di esserne il signore (“dominus”, chiamato a dominare il creato, cfr. Gn 1,28).
Nasce così anche una corretta gerarchia degli esseri (che attualmente la civiltà occidentale sta invece smarrendo e capovolgendo, proprio a causa della sua apostasia dalla vera fede biblica e perfino dalla corretta ragione, fino al punto di tornare di fatto ad adorare la Natura e a credere gli animali uguali se non persino superiori all’uomo – vedi dossier sull’Ecologismo), una esatta “gradualità ontologica”, cioè deli “esseri”, e conseguentemente di una giusta gerarchia dei valori, dei diritti e dei doveri!
Ecco invece l’esatta gradualità ontologica, cioè degli esseri (in ordine decrescente): Dio (Essere supremo e Causa prima e fondamento ultimo di tutte le cose), gli Angeli (puri spiriti), l’uomo (spirito in un corpo; e per questo culmine del mondo visibile e capace di entrare in rapporto d’amore con Dio ma anche di esplorare e dominare l’universo), gli animali (viventi dotati di sensibilità ma senza lo spirito, anche nei più evoluti, cioè quella facoltà intellettiva o ragione che permette il progresso razionale della conoscenza e l’uso della volontà libera, cosa infatti assente negli animali), i vegetali (viventi, ma con un principio di vita solo vegetativo) e infine la realtà materiale.
Raccogliamo ancora qualche dato dell’importantissima antropologia biblica, diventata decisiva per la civiltà mondiale. Che l’uomo, sia pur liberamente dipendente da Dio suo creatore e chiamato alla comunione con Lui, sia superiore a tutti gli animali e perfino all’intero creato, e quindi suo non padrone ma amministratore (da cui pure il nuovo significato del lavoro stesso), è appunto una novità biblica.
Che nell’uomo esista, oltre al corpo materiale, anche un’anima spirituale e immortale, come la parte più importante di sé, è un dato presente in quasi tutte le religioni e nelle più importanti filosofie. Invece la piena unità e armonia di corpo e di spirito nell’essere umano è una novità biblica. Essa supera così sia le visioni solo materialistiche ed edonistiche (esiste solo il corpo e i suoi piaceri) sia quelle spiritualiste disincarnate (come in genere sono, persino al di là dell’apparenza, tutte le filosofie e religioni orientali, che spingono all’evasione dal corpo, talora persino abbandonato all’anarchia delle sue voglie, come credono molti occidentali che abbracciano tali filosofie), come pure tutte le numerose concezioni filosofiche e religiose sostanzialmente dualiste (si pensi al manicheismo ma anche a certe forme di platonismo, o alla terribile medievale eresia catara) che vedono nella materia, nel corpo o nella sessualità la sede del male (peccato che molti pensino erroneamente questo anche del cristianesimo!). Tale novità antropologica proveniente dalla Bibbia trova la sua base appunto già nella Creazione [Dio è il creatore di tutto, corpo e spirito, e “tutto è bene” (cfr. Gn 1), se mantenuto nel significato datogli dal Creatore,] e il suo culmine nell’Incarnazione (Dio si fa uomo ed assume un corpo umano) e Redenzione (Cristo paga con il corpo, col Suo Sangue e la Croce il riscatto dal peccato per la nostra salvezza). Singolarmente è rimasta non solo nell’innocenza originaria (Immacolata, senza “peccato originale”) ma proprio in quanto supremamente associata al mistero della Redenzione operata dal divin Figlio, vediamo per questo Maria Santissima assunta in Cielo pure già con il suo corpo. L’importanza del corpo e dello spirito e la profonda unità di essi nell’essere umano si manifesta poi nell’esito finale e trascendente della vita umana e della storia (escatologia), che si evidenzia nella Bibbia e negli ultimi contenuti della vera fede cristiana (Novissimi, vedi; vedi anche catechesi n. 7 e relativa audio-catechesi ascolta); infatti, anche nella risurrezione finale e nella partecipazione all’eternità (beata o dannata) anche coi nostri corpi, trasformati nella nuova dimensione, ad immagine del Risorto, manifesta quanto profonda “unità” dell’uomo, sia pur fatto di corpo e spirito e con l’evidente priorità dello spirito (si pensi all’intelletto e alla volontà libera, come a tutte le attività spirituali proprie e dovute dall’uomo).
Tutto ciò è un’assoluta novità biblica, che ha cambiato le sorti della civiltà umana e della storia.
Se poi il problema del bene e del male (morale, etica) è decisivo per l’essere umano e per la riuscita o meno della sua stessa vita, in quanto l’uomo, a differenza degli animali, è creato libero e responsabile delle proprie azioni (quindi con meriti o colpe) e tale problema abbia occupato le menti di tutti i più grandi pensatori dell’umanità, ma di fatto di qualsiasi uomo e società, la questione dell’inesorabile presenza del male, di quale sia la sua causa e soprattutto se e come sia possibile porvi rimedio è una delle più grandi questione dell’uomo e della società (in fondo anche tutte le ideologie e rivoluzioni della Modernità nascono da questo impeto vedi), la Bibbia presenta delle risposte superiori a tutte le altre culture, filosofie e religioni. Ciò emerge già nell’idea stessa di Creazione [tutto è bene perché è opera di Dio (cfr. Gn 1), il male nasce da un abuso di libertà da parte degli spiriti (angelici o umani) che si ribellano alla buona volontà di Dio (il peccato)] e nel fatto e nella fondamentale dottrina del “peccato originale” (cfr. Gn 3), che lascerà una perenne ferita nella stessa natura umana. Oltre alla fondamentale “legge morale” data da Dio già agli Ebrei (Decalogo), la liberazione dal peccato e da ogni male troverà il suo culmine nel mistero della Redenzione, attuata attraverso la Croce di Cristo e la sua vittoria sul peccato e sulla morte.
