Abbiamo già sottolineato come Polonia e Ungheria siano rimaste nella UE dei baluardi di identità cattolica e di difesa dell’autentica dignità umana [cfr. News 1.08.2020 (Polonia) e 4.05.2020 (Ungheria)]; e non a caso sono particolarmente sotto attacco della stessa UE, che pur contribuiscono a formare (anche politicamente ed economicamente), e del “pensiero unico dominante” occidentale, che riesce anche a fomentare minoranze in furiosa ribellione a chiunque dissenta da esso.
Anche ultimamente la Polonia ha dato prova di questo. Oltre alla rielezione di Andrzej Duda alla Presidenza della Repubblica, che offre una bella testimonianza di impegno cattolico in politica (v. appunto News del 1.08.2020; cfr. anche intervista esclusiva nel n. 200 di novembre de Il Timone), il 23.10.2020 la Corte costituzionale polacca ha dichiarato anticostituzionale l’aborto “eugenetico” (terapeutico), cioè quello che permette di abortire in caso di malattia incurabile o anomalie del feto (riguarda soprattutto i bambini con la sindrome di Down) [cioè viene annullato come incostituzionale il punto 2 dell’art. 4.a della legge del 7.01.1993; mentre rimangono in vigore il punto 1 (che consente l’aborto in caso di minaccia alla vita o alla salute della madre) e il punto 3 (che lo prevede in caso di violenza subita dalla madre); punti comunque immorali in quanto contemplano comunque l’uccisione del più innocente, cioè del bambino]. Solo nel 2019, in Polonia, gli aborti legali per anomalie del feto sono stati 1.074; e di questi 435 per sindrome di Down!
In tutto il Paese si erano tenute anche Novene e veglie notturne di preghiera per ottenere almeno questo risultato. L’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski, che ne è stato un forte promotore, ha infatti subito espresso «grande apprezzamento per il coraggio» manifestato dai Giudici della Corte nella difesa della vita umana.
Tra l’altro, in questo periodo rappresentanti di USA, Brasile, Egitto, Ungheria, Indonesia e altri 28 Paesi hanno siglato nella sede ONU di Ginevra il “Patto per la vita” (The Geneva Consensus Declaration). Nel testo si afferma il comune impegno e il reciproco sostegno nei consessi internazionali e con iniziative bilaterali per “sostenere la dignità umana dal concepimento alla morte naturale, la lotta all’aborto, il ruolo della famiglia come cellula fondamentale della società e pure l’importanza dell’autorità ed autonomia degli Stati nazionali”.
Però, come sappiamo, quello dell’aborto “a tutti i costi” è un dogma indiscutibile per il laicismo nichilista e per il “pensiero unico dominante”.
Politici di estrazione progressista, cosiddetti pro choice e fautori della autodeterminazione della donna, si sono subito attivati con forti proteste, lamentando una limitazione della libertà di scelta e dei diritti delle donne.
Violenti proteste di abortisti (e attivisti Lgbt) si sono svolte davanti alla sede della Corte Costituzionale, alle sedi del PiS (il partito Prawo i Sprawiedliwość, Diritto e Giustizia) e persino all’abitazione privata del leader del PiS, Jarosław Kaczyński; alcuni manifestanti si sono anche recati presso l’abitazione di un giudice della Corte, professoressa Krystyna Pawłowicz, e l’hanno aggredita fisicamente; solo l’intervento della polizia ha potuto interrompere l’aggressione.
Sono seguite violente manifestazioni di piazza, addirittura assalti alle chiese, molte delle quali profanate, persino con l’interruzione delle Sante Messe!
Il Primo Ministro Mateusz Morawiecki ha condannato come «inaccettabili questi atti di violenza, aggressioni, attacchi, barbarie, avvenuti nello spazio pubblico»; e il Ministro dell’Interno Mariusz Kaminski ha confermato l’arresto di 76 persone per irruzione nelle chiese e che 101 sono i casi che saranno perseguiti legalmente.
I Vescovi polacchi hanno definito «inquietanti» queste forme di protesta, esprimendo il loro «grande dolore per l’escalation della tensione sociale, le aggressioni, il linguaggio volgare usato da alcuni dei manifestanti, la distruzione dei beni sociali, la devastazione delle chiese, la profanazione dei luoghi sacri e addirittura l’impedimento alla celebrazione delle SS. Messe»; ma la Chiesa, hanno aggiunto, non cesserà di sostenere, per il bene dell’uomo e di tutti, l’inviolabile “diritto alla vita”.
Nel mondo hanno subito protestato contro la libera e democratica decisione polacca anche Amnesty International, Human Rights Watch e Center for Reproductive Rights.
Particolarmente grave è stata la protesta giunta addirittura dal Commissario Europeo dei Diritti Umani (!), Signora Dunja Mijatovic, che ha giudicato la decisione della Corte Costituzionale polacca “una violazione dei diritti umani, una spinta agli aborti clandestini o all’estero per coloro che possono permetterselo e un calvario ancora maggiore per tutti gli altri”. Come l’Europa possa mantenere in carica un Commissario dei Diritti Umani (pagato dai 47 Paesi del Consiglio di Europa, compreso la Polonia, per difendere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto dei singoli Paesi), che non rispetta una decisione ufficiale di uno Stato membro (proprio sullo stato di diritto), rinnega i fondamenti stessi dei diritti umani internazionali (in primis il diritto alla vita) e giustifica gli aborti eugenetici, è inquietante!
A proposito della UE, che vive dei contributi di tutti i Paesi e poi li condiziona economicamente (per favorire poi tra l’altro solo pochi Paesi) e culturalmente (per promuovere il “pensiero unico dominante” e ricattare, anche economicamente, i Paesi membri che non si sottomettono), forse qualcuno comincia ad alzare il capo. In questi giorni, infatti, Polonia e Ungheria hanno minacciato di porre il proprio <veto> – proprio sullo stato di diritto – al bilancio UE (circa 1800 miliardi di €) in discussione il prossimo 18.12.2020.
Forse quando si va a toccare il portafoglio (e non a senso unico) qualcuno comincerà a ricordarsi delle identità e delle libere scelte dei popoli?!