Inquisizione
Notizie in breve
Nel sito esiste un Dossier intero dedicato all’Inquisizione, per poter un poco comprendere come anche in questo caso, a differenza degli effettivi dati storici, seriamente documentati, nell’immaginario comune, anche in persone colte e persino nei Cattolici (che ormai non ne sanno in genere più nulla sulla vera storia della Chiesa ma solo appunto ciò che le ideologie anticattoliche trasmettono, già dalle scuole) siamo di fronte ad un “mito”, ad una “leggenda nera” inventata dal potere anticattolico (illuminista, massonico, marxista, laicista) per denigrare la Chiesa, la sua storia e la sua missione.
C’è pure, sullo stesso argomento, un documento più sintetico, strutturato in 40 domande e risposte, che possono aiutare a comprendere un poco la verità storica e la falsità del mito anticattolico costruito anche sull’Inquisizione.
Riportiamo qui un’ulteriore sintesi di tale documento.
__________________________________
8.09.2021
Quello che normalmente è divulgato (dalle scuole, da molti pur famosi testi, persino da molti film e opere teatrali) sul Tribunale, i Processi e le condanne dell’Inquisizione, e conseguentemente creduto dai più, anche Cattolici, è sostanzialmente un “falso” storico.
Violenze inaudite, torture raccapriccianti, milioni di persone arse vive nei “roghi” perché eretici o “liberi pensatori”, un clima di corruzione e di terrore per imporre la fede cattolica, anzi per conservare il potere della Chiesa … Tutto questo è sostanzialmente un “mito” anticattolico costruito dalla cultura moderna, cioè secoli dopo, che non corrisponde per nulla ai dati storici, peraltro oggettivi e consultabili dagli studiosi (basti pensare ai Verbali di tali Processi, che per la prima volta nella storia del Diritto si dovevano scrupolosamente redigere e tuttora disponibili e consultabili, almeno quelli che Napoleone e la furia laicista non sono riusciti a distruggere).
Colmi di falsità non sono solo dei famosissimi romanzi, peraltro di scarsissimo valore storico, come Il codice da Vinci di Dan Brown (2003), che pur ha impressionato e talora allontanato dalla fede milioni di lettori, anche giovani; ma anche opere più serie, come il celebre Il nome della rosa di Umberto Eco (1980) o l’opera teatrale La Vita di Galileo del comunista Bertolt Brecht (del 1943 ma continuamente rappresentato, anche per intere generazioni di studenti).
Per non parlare dei molteplici “Musei delle torture”, presenti in molte città, nati dall’Illuminismo in poi per denigrare il cosiddetto “oscurantismo” medievale e della Chiesa Cattolica. Ecco cosa ne pensa uno degli attuali più importanti studiosi del Medioevo, Franco Cardini:
“I cosiddetti Musei della tortura, presenti in molte città, sono in realtà dei baracconi antistorici, così come è antistorica la leggenda sugli “orrori dell’Inquisizione”, basata su scritti antistorici e anticattolici (come quello di Lea, History of Inquisition)”.
Tra l’altro, in tali testi si confonde e si mescolano, per ignoranza o volutamente, i Processi dell’Inquisizione Cattolica (e in questa, confondendo pure quella “Romana” e quella “Spagnola”, quest’ultima assai più dipendente dai sovrani iberici che non dal Papa), con quelli dell’Inquisizione Protestante (assai più violenti e senza garanzie) e persino con quelli civili (laici), che non godevano invece della correttezza giuridica e di quel rispetto per gli imputati che possedevano invece quelli dell’Inquisizione Cattolica.
Comunque, in 8 secoli le condanne a morte di tutti i Tribunali dell’Inquisizione cattolica ammontano a poche migliaia (neanche tutte eseguite). Mentre i Tribunali e le Inquisizioni civili, ma già quelli protestanti, fecero un numero di condanne e di morti immensamente superiori.
A proposito dei Tribunali civili (diremmo oggi “laici”) operanti in quel tempo in Europa, la storia parla ad esempio di 50.000 condanne a morte inflitte su 100.000 processi documentati, cioè il 50% degli imputati (e spesso per motivi “politici”); un dato che fa quasi sparire quell’1,9% di condanne (e spesso neppure eseguite) inflitte dalla stessa dura Inquisizione spagnola.
In soli 2 anni il “Terrore” giacobino seguito alla Rivoluzione francese, i decapitati furono 5 volte superiori ai roghi compiuti dalla ‘terribile’ Inquisizione spagnola in 3 secoli! (R. Camilleri). Per non parlare, abbiamo visto nel documento, di ciò che i rivoluzionari hanno fatto ai cristiani della Vandea (uno sterminio da far rabbrividire anche Hitler e Stalin)!
Se parliamo poi del comunismo, contiamo oltre 100 milioni di vittime, oltre a inaudite violenze e soppressione dei più elementari diritti umani. Secondo la stessa Commissione storica “per la riabilitazione delle vittime del comunismo”, nominata nel 1999 nientemeno che dal Cremlino e presieduta da Aleksandr Yakovlev, solo i morti causati dal comunismo in URSS (Unione Sovietica) tra il 1917 e il 1953 furono 43 milioni.
Lo studioso e dissidente sovietico Vladimir Bukowski ha autorevolmente ricordato che “le condanne a morte da parte dell’Inquisizione nel corso di tutti i secoli in cui fu attiva corrispondono a quanti ne uccideva il comunismo in un giorno solo”!
I comunisti ad esempio in Cambogia hanno ucciso in soli 3 anni 2 milioni di persone, cioè 1/3 della popolazione. E il Partito Comunista Cinese, nei 100 anni che festeggia quest’anno (v. News del 31.08.2021), ha ucciso (se vogliamo contare anche i bambini obbligatoriamente abortiti) oltre 100 milioni di esseri umani: “la più grande macchina di morte della storia”, come qualche autorevole analista ha ricordato (leggi)!
Che poi tali accuse contro la Chiesa Cattolica provengano da coloro che (oltre i Protestanti) sono gli eredi delle ideologie e relative atrocità e guerre della “modernità” è veramente insolente …
Se proprio non vogliono chiedere perdono delle tragedie che tali ideologie anticristiane hanno provocato, dal XVIII secolo fino ai giorni nostri (vedi Documento), abbiano almeno l’onestà intellettuale e morale di stare zitti riguardo all’Inquisizione.
Studi recenti
Visto che i Tribunali e i Processi dell’Inquisizione cattolica erano estremamente precisi, anche nell’offrire garanzie (ancora inimmaginabili altrove) agli stessi imputati e che, come abbiamo ricordato, il tutto doveva essere corredato da puntigliosi Verbali, oggi gli studiosi possono attingere direttamente alle fonti per poter svolgere una seria e documentata indagine storica.
Occorre poi tener presente che uno storico serio si guarda bene dal giudicare la storia in base a criteri e sensibilità attuali.
Lo stesso Giovanni Paolo II ha incoraggiato questi studi, aprendo pure agli studiosi gli Archivi del S. Uffizio (cioè proprio il Dicastero deputato all’Inquisizione, almeno a quella che si riferiva al Papa).
Così è stato possibile compiere seri e documentati studi in merito, come quelli condotti da un’apposita Commissione storico-giuridica, i cui lavori, conclusisi nel 1998, hanno infatti capovolto molti pregiudizi anticlericali in merito, come riconobbero molti storici e persino la stampa laica (v. ad esempio sul Corriere della Sera del 15.06.2004).
Pure le ricerche d’archivio che sono state fatte proprio sul Processo a Galileo del 1633, che hanno condotto gli storici nel 1992 a conclusioni eccezionali (queste invece occultate dalla stampa laica e tradotte in uno sviante e falso “la Chiesa rivaluta tardivamente Galileo”), come quella che in tale Processo la Chiesa si è mostrata “assai più galileiana dello stesso Galilei”, in quanto richiedeva, per mostrare la certezza dell’ipotesi copernicana, i dati sperimentali, che Galileo invece non aveva (arrampicandosi sugli specchi, come quando parla delle maree o addirittura cerca conferme nella Bibbia!) e che infatti arriveranno solo oltre due secoli dopo (1851: il pendolo di Foucault) (cfr. nel sito Documento e Dossier).
Ecco alcuni nomi di autorevoli storici che hanno oggi invece rivalutato l’Inquisizione Cattolica: Franco Cardini, Paolo Prodi, Adriano Prosperi (marxista), G. Musca (laico), Silvana Seidel Menchi, Luigi Firpo, Gabriella Zarri, Gigliola Fragnito, Romano Canosa, Carlo Ginzburg, Bennassar, Merlo, John Tedeschi (italo americano ed ebreo), Christopher F. Black (Università di Glasgow).
Fece scalpore il caso dell’autorevolissimo storico Leo Moulin, che dedicò tutta la vita ad indagare queste scottanti questioni della storia della Chiesa, forse proprio con l’intento originario di denigrarla. All’inizio si professava infatti agnostico; ma al termine dei suoi serissimi e autorevoli studi storici dovette ammettere di dover capovolgere quelli che erano stati i suoi pregiudizi … e addirittura si convertì alla Chiesa Cattolica!
——————
I processi dell’Inquisizione cattolica
Precisiamo anzitutto che i processi dell’Inquisizione, cioè le rigorose indagini per il riconoscimento o meno di un’eresia (distorsione dell’autentica dottrina cattolica), riguardavano solo i Cattolici. I tribunali non avevano alcun potere su coloro che si dichiaravano non-Cattolici; per cui attraverso l’Inquisizione, contrariamente a quanto spesso si dice e si crede, nessuno veniva costretto ad abbracciare la fede cattolica o era impedito di abbandonarla o di affermare il proprio libero pensiero (semmai, come intellettualmente doveroso, di non dichiarare come “cattolico” quello che effettivamente cattolico non era)!
I Processi dell’Inquisizione cattolica erano talmente corretti, anche sul piano giuridico, e fornivano tali garanzie (anche agli imputati), che oggi i maggiori esperti della storia del Diritto riconoscono tranquillamente che essi erano all’avanguardia, anticipando di secoli quanto avrebbero fatto (e neppure sempre) i Tribunali civili moderni, e rappresentano un notevole passo avanti nella storia della Giurisprudenza.
Tutte quelle norme che il Diritto penale secolare introdurrà infatti molto tempo dopo (ad esempio in Inghilterra si cominciò ad adottarle solo nei primi decenni dell’Ottocento), l’abbiamo già in atto nell’Inquisizione Romana (anzi, moltissime sono addirittura già nell’Inquisizione Medievale).
I Processi dell’Inquisizione cattolica fornivano ad esempio all’indagato delle formidabili garanzie: c’era fino al termine del Processo la “presunzione di innocenza” dell’imputato, che aveva tutto il tempo per organizzare la propria difesa e godeva di avvocati difensori (offerti anche d’ufficio e gratuitamente se non poteva permetterseli), gli accusatori dovevano portare prove circostanziate e per iscritto del capo d’accusa e avrebbero ricevuto gravi pene se avessero deposto il falso (si faceva poi attenzione che non vi fossero reconditi motivi di odio personale o sociale o di vendetta nei confronti dell’accusato); tutto doveva essere meticolosamente verbalizzato nei Verbali, che si conservano negli archivi storici ancor oggi. Con tutto ciò, i processi dovevano pure essere rapidi, perché giustizia fosse raggiunta in fretta per non gravare sulla vita di un imputato che fosse poi risultato innocente.
Quanto sarebbe necessario anche questo nella giustizia italiana attuale!
Tutto ciò rappresenta appunto un notevole progresso nella storia stessa del Diritto.
Se poi l’imputato risultava effettivamente colpevole di eresia, bastava che lo riconoscesse (abiura) per essere subito scagionato e liberato; talora infatti si trattava semplicemente di ignoranza teologica e non di vera volontà di eresia; e bastava ricevere la giusta spiegazione teologica da parte dell’Inquisitore per tranquillamente ritrattare la propria posizione. Se l’imputato non si fosse subito convinto del proprio errore, godeva comunque di un ulteriore periodo di tempo per approfondire la questione teologica. Se alla fine persisteva ancora nell’errore (recidivo, pervicace), nonostante tutte le spiegazioni ricevute e documentate per conoscere l’autentica verità di fede cattolica, allora poteva anche essere condannato. Le pene potevano essere diverse, a seconda della gravità e pericolosità (anche sociale) dell’eresia proclamata: si andava dalle pene spirituali (preghiere, impegni spirituali, pellegrinaggi, elemosine ai poveri, portare una Croce sull’abito per un certo tempo) a quelle materiali (rinunce, domicilio coatto, carcere) e in casi estremi anche alla pena di morte (prevista dal diritto comune, in genere il “rogo”). Anche la pena di morte veniva immediatamente sospesa, fosse stato anche all’istante prima dell’esecuzione, in caso di ravvedimento (spesso però veniva comunque sospesa).