Nelle altre civiltà, religioni e persino filosofie, constatiamo invece in genere un continuo oscillare tra fatalismo (c’è un Destino/Fato inesorabile che ci sovrasta e da cui non possiamo sfuggire), manicheismo (ci sono due principi e persino due divinità, del bene e del male, non accorgendosi peraltro che il male è in sé un concetto solo “privativo”, come mancanza di bene) o tutti quei tentativi, prevalenti nelle filosofie e religioni orientali (come nel Buddismo), di “anestetizzare” il male cercando di eliminare o soffocare il desiderio del bene e della felicità, e di sfuggire dal corpo e dalla realtà, anche con tecniche molto particolari e raffinate (v. yoga, zen, meditazioni trascendentali), se non addirittura con uso di droghe. Oppure, com’ è avvenuto nella Modernità (e nel liberalismo o nelle molteplici forme di edonismo) facendo al contrario della libertà un assoluto (si pensi all’attuale e perfino irrazionale affermazione di qualsiasi diritto).
Nella Bibbia invece, già nell’Antico Testamento e in modo superlativo nel Nuovo Testamento, la libertà deve essere sempre unita alla verità, che è il nostro vero bene, e che, oltre a poterlo già ben intravvedere con l’uso corretto della ragione, Dio stesso ce lo rivela. Non possiamo nasconderci che già nel Decalogo (cfr. Es 20), quindi ancora all’inizio della Bibbia, emerga un codice morale di gran lunga superiore a tutte le altre etiche e morali dell’antichità (e in fondo del presente), che Cristo porterà alla perfezione (cfr. Mt 5), nel nuovo comandamento dell’amore. [Non a caso ancor oggi possiamo e dobbiamo fare l’Esame di coscienza, anche per individuare i propri peccati in vista della Confessione sacramentale, proprio sulla base ancora dei 10 comandamenti (vedi)].
Dalla Bibbia, già dall’A.T., emerge poi la novità assoluta di una concezione lineare della storia, che supera di gran lunga tutte le altre visioni dell’antichità, in genere circolari (non a caso Nietzsche, negando il cristianesimo, volle recuperare l’inesorabile “eterno ritorno dello stesso”) e fatalistiche della stessa (il Fato, il Destino cieco, al di sopra persino deli dèi), che porterebbe necessariamente alla negazione della libertà dell’uomo. Per la Bibbia, invece, la storia ha in Dio il suo principio (Creazione), il suo culmine (Incarnazione e Redenzione in Cristo) e il suo sbocco (trascendente). Non siamo dunque immersi né in una pura casualità, né in un intreccio di forze cieche e inesorabili che ci dominano senza possibilità d’uscita. Come abbiamo già ricordato, per la Bibbia, già nell’Antico Testamento, la storia, personale e del popolo, è invece l’incrocio di due libertà: quella suprema di Dio, che chiama l’uomo alla comunione d’amore con Sé, e quella dell’uomo (creata da Dio ma che Dio stesso rispetta), chiamato ad obbedire a Dio, realizzando così pienamente il significato della propria esistenza, ma pure con la possibilità di disobbedire, distruggendo se stesso (fino alla dannazione eterna, possibilità che Gesù presenta continuamente e da cui sostanzialmente è venuto a salvarci). Già il popolo ebraico dell’’Antico Testamento sa molto bene che il bene e il male che capitano, anche nelle vicende storiche, non sono un destino cieco e capriccioso (quasi un gioco di déi che si divertono a scherzare con le nostre esistenze), ma il frutto della nostra obbedienza a Dio (la fede e la fedeltà all’Alleanza divina porta al bene e alla felicità) o della nostra disobbedienza (cioè del peccato, che prima o poi ci rovina, ma dipende da noi, sia pur sotto la pressione del demonio).
Questa novità biblica del senso della storia è ad esempio ben sottolineata da un testo di un grande filosofo russo: Nikolaj Berdjaev, “Il senso della storia“, Jaca Book, (1971) 2023 (vedi).
A ben vedere anche le filosofie e persino le rivoluzioni della Modernità (vedi), a cominciare da Hegel per arrivare fino a Marx, ma anche in quel culto del progresso tipicamente illuminista e pure contemporaneo, sono ancora conseguenza, persino quando si oppongono drasticamente al cristianesimo, di una concezione biblica e cristiana della storia, sia pur impazzita e calata solo nell’immanente, nella storia, come i nuovi “messianismi” (è evidente questa ascendenza ebraica ad esempio anche in Marx e nel comunismo), ma senza più uno sbocco trascendente e quindi in se stessa contraddittoria: dove va la storia se rimane chiusa in se stessa o addirittura, come in Nietzsche, ritorna persino ad essere circolare?
Ovviamente, come per tutta la Rivelazione biblica, il senso e il culmine della storia si trova in Cristo (vedi Col 1,12-27), nella sua Incarnazione (Dio fatto uomo), nella sua Redenzione dell’uomo (Croce e Risurrezione), nel Suo ritorno “nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il cui regno non avrà fine” (vedi nel Credo).
La comprensione della Bibbia
Abbiamo già sopra sottolineato come, per le caratteristiche stesse della Bibbia (Rivelazione divina) e soprattutto del Nuovo Testamento (Cristo vivo, non semplicemente un libro), non ci si possa accostare al testo biblico, né tanto meno correttamente comprenderlo, come se si trattasse di un qualsiasi testo dell’antichità. Tanto più che il suo scopo, essendo appunto Rivelazione divina, è la nostra stessa salvezza eterna. Ciò vale particolarmente per il Vangelo.
Ricordiamolo ancora: il Vangelo, prima di essere un libro (4 Vangeli), è un evento, un fatto, anzi è la persona stessa di Gesù Cristo, unico vero Dio (Seconda Persona della SS.ma Trinità, Logos) e unico salvatore dell’uomo.
