Tutto è relativo e ogni verità è ridotta ad opinione… tranne non essere d’accordo con questo! È la perenne contraddizione del “relativismo”, peraltro già messa in luce da Platone e Aristotele.
Per questo l’espressione “dittatura del relativismo”, volutamente contraddittoria e resa celebre dal card. J. Ratzinger (omelia dell’apertura del Conclave del 2005, che poche ore dopo lo avrebbe nominato Papa), è quanto mai eloquente ed efficace, anche per descrivere a cosa si riduce una “democrazia” quando diventa sinonimo appunto di relativismo (denuncia già emersa da Giovanni Paolo II nella fondamentale Enciclica “Veritatis splendor” del 1993, oggi palesemente contestata anche da alte gerarchie ecclesiastiche, al n. 101: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”).
La “dittatura del relativismo” non si accontenta però di essere culturale (il “pensiero unico” trasmesso dai “poteri forti”), ma vuole diventare anche “legge”, civile e penale, che obblighi cioè tutti ad essere d’accordo e vieti di dissentire, con tanto di gravissime “pene” per chi osi farlo.
Non si tratta di “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21) – che poi “di Dio” non è solo la sfera intima e privata delle coscienze che ancora ci credono, ma ogni cosa dell’universo, uomo compreso, in quanto appunto “creato” e un giorno inesorabilmente sottoposto al “giudizio universale” di Cristo Signore, con conseguenze eterne, anche per quelli che non ci credono! – ma di Stati che si sostituiscono a Dio e che legiferano non solo in aperto e dichiarato contrasto con la Sua legge (morale), ma addirittura che possono giungere persino ad obbligare i propri cittadini a “disobbedire a Dio”!
Se i cristiani, insieme agli uomini di buona volontà (che usano cioè ancora rettamente della propria ragione), devono fare tutto il possibile perché anche le leggi dello Stato promuovano il bene autentico dell’uomo e della società e devono impedire, per quanto democraticamente possibile, che si facciano leggi che invece promuovano o anche tollerino eccessivamente il male, devono assolutamente rifiutarsi di obbedire a delle leggi che addirittura obblighino al male, perché tali leggi provengono di fatto da uno Stato che ha così perso la sua autorità (morale, civile e penale) per obbligare a ciò, visto che il suo fine è appunto quello di promuovere il bene del singolo e della società [senza peraltro sostituirsi ai cittadini e ai “corpi intermedi” quando questi possono attuarlo da soli, come recita il “principio di sussidiarietà”, oggi tanto dimenticato proprio in una concezione dello Stato in fondo ancora illuminista e assolutista, inteso come al di sopra dei cittadini e chi si arroga il diritto di stabilire cosa sia il “bene” e che vuole tra l’altro legiferare su tutto, con l’aggravante di moltiplicare solo la burocrazia e impedire lo sviluppo invece di agevolarlo, come anche la storia e l’attualità dimostra) (per approfondimenti sul rapporto tra legge morale e legge civile, v. nel sito la sezione Dottrina sociale della Chiesa)].
Milioni di martiri, in 20 secoli, stanno appunto a ‘testimoniare’ (la parola ‘martirio’ significa proprio questo) che l’obbedienza a Dio è al di sopra dell’obbedienza agli uomini, se questi obbligassero a disobbedire a Dio (come disse anche S. Pietro di fronte al Sinedrio che lo aveva subito arrestato perché annunciava la risurrezione di Gesù, cfr. At 4,19). Anche a Roma, nei primi due secoli, migliaia e migliaia di cristiani, pur essendo cittadini modello e con uno stile di vita assai superiore allo stesso “diritto romano”, preferirono doverosamente andare in pasto alle belve od essere trucidati nei modi più terribili, piuttosto che adorare l’imperatore come “dio” rifiutandosi di bruciare simbolicamente dell’incenso davanti alla sua statua. Così, tra i milioni di martiri cristiani della storia, S. Tommaso Moro (Thomas More), cancelliere del re inglese Enrico VIII, nel 1535 si fece uccidere (come il vescovo John Fischer) piuttosto che approvare il divorzio (!) del re e la sua conseguente pretesa di separarsi dal Papa e creare la propria Chiesa (anglicana).
Nella storia e pure nel presente, esistono interi Paesi (anche enormi come la Cina) in cui essere cristiani significa patire ogni violenza e discriminazione (solo per rimanere al presente anno 2019, v. sotto le Notizie del 15/05, 5/05, 11/04, 29/03, 24/03, 23/02, 27/01, 14/01 e soprattutto del 17/01 e 8/01).
