Nel Pakistan, paese a maggioranza musulmana, vige una legge detta “contro la blasfemia”, secondo la quale basta che una persona sia accusata anche solo da due altre persone (che di fatto possono essersi accordate tra loro anche solo per vendicarsi di tale persona o per accusarla falsamente) di aver pronunciato parole non consone alla venerazione che si deve all’Islam e al profeta Maometto, perché questa venga arrestata, imprigionata e poi persino condannata a morte.
È quanto accaduto 10 anni fa ad una giovane donna cristiana, Asia Bibi, sposa e madre. Nel 2009 fu accusata da due donne musulmane del paese di aver parlato male del Profeta (di fatto essendosi solo dichiarata non musulmana e quindi non credente in Allah e Maometto) e venne di conseguenza arrestata e incarcerata con l’accusa appunto di ‘blasfemia’. Per lei è cominciato un calvario durato 10 anni, di carcere duro, con una condanna a morte (2010) che grazie a Dio è sempre stata rimandata e che oggi si è finalmente concluso con la liberazione della povera donna.
Il suo caso però, a differenza di moltissimi altri analoghi, è diventato famoso in tutto il mondo. Ciò è dipeso anche da due terribili eventi, che riguardavano anche tale caso, accaduti nel 2011. Infatti, per aver difeso pubblicamente Asia Bibi e per aver criticato la legge sulla blasfemia, nel 2011, a distanza di pochi mesi uno dall’altro, sono stati assassinati il governatore (musulmano) del Punjab Salman Taseer (ucciso dalle sue stesse guardie del corpo!) e addirittura il Ministro federale (cattolico) “per la difesa delle minoranze religiose” Shahbaz Bhatti (ucciso dai fondamentalisti islamici il 2.03.2011 per il lavoro svolto in difesa dei cristiani perseguitati e delle minoranze religiose in Pakistan, di cui ci resta una commovente ed eroica testimonianza di fede cattolica fino al martirio – v. il suo straordinario “testamento spirituale” in News 2.03.2011; significativa, anche oggi, pure la testimonianza del fratello medico Paul Bhatti).
Dopo quasi 10 anni di carcere duro, in attesa della sentenza definitiva, nell’ottobre scorso la Corte Suprema aveva finalmente assolto Asia Bibi dall’accusa di blasfemia, potendo quindi tornare libera. Ma si è scatenata una tale protesta pubblica, con minacce di morte, da parte di molti musulmani, che l’esecuzione della sentenza, cioè la sua effettiva liberazione, ha dovuto essere ulteriormente rimandata, con istanza di revisione della sentenza.
I fondamentalisti islamici avevano infatti promesso di mettere a ferro e fuoco l’intero Pakistan se Asia Bibi non fosse stata impiccata (qualche imam spiegava addirittura in tv che la pena più appropriata per lei, in quanto cristiana, sarebbe stata la crocifissione!), quindi hanno paralizzato le principali città con sit-in minacciosi contro la comunità cristiana locale e contro gli stessi giudici, persino contro lo stesso governo di Imran Khan (accusato si essersi piegato alle pressioni occidentali; Occidente che in realtà in questi 10 anni s’è sempre defilato dalla dolorosa vicenda).
Dopo la sentenza i giudici della Corte sono stati minacciati di morte e il suo stesso avvocato, Saiful Malook, anch’egli minacciato di morte, ha dovuto addirittura fuggire all’estero (ha potuto rientrare ieri per la sentenza definitiva, in quanto il governo gli ha garantita una speciale protezione).
Finalmente ieri (29.01.201) la Corte Suprema ha coraggiosamente respinto definitivamente l’istanza di revisione della sentenza ed ha liberato Asia Bibi. La quale però, essendo comunque minacciata di morte da parte di integralisti musulmani, è segregata in un luogo segreto di Islamabad, in attesa di poter fuggire all’estero (probabilmente in Canada, dove erano già fuggiti il marito e le figlie; tra l’altro nessun Paese europeo si è detto disposto ad accoglierla …).
Questo doloroso e famoso caso sembra dunque concludersi felicemente, sia pur dopo un calvario di 10 anni. Ma molti cristiani in Pakistan continuano a patire violenze, abusi e discriminazioni. Secondo i dati della Conferenza Episcopale Pachistana, sono attualmente 187 i cristiani che affrontano condanne, anche alla pena capitale, perché ritenuti, nella quasi totalità dei casi ingiustamente, colpevoli di “blasfemia”. Ad esempio, il 13 dicembre scorso due fratelli cristiani, Qaisar e Amoon Ayub, sono stati giudicati colpevoli di blasfemia e condannati a morte, dopo un processo durato 3 anni. Il 15 gennaio scorso un altro cristiano, Pervaiz Masih, dopo un processo durato tre anni, è stato invece provvisoriamente assolto dall’accusa di blasfemia (la sentenza è cioè rivedibile), ma intanto una sua figlia di 3 anni è stata uccisa dai musulmani annegandola in un pozzo e sua moglie Zarina, durante gli interrogatori della polizia, è stata torturata per accertare la colpevolezza del marito, subendo gravi lesioni gravi (le sono state rotte delle ossa, così che non può stare in piedi e camminare), e tutti i suoi familiari sono costretti a vivere nascosti.