Se Gesù stesso avesse voluto affidare a un libro l’annuncio della salvezza (e di ciò che è necessario credere, celebrare e fare per essere salvi), l’avrebbe certo scritto Egli stesso. E invece non scrisse nulla!
Ha infatti voluto affidare l’annuncio e la comunicazione della Sua Persona, della sua Parola e della Sua stessa Vita (specie mediante i Sacramenti vedi) alla predicazione e al ministero degli Apostoli (e dei loro successori: Vescovi), sotto la guida di uno di loro, cioè Pietro (e dei suoi successori, i Papi, in quanto vescovi di Roma, di cui fu primo vescovo appunto Pietro). Il Vangelo, potremmo dire, è una realtà “viva” ed è affidato ad una realtà viva, che è la Chiesa Cattolica (“Corpo mistico” di Cristo).
La fede e la Chiesa stessa, infatti, come abbiamo ricordato, è infatti “apostolica”.
Non che non siano importanti i Vangeli scritti, come gli altri testi del N. T. (e, alla loro luce, anche quelli dell’A.T., sia pur in tono minore), specie dopo la morte degli Apostoli e quindi dei diretti “testimoni oculari” dell’avvenimento e della predicazione di Cristo. Anzi, la Sacra Scrittura, specie il N. T. e soprattutto i Vangeli, rimane il punto di riferimento fondamentale, cui tutti devono sottomettersi (dal Papa all’ultimo cristiano, come ogni uomo della storia che voglia essere salvo); ma rimane vero che tali testi (Sacra Scrittura) vanno letti nel solco della sacra Tradizione della Chiesa (decisivi sono poi gli autori sacri dei primi secoli, chiamati “Padri della Chiesa”) e sotto la guida del Magistero (insegnamento ufficiale e perenne della Chiesa).
Ecco il motivo per cui, quando nella Chiesa Cattolica (voluta da Cristo e da Lui nata) si parla di “Dei Verbum”, cioè di Parola di Dio, non ci si riferisce solo alla Sacra Scrittura (Bibbia), anche se questa ha ovviamente il primato, ma anche, inscindibilmente, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa.
Potremmo dire, per essere un poco espliciti e concreti, che accanto alla Bibbia (vedi), per ben comprenderla, al di là di possibili e corretti commenti, dovremmo avere sempre anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (vedi).
Questa inscindibilità di Bibbia, Tradizione e Magistero è stata invece infranta dalla Riforma (Rivoluzione) protestante; a tal punto che non solo già nel suo sorgere (vedi), ma continuamente in questi 5 secoli, assistiamo al continuo moltiplicarsi di diverse interpretazioni della Bibbia stessa , con la conseguente nascita di sempre nuove sedicenti Chiese cristiane, in disaccordo tra loro stesse.
Invece, questa inscindibilità di Bibbia (Sacra Scrittura), Tradizione e Magistero, che insieme formano la Parola di Dio (Dei Verbum) e quindi il fondamento stesso della vera fede cristiana (cattolica), è stato solennemente ribadito anche dal Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum (vedi, spec. il capitolo 2).
Mentre continuano a moltiplicarsi le confessioni cristiane protestanti, con le loro rispettive comunità e divergenti interpretazioni della Bibbia, durante il XIX secolo negli USA sono nati poi due nuovi potenti gruppi religiosi: i cosiddetti “Mormoni”, fondati da Smith (1805-1844] e i “Testimoni di Geova”, fondati da Russel (1852-1916). Entrambi si definiscono cristiani, ma in realtà non lo sono (non vengono infatti riconosciuti tali né dai Cattolici né dai Protestanti) in quanto non riconoscono la divinità di Cristo o la vera SS.ma Trinità ed hanno operato cambiamenti talmente radicali della dottrina cristiana da porsi di fatto al di fuori del cristianesimo stesso, checché essi si ostinino a definirsi cristiani e ad ingannare così la sprovveduta popolazione anche cattolica. [I Mormoni hanno poi un loro testo di riferimento che è appunto il “Libro di Mormon”, peraltro venduto in 190 milioni di copie].
La diffusione della Bibbia
Torneremo tra poco sulla diffusione e traduzioni della Bibbia prima dell’avvento della stampa.
Come sappiamo, la Bibbia è stato persino il primo libro stampato, almeno in Europa: lo produsse lo stesso Gutenberg (Johannes Gensfleisch zum Gutenberg), l’inventore della stampa con la nuova tecnica dei caratteri mobili, a Magonza, nel 1453.
Da allora, la Bibbia è da sempre e costantemente il libro più stampato e venduto al mondo. Per questo non è nemmeno considerato nelle classifiche dei best-seller, perché occuperebbe sempre il 1° posto.
Secondo il Guinness World Records (1995), la Bibbia è il libro più venduto di tutti i tempi.
Si calcola che ne esistano circa 4 miliardi di copie (per fare un confronto: il Corano conta 800 milioni di copie), circa 1 ogni 2 abitanti del pianeta. Ogni anno si acquistano nel mondo circa 35 milioni di copie della Bibbia (170 milioni se si calcolano anche le pubblicazioni parziali del testo). In Italia si vendono circa 250.000 copie annue.
Attuale impennata di vendite della Bibbia negli USA
Solo nel corso dell’ultimo anno, le vendite della Bibbia sono cresciute negli USA del 22% (46% in 4 anni). È un dato ufficiale (peraltro ancora parziale, fino ad ottobre 2024), fornito dal Circana Bookscan, che analizza costantemente l’andamento del mercato editoriale USA, e riportato addirittura dal Wall Street Journal (J. A. Trachtenberg). Si tratta di un incremento impressionante, anche a confronto con l’incremento totale dei libri venduti nel corso dell’ultimo anno (1%). Negli USA sono state infatti vendute 9,7 milioni di copie della Bibbia nel 2019, 14,2 milioni nel 2023, 13,7milioni nel 2024 (fino ad ottobre).