L’Inquisitore
Nei casi più gravi, cioè quando una grave eresia dilagava e metteva a repentaglio non solo la salvezza eterna di intere popolazioni ma costituiva talora anche una seria minaccia per la stessa vita sociale (come nel caso dei Catari), se un anno di particolare impegno di predicazione e catechesi (in genere compiuta dai Francescani e ancor più dai Domenicani) non riusciva a far rientrare l’errore dottrinale, si procedeva ad aprire un Processo dell’Inquisizione, cioè appunto una seria e meticolosa indagine sui fatti, le false dottrine circolanti e gli stessi eretici. Si impegnava in ciò la stessa Chiesa, cioè il Vescovo e nei casi più gravi lo stesso Pontefice. La garanzia della correttezza del Processo era affidata soprattutto ad un Inquisitore, in genere proveniente da altre terre (per garantire meglio l’imparzialità del giudizio) e nei casi più gravi delegato dal Papa stesso. In questo modo si sottraeva così la questione sia al “furor di popolo” (che non sarebbe andato troppo per il sottile nel far fronte ad eresie talora assai pericolose per la stessa vita personale e sociale) , come pure al pericolo di un uso per altri fini da parte dei sovrani, come pure a mascherati odii e vendette personali o di gruppi sociali in lotta tra loro.
L’Inquisitore doveva quindi essere non solo estremamente competente sul piano teologico, ma anche serio, onesto e rigoroso nelle proprie indagini e nel modo di condurre il Processo. Non poteva agire in modo arbitrario. Vennero prodotti persino degli appositi Manuali che ne regolassero l’attività, con tanto di elenco delle domande da porre.
L’Inquisitore era in genere coadiuvato da una Commissione di teologi inquirenti (composta assai spesso di frati Domenicani, particolarmente efferati in teologia). Anche per il giudizio finale c’era una Commissione di giudici, che fossero chiaramente imparziali e slegati da poteri o questioni locali.
Anche sulla figura dell’Inquisitore il “mito” anticattolico dell’Inquisizione s’è in genere abbandonato a leggende e calunnie infamanti e persino inverosimili, creando personaggi di terrificante ignoranza e ferocia. Si tenga tra l’altro presente che talora fu proprio l’Inquisitore, persino quello papale, che fu ucciso dagli eretici (come nel caso Pietro di Castelnau, inviato dal Papa e ucciso dai Catari ad Albi il 15.01.1208).
Ad esempio l’Inquisitore Bernard Gui, che viene spesso rappresentato violento e ignorante anche in celebri romanzi (persino ne Il nome della rosa di U. Eco) e film, in realtà dalle cronache del tempo emerge che costui, che fu nientemeno che il Procuratore generale dello stesso Ordine dei Predicatori (Domenicani), fu “uno dei più prolifici scrittori medievali” e “il migliore storico domenicano del Medioevo”. La sua opera è in realtà considerata oggi da molti autorevoli studiosi come “eccezionale per la precisione documentaria”, con meticolosissimi resoconti dei Processi (oggi consultabili dagli Archivi dell’Inquisizione). Nel suo famoso quanto vituperato Manuale dell’Inquisitore* offre poi precise indicazioni per garantire non solo la correttezza dell’operato dell’inquisitore e dell’intero Processo, ma il rispetto dello stesso imputato.
* Nel tanto vituperato Manuale dell’Inquisitore Gui dice ad esempio: “(L’Inquisitore) deve essere diligente e fervente nel suo zelo per la verità religiosa, per la salvezza delle anime e per l’estirpazione dell’eresia. Tra le difficoltà e le contrarietà deve rimanere calmo, mai cedere alla collera né all’indignazione. Egli deve essere intrepido, affrontare il rischio fino alla morte, ma senza arretrare di fonte al pericolo, né aumentarlo a causa di un’audacia irriflessiva. Deve essere insensibile alle preghiere e alle lusinghe di quelli che provano a conquistarlo; tuttavia non deve indurire il suo cuore al punto da rifiutare proroghe o mitigazioni della pena a seconda delle circostanze e dei luoghi … Nei casi dubbi deve essere circospetto, non dare facilmente credito a quello che sembra probabile e spesso non è vero; non deve rifiutare ostinatamente le opinioni contrarie, perché ciò che sembra improbabile finisce spesso per essere la verità. Deve ascoltare, discutere ed esaminare con tutto il suo zelo per arrivare con pazienza alla luce … Che l’amore della verità e la pietà, che devono sempre risiedere nel cuore di un giudice, brillino nel suo sguardo, in modo che le decisioni non possano mai sembrare dettate dalla cupidigia e dalla crudeltà”.
Torture?
Nonostante le continue falsità riportate in merito dalla falsa pubblicistica laicista e anticattolica, il ricorso alla tortura, durante l’interrogatorio, per estorcere una confessione di colpevolezza, era assai rara, se non del tutto assente (nonostante fosse invece abbastanza comune nella vita civile laica), e comunque regolata da precise norme.
Se il ricorso alla tortura fu già raro nell’Inquisizione medievale, fu invece totalmente assente nell’Inquisizione Romana. Fu invece usata dai tribunali laici fino al XIX secolo!
Quando veniva usata dall’Inquisizione medievale (teoricamente prevista solo per i casi limite particolarmente gravi) doveva comunque essere assai debole: secondo i codici che la disciplinavano, non doveva giungere fino allo spargimento di sangue o a provocare danni che impedissero il ritorno alla normalità (a garanzia di ciò doveva essere presente un medico), non doveva poi durare più di 15 minuti e non doveva essere ripetuta. Inoltre la deposizione sotto tortura (anch’essa regolarmente verbalizzata, anche nei tempi e nei modi) non aveva valore se non veniva poi confermata dall’imputato in un secondo tempo (dopo almeno due giorni) e in condizioni normali. Inoltra non poteva essere mai usata per gli infermi e gli anziani (cioè oltre i 60 anni d‘età).
Come abbiamo già ricordato, citando uno dei più autorevoli medievalisti (Franco Cardini), “i cosiddetti Musei della tortura, presenti in molte città, sono in realtà dei baracconi antistorici”.
Carcere
Nel caso di un’effettiva condanna al carcere, il periodo della reclusione doveva essere breve, in genere inferiore ad un anno, per i casi più gravi 5 anni, al massimo 8 (l’ergastolo non esisteva, fu infatti un’invenzione dell’Illuminismo!). Si contemplava spesso uno stato di semi-libertà, licenze per buona condotta e persino la possibilità di uscire per lavorare nei propri campi. C’era poi il “carcere formale”, cioè una sorta di domicilio coatto. Particolare indulgenza e permessi venivano dati a coloro che avessero avuto famiglia. I detenuti anziani o ammalati, poi, potevano essere trasferiti nella loro casa. Per i religiosi (frati, suore, monaci) si trattava spesso di rimanere nel proprio convento sotto la custodia e la sorveglianza del proprio stesso superiore.
Comunque, anche le carceri dovevano essere in buone condizioni e il detenuto godeva di certi conforti e diritti.
Ad esempio, “nelle carceri romane dell’Inquisizione del XVI secolo, peraltro usate raramente, le celle erano spaziose e luminose, con cambio delle lenzuola due volte la settimana e la possibilità di utilizzare libri e di scrivere, l’uso di abiti personalizzati e sempre puliti, un vitto discreto, persino con possibilità di bere pure vino o birra di proprio gradimento. Un Cardinale controllava periodicamente il buono stato del carcere, delle celle e il buon trattamento del detenuto” (così l’insospettabile storico laico L. Firpo).
Pena di morte (roghi)?
Molte condanne a morte non venivano eseguite. Nel caso invece di un effettiva attuazione della pena di morte, il Tribunale dell’Inquisizione demandava comunque l’esecuzione al cosiddetto “braccio secolare”, cioè ai responsabili del potere civile e giudiziario, essendo terminato il compito appunto solo “investigativo” del Tribunale dell’Inquisizione.
Ricordiamo che anche all’ultimo momento, se il condannato ritrattava la propria eresia e chiedeva perdono per il danno arrecato, l’esecuzione della sentenza veniva immediatamente sospesa e l’imputato poteva tornare alla vita normale, semmai con l’obbligo di assolvere a qualche penitenza spirituale.
Anche per coloro che persistevano fino all’ultimo nell’errore (pertinacia) era garantita comunque un’assistenza spirituale (possibilità di ricevere i Sacramenti, per poter accedere con la morte “in grazia di Dio” alla salvezza eterna; si ricordi che nella civiltà medievale ciò era considerato giustamente assai più importante della salute e vita fisica).
Quanti?
Proprio sul numero dei roghi il “mito” anticattolico dell’Inquisizione si scatena in genere nella più fantasiosa e falsa delle leggende, al di là anche solo del verosimile (c’è chi parla di milioni di roghi!?).
Durante tutta la storia dell’Inquisizione medievale e in tutta Europa solo l’1% dei Processi terminò con una condanna a morte effettivamente eseguita e documentata, cioè poco più di un migliaio di “roghi”!
Anche dagli archivi storici del Tribunale di Tolosa, proprio quello che nei secoli XII-XIV dovette far fronte alla terribile eresia catara, dove operava il celebre Inquisitore domenicano Bernard Gui (tanto denigrato nella pubblicistica anticattolica), “rimise al braccio secolare solo 42 persone” (come risulta dalla reale documentazione storica).
L’Inquisizione romana, quella più alle dirette dipendenze dal Papa, in 5 secoli del suo operato, ha concluso i suoi Processi solo con 36 condanne a morte! Nella città di Roma, quindi dove il Papa governava, in 5 secoli ci fu solo una condanna a morte! (il celebre rogo di Giordano Bruno, nel 1600 a Campo de’ Fiori, tanto glorificato dalla Massoneria dopo la presa di Roma nel 1870, vedi punto 6.3).
Un altro esempio: “il tribunale di Aquileia-Concordia, su 1000 processi tenuti tra il 1551 e il 1647, inflisse solo 4 condanne a morte” (J. Tedeschi).
Qualche storico parla di sole 97 condanne inflitte in tutta Europa!
Anche la dura Inquisizione spagnola, tra l’altro non soggetta direttamente alla Chiesa, nonostante il mito della sua particolare ferocia, alla prova della reale documentazione storica si rivela invece mite e scrupolosa. Furono condannati a morte solo l’1.9% degli imputati, dei quali poi di fatto salirono sul rogo ancor meno.
Anche quando certi storici come E. Peters azzardano un numero di 3000 condanne a morte inflitte dall’Inquisizione spagnola, includendo anche il XVIII e XIX secolo, riconoscono che comunque “si tratta di un numero assai inferiore a quello inflitto dagli analoghi tribunali secolari”.
Ricordiamo infatti che i Tribunali civili (laici) dei nuovi stati europei del tempo contano invece 50.000 condanne a morte su 100.000 processi, cioè il 50% degli imputati.
Nella Francia giacobina di “liberté-fraternité-égalité”, in due soli anni di Terrore robespierriano i giustiziati furono cinque volte di più di quanti ne avesse avuti in tre secoli l’Inquisizione spagnola.
Anche l’Inquisizione portoghese in 3 secoli di storia inflisse solo 4 condanne a morte!
______________
I Catari e l’Inquisizione medievale
L’Inquisizione medievale nacque per far fronte alla gravissima eresia “catara”, che si stava divulgando dalla Francia meridionale (zona di Albi, da cui anche il nome di Albigesi) ad altre zone del sud Europa, mettendo in allarme lo stesso potere civile (che richiese l’intervento della Chiesa e del Papa stesso per farvi fronte; non mancavano però anche altolocati che li difendevano, con la recondita speranza di provocare una ribellione contro la Chiesa per incamerarne i beni, come fecero poi molti sovrani europei con la Riforma protestante nel XVI secolo) e provocava anche una dura reazione popolare (che sarebbe andato ben più per le spicce che non con regolari indagini e processi, come fece invece appunto la Chiesa Cattolica).
“Il popolo infatti non solo era assai favorevole all’intervento del Papa, ma si sarebbe mostrato assai più severo e intransigente contro questi eretici” (così il grande storico Moulin).
Cos’era l’eresia catara?
Nonostante che molti scrittori laicisti ancor oggi parlino dei Catari come degli innovatori, calpestati dalla Chiesa Cattolica, l’eresia catara era in realtà così terrificante da rappresentare persino una gravissima minaccia sociale (per questo allarmò non solo molti regnanti ma lo stesso Re di Francia, così da richiedere l’intervento ufficiale della Chiesa e del Papa stesso per estirpare tale perniciosa eresia). Essa stravolgeva talmente i contenuti fondamentali del cristianesimo, da trasformarlo in una vera e propria altra religione. Non si trattava solo di un gravissimo pericolo per le anime (cioè col rischio della dannazione eterna), ma appunto anche di un funesto pericolo sociale.
Questa eresia, che risentiva di uno sfondo filosofico manicheo, credeva nei due principi supremi del Bene e del Male; ma soprattutto individuava nella “materia” la sede stessa del male. I Catari predicavano un tale distacco radicale (“catari” significa infatti “puri”) dalla materia, da avere in odio pure la corporeità, la sessualità, vietando persino il matrimonio. Giunsero addirittura a predicare il “suicidio” rituale, mediante l’astinenza totale dal cibo. I Catari combattevano poi ogni istituzione, ogni autorità civile, militare e religiosa. Quando ci riuscivano, cacciavano persino il Vescovo dalla propria diocesi; altrimenti tramavano come una sorta di società segreta.
Quando Papa Innocenzo III, oltre ad incrementare la predicazione della “vera fede”, inviò proprio ad Albi, da cui era partita l’eresia, un suo legato (Pietro di Castelnau), questi venne ucciso dai Catari il 15.01.1208!