Ma esiste pure una più sottile persecuzione, addirittura per via giuridica, che “discrimina” i cristiani anche in grandi Paesi “democratici” dell’Occidente, passando dall’impedimento ad esprimere socialmente, culturalmente e politicamente la propria opinione (che poi su questioni morali di fondo “opinione” non è, ma addirittura “verità” rivelata da Dio e anche riconoscibile da una retta ragione!), relegando cioè la fede a fatto intimo e privato senza alcuna incidenza pubblica (riducendo cioè la “libertà religiosa”, diritto fondamentale dell’uomo, a “libertà di culto”), a un vero e proprio obbligo civile, con gravissime pene giuridiche per chi trasgredisce (!), ad obbedire a leggi inique e immorali, senza possibilità di dissentire e perfino in certi casi senza neppure la possibilità almeno della “obiezione di coscienza”. Insomma, davvero una crescente “dittatura” (del relativismo), lesiva addirittura della libertà di coscienza e di religione, che sono invece alla base stessa del diritto (salvo ovviamente laddove col pretesto della religione si commettono anche crimini, come nel caso ad esempio del “terrorismo islamico” e non solo).
Ci sono casi, anche nel mondo cosiddetto “democratico”, che pongono addirittura il cristiano nella sconvolgente alternativa tra la “scomunica” e la “denuncia” (perfino il carcere!), dove ovviamente la coscienza deve scegliere appunto di “obbedire a Dio” invece che agli uomini, quando gli uomini obbligassero appunto a disobbedire a Dio. Nessuna persona o ente ha infatti l‘autorità di opporsi a Dio; e se lo fa perde moralmente la sua autorità (fosse anche un padre di famiglia che vietasse ai figli ad esempio di andare alla S. Messa, in tal caso deve essere disobbedito dai figli, o un’autorità ecclesiastica che si opponesse alla Parola di Dio fedelmente trasmessa dalla bimillenaria Tradizione cattolica!).
In alcuni Stati democratici stanno emergendo leggi (o proposte di legge) che obbligano a violare addirittura il “segreto confessionale”!
È ad esempio entrata di recente (31.03.2019) in vigore una legge dell’Australia (territorio di Canberra) che obbliga i sacerdoti a rivelare quanto saputo in Confessione, specie se si tratti di abuso su minori. In tal caso, appunto, il sacerdote che obbedisse allo Stato sarebbe immediatamente “scomunicato” e se disobbedisse allo Stato sarebbe perseguibile penalmente (anche col carcere)!
Sempre in questi giorni una proposta di legge per abolire in certi casi il “segreto confessionale” è stata presentata anche in California (con approvazione del Senato USA). Solo una mobilitazione popolare, guidata dall’Arcivescovo di Los Angeles, ha speriamo scongiurato tale pericolo.
Proposte analoghe vennero già avanzate in Canada, in Francia, in Irlanda, in Louisiana (USA) e persino da parte del comitato ONU di Ginevra per la Convenzione sui diritti del bambino.
Persino in Italia, anche se passata sotto silenzio, una sentenza dell’Alta Corte di Cassazione (n. 6912 del 14.01.2017), ha stabilito che il sacerdote chiamato a testimoniare in un processo penale per abuso sessuale incorre nel reato di falsa testimonianza se rifiuta di dire ciò che ha appreso in Confessione (escluso però ancora i peccati commessi dal penitente, ma se questi gli ha confessato ad esempio di aver subito un abuso).
Dobbiamo inoltre ricordare che chi simula una Confessione, e addirittura la registra e la manda in onda (è accaduto ad esempio anche per una nota trasmissione televisiva italiana), incorre in “scomunica”.
Si comprende in tal senso l’urgenza e gravità del recente (29.06.2019) autorevole richiamo da parte della Santa Sede (Penitenzeria Apostolica, con approvazione papale), dell’assoluta inviolabilità del “segreto confessionale” (documento già indicato nel nostro sito, vedi).
La “scomunica” scatta automaticamente anche per l’aborto, non solo per chi lo pratica (la madre e il medico), ma anche per chiunque vi collabori, materialmente e moralmente (anche per chi lo consiglia). In Italia la terribile legge 194 (che regola l’aborto e che in 40 anni ha ucciso legalmente e a spese della collettività 6 milioni di bambini innocenti!), prevede comunque l’obiezione di coscienza (anche se è in atto una fortissima campagna culturale per limitare questo diritto) sia del singolo medico che di intere strutture sanitarie. Si potrebbe però osservare (e si dovrebbe; c’è chi ha sollevato pubblicamente la questione) che tra le tasse pagate da noi tutti c’è dunque una porzione che serve al finanziamento degli aborti e che quindi c’è una forma di collaborazione ad esso.