Tale enorme incremento di vendite della Bibbia si registra sia nelle librerie religiose che in quelle laiche, come pure online, tanto nel tradizionale formato cartaceo quanto pure in quello digitale e audiolibro.
Secondo alcuni analisti del settore, tale imponente ritorno alla Bibbia, oltre al tradizionale ovvio riferimento richiesto sia dalle comunità cattoliche e ancor più da quelle protestanti, risente pure del diffuso bisogno sociale di avere dei punti di riferimento solidi in un momento di grande smarrimento generalizzato.
Durante il 2024 tale incremento può aver avuto una spinta anche dalla sponsorizzazione di una edizione della Bibbia (Greenwood, protestante) fatta nientemeno che da D. Trump, in un video in cui il futuro Presidente indica nell’allontanamento dal cristianesimo uno dei principali problemi del Paese: «Ogni americano ha bisogno di una Bibbia a casa propria. È il mio libro preferito e ci ricorda che la cosa fondamentale che dobbiamo restituire all’America per renderla di nuovo grande è la nostra religione. Dobbiamo difendere la presenza di Dio nella pubblica piazza. Dobbiamo fare in modo che l’America preghi di nuovo».
Nello stesso menzionato recente articolo del Wall Street Journal anche Cely Vázquez, nota ex concorrente del reality show “Love Island USA”, cattolica praticante dichiarata e da un po’ di tempo assidua lettrice della Bibbia, ha riportato quanto inserisce anche su tutti i suoi social: «Ho sentito il bisogno di iniziare il mio percorso. Sentivo che mancava qualcosa, e che il senso delle cose e quella tranquillità si possono trovare solo nella Bibbia».
In un mondo dipendente dai social come quello attuale, anche dichiarazioni come queste possono avere una loro incidenza nel significativo fenomeno di “ritorno alla Bibbia”. (leggi)
Laddove la Bibbia è invece proibita
Mentre non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo è la religione più perseguitata della storia e del presente (vedi ad es. le News sull’attuale persecuzione contro i cristiani o sulla cristianofobia), ricordiamo qui che non sono pochi i Paesi dove tuttora la Bibbia è un “libro proibito”!
Eccone alcuni esempi.
In Corea del Nord (vedi), secondo il Rapporto 2022 del Dipartimento USA sulla libertà religiosa, se ad esempio un uomo viene trovato in possesso di una Bibbia rischia in Corea del Nord la pena di morte e i membri della sua famiglia, compresi i bambini, vengono condannati all’ergastolo in un campo di prigionia. È ad esempio il caso di un bambino di 2 anni (!) condannato all’ergastolo nel 2009 (e tuttora infatti in un campo di detenzione, una specie di lager!) solo perché nella sua famiglia è stata trovata una Bibbia (leggi). Sulla feroce persecuzione contro i cristiani in Corea del Nord (dittatura comunista ereditaria) vedi.
In Arabia Saudita (vedi) (vedi) qualsiasi religione non islamica non è permessa. Per chi contravviene a tale divieto si può andare incontro all’arresto, alla prigione o all’espulsione dal Paese. I cittadini sauditi rischiano addirittura, in alcuni casi, la pena di morte.
Nell’apparente paradisiaco mondo delle Maldive, dove l’Islam sunnita è Religione di Stato e l’unica ammessa, il governo considera come atto di ribellione non essere musulmani. Per questo la Bibbia è un “libro proibito”. Anche portare una Bibbia in privato (ad esempio in valigia) è considerato un reato (forse non ne sono consapevoli neppure i numerosi turisti italiani. Ad esempio, un turista cattolico indiano nel 2011 è stato arrestato e incarcerato per una settimana, vedi). Per i cittadini delle Maldive convertirsi al cristianesimo può portare alla condanna all’esilio.
In Iran la fede cristiana deve spesso rimanere nascosta e possedere la Bibbia è visto come una sfida alle autorità. Pregare e leggere la Bibbia può condurre in prigione e persino alla tortura. La conversione dall’islam al cristianesimo è poi considerata un crimine e può portare alla perdita della libertà, della famiglia e persino della vita.
In Pakistan la persecuzione anticristiana si avvale di una terribile e volutamente ambigua “legge sulla blasfemia”, con cui è facile essere ricattati e ferocemente perseguitati: basta talora non essere d’accordo con l’Islam o che due testimoni qualsiasi affermino che qualcuno ha manifestato il proprio dissenso da Maometto o anche solo la propria fede cristiana, per essere denunciati, processati, imprigionati e spesso condannati a morte. Quindi già essere trovati in possesso di una Bibbia risulta un gravissimo indizio e capo d’accusa in tal senso!
Anche in Somalia la Bibbia è un “libro proibito”, in quanto considerato una minaccia all’unità religiosa della nazione (in gran parte sottomesso all’Islam sunnita). È vietata la costruzione di una chiesa, come pure qualsiasi incontro tra cristiani. Anzi, già essere trovati in possesso di una Bibbia può condurre alle seguenti pene: isolamento, perdita della casa, perdita del lavoro.
Anche in Afghanistan, che dopo il ritiro degli USA/ONU e il ritorno al potere dei Talebani (vedi) è tornato pure a contendersi con la Corea del Nord il primato della più terribile persecuzione contro i cristiani, già possedere una Bibbia è estremamente pericoloso e inteso come sfida alle autorità.
Può essere compromettente possedere una Bibbia anche in Cina, Algeria, Iran, Iraq e altri Paesi del Golfo Persico, come pure in Siria, Egitto, Libano, Giordania e Turchia.
Comunque anche nel tanto democratico Occidente la Bibbia è vietata in molti luoghi pubblici: ad esempio in alcune scuole dello Utah (USA) (vedi vedi) o in certe università europee (vedi nel Galles).
Le lingue e le traduzioni
Lingue della Palestina biblica
Gran parte dell’Antico Testamento è scritto in ebraico.