Per la prima volta la civiltà medievale cristiana si accorse che non si trattava più di difendere la fede e i cristiani dai nemici esterni alla cristianità (come l’avanzata musulmana), ma da pericolosi nemici interni al cristianesimo e nella stessa Francia.
Che il combattimento contro l’eresia fosse non solo una preoccupazione della Chiesa ma anche della società civile è testimoniata dal fatto che fino al ‘700 nessun governo “laico” fu contrario a questi processi canonici, ma anzi l’Inquisizione frenava gli animi e garantiva una corretta analisi e procedura, affinché il popolo o i governi non fossero troppo impulsivi o violenti contro di essa.
“L’Inquisizione nasce in realtà per il desiderio del popolo, che sentiva un attacco contro la vera fede e quindi contro la salvezza eterna dell’anima ancora più pericoloso di chi attentasse – ad esempio oggi – alla salute pubblica o contro l’ambiente. Per l’uomo medievale l’eretico è il grande Inquinatore, che attira la punizione divina sull’intera comunità. Per questo l’Inquisitore è sentito dal popolo come un liberatore. Se talvolta il popolo è insofferente per l’Inquisitore, non è per la sua severità ma anzi per la sua poca severità (era troppo tollerante); il popolo sarebbe andato più per le spicce che per lenti e calmi processi dell’Inquisizione” (Vittorio Messori).
L’Inquisizione spagnola
La penisola iberica fu quasi interamente invasa (militarmente) dai musulmani dal secolo VIII al XV.
Quando nel XV secolo salirono al potere i sovrani “cattolici” Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia – il cui matrimonio contribuì enormemente alla riunificazione della Spagna – si proposero come priorità il dovere non solo di “liberare” l’intero Paese dal potere islamico (la “Reconquista”), ma di ricondurlo nella piena unità, che aveva nella “fede cattolica” il proprio storico e indubitabile fondamento.
È improprio parlare di conversioni “forzate” dei musulmani rimasti. Certo è che nel 1609 la Corona spagnola promulgò una legge che decretava l’espulsione dei musulmani dalla Spagna.
Un’analoga situazione, ma con forme diverse, si presentò anche nei confronti dei numerosi Ebrei presenti, che, come spesso capitava e capita, occupavano ampi settori dell’economia e del commercio.
Nacque così l’Inquisizione spagnola, che solo formalmente dipendeva dal Papa e dai Vescovi, ma in realtà era alle strette dipendenze dei reali di Spagna. Non c’è infatti alcun serio storico che oggi attribuisca alla Chiesa in quanto tale ciò che fece l’Inquisizione spagnola!
Il Papa inviò comunque un suo delegato, nella persona del domenicano Tomas de Torquemada, come Inquisitore generale, al fine di arginare il più possibile sia il potere di giudizio da parte dei sovrani, sia le condanne “a furor di popolo” o per motivi personali, cioè proprio come garanzia di giustizia ed anche in difesa degli stessi indagati.
Anche e proprio a proposito del Torquemada (tra l’altro un frate domenicano proveniente da una famiglia di “conversos”, cioè di quegli Ebrei presenti sul territorio, che godevano di un cospicuo potere economico e che in quel frangente destavano il sospetto di essersi convertiti al cattolicesimo per continuare a prosperare economicamente), si è scatenata nei secoli la calunnia anticlericale, facendone la caricatura quale l’Inquisitore per antonomasia, il crudele e violento inviato dell’oscurantismo papale per estirpare ogni libero pensiero e obbligare con forza alla fede cattolica. Ma anche in questo caso le cronache autentiche del tempo ci dicono qualcosa di diverso: viene infatti descritto come “uomo di costumi integerrimi, nonché uno dei maggiori mecenati e protettore degli artisti dell’epoca, inquisitore mite e liberale, che ottenne anche ampie amnistie, come quella del 1484”. Certamente “un uomo rigoroso ma di grande correttezza; di fatto molto lontano dalle caricature (anche cinematografiche) che se ne sono state fatte” (così lo storico F. Cardini).
Ne è riprova ad esempio il seguente caso: Pablo de Olavide, condannato al carcere dalla tanto vituperata Inquisizione spagnola, chiese di venir trasferito in zona termale per via di certi suoi disturbi; accontentato, trovò che le cure non gli giovavano e ottenne allora uno spostamento al confine pirenaico; da qui gli fu così più agevole scappare in Francia, dove venne accolto dai tagliatori di teste giacobini come “martire” dell’intolleranza cattolica; ma sotto il Terrore francese conobbe le ben diverse galere giacobine, esperienza talmente traumatica, da indurlo a tornare nella Chiesa Cattolica e terminò la sua vita scrivendo apologie della religione cattolica.
Al Gran Inquisitor si deve ad esempio anche la fondazione della celebre Facoltà di scienze di Salamanca, dove peraltro si insegnava la teoria copernicana (contrariamente a quanto dice l’altra leggenda nera anticattolica, vedi 1 e 2).
Ricordiamo ancora: nella Francia giacobina di “liberté-fraternité-égalité”, in due soli anni di Terrore robespierriano i giustiziati furono cinque volte di più di quanti ne avesse avuti in tre secoli l’Inquisizione spagnola, la quale, tra l’altro, risparmiò alla Spagna il bagno di sangue delle guerre di religione che sconvolse l’Europa settentrionale”
La “cattolicissima” Spagna sentiva perciò nell’Inquisizione la garanzia della sua stessa unità popolare e strumento sicuro per non cadere anch’essa nelle tristi e turbinose situazioni che avevano già dilaniato la Francia. E infatti storicamente sono state infatti poi risparmiate alla Spagna quelle divisioni e lotte che tanto avrebbero invece insanguinato l’Europa per secoli (R. Cammilleri).
Di fatto seguì per la Spagna il “siglo de oro”, dovuto certo anche a motivo della scoperta dell’America (compiuta com’è noto dal nostro Cristoforo Colombo ma finanziata dai Reali spagnoli), con una fioritura non solo religiosa ma anche d’arte e di cultura come mai ci furono e ci saranno nella storia spagnola. Ma sarà anche l’epoca dei grandi santi e mistici di Spagna, riformatori del Carmelo, cioè S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila (peraltro di origine conversa), come del fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti) Ignazio di Loyola. È il tempo di Bartolomé de Las Casas, dei grandi dibattiti giuridici che fonderanno il moderno diritto internazionale e l’universalità dei diritti umani. Ancora, è il secolo dei Muguel de Cervantes e dei grandi pittori. Tutto ciò, mentre in Europa dilagano le lotte religiose e la caccia alle streghe (Rino Cammilleri).
Lutero. La Riforma protestante e l’Inquisizione romana
La Riforma protestante (vedi Documento del V Centenario) dal XVI secolo ha provocato un’immane spaccatura non solo dalla Chiesa Cattolica (fondata da N. S. Gesù Cristo) ma nella stessa Europa, trascinandola per secoli persino in lotte religiose intestine, in quanto interi popoli hanno dovuto sottomettersi alla nuova falsa fede dai loro sovrani (che incamerarono pure tutti i beni della Chiesa e si misero a capo di “chiese nazionali”) o lottare perché ciò non avvenisse.
Notizie controcorrente su … Lutero
Com’è noto, uno dei principali iniziatori della cosiddetta “Riforma protestante” fu il monaco agostiniano Martin Luther. La sua opposizione al Papa e alla Chiesa Cattolica iniziò nel 1517 e si tradusse subito in tesi eretiche che deformavano gravemente dei punti fondamentali della dottrina cristiana (la grazia, i sacramenti, il sacerdozio, l’Eucaristia, la morale, …). Quando il Papa, venutone a conoscenza, gli chiese di ritrattare, egli bruciò pubblicamente la Bolla papale e diede appunto inizio alla Riforma protestante, protetto dal principe Federico (che gli permise pure di sfuggire alla condanna a morte come eretico) e dai nobili tedeschi. L’utilizzo della stampa, inventata da pochi decenni, contribuì ulteriormente alla sua rapida diffusione.
Abbondato il convento, non solo per motivi teologici, ma per “instabilità psichica” (esistono documentazioni cliniche su questo) e passioni libidinose, oltre che come ulteriore segno di rottura con la tradizione della Chiesa, sposò addirittura una monaca, che poi abbandonò (ecco perché ancor oggi non esiste il celibato dei “pastori” tra i protestanti). Si ubriacava spesso (doveva essere riportato di peso a casa dalle birrerie) e con ostentazione mangiava carne pure il Venerdì Santo, fino a vomitare. Oltre a definire “satana” il Papa, giunse a far mangiare alle mucche delle Ostie consacrate trovate ancora nelle chiese, in dispregio della “presenza reale” di Cristo creduta dai Cattolici.
Alla fine morì suicida.
La storia (vera) non ci presenta quindi quel modello di “riformatore” che desiderava una Chiesa più santa, che oggi purtroppo si sente esaltare persino in alti ambienti ecclesiastici!
La nascita di questa eresia e di questo terribile scisma provocò assai presto enormi sconvolgimenti sociali, già nella stessa società tedesca.
Quando nella stessa Germania un vasto movimento di contadini, che pure a partire dalla sua predicazione, si mobilitarono in modo violento per ottenere riforme sociali, Lutero non esitò ad appoggiarne la violenta repressione (si parla di 100.000 morti!) da parte dei principi tedeschi, incitandoli a “trucidare quei contadini come cani rabbiosi”!
I prìncipi e sovrani locali non si fecero sfuggire certo l’occasione per staccarsi da Roma, mettersi a capo di cosiddette Chiese locali ed incamerarne pure tutti i beni; e tutti i loro sudditi furono obbligati ad abbracciare la nuova fede.
La Riforma Protestante fu imposta con violenza in quasi tutti i Paesi dove i sovrani l’abbracciarono, con grande persecuzione di coloro che volevano rimanere Cattolici.
Ciò provocò, oltre ai gravissimi danni spirituali, una tale spaccatura dell’Europa da generare per secoli guerre e lotte intestine.
L’Inquisizione romana, istituita in risposta al Protestantesimo, non sortì però alcune vero risultato, al di là della correttezza dottrinale (promossa soprattutto dal Concilio di Trento) e l’opera evangelizzatrice della cosiddetta Controriforma, specie per il carisma di nuovi ordini religiosi (Gesuiti, ma anche i nuovi ordini religiosi dediti all’educazione, come Orsoline, Barnabiti, Somaschi, e alla cura degli ammalati, come i Fatebenefratelli di S. Giovanni di Dio) come pure di grandi e santi vescovi (come S. Carlo Borromeo a Milano).
Il contesto europeo era però cambiato. Non solo il potere del Papa non era più in grado di far fronte a tale drammatica spaccatura della Chiesa e dell’Europa, ma molti nuovi sovrani dell’Europa centro settentrionale appoggiarono appunto la Riforma protestante, mettendosi di fatto a capo delle nuove Chiese nazionali ed incamerando tutti i beni della Chiesa.
Un’Inquisizione “capovolta” (protestante)
Per questo motivo politico (ed economico), assai più che per reali convinzioni teologiche (che il popolo certo raramente comprendeva), interi popoli e Nazioni furono costretti ad abbandonare la Chiesa Cattolica e l’autentica fede (la vera dottrina di Cristo, creduta da tutti i cristiani, compresi gli Ortodossi, da 15 secoli)!
Le Chiese protestanti (e la Chiesa anglicana) attuarono una violentissima repressione contro coloro che volevano mantenersi nell’autentica dottrina e nella fedeltà al Papa e alla Chiesa Cattolica, uccidendo davvero migliaia e migliaia di fedeli, compreso vescovi e sacerdoti, che volevano restare “Cattolici”, con una sorta di Inquisizione capovolta, ma questa sì non rispettosa della libertà di coscienza e dei diritti degli imputati. Si passava inoltre assai più duramente e speditamente anche alle esecuzioni capitali, senza risparmiare nessuno, compreso accademici e scienziati (i Protestanti ammisero che in casa loro Galileo avrebbe fatto una brutta fine! eppure in seguito contribuirono non poco a creare il “caso Galileo”), oltre a una “caccia alle streghe” assai più spietata che nei paesi cattolici (nella sola Ginevra i seguaci di Calvino bruciarono oltre 5000 streghe!). Si pensi che nella sola Germania protestante furono eseguite 25.000 condanne a morte (un numero da scavalcare e far rabbrividire persino la tanto vituperata Inquisizione spagnola)! Bastava un piccolo scritto considerato sospetto (di fede cattolica) per essere trascinati in tribunale e finire male. Persino la lettura dei libri cattolici era considerato peccato e si misero all’Indice (anche i Protestanti fecero infatti un enorme Indice dei libri proibiti, ma questi erano quelli cattolici).
Ciò è particolarmente paradossale, visto che fu proprio in casa protestante che furono inventate le prime “leggende nere” sulla Inquisizione, in chiave appunto anticattolica.
Non solo nell’attuale territorio tedesco ma anche nelle regioni scandinave intere popolazioni furono obbligate dai loro sovrani a ribellarsi a Roma (al Papa) e ad aderire alla nuova fede “protestante” ed alle nuove Chiese nazionali, alle dipendenze dei sovrani locali.