Nessuna possibilità di “obiezione di coscienza” è invece prevista in Italia per i farmacisti, che si trovano quindi ad essere obbligati a vendere (ma non possono moralmente farlo, pena la scomunica) prodotti abortivi (come la RU486) o potenzialmente abortivi (come la cosiddetta pillola del 5° giorno o del giorno dopo), pena la denuncia.
Dunque c’è già anche in Italia l’alternativa tra scomunica e denuncia!
Analoga situazione si presenta per la legge sulle DAT (Dichiarazione anticipata di trattamento, legge n. 219 del 22.12.2017, cioè su proposta di un governo Gentiloni già in evidente dirittura d’arrivo!), che non contempla per il medico e paramedico l’obiezione di coscienza (ci fu un’immediata protesta di autorevoli istituti clinici italiani, anche con minaccia di chiudere se obbligati ad attuare tale legge) e che quindi obbliga di fatto il personale sanitario a cooperare al suicidio di una persona (non chiamato così perché vietato dalla Costituzione, né tanto meno eutanasia, ma di fatto è la stessa cosa), cioè ad un atto gravemente immorale, come aiutare una persona a suicidarsi, che nessuno può commettere!
Sotto il mantra delle “discriminazioni sessuali” passa poi la dittatura dell’ideologia gender, omosessualista, ecc., con tanto “reato di opinione” (propri di tutti i regimi dittatoriali), per cui non è possibile dissentire, neppure a livello di idee e giudizi morali. Insomma: per evitare ogni “discriminazione” si discrimina proprio la libertà religiosa, che è un reale diritto fondamentale dell’uomo (non i presunti diritti inventati oggi)!
Persino il nuovo Codice della strada, approvato in questi giorni dalla Camera (deve passare al Senato in autunno), si è sentito in dovere di entrare nel merito delle presunte discriminazioni sessuali e, su proposta del PD (emendamento all’articolo 23 del Codice in materia di cartelloni pubblicitari, sono stati aggiunti i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater), «vieta sulle strade e sui veicoli ogni forma di esposizione pubblicitaria il cui contenuto proponga messaggi sessisti, violenti o stereotipi di genere offensivi o proponga messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza etnica, ovvero discriminatori rispetto all’orientamento sessuale, all’identità di genere, delle abilità fisiche e psichiche». Insomma: qualsiasi obiezione pubblica ad esempio ai gay-pride (che irridono invece in modo plateale e blasfemo la libertà religiosa e le realtà più sacre!), all’aborto, all’utero in affitto ecc., può essere vietata (come già avvenuto per alcuni manifesti pro-vita e pro-famiglia).
Cosa accadrebbe poi se uno rifiutasse ad esempio di affittare casa a una coppia non sposata (in fondo fino a 50 anni fa anche molti alberghi non davano camere matrimoniali a chi non fosse sposato), o non sposata cristianamente (l’unica unione sessuale permessa, se non chiusa alla vita, agli occhi di Dio!) o addirittura ad una coppia omosessuale? O se un fiorista o pasticciere (negli USA sono scattate molte denunce in merito) si rifiutasse di prestare il proprio servizio per un cosiddetto matrimonio omosessuale? Scatterebbe l’ostracismo sociale, mediatico, culturale, persino la condanna penale. Eppure moralmente anche tutte queste cooperazioni al male sono cristianamente “peccato”, cioè lo sono agli occhi di Dio (Verità), al Cui cospetto un giorno tutti compariranno per il Giudizio.
Non è lontano dunque il tempo in cui, in questo ordine (disordine) di cose, sarà proibito proclamare anche la Parola di Dio, perché discriminante nei confronti dei peccatori (che ovviamente non si chiamano più così e anche i peccati più gravi sono diventati “diritti”) – e pare che questa mentalità si stia ampiamento diffondendo anche nella Chiesa! – come ad esempio il primo capitolo della lettera di S. Paolo ai Romani (vedi).
Tutto è lecito, tranne dissentire su questo. E ‘in primis’ tranne che dirsi cristiani e soprattutto parlare come Dio vuole.
Cresce dunque l’intolleranza e la persecuzione anticristiana anche nelle sviluppate democrazie occidentali, che pure hanno nel cristianesimo le proprie radici ma che sono ormai già ampiamente sprofondate nella grande “apostasia” anticristica.
Quando la “legge di Cesare” obbliga a disobbedire alla “legge di Dio” occorre disobbedire a Cesare (che ha infatti così perso la sua autorità) ed obbedire a Cristo (che è la Verità e che verrà un giorno “a giudicare i vivi e i morti”).