L’aramaico, molto affine all’ebraico, era una lingua diplomatica al tempo di Sennacherib (705-681 a.C.), poi divenne la lingua ufficiale dell’impero persiano (a partire dal 550 a.C.). Al tempo di Gesù e del I sec. d.C. la lingua ordinaria in Palestina era l’aramaico, non l’ebraico.
Gesù parlava ordinariamente in aramaico [ma conosceva certo l’ebraico e con tutta probabilità anche il latino (v. dialogo con Pilato)]. [L’aramaico si parla ancora in una regione della Siria]
Ovviamente i dominatori romani, anche al tempo di Gesù, parlavano il latino (o più volgare o più dotto).
Il Vangelo orale (primi 20-30 anni dopo Cristo) era prevalentemente in aramaico.
Tutto il Nuovo Testamento (compreso i Vangeli) è già scritto in greco (anche se abbiamo importanti ritrovamenti archeologici e letterari, specie papiri, con piccoli pezzi del N. T., specie dei Vangeli sinottici, scritti in ebraico o aramaico).
[Mel Gibson, nel suo celebre e impressionante film “The Passion of the Christ” (2004, vedi), oltre alla fedeltà al testo evangelico e a indubitabili riferimenti anche a importanti testi mistici cristiani, ha avuto la finezza di mantenere le lingue originali (aramaico, ebraico, latino) e ad esempio proprio nel dialogo con Pilato ha messo in bocca a Gesù un latino dotto, diverso dal latino volgare della soldataglia romana]
Il greco usato nel Nuovo Testamento è quello comune, detto koinè (diffuso allora in tutta l’area del Mediterraneo orientale sotto l’influenza ellenistica, come una sorta dell’inglese odierno).
Non possiamo qui addentrarci nella questione del Canone, cioè dell’elenco ufficiale dei libri del N. T. già fondamentalmente siglato dai tempi apostolici (ad esempio escludendo certi Vangeli “apocrifi”); come pure della questione della formazione dei 4 Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni; di cui Matteo e Giovanni erano Apostoli stessi, cioè testimoni oculari degli eventi della vita pubblica di Gesù e della Sua morte e risurrezione, mentre Marco era discepolo di Pietro e Luca soprattutto di Paolo) e pure della struttura simile dei primi 3 Vangeli scritti (Mt, Mc e Lc), detti per questo “sinottici” e l’originalità e profondità teologica dell’ultimo Vangelo scritto, sempre ispirato da Dio, da Giovanni forse già verso il termine stesso della sua vita (attorno al 90 d.C.; essendo Giovanni assai giovane quando fu apostolo di Gesù ed è l’unico apostolo che, per volontà di Dio, non morì martire ma di vecchiaia).
Traduzioni della Bibbia
La principale traduzione greca dell’Antico Testamento è quella detta “dei 70” (III sec. a.C.)
Secondo la lettera di Aristea sarebbe stata tradotta direttamente dall’ebraico da 72 saggi (da cui il nome) ad Alessandria d’Egitto. In questa città cosmopolita e tra le maggiori dell’epoca, sede della celebre Biblioteca di Alessandria, si trovava un’importante e attiva comunità ebraica. Essa è la traduzione di un testo ebraico antico, leggermente diverso dal testo “masoretico” tramandato dal giudaismo rabbinico. La sua origine è incerta, ma la tradizione la fa risalire appunto al tempo di Tolomeo Filadelfo d’Egitto (285-246 a.C.), cioè al sec. III a.C.; essa è chiaramente utilizzata dagli ebrei di lingua greca già dal I sec. d.C., come dai primi cristiani. Tale testo trova conferma anche nella scoperta di Qumran [importantissima biblioteca degli Esseni rimasta sepolta per 2000 anni nelle grotte di Qumran, presso il Mar Morto, e straordinariamente scoperta nel 1947, con importantissimi testi, anche dell’Antico Testamento, scrupolosamente studiati dagli esperti di tutto il mondo]
La traduzione ufficiale latina di tutta la Bibbia, detta “Vulgata”, è della fine del 300 d.C. ed è stata fatta da S. Girolamo (340-420) a partire da testi in lingua ebraica (in quanto aveva dubbi sulla versione greca dei Settanta). Esisteva comunque una versione latina detta Vetus latina.
L’attuale testo ufficiale latino della Bibbia, che viene utilizzato anche dalla Liturgia, tiene conto anche dei recenti studi esegetici ed è detta Nova Vulgata.
Ecco le altre principali traduzioni della Bibbia, in ordine cronologico:
Già nel sec. II esisteva appunto già una versione latina, come pure una in lingua siriaca
Nel sec. III esiste una traduzione copta (Egitto)
Nel sec. IV esistono traduzioni in lingua gotica, georgiana ed etiopica
Nel sec. V esiste una traduzione in lingua armena
Nel sec. VIII esiste una traduzione (parziale) in lingua araba ed una in lingua inglese originale
Nel sec. IX esiste una traduzione franca ed una traduzione slava (vedi i Santi Cirillo e Metodio)
Nel 1200 abbiamo una traduzione integrale polacca e traduzioni parziali in italiano (lingua appena nata), spagnolo, olandese, islandese
Nel 1300 abbiamo una traduzione integrale della Bibbia in lingua italiana, come in lingua ceca e persiana; abbiamo poi edizioni parziali in lingua danese e di nuovo in lingua inglese
Nicola d’Oresme (1323-1382), teologo, filosofo, matematico e astronomo francese (altra falsità storica che cade: non è vero che la scienza è nata con Galileo nel sec. XVII – vedi in “Le Basi medievali e cristiane della scienza”), tradusse integralmente la Bibbia in francese.
Cade così un altro mito della modernità: che prima di Lutero non ci fossero traduzioni della Sacra Scrittura in lingua volgare o che la Chiesa Cattolica le avversasse!