Infatti anche nei Paesi scandinavi la Riforma protestante fu imposta, con grande violenza, dai sovrani locali.
Vediamo ad esempio in Svezia …
Nel secolo XIV la Svezia era ancora fortemente cattolica, tanto da darci Santa Brigida, talmente grande da essere stata proclamata da Giovanni Paolo II “compatrona d’Europa”.
Con la Riforma protestante, i prìncipi costrinsero la popolazione ad abbandonare la Chiesa cattolica, incamerandone i beni, e ad aderire allo scisma ed eresia evangelico-luterana.
Scrive Vittorio Messori: “Il luteranesimo, in gran parte dei Paesi che lo accettarono, fu imposto con la forza dai principi e dai nobili, che concupivano i beni della Chiesa e non parve loro vero di poterli sequestrare. In Svezia violenza e cinismo regi raggiunsero il massimo. Il fondatore della nuova dinastia scandinava, Gustavo I Wasa, ben lontano da preoccupazioni religiose, per mero interesse economico e politico vide nel luteranesimo un modo per riempire le casse vuote dello Stato e per legare a sé la nobiltà, suddividendo tra loro il bottino costituito dalle proprietà della Chiesa. Il popolo ne fu indignato e più volte insorse, ma fu schiacciato dal re Gustavo. I suoi successori furono costretti, dal malcontento della gente nei confronti della nuova fede imposta manu militari, a tollerare almeno che restassero aperti alcuni santuari mariani. Proprio a Lund (dove Papa Francesco si è recato per celebrare coi luterani il V centenario della Riforma protestante, 31.10.2016 vedi) tutte le chiese furono rase al suolo, tranne la stupenda cattedrale (la chiesa principale di Svezia), pur ovviamente denudata di ogni decorazione, secondo l’uso riformato; e le pietre degli altri edifici cattolici abbattuti furono impiegate per la fortificazioni e la cinta muraria della città”.
Mettiamo un poco la lente anche sul Regno Unito…
Quello della Chiesa anglicana, che pur sino a poco tempo fa era su posizioni dottrinali persino meno gravi rispetto a quelle protestanti (credono ad esempio all’Eucaristia come presenza reale, anche se invece la loro è invalida in quanto manca la successione apostolica; ultimamente invece si è in gran parte ‘aperta’ alle più spinte stravaganze sessuali in voga, all’interno persino dell’episcopato, così da provocare una reazione da parte di una cospicua porzione di Anglicani, che hanno deciso di tornare alla Chiesa Cattolica), è un caso emblematico di questa sottomissione della Chiesa al potere regnante. Com’è noto il Re d’Inghilterra Enrico VIII, abbandonata la moglie Caterina d’Aragona e volendo passare a nuove nozze con Anna Bolena, non ottenendo ovviamente il divorzio richiesto al Papa (anche se pare fosse in corso un esame per il riconoscimento di nullità), non solo la sposò ugualmente il 25.01.1533 (per poi condannarla a morte 3 anni dopo, per sempre nuove amanti e mogli: ebbe in totale 6 mogli, facendone decapitare 2!), ma, ricevuta la scomunica da Papa Clemente VII, nel 1534 costituì in Inghilterra e Galles una Chiesa autonoma (Anglicana) e se ne autoproclamò “Capo Supremo” (il Parlamento inglese, con il cosiddetto Atto di supremazia, stabilì ufficialmente che la Chiesa d’Inghilterra era “anglicana” e si separava da Roma), titolo poi modificato da Elisabetta I in “Governatore Supremo della Chiesa Anglicana”, che il sovrano inglese detiene ancor oggi, addirittura nominando le più alte cariche ecclesiastiche, anche se Primate della Chiesa Anglicana è l’Arcivescovo di Canterbury. Tutti coloro che vollero rimanere fedeli al Papa e alla Chiesa Cattolica vennero emarginati, perseguitati e uccisi. L’anno seguente (1535) venne decapitato nientemeno che Thomas Moore (San Tommaso Moro), che era addirittura il consigliere, segretario e Cancelliere del re, che si era rifiutato di abdicare dalla fede cattolica; e qualche giorno dopo il suo martirio, fu ucciso anche il vescovo John Fisher (San Giovanni Fisher), che fu imprigionato (e mentre si trovava in prigione fu creato cardinale dal Papa Paolo III) e ucciso per lo stesso motivo. Sono martiri canonizzati (la loro memoria liturgica è il 22 giugno); e San Tommaso Moro nel 2000 è stato significativamente proclamato da Giovanni Paolo II “patrono dei politici”.
Iniziò così una terribile persecuzione contro i cattolici, che ha prodotto violenze di ogni tipo e decine di migliaia di martiri. Fu vietata anche ogni ordinazione sacerdotale cattolica; e visto che alcuni seminaristi andarono allora a farsi ordinare sacerdoti in Francia (garantendo così la validità del sacramento, cioè nella “successione apostolica”, eliminata in Inghilterra) e per tornare poi come sacerdoti cattolici in Inghilterra, quando venivano scoperti erano barbaramente trucidati, insieme anche ai religiosi e laici che li seguivano (v. gli 85 preti, religiosi e laici martirizzati dagli anglicani nel 1585 e beatificati da Giovanni Paolo II il 22.11.1987, vedi).
Anche la figlia di Enrico VIII, Elisabetta I, continuò in questa feroce persecuzione anticattolica, così che in pochi anni il numero dei cattolici da lei fatti uccidere superò di gran lunga quello che ad esempio la tanto vituperata Inquisizione spagnola fece in 3 secoli!
Pure il re Giacomo I Stuart (incoronato nel 1603) volle uccidere tutti i preti che rimanessero cattolici; giunse persino a impiccare il gesuita Henry Garnet davanti alla Cattedrale di Saint Paul a Londra (1606); e la sua pelle, come era in uso tra loro, fu usata per rilegare il libro in cui era contenuto il verbale del suo processo!
Visto il rifiuto di abbandonare la fede cattolica da parte di molti sudditi del regno (ci furono anche aspre lotte, come la cosiddetta e fallimentare “congiura delle polveri”), nel 1606 il Parlamento inglese emanò leggi ancora più repressive contro i cattolici, che provocò circa 72.000 martiri! (dato riportato anche dall’insospettabile storico protestante Raphael Holinsed).
Intanto da Ginevra Calvino, a capo dell’altrettanto violenta riforma protestante calvinista (vedi), inviava in Inghilterra messaggi per incoraggiare allo sterminio, con queste parole: “Chi non vuole uccidere i papisti (cioè i Cattolici) è un traditore: risparmia i lupi e lasca indifese le pecore”!
In tutto il Regno inglese i Cattolici, laddove non venivano uccisi, erano comunque emarginati dalla vita sociale ed esclusi dai pubblici uffici.
Tuttora il sovrano d’Inghilterra non può ovviamente essere cattolico, visto che è a capo della Chiesa anglicana; ed anche i figli (principi) non possono abbracciare la fede cattolica e neppure sposare un consorte cattolico.
Infatti, in base all’Act of Settlement del 1701, né il regnante né i suoi figli (principi) possono sposare un consorte cattolico, a meno che non rinunci ai diritti di successione. Secondo questa legge inglese, ancora piena di livore anticattolico, un membro della famiglia reale può sposare chi vuole (anche di fede ebraica, buddista, musulmana, induista e perfino atei militanti), basta che non sia persona di fede cattolica (“Roman Catholic”, come si specifica con un tono sprezzante nel Regno). Solo nel 2015 tale legge fu emendata: i membri della famiglia reale inglese in linea di principio possono ora sposare anche dei cattolici; basta che non si facciano anche loro cattolici, altrimenti perderebbero ogni diritto, anche al trono se a loro spettasse (ma in caso un reale inglese sposasse ora una cattolica, pur dovendo rimanere anglicano, i loro figli in quale religione/confessione potrebbero essere educati? sembra ovvio “nella fede e chiesa anglicana”, visto appunto che il sovrano in carica ne è il Capo e i figli sarebbero comunque i principi).
Il problema pareva si ponesse ancora nel matrimonio del 19.05.2018 tra il principe Harry (anche se solo 4° o 5° nella linea di successione al trono) e Meghan, cattolica (anche se già divorziata). Sarebbe stata una novità assoluta. Ebbene, il problema è stato risolto alla radice e secondo la radicata consuetudine anticattolica della casa reale inglese: Meghan, qualche giorno prima del matrimonio col principe Harry, ha “abiurato” ufficialmente dalla fede cattolica e si è fatta anglicana!
Il divieto di essere o rimanere Cattolici e l’obbligo, per i cittadini del Regno, di appartenere alla Chiesa anglicana, pena una violentissima persecuzione e anche la morte, raggiunse ovviamente anche la Scozia. Anche nel nord della Gran Bretagna la persecuzione anticattolica fu violentissima. Però, pur essendo stata instaurata la Chiesa anglicana scozzese, fedele a Londra, lo spirito indipendentista di molti (che permane peraltro ancor oggi), fece sorgere anche una Chiesa anglicana “free”, cioè appunto indipendente; così che ancor oggi possiamo notare, persino in uno stesso paesello, entrambe le Chiese anglicane. Del resto, una volta perso il principio oggettivo della cattolicità, le comunità protestanti si sono sempre suddivise in innumerevoli tipi di chiesa (e tuttora nascono sempre nuove sette, pur sedicenti cristiane).
Anche l’Irlanda fu raggiunta da quest’odio anticattolico; ma la resistenza cattolica nell’isola fu molto forte. Quando nel XVII secolo Lord Oliver Cromwell cercò di installare con la forza la Chiesa anglicana nell’Ulster, peraltro la parte dell’isola più ricca di risorse, si pose in atto una vera e propria “pulizia etnica” contro i Cattolici. Moltissimi, che volevano rimanere cattolici e fedeli al Papa, furono uccisi; i superstiti furono privati della loro terra e di ogni diritto civile. E ciò è durato fino al 1913!
Nell’Ulster (Irlanda del Nord, appartenente all’UK e quindi ufficialmente protestante, mentre il resto dell’isola rimane fortemente cattolico) permane infatti tuttora una spaccatura (che ha toccato pure punte violente anche in un recente passato); però, anche se comunemente si parla di tensione tra cattolici e protestanti, evidentemente si tratta più di lotta politica di indipendenza da Londra che di questioni di fede.
________________________________
14.09.2021
Alcuni Processi
controversi
Soffermiamo ora brevemente la nostra attenzione su alcuni particolari Processi dell’Inquisizione, di cui spesso si parla (anche nei libri, romanzi, film, opere teatrali), ma, per come vengono divulgati e conosciuti, appartengono più al mondo leggendario che alla effettiva realtà storica. Così, ciò che purtroppo appartiene all’immaginario collettivo, anche di giovani studenti e persino di persone colte (pure tra i Cattolici), è un falso storico, veri e propri “miti”, creati per calunniare la Chiesa Cattolica, la sua storia, identità e missione.
Facciamo dunque qualche cenno alla cosiddetta “caccia alla streghe”, al “rogo” di S. Giovanna d’Arco, a quello di Giordano Bruno e al Processo a Galileo Galilei.
[Anche su questi Processi dell’Inquisizione, cfr. Dossier e Documento]
La “caccia alle streghe”?
Tra i falsi miti creati attorno all’Inquisizione, c’è appunto anche quello della cosiddetta “caccia alla streghe”, di cui sarebbe stato infestato soprattutto il Medioevo, per colpa della Chiesa Cattolica e della sua nefasta Inquisizione. A tal punto che questa espressione è tuttora usata come sinonimo di violenta persecuzione di povere persone ingiustamente accusate e socialmente vessate per colpe immaginarie e inesistenti.
Andiamo allora un poco a scoprire di cosa si trattasse veramente.
Non entriamo ovviamente qui nel merito della questione, peraltro di rilevanza anche teologica, se alcune persone (uomini o donne) possano essere dotate di particolari poteri preternaturali (in riferimento cioè al diabolico) o anche solo paranormali, per influire negativamente sulla vita di altre persone, procurando loro “malefici”, tribolazioni e sofferenze di vario tipo. Si tratta di una possibilità, assai creduta popolarmente, non solo nel Medioevo ma anche nel presente (anche se in modo in genere occulto). Al di là delle dicerie, menzogne e persino truffe credute da molti, e non solo da persone ingenue e ignoranti, in certi rari casi tale possibilità è contemplata anche dalla dottrina cattolica. Al di là appunto degli inganni e suggestioni, può esserci effettivamente questa possibilità, in genere direttamente o indirettamente offerta dal demonio! Situazioni da cui è bene stare alla larga e a cui si può far fronte con preghiere liberatorie se non con veri e propri “esorcismi” (dove l’esorcista non è un sedicente tale o mago, ma un sacerdote ufficialmente incaricato dal Vescovo).
La questione, seriamente intesa, può essere attinente anche a quel vasto mondo della superstizione, della magia (bianca o nera), dello spiritismo e appunto persino del satanismo, che è creduto e persino seguito da un ingente numero di persone, non solo dell’antichità ma del presente e non solo da persone rozze e ignoranti ma anche da dotti e persino da grandi personaggi della storia (tanto per fare due nomi: Stalin e Hitler).
