Resistere alle pressioni ideologiche dell’Occidente, fatte passare per diritti civili (aborto, divorzio, matrimoni omosessuali, eutanasia, ideologia Lgbt e gender, ecc.), e al suo laicismo anticristiano, è difficile, anche nei Paesi dell’Europa centro-orientale, usciti 30 anni fa dalla dittatura comunista; ma pare proprio che questi Paesi siano più ‘vaccinati’ di noi nel riconoscere e controbattere queste nuove forme di dittatura, fatte passare per libertà e diritti, ma che è la profetizzata “dittatura del relativismo”, che accetta tutto … ma poi si manifesta sempre più ostile al cristianesimo, che è invece la radice stessa della nostra civiltà.
Così il ballottaggio che si è tenuto il 12 luglio in Polonia ha siglato la vittoria, sia pur per uno scarto minimo (400.000 voti), del Presidente uscente Andrzej Duda, cattolico e appoggiato dai partiti conservatori, su Rafał Trzaskowski, sostenuto dalla sinistra.
Ha così vinto non solo l’identità cattolica della Polonia, ma anche la politica in favore dei veri diritti della persona, a cominciare dalla vita (in ogni suo stadio) e dalla famiglia naturale.
Il rieletto Presidente Duda si è recato subito, il 13 luglio sera, al Santuario di Częstochowa per ringraziare la Madonna Nera, Regina della Polonia, per il risultato ottenuto e soprattutto per affidarLe le questioni relative alla Nazione.
Lo ha fatto durante l’Appello, che ogni sera alle 21 raccoglie davanti alla celebre effigie mariana i fedeli e le preghiere di moltissimi polacchi, anche ferventi giovani, specie quelli che si apprestano a compiere scelte importanti per la loro vita, come quella della propria vocazione (matrimoniale o da consacrati), l’inizio di un fidanzamento o del matrimonio, la ricerca o l’inizio del proprio lavoro, affidando cioè alla Madre e Regina il proprio futuro ed impegnandosi ad una vita da figli di Dio.
I fedeli e i sacerdoti presenti hanno pregato col e per il rieletto Presidente. «Grazie per la sua presenza qui a Jasna Góra, grazie per la sua testimonianza di fede», ha detto pubblicamente il padre Waldemar Pastusiak del Santuario, che ha proseguito con la seguente preghiera «All’inizio del secondo mandato, affidiamo nelle tue mani, o Maria, il Presidente e tutte le questioni della nostra patria, credendo che sarai sempre presente con lui». Anche il vescovo ausiliare di Częstochowa, mons. Andrzej Przybylski, ha impartito la sua benedizione al rieletto presidente: «Dio, benedici la nostra amata patria, la Polonia, tutti i polacchi. Benedici il Presidente per la nuova tappa del suo servizio nazionale».
Non si è fatto invece ovviamente attendere l’attacco laicista dei burocrati della UE.
L’occasione è stata offerta dalla Convenzione di Istanbul, nata in seno al Consiglio d’Europa (organizzazione peraltro distinta dall’UE). che di fatto è un ulteriore pretesto per l’introduzione dell’ideologia Lgbt nei Paesi europei (v. sotto Notizia del 4.05.2020). Il 26 luglio il ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro aveva proposto al Governo l’uscita dalla Convenzione di Istanbul. Il 28 luglio il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha incaricato la Corte costituzionale polacca di valutare se la Convenzione di Istanbul sia compatibile con la Costituzione polacca e i valori che essa promuove.
Mentre Marija Pejčinović Burić, nuovo segretario generale del Consiglio d’Europa, si è detta preoccupata ma anche disponibile a “chiarire ogni possibile fraintendimento o incomprensione” sul testo della Convenzione, dai banchi del Parlamento Europeo i Socialisti e i Liberali hanno sparato a zero contro la scelta del governo polacco.
Il 29 luglio la commissaria Helena Dalli, paladina dei privilegi Lgbt, ha annunciato di conseguenza che sei città polacche non riceveranno i finanziamenti richiesti a causa delle loro scelte “discriminatorie” nei confronti degli Lgbt, scelte che violerebbero i “valori europei” (?!). Il viceministro francese agli Affari Europei, Clément Beaune, ha minacciato gravi “conseguenze e possibili tagli di fondi del Bilancio dell’Ue” se la Polonia dovesse confermare la propria volontà di uscire dalla Convenzione. Il 30 luglio la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto in proposito una dichiarazione in difesa dei “diritti Lgbt”, confermando così che la Convenzione di Istanbul è funzionale all’introduzione obbligatoria di tale ideologia nei Paesi europei.
Emerge così chiaramente che oggi, quando i burocrati della UE parlano di “valori europei”, intendono soprattutto l’ideologia Lgbt (anche se i trattati vincolanti per gli Stati membri non la nominano affatto). E chiunque vi si opponga è soggetto a sanzioni pecuniarie e tagli di finanziamenti.