Nel 1400 abbiamo una versione integrale della Bibbia in lingua tedesca (è dunque falso che sia stato Lutero a tradurre per primo la Bibbia in tedesco nel 1522/1534 o addirittura nelle lingue volgari!)
Nel 1500 abbiamo versioni integrali in lingua inglese, francese, spagnola, olandese, danese, svedese e islandese
Nel 1600 abbiamo la versione integrale della Bibbia in lingua finlandese ma pure in lingua araba
Nel 1700 abbiamo la versione integrale della Bibbia in lingua portoghese, ma anche in lingua tamil lingua parlata in India meridionale, Malesia, Sri Lanka, Singapore)
Nel 1800 abbiamo la traduzione integrale della Bibbia in lingua norvegese e russa, ma anche in molte lingue dell’Estremo Oriente (compreso cinese e giapponese)
Nel 1900 la Bibbia è stata tradotta in quasi tutte le lingue del mondo (almeno 700).
Attualmente la Bibbia è tradotta per intero in 1208 lingue.
Se invece consideriamo le traduzioni solo di alcuni libri biblici, abbiamo traduzioni in 2355 lingue e idiomi locali. Il Nuovo Testamento è tradotto in 1500 lingue (+ 1100 traduzioni parziali).
Un’autorevole e teologicamente corretta traduzione contemporanea in lingua italiana è quella di G. Ricciotti (in 5 volumi) (1940/1943) [attualmente in commercio (anche su Amazon vedi), in edizione con illustrazioni di G. Doré, Edizioni Piane (2021)]
L’ultima edizione ufficiale (CEI) della Bibbia tradotta in lingua italiana è quella del 2008 (vedi)
Appendice
La questione dell’attuale traduzione italiana della Bibbia e la sua presenza nell’attuale Liturgia in lingua italiana
Il latino rimane la lingua ufficiale della Chiesa Cattolica, sia per i documenti del Magistero (e del Codice di Diritto Canonico) che per la Liturgia.
Non è affatto vero che il Concilio Vaticano II (i cui testi ufficiali sono appunto in latino) abbia trasferito o addirittura obbligato la Liturgia a passare alle lingue volgari (cioè quelle comunemente parlate, nel nostro caso l’italiano), come molta gente ha creduto. Ha invece conservato il latino (vedi S.C., n. 36) e persino indicato che il popolo continuasse a recitare e cantare alcune parti della S. Messa in latino (vedi S.C., n. 54).
Ancor oggi molti confondono la celebrazione della S. Messa in latino, che rimane come possibilità a tutti gli effetti (anche nel Novus Ordo – Paolo VI, 1969), con la celebrazione ancora nel Vetus Ordo [procedente dalla storia della Chiesa fino appunto al 1969, di nuovo permesso da Benedetto XVI nel 2007 (cfr. “Summorum Pontificum” vedi), poi di nuovo sostanzialmente abolito, tranne eccezioni, da Francesco nel 2022 (cfr. “Traditionis Custodes” vedi e “Desiderio desideravi” vedi) e nel 2023 (cfr. “Rescriptum” vedi)].
La permanenza nei secoli e ovunque della lingua latina ha permesso e permetterebbe ancor oggi (tanto più in un tempo di spostamenti di massa, anche per turismo, e in cui è possibile raggiungere facilmente ogni parte del mondo) un’unità davvero “cattolica”, cioè universale, della Liturgia, tanto da farci sentire “a casa” (nella Casa di Dio) ovunque ci si trovi nel mondo, con lo stesso modo di pregare e persino di cantare (il Concilio incoraggiò pure il mantenimento del “canto gregoriano”, vedi S.C. 116), come peraltro era avvenuto per secoli e secoli!
La traduzione nelle lingue moderne crea inoltre non pochi problemi anche di natura teologica, perché non è sempre facile mantenere l’esatto significato dei termini passando dal latino alle lingue volgari (secondo il noto adagio “tradurre è anche un po’ tradire”).
Non entriamo ovviamente qui nel merito delle questioni inerenti alla Liturgia e persino alle derive e agli abusi spesso progressivamente emersi negli ultimi decenni. Ne abbiamo parlato altre volte nel sito, anche nella recente News sui Sacramenti (vedi) e soprattutto nell’ampio documento “Quale Chiesa?” [specialmente la parte 3 (vedi) e la parte 5 (vedi)].
Nessuno ovviamente è autorizzato a celebrare la Liturgia (S. Messa e gli altri Sacramenti, e pure la Liturgia delle Ore) a piacimento, neppure in ciascuna della sue parti, essendo la Liturgia “opus Dei”, la Preghiera ufficiale della Chiesa, la Sua stessa unica voce, con cui essa, mossa dallo Spirito Santo, unita al Suo Sposo che è Cristo, si rivolge al Padre (vedi S.C., n. 22).
Culmine della Liturgia è ovviamente la Celebrazione eucaristica (S. Messa) e in essa soprattutto la “Preghiera eucaristica”, durante la quale avviene la Consacrazione. Se addirittura le parole specifiche della Consacrazione, che costituiscono la “forma” del Sacramento (la “materia” è il pane e il vino), fossero mutate, il sacramento dell’Eucaristia sarebbe non solo “illecito” ma invalido”, cioè non avverrebbe la “transustanziazione”, cioè il cambiamento della sostanza del pane e del vino nel SS.mo Corso e Sangue di N. S. Gesù Cristo!
Qui compiamo solo alcune considerazioni su come l’attuale traduzione italiana della Bibbia abbia inciso ovviamente anche sui testi della Liturgia (Lezionario e Messale) e non sempre positivamente.
L’ultima traduzione ufficiale (CEI) della Bibbia in lingua italiana risale appunto al 2008.
Anche l’ultimo Lezionario (Parola di Dio da proclamare nella S. Messa) in lingua italiana è entrato in vigore dal 2007/2008.