È interessante infatti notare che, nonostante il presunto razionalismo illuminista, che chiamava invece “superstizione” e credenza oscurantista tutta la fede cristiana, o il materialismo ateo che vorrebbe ridurre tutta la realtà alla immanenza o alla sola materia, proprio nei secoli rinascimentali, della modernità e pure negli ultimi due secoli e perfino nel presente, si possa rilevare un incremento della superstizione, dei maghi e persino del satanismo! Vediamo infatti anche oggi addirittura un incremento di tali credenze, così da rendere persino evidente che “l’ateo non crede in Dio ma crede in tutto!”. Sono infatti tuttora in espansione, nemmeno celata, la superstizione e tutta quella serie di “credenze” nel destino come negli oroscopi, nella fortuna o sfortuna, nel “porta bene” o “porta male”, in formule verbali considerate magicamente portafortuna (così da essere tranquillamente e persino obbligatoriamente usate e augurate prima di una evento, una prova, un esame …), per non parlare di amuleti vari, portafortuna; poi si va dalla lettura della mano o di qualche espediente o esperto per conoscere il proprio futuro, fino a spendere ingenti somme di denaro per maghi, fattucchieri, procuratori di malefici, oppure per ricorrere a sedicenti guaritori, liberatori, esorcisti, pseudo veggenti; fino a cadere nel vero mondo dell’occulto, se non addirittura del demoniaco, veicolato od espresso persino in un certo tipo di musica, di filmati e di tatuaggi; andando dallo spiritismo, ad esempio le cosiddette “sedute spiritiche” (credute talora semplici giochi, quando invece anche inconsapevolmente mettono in contatto col demoniaco), fino al vero e proprio satanismo (cfr. ad es. una News del 6.07.2021, sull’uccisione di una suora di Chiavenna)!
Al di là delle falsità, delle ingenue credenze, degli inganni (anche a fini di lucro), c’è effettivamente pure tutta una realtà da cui, ovviamente a livelli diversi di gravità, gli esperti (seri teologi, maestri dello spirito, veri sacerdoti esorcisti) mettono seriamente in guardia (ed a certi livelli di gravità anche la giustizia ha il dovere di vigilare e di intervenire), in quanto, oltre ad essere credenze e pratiche peccaminose (contro il 1° Comandamento, vedi) e creare pure pericolose dipendenze, possono comunque far davvero intervenire il diavolo, talora con conseguenze molto dolorose e durature, oltre che pericolosissime per l’anima.
Si può così già capire, di fronte a questo mondo e a queste credenze e pratiche, come possa essere utile e perfino necessario la luce della vera fede e di conseguenza anche l’intervento della Chiesa, sia per un reale discernimento (che escluda cioè quanto è falso e non reale e faccia fronte a irrazionali movimenti di discriminazione o persecuzione sociale … come vediamo accadere perfino in questi tempi…!), che eventualmente un intervento equilibrato e mirato per estirpare certi mali e persino certi reati, rari ma possibili.
Questo pericolo, appunto persino attualissimo e in forte crescita, era certamente diffuso anche nel periodo medievale (anche se abbiamo detto in realtà in crescita nella modernità).
In realtà fu invece la civiltà cristiana, proprio per la visione positiva e razionale della realtà che scaturisce dalla fede in Cristo (certo anche con la consapevolezza del male e persino della presenza e del potere del demonio, comunque sottomesso a Cristo!), a liberare la storia dell’umanità da questo opprimente e fatalista mondo dello spiritismo e del demoniaco (qualche storico fa osservare ad esempio che la conversione dei “barbari” al cristianesimo fu incoraggiata anche da questa sua capacità liberatoria da tali credenze e pratiche)!
Da questo nacque anche la necessità (buona) di un giudizio, da parte della Chiesa, per un reale discernimento (per distinguere il vero dalle stupide e false credenze, pericolose anche socialmente) e di un intervento chiarificatore o pure liberatorio.
In questo campo rientra anche la questione delle cosiddette “streghe” (donne, ma anche uomini, che potevano essere portatori di malefici).
Mentre il popolo, ma pure persone di più alto rango, avrebbero potuto procedere (ed accadeva di frequente) con giudizi sommari, infondati, e passare persino a metodi violenti, talora anche per coprire così odii e vendette personali o di gruppo, una regolare e fondata indagine e, se era il caso, anche un documentato e garantito Processo, forniva, contrariamente a quanto ancor oggi si dice e si crede, un motivo di garanzia e di protezione per le stesse persone accusate.
Ecco perché in certi casi veniva richiesto l’intervento della Chiesa, e persino dell’Inquisizione: in realtà proprio per evitare giudizi sommari, dicerie e credenze fasulle a scapito di povere persone, ingiustamente accusate di operare tali malefici o porre in atto capacità magiche negative (appunto le cosiddette “streghe”, ma anche stregoni, cioè maschi). E nello stesso tempo per difendere il singolo o la società da mali possibili e reali.
Una volta precisato questo, diamo però qualche dato storico certo, per sfatare il mito, specie anticattolico, della cosiddetta “caccia alla streghe”, in cui sarebbe implicata, anche con inaudita violenza, l’Inquisizione medievale, o addirittura che fosse essa stessa l’artefice di tali sommari giudizi e violenze sociali.
Tra l’altro, se talora la “caccia alle streghe” (o all’untore, in caso di pandemie!) prendeva corpo a livello popolare (e il popolo sarebbe passato ad una giustizia sommaria e violenta se non ci fosse stato il ricorso a regolari tribunali, anche dell’Inquisizione), questo paradossalmente avvenne più che nel Medioevo nei secoli successivi (dal XV secolo in poi).
In realtà l’Inquisizione cattolica era assai restia ad entrare in queste questioni, non trattandosi strettamente di “eresie”, cioè di attacchi contro la fede. Sulla cura delle anime era infatti sufficiente ricorrere alla guida spirituale di qualche buon sacerdote o comunque, anche per certi casi di presunta o reale possessione diabolica, al giudizio e all’intervento liberatorio di esorcisti autorizzati dal vescovo.
Se si trattava invece di reati, il ricorso era alla comune giustizia.
Persino l’Inquisizione spagnola, come abbiamo visto più severa di quella medievale per non dire di quella romana, non trattò alcun caso di questo tipo! Nelle regioni basche, ad esempio, fu proprio l’Inquisitore Salazar y Frias a salvare le presunte streghe dalla popolare “caccia alle streghe”; e nelle Fiandre la “caccia alla streghe” cessò proprio quando vi giunsero gli spagnoli.
Comunque, stando alle più accurate ricerche storiche, lungo tutti i secoli in cui ha operato l’Inquisizione cattolica, il totale delle condanne “per stregoneria” non raggiunse le 100 unità!
Dunque totalmente altro rispetto all’immaginario collettivo (anche di persone colte), dovuto al “mito” anticattolico creato dall’Illuminismo e divulgato anche attraverso libri, romanzi, film e le stesse scuole.
A dire il vero, la stessa cosa non si può invece affermare dell’Inquisizione protestante (ma abbiamo visto che il mito anticattolico, che trova i propri inizi paradossalmente proprio dai Protestanti, fa “di ogni erba un fascio”). Nei Paesi divenuti protestanti, la cosiddetta “caccia alle streghe”, cioè i processi per stregoneria, ha conosciuto numeri ben più elevati. Anzi, i Protestanti accusavano i Cattolici di non aver fatto abbastanza contro Satana e i suoi “adoratori” (le streghe). In Germania, ad esempio, che contava allora circa 16 milioni di abitanti, ci furono 25.000 processi per questo. Nella sola Ginevra di Calvino ci furono 500 roghi di streghe! Anche nei Paesi americani occupati dai Protestanti ci furono molti roghi per questo, come quello delle famose “streghe di Salem” del 1692 nel Massachusetts. L’ultima “strega” giustiziata nella storia fu ancora nella Svizzera calvinista nel 1782.
Ecco sfatato, alla prova dei reali dati storici, un altro mito anticattolico!
La condanna di
S. Giovanna d’Arco
Il caso di Giovanna d’Arco (1412-1431) è in effetti sconvolgente e potrebbe mandare in crisi quanto abbiamo fin qui affermato sull’Inquisizione. Infatti nel 1431 a Rouen in Francia, dopo un sommario Processo dell’Inquisizione, condizionato dagli occupanti inglesi, venne mandata sul rogo questa giovanissima donna (19 anni), che poi la Chiesa proclamò Santa e persino compatrona di Francia! Come è stato possibile?
Oltre a quanto detto in modo più esteso nel Dossier L’Inquisizione punto 6.2, nel sito si veda pure una catechesi che Papa Benedetto XVI tenne su di lei.
Ammettiamo però che, senza evidentemente nulla togliere (anzi!) alla santità di questa giovanissima ragazza francese, il “caso Giovanna d’Arco” non fosse di facile comprensione.
Si trattava infatti di un’adolescente (era detta la “Pulzella”, cioè la verginella) a cui Gesù stesso avrebbe misticamente chiesto di porsi a capo di esercito (ovviamente di soldati maschi) per liberare la Francia dagli invasori inglesi!
Si può quindi comprendere come, nonostante che la sua condotta fosse integerrima, si potessero avere seri sospetti su queste “voci interiori” e su questa incredibile “missione militare” che le sarebbe stata affidata da Dio!
In realtà, non è difficile immaginare che proprio coloro che ancor oggi portano questo caso come argomento polemico contro la Chiesa, in realtà farebbero molta fatica ad ammettere una tale “missione militare” come voluta da Dio, tanto più affidata ad un’adolescente; anzi nel ‘pacifismo’ unilaterale oggi dominante sarebbe portata ella stessa come esempio di impossibilità dei doni mistici, così come di intolleranza e violenza cattolica!
La Francia, conquistata dagli Inglesi in alleanza coi Borgognoni, stava in quegli anni ormai per soccombere e per sparire dalla storia e geografia europea. Anche i sovrani erano ormai rassegnati a questo destino. Che esso potesse essere capovolto da una ragazzina messasi a capo di un manipolo di soldai per ispirazione mistica, nessuno lo avrebbe creduto; e ancor oggi nessuno lo crederebbe. Di fatto, però, nel 1429 (cioè a soli 17 anni!) riuscì già a liberare Orleans, ultimo baluardo della resistenza francese, dall’assedio degli Inglesi. Ottenuto questo straordinario risultato, qualche mese dopo riuscì nella città di Reims a far incoronare Carlo VII Re di Francia, potendo farlo tornare anche a Parigi (dove però il Parlamento era ormai condizionato politicamente dagli Inglesi).
A questo punto, visto che potevano venire sconvolti gli stessi equilibri politici non solo francesi ma europei e compromesso il potere degli Inglesi (e tutti coloro che in combutta con loro avevano assunto poteri in Francia), si accorsero della pericolosità della “Pulzella” e cominciarono in tutti modi a perseguitarla, desiderando ovviamente di imprigionarla o eliminarla. Cercarono di farlo con l’accusa di “eresia” (Gesù la spingeva davvero ad azioni militari così eroiche?), l’unica accusa che l’avrebbe resa invisa anche al popolo, che invece già l’osannava come eroina e persino santa (non a caso sarà proclamata compatrona di Francia ed è tuttora molto amata dai Francesi). Per far questo, occorreva coinvolgere qualche vescovo (alcuni si erano già legati ai vincitori inglesi) e lo stesso Tribunale locale dell’Inquisizione. E se Giovanna d’Arco, invece di aver sentito interiormente la voce di Gesù che la spingeva a questa missione militare, fosse stata invece mossa dal demonio e resa incredibilmente vincitrice sull’esercito inglese proprio dal suo potere preternaturale?
La “pulzella” fu quindi condotta prigioniera a Rouen, dove agli inizi del 1431 si riuscì ad aprire un Processo inquisitorio contro di lei.
Come si evince dal Verbale del Suo Processo (regolarmente redatto dal Tribunale dell’Inquisizione di Rouen), la giovincella (ancora di 19 anni!) diede invece prova dell’ortodossia della sua fede cattolica (e sarebbe stato facile trarre in inganno da parte dei teologi una ragazza analfabeta come lei) e pure della santità della sua persona (sarebbe stato facile accusarla di aver ceduto a qualche voglia dei suoi rudi soldati durante gli accampamenti tra le battaglie). Nonostante questa avversione dei potenti, nulla di eretico o di immorale fu infatti possibile raccogliere dalla sua persona e dai testimoni ascoltati. Erano però evidenti i condizionamenti dovuti al potere inglese, che si vedeva improvvisamente rovinare, per di più ad opera di questa “verginella”, proprio quando la vittoria sulla Francia sembrava ormai assicurata e definitiva.
Purtroppo i due giudici, cioè il vescovo Cauchon (sostenuto dagli inglesi e quindi a loro debitore), e l’inquisitore Le Maistre (un domenicano coinvolto controvoglia in questo Processo), coadiuvati da teologi dell’Università di Parigi (a loro volta già schierati dalla parte degli inglesi), cui si aggiunse un’incomprensibile fretta nel giungere alla sentenza, fece piegare il Processo verso una condanna della giovane condottiera francese. Il Papa stesso fu informato del fatto a processo concluso.
Giovanna si era appellata al Papa il 24.05.1431 (una settimana prima dell’esecuzione) cosa che normalmente doveva bloccare subito il Processo, ma purtroppo il Papa Martino V era morto il 20 febbraio e il nuovo Papa Eugenio IV, eletto l’11 marzo, non fece in tempo (teniamo presente anche la lentezza delle comunicazioni di allora) ad analizzare la questione.
Si giunse così purtroppo, con fretta e senza osservare la giusta procedura (cosa inusuale per i Processi dell’Inquisizione, ma che rivelava ulteriormente la pressione degli Inglesi sulla vicenda) alla condanna a morte di Giovanna d’Arco, che aveva confermato le sue voci interiori (una volta, tentata di cedere e di negarle, Gesù stesso le disse che si sarebbe dannata eternamente l’anima se l’avesse fatto!); così salì santamente al rogo, a Rouen, il 30.05.1431.
Vista comunque l’eccezionalità dell’evento e la singolarità di quel Processo, troppo veloce e sommario, il Papa Callisto III nel 1456 fece riaprire il Processo (sia pure “post mortem”), analizzare i Verbali (che erano comunque stati rigorosamente redatti e conservati negli archivi) e riformulare il giudizio, giungendo ad una totale riabilitazione di Giovanna d’Arco, che sarà addirittura “beatificata” da S. Pio X nel 1909 e canonizzata da Benedetto XV nel 1920!
Proclamata compatrona di Francia (con S. Martino di Tours) e particolarmente amata e festeggiata dal popolo francese, se ne fa memoria liturgica appunto il 30 maggio, giorno della sua morte sul rogo.
Ecco un poco svelato il mistero di questo caso più unico che raro, che ha fatto sì che venisse elevata addirittura agli onori degli altari una condannata al rogo da un Tribunale dell’Inquisizione.
Anche la singolarità di questo “caso”, anch’esso cavalcato dalla polemica anticattolica (peraltro anche dagli stessi che poi proprio in Francia fecero con le loro ideologie stragi e genocidi incredibili!), in realtà, a ben vedere, depone alla fine a favore della verità della Chiesa, che venera nei secoli questa Santa. Per non dire della sua gloria eterna nel Cielo!
Il “caso unico” di
Giordano Bruno
Abbiamo già ricordato che nella città di Roma, cioè al centro della cristianità e dove il Papa era anche il sovrano temporale, in 5 secoli l’Inquisizione romana operò solo una condanna a morte (rogo): quella dell’ex-frate domenicano Giordano Bruno, il 17.02.1600.
Però, nonostante l’unicità del caso, non ebbe un grande riverbero nell’opinione pubblica, tanto era nota in tutta Europa l’eccentricità del personaggio (cacciato da tutte le corti europee) e stravagante la sua dottrina (tra l’esoterismo, la magia e persino il satanismo; comunque certamente non più cattolica!), con l’arrogante pervicacia da parte dell’ex frate di simulare il suo vero pensiero e di non voler sentire ragioni né di darne.
Quando però l’esercito piemontese invase Roma (il fatidico “XX settembre” 1870) e di fatto la Massoneria prese il potere (vedi Dossier e Documento sul Risorgimento), non tardò di elevare Giordano Bruno a paradigmatico martire del “libero pensiero” e quel rogo a simbolo stesso dall’ottusità e violenza dell’oscurantismo cattolico.
Così, proprio nel centenario della Rivoluzione francese, il 9.06.1889, il Presidente del Consiglio Francesco Crispi, dichiaratamente massone e fortemente ostile alla Chiesa e al Papa, fece erigere proprio nella centralissima piazza romana dove Bruno salì sul rogo (Campo de’ Fiori) un monumento a lui dedicato (dell’artista Ettore Ferrari, finanziato da logge massoniche), che divenne ed è tuttora considerato un simbolo dello spirito laicista e del libero pensiero contro l’oscurantismo della Chiesa Cattolica.
Ogni ideologia ha i propri eroi, monumenti e devozioni. All’ombra dell’effigie di Giordano Bruno e nel luogo del suo “martirio” dovevano riunirsi, e talora ancora si riuniscono, i sedicenti “liberi pensatori”, laicisti e anticlericali, per esprimere le loro laiche devozioni, il loro odio anticattolico e le loro proteste per costruire una società finalmente laica e libera dal potere oscurantista della Chiesa!
Solo più recentemente autorevoli storici, anche di estrazione culturale “laica”, hanno saputo dare della questione “Giordano Bruno” una lettura meno ideologica e più obiettiva. Così ad esempio Luigi Firpo, già allievo di Gentile e Saitta, che, dopo aver accuratamente studiato tale Processo, onestamente riconobbe che “pur essendo partito nella ricerca con molti pregiudizi sulla Chiesa, non poteva alla fine dire che essa avesse sbagliato” (L. Firpo, Il processo a Giordano Bruno, Salerno Ed. Roma 1993).
Sul caso Giordano Bruno vedi pure il Dossier e il Documento sull’Inquisizione.
Dobbiamo anzitutto ricordare (come nel caso di Lutero) che Giordano Bruno era un frate (anche se ad un certo punto non si sapeva neppure più se ancora lo era, tanto era ambigua la sua posizione, anche nelle corti e accademie europee dove si presentava per insegnare). Si trattava infatti di un “domenicano”, cioè appartenente a quell’ordine religioso fondato da S. Domenico da Guzman, particolarmente dedito alla predicazione della dottrina cattolica e i cui frati, umili ma dotti, in genere gestivano pure le questioni dottrinali dei processi dell’Inquisizione (paradossale che Bruno fosse proprio un frate di questo Ordine)!
Ricordiamo di nuovo come l’Inquisizione non avesse alcun potere di intervento e di giudizio sui non cattolici (quindi nessuna opposizione al “libero pensiero”!), ma doveva solo garantire, per il bene eterno delle anime, che non fosse creduto o addirittura predicato come “cattolico” ciò che cattolico non era! E questa è in fondo anche una questione di onestà intellettuale.
In realtà in Giordano Bruno di cattolico o di cristiano ad un certo punto non c’era proprio più nulla!
Nato a Nola nel 1548, a 17 anni entrò nei Domenicani a Napoli. Dotato certo di una notevole capacità intellettuale, però fin da allora manifestò un carattere ribelle, volubile e ingannevole, e già durante il noviziato coltivava interessi esoterici e persino satanici, con disprezzo di alcune fondamentali verità di fede. Fu quindi una grave imprudenza dei suoi superiori permettergli di diventare frate e sacerdote!
Ancor più grave, nonostante la sua abilità oratoria e la piena padronanza del latino (la comune lingua dei dotti in Europa), EDAD49
A un certo punto Bruno decise infatti di lasciare Napoli e persino la Chiesa cattolica (!) per recarsi a Ginevra (la patria di Calvino), godendo della protezione del marchese Caracciolo (di origine napoletana e parente di Papa Paolo IV, ma là residente e passato al calvinismo). In questo modo ottenne di partecipare all’Accademia di Ginevra; anche se ben presto, a causa pure del suo carattere polemico e arrogante, si oppose aspramente al titolare (De la Faye), il quale, essendo anche funzionario di Stato, lo fece arrestare, processare e scomunicare dalla Chiesa calvinista.
Bruno rimase molto deluso, anche nel constatare come i Protestanti (calvinisti) mandassero al rogo migliaia di persone, assai più dell’Inquisizione cattolica e con minori garanzie!
Tornato (o simulando di tornare?) nella Chiesa Cattolica, andò in Francia nel convento domenicano di Tolosa, cioè proprio dov’è sepolto S. Tommaso d’Aquino e dove nel Medioevo, abbiamo visto, i neo nati Domenicani predicarono le verità della fede contro l’eresia catara, nata nella vicina Albi; e di nuovo incredibilmente, visti i precedenti, gli fu permesso di insegnare nella locale università tenuta proprio dai Domenicani. Pare però che ad un certo punto, viste le sue stranezze comportamentali e dottrinali, abbia rischiato di essere sospeso “a divinis”, cioè che non potesse più esercitare il suo ministero sacerdotale ed agire come frate domenicano.
Due anni dopo lo troviamo allora a Parigi, nientemeno che alla Corte e all’Accademia reale di Enrico III, appassionato di arti magiche come lui! Dopo ancora due anni lasciò inspiegabilmente Parigi per recarsi a Londra, all’Ambasciata di Francia. Non era nemmeno più chiaro se fosse ancora un frate.
Secondo lo storico inglese John Bossy, Giordano Bruno fu un agente segreto, il quale, vestendo di nuovo all’Ambasciata di Francia il suo abito domenicano (e fu certo un gravissimo abuso!), riuscì a far catturare dagli Anglicani inglesi numerosissimi cattolici, persino simulando sacrileghe Confessioni e addirittura infrangendo il segreto confessionale!
Andò quindi ad insegnare nella celebre università di Oxford, nata dalla Chiesa Cattolica ma passata ai Puritani (Protestanti radicali che non si riconoscevano in nessuna delle Confessioni protestanti), ed ebbe anche un iniziale successo, viste le sue abilità oratorie e di memoria; ma anche lì si inimicò subito i colleghi, tanto che ben presto dovette ritornare a Londra.
Il fatto che fosse così apertamente accolto da molti regnanti d’Europa, come pure che godesse di una tale disponibilità finanziaria (impossibile per un frate) che gli permetteva di viaggiare e pubblicare libri in tutta Europa, ha indotto molti storici a fornire appunto l’ipotesi che fosse una “spia”, inserito non solo in giochi di potere ma persino in sette esoteriche se non addirittura sataniche (così da aver assunto persino qualche potere preternaturale)!
È comunque sempre più evidente che per Bruno la religione è ormai nient’altro che un pretesto, un semplice strumento di potere, da cambiare di volta in volta, ma alla quale assolutamente più non credeva, approdando invece ad una filosofia sempre più panteistica e addirittura incline alla magia. Giunse addirittura, con tratti persino di manifesta megalomania, a proclamarsi Mercurio, cioè il Grande Spirito inviato dal Principio Divino dell’Universo a sollevare l’umanità dal suo stato di ignoranza!
Tornò a Parigi, ma la mutata situazione politica lo spinse a lasciare subito la Francia per recarsi nella Germania luterana. Da Marburgo fu però subito cacciato, in quanto si presentò come un rivoluzionario “alla guida della nuova umanità”. Dopo un breve soggiorno a Wittenberg, si recò a Praga, benevolmente accolto addirittura dall’imperatore Rodolfo II, che si era mostrato interessato ai suoi libri su magia, cabala e alchimia! Raggiunse poi l’Accademia di Helmstadt, dove, nonostante elogiasse il luteranesimo ed accusasse la Chiesa, fu scomunicato dal pastore luterano della città e dovette fuggire, prima a Francofortee poi a Zurigo, dove venne accolto dal nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo invitò poi a raggiungere Venezia e a tornare nella Chiesa cattolica.
Bruno accettò volentieri l’invito, ormai deluso e stanco delle censure e scomuniche collezionate nei Paesi della Riforma protestante e infine lieto di tornare in Italia e nella Chiesa Cattolica (“tutto sommato meno asina delle altre”, come la definisce nell’incredibile libro Spaccio della bestia trionfante). Pensava poi che si sarebbe trovato bene in una città così colta e aperta a tutte le idee e pratiche (anche magiche!) come Venezia, data la sua influenza sul Mediterraneo e la sua vocazione di città-ponte tra Oriente e Occidente. Nella sua megalomania, pensava che fosse ormai maturato il tempo, corredato da segni astrologici, di una nuova era dell’umanità, e che essa avrebbe segnato il trionfo addirittura della sua filosofia!
EDAD49Alla fine divenne insopportabile anche al suo protettore (appunto il nobile Mocenigo, che lo finanziava, fornendogli anche vitto e alloggio), il quale, avendo ricevuto maggiori informazioni dalla Germania sul suo ospite (e scoprendo che era comunque un frate!), decise finalmente di denunciarlo al Tribunale veneziano dell’Inquisizione.
Comparendo davanti alla sede veneziana dell’Inquisizione il 26.05.1592, Giordano Bruno affermò istrionicamente di aver desiderato tornare in Italia e di non avere mai abbandonato la fede cattolica. Poteva dirlo, falsamente, perché in Italia i suoi libri (che di fede cristiana non avevano più nulla!) non erano intanto ancora giunti. Nella seduta del 30.07.1592 chiese comunque ipocritamente perdono se avesse affermato qualcosa contro la fede cattolica. Per questo l’Inquisizione veneziana, ritenendo che ci fosse comunque un ravvedimento, fu propensa a riconoscerne l’innocenza; ma, prima di emettere il proprio giudizio, per sicurezza trasmise a Roma la copia degli interrogatori, verbalizzati come da prassi.
A Roma il tutto fu esaminato dall’Inquisitore Giulio Antonio Sartori, il quale però si accorse subito delle farneticanti posizioni ed eresie del Bruno e, contando anche sul fatto che era originario di Nola e quindi di loro competenza, chiese il trasferimento del Processo a Roma.
Bruno arrivò a Roma il 27.02.1593. Il Processo fu eccezionalmente lungo (in totale quasi otto anni), proprio perché si volle indagare bene sul suo pensiero e sui suoi scritti, non facilmente reperibili e conoscibili a Roma in quanto scritti quasi tutti all’estero. Ci furono 36 udienze (solo nel corso del 1593 venne interrogato 8 volte); ma sorprese subito tutti per la sua arroganza, per gli insulti e persino le bestemmie.