L’ultima edizione del Messale (le preghiere liturgiche da usarsi nella celebrazione della S. Messa) in lingua italiana è del 2020 (divenuto obbligatorio dal 4.04.2021). Proprio in esso (le precedenti edizioni erano del 1973 e del 1983) sono stati inseriti numerosi cambiamenti (talora si ha perfino l’impressione di aver voluto cambiare proprio semplicemente per cambiare, secondo una logica del “nuovo = meglio” di stampo peraltro hegeliano).
Ci permettiamo qui di fare solo qualche rapida e parziale considerazione in merito.
Il più vistoso cambiamento riguarda addirittura la 6^ domanda del Padre nostro (la Preghiera del Signore, dettataci da Gesù stesso! – vedi nelle preghiere quotidiane, con la nota relativa a questo cambiamento). Il testo latino recita “et nos inducas in tentationem” e la precedente traduzione italiana com’è noto era appunto “e non ci indurre in tentazione”. Mentre la nuova traduzione italiana della Bibbia (Mt 6,13; Lc 11,4) e il nuovo Messale traducono invece “e non abbandonarci alla tentazione”.
Essendo appunto la preghiera più importante del cristiano, in quanto dettataci da Gesù stesso, segna costantemente la vita, la fede e la preghiera del fedele e della Chiesa, dalla Liturgia (la celebrazione della S. Messa e degli altri Sacramenti, come le Lodi e i Vespri nella Liturgia delle Ore) alle preghiere quotidiane e lo stesso S. Rosario. [Per sé la nuova traduzione del Padre nostro riguarda attualmente la nuova traduzione della Bibbia, il nuovo Lezionario e il nuovo Messale (non si parla ancora di una nuova Liturgia delle Ore), ma di fatto tutti si sono sentiti obbligati a mutare il Padre nostro ovunque, anche appunto nel S. Rosario e nelle preghiere quotidiane].
Questo ha creato una rottura con la bimillenaria tradizione della Chiesa, che non aveva mai osato cambiare le parole della preghiera insegnataci da Gesù stesso, alimentando ulteriormente la confusione se non lo sconcerto oggi sempre più diffusi. Saremo diventati più intelligenti e capaci di comprendere le parole stesse di Gesù più di tutte le generazioni cristiane che ci hanno preceduto?
Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), nella IV parte dedicata alla preghiera cristiana e poi ruotante proprio attorno al Padre nostro, dedica un intero capitolo a questo “e non ci indurre in tentazione”, con la spiegazione esatta del suo significato (vedi nn. 2846/2849).
Tale nuova traduzione italiana (“non abbandonarci alla tentazione”) ha suscitato molte critiche, non solo a livello teologico e liturgico, ma persino da parte dei cultori della lingua, che hanno sottolineato come tale nuova traduzione sia totalmente inventata, erronea e illecita, anche solo dal punto di vista linguistico e letterario.
Infatti, il testo latino ufficiale della Bibbia (cfr. la Vulgata e la Nova Vulgata sopra citate), seguito dalla bimillenaria Liturgia e preghiera dei cristiani, nella sesta domanda del Padre nostro traduce inequivocabilmente con il verbo latino “inducas” (che non può essere assolutamente tradotto in italiano con “abbandonarci”) il verbo greco “eis-phéro” (che significa “portare dentro”, appunto “indurre”) presente nei Vangeli originali, che a loro volta risentono evidentemente del corrispondente verbo aramaico (o ebraico) usato da Gesù stesso nell’insegnarci tale sublime preghiera (non possiamo certo pensare che i Vangeli originali abbiano così travisato il verbo usato da Gesù stesso)!
Quindi tale traduzione italiana rappresenta un vero cambiamento delle parole stesse di Gesù; e ciò è ovviamente illecito, essendo la Parola di Dio “norma normans non normata” (legge che regola tutto ma non è regolata da nessuno) e come tale superiore all’autorità di chiunque (Papa compreso) e assolutamente non disponibile ad alterazioni e mutazioni in base ai gusti e alle mutevoli sensibilità!
C’è un altro punto fondamentale della Liturgia della S. Messa in lingua italiana (e in molte lingue moderne) che risente di una non corretta traduzione della Bibbia e delle parole stesse di Gesù, e che riveste anch’esso un enorme spessore teologico. Si tratta nientemeno che delle parole di Gesù stesso, che il sacerdote ripete “in persona Christi” nel momento culminante della S. Messa, cioè nella consacrazione del vino, che viene così trasformato (transustanziazione) nel Sangue di N. S. Gesù Cristo!
Tale errore era già presente nelle precedenti edizioni italiane del Messale, come appunto è presente, con sfumature diverse, in molte altre traduzioni e Messali nelle lingue moderne nazionali. Su questo già il teologo e poi Cardinale J. Ratzinger aveva sollevato autorevolmente e sapientemente le sue obiezioni (anche la versione tedesca traduce infatti erroneamente il “pro multis” latino), senza mai essere stato ascoltato.
Il testo ufficiale latino (nel Rito romano latino) della consacrazione del vino è il seguente: “Accipite et bibite ex eo omnes: hic est enim calix sanguinis mei, novi et aeterni testamenti: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam commemorationem”.
Nei messali in lingua italiana è sempre stato tradotto così: “Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti, in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Non bisogna essere esperti teologi per ravvisare come ci sia una sostanziale differenza tra “effundetur” (“effuso” indica un sangue offerto per noi, una morte volontariamente accettata ed offerta al Padre per la nostra salvezza) e “versato” (che in italiano è usato anche semplicemente per un incidente, cioè in senso più involontario). Ugualmente il “pro multis” è teologicamente assai differente rispetto al “per tutti”: non ovviamente perché Gesù non muoia per la Redenzione (salvezza eterna) di tutti, ma perché, affinché tale Redenzione sia realmente efficace nella singola anima essa deve accogliere e collaborare volontariamente con tale grazia infinita, affinché produca i suoi frutti eterni. Una salvezza comunque assicurata a tutti, indipendente dalla risposta dell’uomo, è un’enorme eresia (falsità) presente già nel Protestantesimo (in Lutero, tanto che in Calvino si giunse allora a pensare alla terribile dottrina della “predestinazione”, con cui alcuni sono salvi o dannati indipendentemente dalla loro volontà), poi tradotta anche in molta teologia cattolica contemporanea (si pensi ad esempio al “cristianesimo anonimo” di K. Rahner), fino alle ancor più gravi derive attuali (tutti sono salvi perché Dio perdona tutto e comunque, indipendentemente dal pentimento o meno e dalla volontà o meno di convertirsi; e quindi l’inferno non esiste o è vuoto).
Il paradosso di tale erronea traduzione sta nel fatto che invece nella nuova traduzione italiana della Bibbia, le parole di Gesù nell’Ultima Cena che si riferiscono appunto alla consacrazione del Calice, sono invece correttamente riportate e tradotte: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati” (Mt 26,28) e “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Mc 14,24).
Questo riferirsi o meno alla nuova traduzione della Bibbia nasconde allora falsi o persino occulti intendimenti teologici se non addirittura ideologici?
Un analogo anche se meno vistoso problema teologico, cioè sulla salvezza offerta a tutti ma non da tutti accolta, appare anche nel canto degli Angeli alla nascita di Gesù a Betlemme (cfr. Lc 2,14) e la cui eco risuona anche all’inizio del Gloria, il celebre Inno (anche nella storia della musica, vedi) che è tra i riti iniziali della S. Messa festiva. Com’è noto, il testo latino è “Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis”. La tradizionale traduzione italiana era: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Attualmente la traduzione italiana è invece: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Anche in questo caso non occorre essere esperti teologi per scorgere nella nuova traduzione un radicale cambiamento di prospettiva. Oltre all’evidente cambiamento del soggetto della buona volontà (Dio o l’uomo?), emerge la stessa questione teologica, di enorme spessore per il nostro stesso destino eterno: infatti Dio ama tutti e vuole tutti salvi, ma di fatto non tutti si salvano perché non tutti hanno la “buona volontà” di seguirlo, di obbedire ai suoi comandamenti e di vivere e morire nella Sua grazia (come si evidenzia peraltro in tutta la predicazione di Gesù e nell’intera dottrina cristiana cattolica)!
Talora la nuova traduzione in lingua italiana alimenta poi di fatto una crescente confusione, fino a capovolgere il significato non solo del testo latino di obbligatorio riferimento, ma delle stesse traduzioni precedenti.
Soffermiamo un poco la nostra attenzione sui Salmi e facciamo un esempio di traduzione capovolta rispetto alle precedenti. Com’è noto, i Salmi (vedi nel sito una parziale raccolta tematica) sono quelle 150 preghiere presenti nell’Antico Testamento e quindi “ispirate” da Dio stesso (anche se da interpretare alla luce di Cristo e del N. T.). Essi sono fondamentali per la religiosità ebraica e certamente li hanno anche quotidianamente pregati pure Maria Santissima e Gesù stesso! La Chiesa, a partire dalla tradizione monastica, li ha incorporati come parte fondamentale della Liturgia delle Ore (che attualmente in italiano non ha ancora recepito la nuova traduzione) e in genere il Novus Ordo della S. Messa ne prevede la recita responsoriale di uno dopo la prima lettura (che ha invece recepito nel Lezionario la nuova traduzione della Bibbia).
Purtroppo la nuova traduzione della Bibbia (2008) ha generato un’enorme confusione anche nella loro stessa numerazione. Infatti, volendo seguire la numerazione ebraica (maggiore di un’unità rispetto a quella greca e latina) dal Salmo 10 al Salmo 146 (cioè quasi tutti) si deve precisare (magari tra parentesi) se si intende ad esempio il Salmo 10 o 9 e via di seguito fino appunto al Salmo 146 o 145. Era proprio necessario questo cambiamento, fonte di continua confusione nelle citazioni?
Circa poi il radicale cambiamento operato talora dalla nuova traduzione italiana, fino a capovolgerne il significato, vediamo ad esempio il Salmo 18 (19). La precedente traduzione così recitava: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola”. La nuova traduzione invece così recita: “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia. Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio”.
Spesso, tra le principali motivazioni addotte per produrre queste sempre nuove traduzioni, anche in lingua italiana, rispetto ovviamente al testo latino e greco di obbligatorio riferimento (come abbiamo sopra indicato), si sente dire che esse vorrebbero rendere il testo più comprensibile al fantomatico “uomo di oggi” (quando peraltro la prima preoccupazione deve essere quella della fedeltà a Dio e alla sua Parola, più che all’uomo di oggi!). Con tutta onestà, però, non ci sembra esagerato osservare che invece spesso la nuova traduzione ha reso i testi ancora più incomprensibili e causa di ulteriore confusione anche sul piano teologico (a meno che non sia proprio questa la recondita motivazione dei cambiamenti effettuati)!
Proviamo a fare solo un esempio, tra i tanti.
Se ci riferiamo ad esempio alle Lettere di S. Paolo, che è già per sé difficile (tanto che lo dice persino S. Pietro, cfr. 2Pt 3,15-16), la nuova traduzione, invece di renderlo più accessibile (come dicono di voler fare), l’ha reso talora ancor più impenetrabile, persino dal punto di vista logico e grammaticale, e talora teologicamente più confuso.
Se ad esempio ci inoltrassimo nel celeberrimo Inno con cui S. Paolo apre la Lettera agli Efesini (vedi), potrebbe risaltare dalla nuova traduzione italiana tale dato.
Questa la precedente (al 2008) ufficiale traduzione italiana:
“Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito, per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.
Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose”.
Questa invece la nuova traduzione ufficiale (CEI, 2008) (in grassetto i cambiamenti introdotti):
“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In Cristo siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”.