Per evitare errori e anche per permettere al Bruno di organizzare meglio la propria difesa, nel maggio 1594 l’Inquisizione romana decise di riprendere il processo da capo; giunsero intanto su di lui notizie e testimonianze più precise e concordanti, anche dall’estero. Divenne pure noto come fosse stato accolto (e poi pure respinto) da molte corti europee; per cui occorreva la massima prudenza e più che mai una documentazione articolata, data anche la sua notorietà in un’Europa travolta dalle divisioni provocate dalla Riforma protestante. Per questo, anche quando nel 1595 la Congregazione dei Cardinali (il più alto collegio dell’Inquisizione Romana) era pronta per emettere la sentenza, il Papa stesso (Clemente VIII) intervenne per prorogare ulteriormente l’indagine, osservando come di fatto non si era ancora a conoscenza della maggior parte degli scritti del Bruno.
La lettura attenta dei suoi libri durò dal marzo 1595 al marzo 1597, il che documenta che non si trattava di giudizi affrettati o dettati da animosità. Alla fine, nel 1597, si riprese quindi la discussione e si chiese al Bruno se ritrattasse certe sue manifeste eresie (il che avrebbe concluso subito il processo con al massimo la pena di qualche penitenza spirituale, come preghiere, pellegrinaggi o altre pratiche religiose del genere, come era nella prassi dell’Inquisizione). Nella sua patologica volubilità e capacità di dissimulazione, qualche volta sembrò ritrattare, oppure affermava che si trattava di ipotesi “puramente teoriche”. Ma in realtà le sue posizioni teologiche e filosofiche erano di una gravità estrema e alla fine confermate.
“Negava la Creazione (dicendo che si trattò di un’emanazione necessaria dell’Essere), affermava di conseguenza l’esistenza di molti mondi, anzi, che l’universo stesso era una divinità (panteismo), di cui lo Spirito Santo era l’anima. Circa la Bibbia affermava che non era stata che il frutto di un sogno, che Mosè avrebbe simulato i miracoli e inventato la Legge di Dio, che i profeti erano stati dei maghi, come lo furono poi gli Apostoli (e per questo finirono male). Anzi, Cristo stesso non sarebbe Dio ma solo un “mago” e un ingannatore (e a buon diritto è stato ucciso!). La verginità di Maria non sarebbe stata reale. Circa l’Eucaristia ovviamente negava la transustanziazione (cioè le reale presenza di Gesù). Affermava quindi la bontà della magia, la metempsicosi (l’anima che può reincarnarsi in più corpi) e la salvezza anche dei demoni”.
Persino la questione copernicana, cioè l’ipotesi di un sistema cosmico eliocentrico e non più geocentrico, veniva letta da Giordano Bruno come fine del cristianesimo e inizio di un “panteismo” in cui non c’è più non solo un centro, ma neppure un Creatore, un Redentore e neppure un uomo con un destino superiore alla natura. Il nuovo dio sembra sempre più la “Natura” stessa [in questo senso, proprio per le sue implicanze non solo cosmologiche ma pure antropologiche e teologiche, tale ipotesi fu provvisoriamente censurata dal Sant’Uffizio nel 1616 (v. nel sito il Dossier Galilei, punto 4.2)].
Con queste idee, si capisce allora perché fu più volte rifiutato e scomunicato persino dai Protestanti. Perché in queste sue idee non solo non c’era più niente di cattolico ma neppure di cristiano (neppure qualcosa che potesse essere accolto anche dai Protestanti).
Ma si trattava poi ancora di un frate?
Per cercare di salvare il salvabile, nonostante fosse stato un Processo singolarmente lungo (8 anni), si concesse a Bruno ancora tempo per un ripensamento. Nel gennaio 1599 fu lo stesso Cardinale Bellarmino (il Santo Dottore gesuita, che troviamo anche all’inizio della questione Galilei) ad assumere personalmente la guida del Processo e a interrogare Bruno circa le sue reali posizioni dottrinali, facendo di tutto per condurlo a un serio ripensamento e per salvarlo. Anzi, il 15 febbraio tale soluzione sembrò vicina; ma più tardi, il 16 settembre, si rifiutò di dare segni di pentimento. Intanto giunsero dall’Inghilterra notizie su come avesse sparlato pubblicamente del Papa, della Chiesa e della fede cattolica (facendo pure imprigionare e uccidere i Cattolici, come abbiamo sopra osservato).
Perfino un frate che fu con lui a Venezia venne spontaneamente a Roma, autodenunciandosi e denunciando Bruno di eresia.
Sino alla fine vennero fatti continui tentativi, anche da parte di frati Domenicani e Francescani e dai Gesuiti, per indurlo al pentimento e all’abiura dalla sue eresie (il che lo avrebbe immediatamente salvato). Nessuno sforzo in questo senso ebbe successo. Anzi, ancora ai primi di febbraio Giordano Bruno scrisse un “memoriale” mostrando di essere irremovibile.
A questo punto, l’8 febbraio 1600, viste le gravi, manifeste e confermate eresie, il Processo passò da canonico a civile, abbandonando cioè Giordano Bruno “al braccio secolare” (che in questi casi prevedeva il rogo, ma che a Roma era un pena che non si era mai eseguita!). Lo stesso Bruno ammise che “i giudici avevano più paura loro a pronunciare tale sentenza che lui ad ascoltarla”. Negli otto giorni rimanenti, venne continuamente visitato nel carcere (di Tor di Nona) da teologi, preti e frati, per indurlo a pentirsi; il popolo stesso pregava per questo. Ma non si ottenne nulla. Così la mattina del 17 febbraio 1600 fu condotto nel luogo di mercato chiamato Campo de’ Fiori e fu messo sul rogo, dove morì dopo qualche minuto.
Ecco il perché dell’unico “rogo” eseguito a Roma in 5 secoli di Inquisizione romana.
Il “processo” a
Galileo Galilei
Sul “caso Galileo”, falsato e ingigantito oltre due secoli dopo dalla polemica anticattolica post-Illuminista e dallo scientismo/positivismo ottocentesco per attaccare la Chiesa Cattolica e per dimostrare come essa si sia sempre opposta alla scienza, fin appunto dal suo sorgere, incriminando e condannando il suo stesso “padre fondatore”, nel sito abbiamo già scritto molto: oltre a quanto detto nel Dossier L’inquisizione al punto 6.4 e nel relativo Documento, v. il Dossier Galileo Galilei e il documento più sintetico Il caso Galileo nella sezione “Fede e cultura”. Qui riportiamo solo qualche cenno sintetico.
Anzitutto quello del 1633 sul libro di Galilei Dialogo sopra i due massimi sistemi …, fu un piccolo Processo dell’Inquisizione, peraltro di tipo più disciplinare (scorrettezza nella pubblicazione) che scientifico o dottrinale. Se non fosse stato ingigantito oltre due secoli dopo dalla polemica anticattolica, non sarebbe forse neppure passato alla storia (nonostante l’usuale documentazione negli Archivi). Anche le tre piccole pene stabilite dalla sentenza sono di fatto più formali che reali.
Galileo era stato scorretto, nonostante godesse dell’amicizia del Papa (peraltro astronomo anch’egli), nella pubblicazione del libro in oggetto, non avendo mantenuto una “promessa formale” fatta qualche anno prima, compiendo inoltre una piccola frode nell’ottenere l’Imprimatur e mettendo in ridicolo il Papa stesso, personificato nella figura rozza del Simplicio (un Papa che gli era stato amico e che era egli stesso astronomo!); soprattutto asserendo come “certezza” scientifica l’ipotesi copernicana (eliocentrica), quando invece ancora non lo era (visto che la prova arrivò solo nel 1851). Anche durante il Processo, per mostrare la validità della teoria copernicana (peraltro già insegnata dalla Chiesa ma ancora come ipotesi, come del resto era ancora) Galileo si arrampicò sugli specchi, dicendo ad esempio che le maree erano una prova della rotazione terrestre (quando invece dipendono com’è noto dalla Luna e come già allora dicevano gli scienziati “Gesuiti” di Roma) e ricorse addirittura a certe citazioni bibliche (entrando così in un campo minato, perché allora l’accusa poteva diventare anche di “eresia”). Insomma, errori che oggi anche tutti gli scienziati gli contesterebbero!
Paradossalmente, come hanno detto anche molti importanti storici che di recente hanno studiato accuratamente “il caso Galileo” (potendo consultare gli Atti di tale Processo negli Archivi vaticani del S. Uffizio), Galilei fu assai meno “galileiano” (nel senso appunto di scienza “sperimentale”!) della Chiesa, che ammetteva e insegnava già la teoria copernicana (Copernico tra l’altro era un sacerdote astronomo di Cracovia!), ma riconosceva onestamente che le prove sicure di essa non c’erano effettivamente ancora.
Circa lo svolgimento di quel piccolo Processo dell’Inquisizione (dal 12 aprile al 22 giugno 1633, nella sede dei Domenicani accanto alla chiesa di S. Maria sopra Minerva, al Pantheon), dobbiamo anzitutto osservare, anche qui contrariamente alle dicerie anticlericali continuamente divulgate, che ci fu un massimo rispetto nei confronti di Galileo Galilei.
Non fece neppure un giorno di reclusione o agli arresti; nonostante gli fosse messo gratuitamente a disposizione dal S. Uffizio (Inquisizione) un appartamento di 5 stanze con vista sui giardini vaticani, ottimi pasti e un cameriere personale sempre a propria disposizione, dopo qualche giorno Galilei chiese ed ottenne di abitare, anche durante il processo, nella sontuosa Villa Medici a Villa Borghese (allora Ambasciata del Granducato di Toscana).
Nonostante la massima cordialità usata dai 10 Inquirenti, Galilei si mostrò invece polemico fino all’insulto, volendo a tutti i costi mostrare come certo ciò che ancora non lo era ed egli stesso non sapeva dimostrare.
Venne benevolmente invitato a non essere così irruente e apodittico. Confesserà poi egli stesso di aver agito “per vana gloria, ambizione, ignoranza et inavvertenza”.
Nel Processo non vi fu la minima traccia di minaccia o di violenza, né fisica né psicologica; e al termine non ci fu alcuna estorta “abiura” (tanto proclamata dal mito!) e non pronunciò affatto la fatidica frase “Eppur si muove”, che gli viene continuamente attribuita e che il povero Galileo avrebbe pronunciato sconsolato dopo essere stato costretto a rinunciare all’evidenza della rotazione terrestre (tale frase, intrisa di sarcasmo anticlericale, fu infatti espressamente inventata in un testo pubblicato a Londra nel 1757 dalla polemica anticattolica).
Dopo aver ascoltato per più di due mesi Galilei, il Processo si concluse il 21.06.1633 con una lievissima condanna (per 7 voti su 10), dovuta, più che per la questione scientifica (non era in fondo quella la sede per parlarne), per una questione per così dire disciplinare (non si era attenuto a quanto promesso; sulla questione copernicana, di cui Galilei doveva parlare ancora solo come ipotesi, perché così scientificamente era! Quindi in fondo niente di nuovo rispetto a quanto già deciso nell’Ammonizione del 1616. Un lieve peso era dovuto anche al modo non limpido con cui Galilei ottenne l’Imprimatur per poter stampare, fuori Roma, il suo “Dialogo…”) e in fondo neppure dottrinale (che sarebbe stata grave; si ricordò a Galileo solo di non introdurre citazioni bibliche per avvalorare l’ipotesi copernicana; peraltro cosa che oggi gli chiederebbe pure qualunque scienziato).
Comunque le tre “pene” a cui fu condannato Galilei, come ora vediamo, furono talmente piccole e formali da risultare praticamente nulle. Lo stesso Galileo riconobbe con gratitudine la mitezza di tale sentenza!
La prima pena a cui fu “condannato” fu infatti quella di lasciare ancora la teoria copernicana come “ipotesia”, senza affermare (persino insultando i suoi interlocutori, come il caratteraccio di Galileo gli faceva continuamente fare – bisticciò anche coi suoi colleghi di Pisa e di Padova), che fosse già una certezza scientifica. A queste condizioni il “Dialogo” poteva essere anche subito pubblicato e diffuso (come fu, anche dalla Chiesa stessa).
La seconda pena, che sembra gravosa ma in realtà è praticamente quasi nulla, fu quella di infliggere a Galileo il “carcere formale”, cioè una sorta di domicilio coatto. In altri termini, doveva stare a casa sua (la villa “Il gioiello” di Arcetri, presso Firenze); e lì poteva fare quello che voleva, studiare, fare esperimenti, ricevere chiunque volesse, anche scienziati e interlocutori vari. Ma si trattava di un Galileo ormai settantenne e quasi cieco; per cui non avrebbe avuto reali alternative. Che fosse poi una pena formale è data anche dal fatto che, dopo aver risieduto a Roma (anche durante il Processo) nella stupenda Villa Medici, fu nientemeno che ospite dell’arcivescovo di Siena, suo amico, nel sontuoso arcivescovado accanto al celeberrimo duomo gotico.
La terza pena fu poi quella di recitare una piccola preghiera al giorno (cioè un Salmo penitenziale; 7 a settimana), per 3 anni, addirittura con la clausola che al suo posto potesse recitarla la figlia (la quale, essendo suora clarissa, già lo faceva; figlia che ebbe pure il permesso, nonostante la clausura, di non stare in convento ma di accudire il padre). Galileo, che nonostante non avesse fatto una vita moralmente corretta (durante la sua docenza a Padova ebbe da una donna 3 figli, per poi abbandonare sia questa che loro; il figlio maschio fu affidato alle cure di un prete e le due femmine divennero appunto suore Clarisse – interessante notare la delicatezza del Processo, che non nomina minimamente questa situazione morale, quando invece nell’Inquisizione protestante, a loro stessa ammissione, avrebbe fatto una brutta fine!), era comunque un uomo di radicata fede cattolica (disse e scrisse più volte che il suo più grande dolore sarebbe stato quello di vivere e morire fuori dalla Chiesa Cattolica!), accetto con gioia tale lieve pena spirituale; tant’è vero che volle farla personalmente e continuò a farla anche oltre i 3 anni previsti.
Insomma, già questo basterebbe a farci capire che il “mito” anticattolico sul Processo a Galileo, che sarebbe assurto a simbolo e paradigma dell’ottusa opposizione della Chiesa alla scienza (nel suo stesso sorgere) e al progresso dell’umanità, costruito nel XIX secolo e ancor oggi divulgato (anche nelle scuole, sulla stampa, persino nelle opere teatrali – si pensi appunto al tanto osannato La Vita di Galileo del comunista Bertolt Brecht, del 1943 ma continuamente rappresentato, anche per intere generazioni di studenti), è una colossale e falsa montatura polemica per denigrare la Chiesa Cattolica, la sua identità, storia e missione.
La storia, cioè i veri dati storici, ci dicono il contrario. Anzi attualmente, passati le euforie “scientiste” e “positiviste” del XIX secolo (purtroppo ancora diffuse dal pensiero dominante, attraverso i media e le scuole), non sono pochi coloro che, sia tra i più eccelsi centri accademici (le più celebri università del mondo o la stessa Pontificia Accademia della Scienze) come tra i più grandi scienziati (vedi ad esempio in Italia il prof. Antonino Zichichi), riconoscono finalmente che proprio la fede cristiana (in un Dio Creatore che è anche Logos) abbia creato i presupposti per la nascita della scienza, nel senso di riconoscere nella Natura l’impronta della Sapienza stessa del Creatore (una natura cioè né divinizzata né lasciata in balìa degli spiriti, cioè in un prospettiva panteista o magica e non razionalmente indagabile, come è in tutte le culture extrabibliche!). Da cui anche il pieno accordo tra la scoperta del cosmo (in fondo già una “Rivelazione naturale” di Dio), e quindi la scienza che lo studia, e la fede (nella “Rivelazione soprannaturale” di Dio). Per dirlo con le parole stesse di Galileo: “Dio ha scritto due libri: la Natura e la Bibbia. E non c’è ovviamente disaccordo tra loro, essendo il medesimo l’Autore”.
Del resto, è ciò come la storia stessa della scienza dimostra, con la sua nascita in Italia e in Europa e con gli innumerevoli ed autorevolissimi scienziati credenti, cristiani e talora persino sacerdoti, monaci e in certi casi persino Papi (si veda ad esempio un parziale elenco nel punto 3 del Documento su Galileo). Peraltro anche nel presente la maggior parte dei più grandi scienziati risulta credente (v. lo stesso documento).
Inoltre, una particolare attenzione è sempre stata riservata dalla Chiesa cattolica all’astronomia, non solo perché il cielo porta una particolare impronta della sapienza del Creatore, ma anche per questioni addirittura “liturgiche” (come ad esempio quella della data della S. Pasqua, che cade la prima domenica dopo il primo ‘plenilunio’ di primavera).
Un autorevole professore statunitense (Heilbronn) afferma: “Dal tardo Medioevo all’epoca dell’Illuminismo la Chiesa Cattolica ha promosso e sostenuto (anche economicamente) lo studio dell’astronomia più di ogni altra istituzione, probabilmente più di tutte le altre insieme” [cit. da T. E. Woods Jr., How the catholic Church built western civilization, Washington D.C., 2001 (trad. it., SI, 2007, p. 12)].
Pensiamo non solo alla storia della Chiesa, ma alla stessa Roma dei Papi (dove cioè tra l’altro i Papi governavano pure la società), addirittura già nel secolo (XVI) precedente a Galileo: siamo non solo ai più alti livelli della storia dell’arte (l’incredibile Roma rinascimentale e barocca) e secoli avanti anche nella storia del Diritto (Inquisizione compresa, come abbiamo visto), ma anche all’avanguardia non solo nella scienza ma addirittura in modo specifico proprio nell’astronomia!
La neonata ma subito imponente “Compagnia di Gesù” (Gesuiti) era non solo dedita alla missione evangelizzatrice (anche nelle terre più lontane, pure nell’Estremo Oriente, v. già S. Francesco Saverio) ma era un’autorevolissima fucina di scienziati (non a caso la sismologia, ad esempio, viene detta la ‘scienza dei Gesuiti’) e persino proprio di astronomi.
Il Collegio Romano dei Gesuiti (futura Pontificia Università Gregoriana, tuttora una delle più prestigiose Università del mondo, con sede a Roma) era una feconda e autorevole fucina di scienziati.
Tra i professori Gesuiti del Collegio troviamo ad esempio Clavius (figura così eminente in matematica da essere definito “l’Euclide del XVI secolo”), Kircher (fu il primo ad usare sistematicamente il microscopio per lo studio delle malattie; fu anche il primo ad esporre una teoria completa dell’evoluzione ed è considerato l’antesignano degli studi sull’Asia e sull’Egitto), Boscovich (per la sua intuizione degli atomi-punti che costituirebbero tutta la realtà è considerato il padre della moderna teoria atomica). Tra gli autorevolissimi docenti del Collegio troviamo lo stesso S. Roberto Bellarmino (colui che guidò il Processo a Giordano Bruno e seguì all’inizio la questione Galilei), grandissimo teologo ma anche astronomo, che, oltre ad essere consulente del Papa e dell’Inquisizione romana, insegnava anche nella prestigiosa università belga di Lovanio. Alcuni di questi professori Gesuiti del Collegio Romano svilupparono studi speciali pure sulla meteorologia e persino sui terremoti, mettendo le basi della sismologia (che non a caso era detta anche la “scienza dei Gesuiti”; ricordiamo peraltro che anche Mercalli era un sacerdote!). Altri furono astronomi di tale valore che ben 35 crateri lunari portano il nome degli astronomi Gesuiti del Collegio che li scoprirono!
Sottolineiamo poi che quando Galilei venne a Roma la prima volta (1611), fu accolto con grande fervore dagli scienziati Gesuiti del Collegio Romano, oltre che dal Papa stesso.
Anche l’Accademia dei Lincei, fondata a Roma nel 1606 sotto gli auspici di papa Clemente VIII con lo scopo di radunare gli scienziati più insigni in una specie di comunità internazionale di studio e di ricerca scientifica, era un segno dell’attenzione della Chiesa, e in particolare del Papato, per la scienza. Tale augusta istituzione costituisce la prima accademia scientifica internazionale al mondo, precedendo la Royal Society di Londra e la Académie des Science di Parigi. Poiché il metodo di ricerca promosso in tale Accademia era proprio quello di attenersi all’osservazione dei fenomeni e verificare le ipotesi mediante esperimenti (i membri dovevano guardare bene, come delle “linci”), potrebbe essere intesa anche come matrice della nuova scienza sperimentale.
Tra i suoi membri ci fu anche Galileo, nominato proprio dal Cardinale Barberini (futuro Papa Urbano VIII) come segno della sua amicizia e stima.
Nel 1847 Pio IX trasformò l’Accademia in Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei e nel 1936 Pio XI in Pontificia Accademia delle Scienze. Furono membri della Pontificia Accademia delle Scienze grandissimi scienziati (tra cui Lemaitre, Marconi, Planck, Heisenberg, Fleming, Dirac). Tuttora esistente e operante, vi sono iscritti la maggior parte dei più grandi scienziati viventi (tra cui diversi Premi Nobel). Che questa Accademia sia Pontificia è già per sé eloquente dell’attenzione sempre data alla scienza da parte della Chiesa.
Persino gli stessi Papi sono talora in prima persona degli astronomi: come Paolo III, Gregorio XIII, Paolo V e lo stesso Urbano VIII (del “Processo” a Galilei).
Papa Gregorio XIII volle poi che in Vaticano sorgesse la cosiddetta Specola Vaticana, che costituisce il primo osservatorio astronomico della storia mondiale!
Tale prestigioso osservatorio astronomico vaticano esiste tuttora; la sua sede, dopo essere stata già spostata (per sfuggire alle luci della città) nel palazzo apostolico di Castel Gandolfo, attualmente si trova a Tucson, nel deserto dell’Arizona (USA), non lontano dall’osservatorio astronomico americano, con cui collabora.
Lo stesso Papa, come forse è noto (visto che porta tuttora il suo nome, pur essendo universale), si impegnò, con l’aiuto degli astronomi Gesuiti, a risolvere finalmente e definitivamente la questione del Calendario, che nessuno era ancora riuscito a fare. Ci riuscì nel 1582, anno appunto della promulgazione del nuovo “Calendario gregoriano” (che sostituì quello “giuliano”).
Si trattava di risolvere la questione del ritardo annuale, per così dire, costituito dal rapporto tra rotazione terrestre (in 24 ore) e rivoluzione attorno al Sole (compiuta in 365,22 giorni, dove i 22 decimi, che costituiscono quasi 6 ore, è un numero periodico, per cui impossibile da inquadrare con assoluta precisione). Ebbene, il Calendario detto appunto “gregoriano” risolse il problema con tale precisione da rimanere valido praticamente per sempre (accumulando un ritardo di soli pochi minuti nel corso di un intero millennio). Oltre ad aggiungere 24 ore cioè un giorno (29 febbraio) ogni 4 anni (il cosiddetto “anno bisestile”), si tolgono 4 giorni ogni 400 anni (considerando cioè bisestili solo i secoli la cui radice è divisibile per 4: ad esempio il 2100, pur seguendo di 4 anni il bisestile 2096, non avrà il 29 febbraio; così il 2200 e il 2300; lo avrà invece il 2400). In questo modo la quadratura del cerchio (rapporto tra rotazione e rivoluzione terrestre) è praticamente risolta. Infatti è stata assunta universalmente come valida.
Come possiamo dunque notare, assai prima di Galileo la Chiesa Cattolica (e addirittura la Roma dei Papi), era all’avanguardia non solo nella scienza, ma addirittura proprio nell’astronomia.
Tutto ciò basterebbe già a dimostrare la falsità delle accuse ottocentesche, e tuttora divulgate e credute, secondo cui la Chiesa si sarebbe opposta alla scienza fin dal suo sorgere (appunto col “caso Galileo”) e sarebbe stata ottusamente retrograda e oscurantista sull’astronomia (visto che proprio su una questione astronomica si annodò il Processo a Galilei del 1633; dove, abbiamo detto, Galileo non si mostra affatto geniale, come invece ad esempio lo fu in “meccanica” (legge del pendolo, caduta dei gravi), ma persino ottusamente pervicace nel pretendere di portare le prove del sistema eliocentrico copernicano (comunque già insegnato anche dalle università ecclesiastiche), quando invece non c’erano (ma arriveranno solo nel 1851 col pendolo di Foucault). In altri termini la Chiesa s’è mostrata in quel frangente (il Processo) più “galileiana” di Galileo.
Conclusione
Alla luce della reale e seria ricerca storica e non dei miti creati dalle ideologie anticristiane, possiamo vedere come, al di là certo di tutti i limiti e difetti che ogni cosa umana comporta (anche se la Chiesa in sé è “divina” non è certo assistita infallibilmente dallo Spirito Santo anche nel governo temporale della giustizia o su questioni scientifiche) – peraltro senza incorrere pure nell’errore, che ogni storico deve evitare, di giudicare la storia con i criteri di oggi – possiamo infine obiettivamente affermare che anche la tanto vituperata Inquisizione, persino nei suoi Processi più rischiosi, difficili e passati alla storia come particolarmente violenti, in realtà non solo non corrisponda all’incresciosa “caricatura” che l’anticristianesimo laicista ne ha fatto, ma rappresenti addirittura un esempio e un progresso nella storia stessa del Diritto, specie se paragonato con le analoghe strutture di giustizia “laiche” del tempo (per non parlare di ciò che le ideologie anticattoliche, anticristiane e atee hanno poi compiuto in questi 250 anni vedi! le stesse ideologie che hanno pure creato questi miti anticattolici).
Dunque non sono questioni storiche di cui vergognarsi, addirittura da parte dei Cattolici!
Se poi, alla luce della fede, sappiamo cosa comporti per tutta l’eternità credere e vivere nell’errore (falsa dottrina, eresie), allora sorge certamente una sincera gratitudine alla Chiesa, e persino all’Inquisizione, per aver difeso la Verità, l’autentica fede (che è poi la volontà di Dio e ciò che Egli stesso ci ha rivelato), garantendoci così la possibilità della nostra stessa salvezza eterna!